CAPITOLO XII

Chi sarà accanto a me? le figure di sostegno

La gravidanza e il parto fanno parte di un percorso individuale, da vivere con consapevolezza, informandosi, ascoltando i propri bisogni e le proprie emozioni, dialogando con il bebè durante i nove mesi e soprattutto per “fare squadra” nel delicato momento del travaglio. Ma la donna in attesa ha anche bisogno di avere al suo fianco delle figure di sostegno che possano accompagnarla in questa avventura. La famiglia di un tempo non esiste più e oggi la futura mamma di rado può contare sull’appoggio emotivo, i consigli e la guida di nonne, zie, amiche e altre figure familiari capaci di condividere la sua esperienza e di aiutarla ad avere fiducia nella sua forza e nella sua competenza.


Come abbiamo visto, molte donne diventano mamme tra i 30 e i 40 anni, spesso non hanno mai tenuto un neonato tra le braccia, né assistito a un parto, come invece avveniva sessant’anni fa, prima che il parto fosse ospedalizzato e separato dalla famiglia. E così, anche la donna più autonoma e determinata può facilmente essere messa in crisi non solo da un travaglio più lungo e doloroso del previsto, ma anche dal semplice cambio di un pannolino, da una colichetta o dalle continue poppate. Nonne e suocere il più delle volte hanno partorito in clinica o in ospedale, molto probabilmente con un taglio cesareo, e non sono state incoraggiate ad allattare al seno; con il risultato che il massimo contributo da parte loro consiste nel consigliare il nome del proprio ginecologo o del rinomato primario in Pediatria di turno, il cui approccio è basato su regole e princìpi legati a una concezione ormai superata della nascita, della maternità e della cura dei neonati. Al contrario, rispetto al passato, oggi i papà sono molto più coinvolti e spesso vogliono essere presenti alla nascita e alla crescita del bebè1 (magari anche esagerando con riprese video e indesiderati servizi fotografici in sala parto!).

Il partner

Michel Odent, famoso medico francese2 che è intervenuto nella presentazione della prima edizione di questo libro, suggerisce che la presenza del padre durante il parto non solo possa rendere il travaglio più lungo e doloroso, ma anche influenzare la necessità di interventi. Odent fa riferimento alla sua esperienza personale, grazie alla quale ha potuto osservare cosa accade se il partner sessuale è presente o meno, in ambiente ospedaliero come in casa, nell’arco di oltre 50 anni3.


Odent ha tra l’altro notato che in Irlanda, Olanda e Russia, tre Paesi europei con una politica di assistenza ostetrica molto diversa (ma fino a circa 10 anni fa risparmiati dall’epidemia del cesareo, con tassi di circa il 10%) l’unico cambiamento avvenuto riguarda proprio la presenza del partner. Odent fa osservare che nessun altro mammifero fa altrettanto, anzi di solito per partorire la femmina si isola dai suoi simili. In particolare nel caso dei delfini e degli elefanti, le altre femmine presenti si occupano solo di proteggere il luogo del parto da eventuali predatori, senza mai osservare la partoriente. Lungi dall’imporre un dogma, Odent afferma candidamente: “Non conosco una situazione più propizia al parto di quando la donna si apparta assieme a un’altra donna tranquilla, capace di stare in silenzio e con le mani in mano”.


In casa la donna si trova in una situazione ideale, ha il controllo sul corpo e sull’ambiente circostante. Insomma, “non ci sono nemici”, come dice Laura, che ha partorito in casa dopo aver avuto un’esperienza negativa in ospedale: “L’ostetrica e il ginecologo mi urlavano ‘non sei capace!’. In sala parto si respirava un’atmosfera di violenza. Il mio compagno era l’unico a stare dalla mia parte”.


Se informato, determinato e capace di mantenere la calma, il partner è in grado di capire le esigenze della futura mamma e comunicarle al personale sanitario, prevenendo possibili conflitti e fraintendimenti. Inoltre, sa come aiutarla e incoraggiarla, con un massaggio, una carezza, un abbraccio, o semplicemente con uno sguardo o una parola. Rossella, 31 anni, ha avuto due parti naturali in ospedale: “Per prepararmi al parto ho letto molto (ricordo in particolare Nascere senza violenza di Leboyer) e, anche grazie alle ostetriche del corso pre-parto, mi sono convinta che la donna ha tutte le capacità e le competenze necessarie per partorire, e che nessuno le debba dire cosa fare o come muoversi. Penso che sia una violenza togliere a una donna l’esperienza di mettere al mondo il proprio figlio. Ho avuto la gioia di due parti naturali senza punti, né ossitocina, né epidurale; per il secondo parto ho potuto fare anche il travaglio in acqua, ed è stata un’esperienza fantastica. Ho potuto tenere da subito i bimbi con me (e, marito a parte, guai a chi me li toccava!), li ho entrambi attaccati al seno e poi allattati oltre l’anno. Insomma, se da una parte posso dire di essere stata fortunata perché non si sono presentate complicazioni, dall’altra però penso di avere fatto anch’io un cammino di consapevolezza di me come donna, come mamma, che mi ha portato ad affrontare quei momenti senza paura, ma con tanta gioia e fiducia in me e nel mio bimbo. Anche la presenza e il sostegno di mio marito sono stati determinanti… infatti di solito dico che abbiamo partorito”.


Quella di far nascere il proprio bimbo tra le mura domestiche è una decisione importante, da prendere insieme. E l’accordo e l’armonia sono fondamentali per il buon esito del parto: “Se ci sono problemi di coppia il bambino non nasce”, dice Marta Campiotti, che ha fatto nascere circa 530 bambini in casa e ha 25 anni di esperienza alle spalle. Sulle prime i papà nutrono dubbi e paure su questa opzione, ma una volta coinvolti e dopo essersi informati, aver parlato magari con altre coppie che hanno già fatto l’esperienza e conosciuto l’ostetrica che assisterà al parto, il più delle volte si rilassano e assumono un atteggiamento positivo e di fiducia. “Sebbene il mio ragazzo sia molto accondiscendente”, racconta Lisa, “non ha esitato a manifestare molti dubbi riguardo alla mia decisione di voler partorire in casa. E fargli leggere qualcosa non è certo facile… Così, oltre a spiegargli i miei dubbi e paure riguardo al parto in ospedale, ho cercato di fargli vedere dei video di parti in casa e il programma su Sky ‘Bimbi fatti in casa’. Poi, dopo l’incontro con l’ostetrica, si è rassicurato perché ha avuto le risposte a domande e dubbi su cui invece, quando glieli spiegavo io, rimaneva un po’ perplesso. Parlare con una persona competente aiuta molto. Inoltre, devi trovare anche un ginecologo o una persona che ti segua e che appoggi questa tua scelta. Non l’ho detto a nessuno, perché poi ti smontano e non volevo sentirmi come un’aliena. Le poche volte che ho provato a parlarne non ho capito se mi prendevano in giro o se erano veramente interessati. Ma quanta ignoranza c’è!”.

Quando cominciai a pensare alla possibilità di partorire in casa, ero appena entrata nell’ottavo mese di gravidanza. Avevo finito il corso pre-parto in un grande ospedale romano, che mi aveva lasciato molti dubbi per l’approccio un po’ troppo asettico e sbrigativo nei confronti del parto. In libreria trovai alcuni manuali per il parto in casa e in acqua, che proponevano e descrivevano la nascita come un evento naturale e non traumatico, da vivere con fiducia, nella sua totalità. Dopo averli letti, li lasciai “per caso” sul letto. Incuriosito, mio marito cominciò a sfogliarli, e insieme ne commentammo alcune pagine, confrontandoci su quello che avremmo desiderato da questa esperienza che avremmo presto vissuto insieme. Qualche tempo dopo, mi imbattei in un altro libro, Stretching per il parto di Piera Maghella. Oltre a tanti utili esercizi di preparazione al parto e al post-parto, trovai una lista di ‘Gruppi per il Parto Attivo’. I centri che facevano l’assistenza al parto in casa nella mia città erano tre. Non so perché, decisi di chiamare il secondo. Fin dal primo colloquio capii che avevo fatto la scelta giusta. Così, insieme a mio marito, feci quello che definirei il mio “vero” corso pre-parto, quello che poi ci condusse alla nascita di Sara e Leo. Nel mio libro Partorire senza paura ho già raccontato la mia esperienza e così, per non ripetermi, stavolta a raccontarli sarà mio marito, Benedetto:


“Eravamo in pieno agosto e la città era quasi deserta. Mancavano due settimane alla data presunta del parto, ma dopo pranzo Bitti4 cominciò a sentire i primi doloretti. Chiamò l’ostetrica descrivendo la situazione e Valeria, con molta calma, le disse di richiamarla più tardi. Le prime ore di travaglio le gestì con tranquillità, mentre io preparavo la tinozza che avevamo avuto in uso dal centro. Era un grande recipiente di plastica bordeaux da 400 litri, simile alle vecchie vasche in legno dove una volta si faceva il bagno. In realtà l’uso ‘corretto’ sarebbe stato farci del vino, non bambini! Ma era una geniale soluzione per risparmiare ottenendo lo stesso risultato delle più costose e ricercate ‘vasche da travaglio’. Sul bordo erano scritti con il pennarello indelebile i nomi dei bimbi che ci erano nati. L’avevamo tenuta per settimane in salotto e ora era arrivato l’agognato momento di usarla. Mentre approntavo il collegamento del lungo tubo dal bagno alla camera da letto – dove avevo messo la tinozza – ero molto emozionato, quasi eccitato di poter finalmente fare sul serio. Certo, c’era anche un po’ di apprensione, ma di quella buona che si ha nei momenti importanti. Presto l’acqua calda del boiler finì e per Bitti, entrata nel frattempo nella tinozza, la temperatura – nonostante fosse il 17 agosto e stessimo sui trenta gradi – non era abbastanza calda. Dovetti mettere sul fuoco ogni tipo di pentola a disposizione: non appena arrivava al bollore doveva far su e giù con la vasca. Tanto per rendere il tutto più semplice, nella casa dove eravamo allora la cucina era al piano di sotto… Ma non sentivo affatto la fatica, anzi mi faceva piacere essere in qualche modo parte operosa di quel lavoro. Eh sì, perché travaglio in fondo vuol dire lavoro, dunque ero proprio contento di dare il mio contributo. Quando la temperatura arrivò al punto giusto mi misi tranquillo accanto alla tinozza, dando assistenza a Bitti con carezze e massaggi nei momenti delle contrazioni.

Nel frattempo Valeria era arrivata e aveva detto con il suo tono sereno: ‘C’è roba per farsi un panino?’. Io risposi pensando di doverglielo preparare e feci per andare verso la cucina, ma lei: ‘Non ti preoccupare, faccio da sola, tu pensa a lei’. Dopo essersi rifocillata tornò per visitarla. Passarono circa due ore e tornò a sincerarsi di come stava procedendo la dilatazione. Si andava a rilento, mi chiamò da parte e mi disse: ‘Ora noi andiamo a dormire, perché lei deve concentrarsi e lavorare sul serio, altrimenti si commisera appoggiandosi a te’. ‘Ok, tu vai sul letto di là, io mi metto sul divano’. Mi assopii tranquillo. Feci un sonno intenso, ma leggero. Nel dormiveglia sentivo le sue urla: non erano per nulla angoscianti, stranamente conciliavano quel sonno ed erano certamente produttive, anzi sarebbe meglio dire riproduttive. Erano suoni antichi, direi ancestrali. Dopo circa due ore e mezzo mi alzai come se fossi stato richiamato da un segnale e con incredibile sincronia mi ritrovai nel corridoio di fronte a Valeria, anche lei alzatasi in quel momento. Bitti era talmente concentrata che quasi non ci guardò. L’ostetrica la visitò e le disse: ‘Oh brava, ti sei dilatata’. Era cominciata la discesa.


Le contrazioni le davano pause sempre più brevi e ogni spinta diventava più efficace. Alla fine, accovacciata su di me che la sorreggevo, diede la spinta che fece comparire la testina di Saretta e Valeria si affrettò a fargliela sentire. Bitti non credeva a quel che stava sentendo con la mano. Il viso le si illuminò e ci baciammo. Visto l’ottimo risultato delle sue fatiche si concentrò sempre di più sulle spinte successive e nel giro di un quarto d’ora Sara uscì. La prendemmo Valeria ed io portandola subito al seno della mamma, che incredula la accolse. Piangevamo di gioia e scoprimmo che faccia aveva la nostra bimbetta. Era rosea, distesa e tranquilla, fece solo un vagito come per non perdere una battuta che le spettava, poi si calmò subito. Dopo qualche minuto Valeria prese il cordone ombelicale e si accertò che avesse smesso di pulsare. Era il momento di separare Sara dalla sua mamma. A me l’onore. Valeria mi porse le forbici e io con un certo timore tagliai. Ricordo che fui sorpreso dalla corposa consistenza.


Eravamo tutti felici e ci complimentammo con Bitti, anche se Valeria le ricordò che non aveva finito: doveva espellere la placenta. Intanto io mi avviai in cucina per preparare due spaghetti, visto che eravamo tutti affamati, soprattutto la neomamma. Mi presentai in camera con vassoio fumante e una bottiglia di fragolino. Brindammo e ci rifocillammo sul letto dove era avvenuto tutto: concepimento, parto e brindisi finale. Ci addormentammo tutti e tre nel lettone, anche se dormimmo solo io e Sara. La mamma aveva tanta adrenalina in corpo che, nonostante l’immane fatica sostenuta, passò la notte a guardare la sua bimba dolcemente addormentata accanto al suo papà, al quale aveva fatto il regalo più bello nel giorno del suo compleanno. Eh sì, la ‘strega’ Bitti era riuscita a far nascere Sara il mio stesso giorno.


La nascita di Leonardo fu diversa. Emozionante come quella della sorellina, ma affrontata senza particolari ansie: in fondo sapevamo – anche se tutti i parti sono diversi – cosa avremmo dovuto fare. Bitti stavolta rischiava di fare un regalo incredibile a se stessa: veder nascere suo figlio il giorno del suo compleanno! Era troppo. E così, nonostante le contrazioni aumentassero di giorno in giorno, si trattenne. In realtà sapeva che il 5 (quando avrebbe compiuto 41 anni) e i giorni seguenti Valeria era molto occupata in ospedale. Così, senza neanche rendersene conto, attese il primo giorno di maggiore tranquillità e si lasciò andare. Verso mezzogiorno le contrazioni aumentarono e arrivò il momento della fatidica chiamata. Valeria giunse dopo un’oretta, durante la quale io accompagnai Sara dai nonni. Era stata molto partecipe durante la gravidanza parlando spesso con il fratellino attraverso la bella panciona della mamma e avevamo pure pensato di coinvolgerla nella nascita. Ma poi eravamo giunti alla conclusione che fosse meglio farle vivere l’attesa dai nonni e andarla a prendere quando Leo fosse già nato. Sara era molto tranquilla quando la lasciai e le spiegai che forse sarebbe passato un po’ di tempo. Con la sua consueta parlantina mi disse: ‘Non ti preoccupare papà’.


Tornato a casa, diedi seguito alla ‘consueta’ preparazione della vasca. Ah, peraltro, con nostra grande sorpresa e soddisfazione, la tinozza era la stessa dove tre anni e mezzo prima avevamo scritto ‘Sara 17.8.1997’! Avevamo cambiato casa e pensai: stavolta non farò le scale con le pentole, e invece… Iniziai a riempirla e puntualmente l’acqua calda finì ma, contrariamente a quel che successe in pieno agosto, quel giorno di dicembre Bitti aveva incredibilmente caldo e non appena si mise dentro disse: ‘è troppo calda, aggiungine di fredda’. ‘Sei sicura?’. ‘Sì, è troppo calda’. E così non feci altro che mettere acqua fresca direttamente dal tubo collegato al rubinetto del bagno. Niente di più facile. Insomma tutto era più semplice. Anche nel travaglio Bitti si mosse con molta dimestichezza, confermando la sensazione che fosse un mestiere molto adatto a lei. ‘Sei un’animala’, le diceva affettuosamente Valeria. Tutto procedeva al meglio e la dilatazione procedeva con regolarità. Anche le urla liberatorie dei momenti di maggior dolore erano forse più profonde, ma meno sonore. Nel breve volgere di tre ore – un tempo che, per come me lo ricordo, passò veramente veloce – si arrivò al momento clou. Non appena cominciò a vedersi la testina Bitti disse a Valeria: ‘Che dici rimango in acqua?’. ‘Stai bene?’ rispose l’ostetrica. ‘Sì, benissimo’. ‘Bene, e allora rimani lì’. Arrivò un’altra onda di dolore da cavalcare e lei, appoggiata ai bordi della tinozza e ormai preparata, la affrontò come un surfer che si lancia nel tubo di un cavallone oceanico. Le spinte furono talmente efficaci che Leo uscì con la velocità di un tuffatore olimpionico. Io e Bitti ci guardammo increduli e Valeria, vedendo la nostra sorpresa, con dolce risolutezza disse: ‘Allora? Lo prendete o no ’sto ragazzino?’. Presi Leonardo e lo tirai fuori dall’acqua portandolo al seno della mamma, che lo accolse, per poi uscire dalla vasca e mettersi sul letto insieme al piccoletto. Mentre noi eravamo incuriositi dalla faccetta di Leo, avvolto in un vestitino di vernice caseosa e con il visetto un po’ provato dalla fatica, Valeria scoprì un dettaglio che la stupì non poco, nonostante avesse assistito centinaia di parti. Leo, che durante la gravidanza aveva ‘allietato’ la mamma facendo molto spesso ginnastica nella sua pancia (a volte era veramente incredibile seguirne le giravolte e vedere la pelle tendersi proprio a forma di gomito e di ginocchio!), aveva pensato bene di avvantaggiarsi: il tuffo era stato così veloce che si era tagliato il cordone da solo! E perdipiù la lunghezza del moncone era perfetta. Quando arrivò il neonatologo per la consueta visita post-parto, misurò l’indice di Apgar e disse: ‘Signora, il suo bambino è sano e in ottima forma. La Natura pensa a tutto. Se il cordone si taglia o si lacera, il flusso di sangue si arresta dopo poco’. Tutto era andato per il meglio e così andai a riprendere Sara che, arrivata a casa, saltò subito sul lettone prendendo in braccio il piccolo Leo con aria materna. Restammo così, tutti insieme a farci le coccole e a goderci quei momenti magici per tutto il pomeriggio (e nei giorni seguenti). Senza dimenticare, ovviamente, di prendere il pennarello indelebile e scrivere sulla tinozza, sotto al nome ‘Sara’, quello del suo fratellino”.

La doula

Oltre all’ostetrica, al partner e ai familiari, esiste un’altra figura di sostegno, poco conosciuta in Italia. La doula, o Mother Assistant, è una compagna di viaggio che resta accanto alla donna durante la gravidanza, il travaglio, il parto e il puerperio. Un po’ come le comari di una volta, che spesso erano donne che avevano visto molti parti e avevano acquisito una certa esperienza. Al contrario dell’Italia, dove non esistono corsi specifici, in America e in Gran Bretagna5 le doule sono figure riconosciute e legalizzate6. È stato ampiamente dimostrato che il loro aiuto dimezza il ricorso al taglio cesareo; come abbiamo già visto, riduce del 25% la durata del travaglio; del 30% la richiesta di analgesia; del 60% la richiesta di anestesia epidurale e diminuisce del 40% il ricorso al forcipe7. “La doula è una donna con esperienza che ha fatto un approfondito corso di formazione di 700-900 ore per poter offrire un reale sostegno ad un’altra donna in tutto il periodo perinatale e quando una donna lo desidera”, dice Piera Maghella, “non fa clinica, non è un’ostetrica, non è una psicologa, non è un’assistente sociale e nemmeno una colf, ma è in grado di stare in travaglio con la donna, di incoraggiarla anche solo con lo sguardo e la presenza, di stare con lei nei giorni e settimane dopo per alcune ore al giorno, se la donna ne ha bisogno, per ascoltarla, prepararle un pasto caldo, sostenerla nell’allattamento, sistemare i piatti o il bagno; per andare a prenderle gli altri figli, aiutarla ad acquisire competenza nel cambio del neonato”.


Virginia Mereu ha 20 anni di esperienza nel campo: “La doula si occupa di informare la donna e darle un sostegno. Il suo compito non è quello di sostituirsi alla madre: le sta accanto con discrezione, rispettando i delicati equilibri che si vengono a creare nella coppia e nella famiglia con l’arrivo di un bimbo. Cerca di aiutarla a capire che attraverso il suo corpo e le sue risorse può far nascere e crescere suo figlio in armonia”. È comunque meglio non aspettare l’ultimo momento per chiedere il suo aiuto: “Quando arrivo a parto avvenuto, vado a mettere le pezze. Quando invece la mamma mi sceglie, e io scelgo lei, si riesce a capire se c’è feeling. E le cose vanno in modo assolutamente tranquillo. In genere questo avviene quando la donna ha investito su se stessa e il papà non si estranea, ma partecipa a tutta la situazione”. La doula può anche essere una buona mediatrice tra la donna e sua madre: “Glielo dica lei, a me non mi sta a sentire!’, mi dicono spesso le neononne”, racconta Virginia, convinta che “i consigli pratici siano utili, ma poi ognuna deve trovare la sua modalità. Servono soprattutto sensibilità e attenzione. Io con il neonato ci parlo, cambiare un pannolino significa tranquillizzarlo, spiegargli cosa sta succedendo. Devi insegnarle delle cose, ma sempre restando un passo indietro”. La doula, inoltre, aiuta ad avviare l’allattamento: “A una donna la puericultrice in ospedale disse di allattare cinque minuti da un seno e cinque dall’altro”, racconta Virginia, “le dissi che quello è il modo migliore per non allattare. All’inizio della poppata il latte contiene più acqua e zucchero e così, dando solo la parte zuccherina, quella che fa venire la colica, e non la parte più grassa che riempie, hai un bimbo che dopo un’ora urla come un matto perché ha fame. Un’altra cosa che mi fa sempre sorridere sono quelle che io chiamo le ‘coliche dell’imbrunire’. Alcune mamme mi chiedono di andare da loro nel pomeriggio, quando il bambino di solito piange per le coliche. Io allora vado e, puntualmente, il bimbo dorme indisturbato per ore. Nel momento in cui la mamma è tranquilla, serena, fa due chiacchiere davanti a un tè, la colica sparisce. Mi dicono “ma come? Ieri a quest’ora mi ha fatto impazzire!”. Per questo spesso, scherzando, dico alle mamme: controllate sempre la mia borsa, perché potrei avere una polverina magica…”.

Adattarsi al cambiamento

“Ho voluto e desiderato tanto avere un bambino”, racconta Laura, “pensavo di conoscerlo, dopo averlo tenuto dentro di me per tanti mesi. Ma appena sono tornata a casa con lui dall’ospedale, ho cominciato a piangere, perché non sapevo cosa fare. Tutta quella felicità iniziale improvvisamente era scomparsa. C’ero solo io e questo bimbo che non conoscevo. Al primo pianto sono crollata. E dirlo non è facile. Hai un bambino forte, sano, tutti intorno ti dicono ‘è meraviglioso’, e tu sei triste? Piangi?”. Oggi si tende a etichettare quella strana sensazione di malinconia, quel desiderio profondo di starsene i primi tempi da sole con il proprio cucciolo e di escludere il mondo esterno, con la parola ‘depressione’. E si va giù pesanti con gli antidepressivi. In generale ad avere maggiore difficoltà sono le mamme che hanno avuto parti medicalizzati, che hanno subìto interventi non voluti. Ma per lo più le neomamme avrebbero bisogno di essere lasciate in pace, di avere il tempo di metabolizzare i grandi cambiamenti fisici e psicologici legati alla nascita di un figlio. Altre invece hanno bisogno di essere ascoltate, di qualcuno che accolga il loro momento di debolezza, spesso assolutamente normale e fisiologico.

La pressione dei media e il business della maternità

I giornali e la Tv ci bombardano di immagini di mamme famose bellissime, magre, sempre in forma e sorridenti, anche a pochi giorni dal parto. Vediamo le foto di Angelina Jolie o di Jennifer Lopez che all’indomani del parto sono perfettamente truccate e senza un filo di pancia. Magari abbiamo acquistato la carrozzina e il seggiolino ergonomico all’ultimo grido e, appena uscite dall’ospedale, entriamo in farmacia a comprare ciucci, biberon e pannolini di marca. È così che si fa, giusto? Ma allora, come mai una volta partorito ci ritroviamo a non riuscire neanche a fare una doccia e a lavarci i denti, siamo sempre stanche, spompate, e ci sentiamo persino in colpa se usciamo a comprarci un rossetto? Ci chiediamo ‘sono io che non funziono?’. “Molte neomamme si sentono inadeguate”, dice Virginia Mereu, “La pressione è molto forte, c’è un consumismo sfrenato. Le mamme non sono consapevoli che tante cose considerate ‘indispensabili’ non solo sono inutili, ma anche dannose. Dopo il parto ci si sente stropicciate, magari non si riesce ad allattare bene. Bisogna capire se quel momento di crisi è momentaneo o qualcosa di più importante. Una cosa è certa: quando sento una mamma ripetere di essere follemente innamorata del suo bimbo, di non poter vivere senza di lui, mi preoccupo. Un figlio ti sconvolge la vita, sarà anche una cosa bellissima ma è anche vero che rompe tanto le scatole! È molto più sano che la mamma lo dica, lo tiri fuori”.


Secondo Piera Maghella “le donne dopo il parto sentono tante emozioni, anche contrastanti, e la doula è in grado di capire lo stato d’animo, il passaggio, e di ascoltare senza giudizio, sostenendo e incoraggiando senza banalizzare”.

Il desiderio di stare sole

Quello del parto è un momento molto intimo, che le future mamme hanno bisogno di vivere nel rispetto e nella privacy, elementi che a volte nelle sale parto vengono ignorati. In ospedale accade che le donne partoriscano in un’atmosfera di tensione, alla presenza di personale che le visita senza neanche tirare una tenda divisoria e inservienti che a mezzanotte accendono le luci per lasciare le tazze della colazione. “In sala travaglio”, racconta Paola, “si susseguivano persone sempre diverse per visitarmi. La porta era spalancata e io lì, mezza nuda, a partorire davanti a degli estranei che chiacchieravano fra loro. Ero molto tesa, mi vergognavo. Mi aspettavo un po’ più di rispetto”. Ci sono donne che sentono il bisogno di non avere nessuno intorno. “Le contrazioni mi sono venute alle cinque del mattino e ho partorito all’una di notte”, racconta Oliva, “Le due ostetriche sono venute in mattinata per controllare; si sono accorte che non era una cosa imminente, per cui sono andate via, per poi tornare nel tardo pomeriggio. Il mio compagno e mia madre erano in casa con me. La cosa buffa è che, al di là di alcuni consigli su come cercare di affrontare questo dolore che ogni tanto ti toglie un po’ di lucidità, non hanno fatto e detto niente. In realtà era proprio quello che volevo. Già il mio compagno, che all’inizio avrei preferito avere accanto, a un certo punto è uscito dalla stanza, e così mia madre. Avevo bisogno di stare in solitudine e in silenzio. Scopri così che è il tuo corpo a guidarti. Se tutto va bene e il parto è fisiologico, il bambino sa cosa fare. Io mi sentivo sicura e non ho mai avuto paura, anche se un po’ di panico mi è venuto di fronte a quel dolore che non mi aspettavo, era una cosa totalmente nuova. Ma non c’è mai stato un momento in cui mi sono detta “se qualcosa va male, sono a casa da sola, chissà cosa può accadere”. A un certo punto ho anche vaneggiato, chiedendo di andare in ospedale per fare l’epidurale. Ma speravo solo di eliminare il dolore, non di risolvere qualche problema”.


Altre addirittura optano per il parto non assistito, come ha fatto Barbara per la sua terza figlia. Dopo la nascita di Lisa Aylin, che “per un pelo nasceva in auto e invece è nata sul lettino regolamentare di un vecchio ospedale milanese”, ha dato alla luce Samuel sempre in ospedale, ma con una consapevolezza diversa: “Il parto è il mio, tutto il dolore e la fatica li faccio io, se le cose vanno bene posso fare a meno di chiunque salvo la possibilità di chiedere IO, quando lo ritengo, aiuto. Posso decidere cosa voglio e cosa non voglio e chi mi è intorno deve saperlo, con gentilezza o senza, l’importante è il fine. Insomma, sarà un film diretto e interpretato da me, non sono ammessi altri protagonisti, camei o partecipazioni straordinarie”.


La sua terza bimba, Giada Lien, è nata con il Lotus Birth. Si tratta di una modalità di nascita in cui il cordone ombelicale non viene reciso, e il bambino rimane collegato alla sua placenta fino al distacco naturale del cordone dall’ombelico, che avviene dai 3 ai 10 giorni dopo la nascita. Ecco il suo racconto: “È circa l’una del mattino. La giornata è stata lunga. Io e mio marito ci mettiamo finalmente soli sul divano per farci due coccole… ma le sue carezze, anziché darmi piacere, mi allertano i sensi… strani brividi, strane contrazioni… mi devo alzare, vado in bagno, respiro, torno e ci riproviamo, ma no, mi rendo conto che basta, non si può fare. Torno in bagno e penso che forse sono solo quelle preparatorie, che ti accompagnano nelle ultime sere. Ma ci metto poco a capire che il mio corpo ha preso il via. Avvio la stufetta, mi preparo la vasca, accendo le candele, spengo le luci. Mio marito “ci siamo?”. “Mah, chissà, potrebbero essere preparatorie” rispondo. “Sììì!”, penso tra me e me, “sta per nascere… ammazza quant’è dura!”. Però non voglio che lui si allarmi e cominci ad aver l’ansia di chiamare le ostetriche. Io voglio stare da sola. Tutto ciò di cui ho bisogno è dentro di me: la mia forza, la mia competenza, la mia fede, la mia creatura. Entro in vasca, è stretta e scomoda, ma si sta caldi. L’unica cosa che aiuta a sopportare i dolori è pensare al mio utero, al fatto che si sta aprendo e, potenza della mente, il dolore si fa da insopportabile a sopportabile. Vedo dei fiocchetti rossi di sangue nell’acqua, ci siamo… Mentre sono in bagno mio marito entra un paio di volte, poi non osa più metterci piede perché, condito con qualche insulto (povera stella), gli dico che lui deve stare fuori! Il bisogno di stare sola è assoluto. Mi sono chiusa nel bagnetto di servizio, il locale più angusto della casa. Mentre sono nell’intensità del travaglio, i pupazzetti dei bimbi, attaccati a ventosa sulle piastrelle mi piombano addosso e poi in vasca, prima di essere scaraventati con stizza fuori. La luce è minima e calda, le tre candeline ardono, ma si sente odore di bruciato… è la mensola sopra! Àlzati e smorza la candela prima di mandare a fuoco il bagno! La luce rimasta è ancor più fioca e delicata. Mi pare di essere lucidissima. So perfettamente cosa mi sta accadendo, passo in rassegna le mille letture sulla nascita che mi hanno appassionato in questi anni, i seminari… come fa la neocorteccia ad essere così allerta? Eppure sento il mio corpo puro istinto, e lo posso seguire, assecondare. Siamo solo io, la mia creatura, e l’universo in quel piccolo bagno. Arriva timido il marito che cerca di infilare la testa dentro con il bicchiere d’acqua che avevo chiesto. Si becca la porta in faccia: S T A I F U O R I! Sento il bisogno di uscire dall’acqua. Esco, mi aggrappo all’accappatoio appeso. Ci siamo, mi esce un vocalizzo che è più un urlo che viene dal profondo del mio ventre. Metto una mano tra le gambe, sento che si gonfia tutto. Mi viene da urlare: “aiuto, aiuto, aiuto!”. Poi parlo con la creatura “piano… piano… fai tu… con calma… fai tu con i tuoi tempi”. Non faccio nulla, non devo fare nulla, non c’è neanche bisogno che io spinga, assecondo quel che succede. Il momento è tremendamente intenso. Il mio cervello sembra super lucido: sto partorendo da sola, che il Signore e gli Angeli ci assistano. Esce una testolina. Non so cosa ho fatto, che posizione avevo, non ne ho idea. Uscita la testa arriva il corpicino, lo prendo dalle mie gambe, non ho idea di quando, né di come me lo sono portato al seno stringendolo fra le braccia. La luce tutto intorno è intensa. Le immagini terse. Guardo la mia creatura. È nata in silenzio con gli occhietti chiusi. La stringo tra le braccia e mi chiedo se sia viva. Comincia a muovere le piccole dita, con quella calma con cui è nata, e così mi dico “respira!”. Le dò il benvenuto, con le parole più dolci che riesco a pensare, sussurrando. Non so ancora se è maschio o femmina, è stretta contro di me, il cordone ombelicale le passa dietro al collo, come il metro ad una sartina. Io sono in ginocchio per terra. La dimensione è completamente cambiata. Quell’istinto che mi ha guidata fino a quel punto, bestiale e razionale insieme, mi ha abbandonata. Ero fuoco, belva, fattucchiera. Ora sono addolcita, accogliente. Lei mi saluta con un piccolo vagito, il papà da dietro la porta: “E no! Adesso devo entrare però!!!”. Ma certo, ora non aspetto che lui, è il pezzo che manca, ora sì. “Benvenuta in questo mondo di pazzi, tua mamma è matta!” dice mio marito entrando. Papà ci aiuta a rientrare in vasca. Apro le braccia: “Evviva, è una bimba!”. Mentre mio marito chiama l’ostetrica, noi due stiamo tranquille, pelle a pelle, nel caldo tepore del bagno, intorno buio, a parte le due candeline. Dopo circa un’ora nasce la placenta. Le ostetriche sono con noi. Finalmente il papà può prendersi la sua bimba, ancora senza un nome. La porta davanti al camino acceso: lui, lei e la placenta, soli a conoscersi. Quando scendo, mi dice: “Si chiama LIEN” (lièn)”. È un suono che vuol dire ‘fiore di loto’ in cinese. Mi piaceva moltissimo perché il fiore di loto è un fiore sacro e ha significati bellissimi. Ci infagottiamo la piccola, ancora nuda, negli asciugamani e nelle coperte, e si va finalmente a nanna. Crollo, come svenuta, nel sonno. Ho fatto un travaglio lampo. Questa bimba ci ha messo meno di tre quarti d’ora a nascere. La mattina al risveglio Aylin e Samuel arrivano nel lettone e trovano una sorpresa… che gioia, non stavano nella pelle. Aylin la guarda e dopo un po’ esclama: “Mi ha detto che si chiama Giada”. E così è nata la nostra preziosissima Giada Lien”.

Il parto in casa
Il parto in casa
Elisabetta Malvagna
Nascere nell’intimità familiare, secondo natura.Tanti consigli pratici e utili suggerimenti per prepararsi ad affrontare al meglio il parto in casa, in completa sicurezza. Oggi la quasi totalità dei parti avviene in ospedale, e il 40% di questi termina con un taglio cesareo. Negli ultimi tempi, però, l’approccio alla maternità sta cambiando: cresce infatti il numero delle donne che vorrebbe vivere questo momento in modo più naturale, con intorno quanto di più caro.Nel suo libro Il parto in casa, dedicato a una scelta che in Italia è ancora oggetto di resistenze, pregiudizi e tabù, Elisabetta Malvagna, con occhio attento, indaga senza preconcetti su questa pratica e ne sostiene la sicurezza, documentando le sue teorie con un’ampia letteratura scientifica e proponendo un’interessante riflessione sul rapporto tra la donna moderna e la nascita.Partendo dalla propria esperienza di mamma di due bambini nati tra le mura domestiche, l’autrice riporta dati, statistiche e numerose testimonianze di personalità del settore, operatori e mamme che hanno scelto questa opzione. Sono poi forniti numerosi e utili consigli pratici per prepararsi ad affrontare questo straordinario momento al meglio e in completa sicurezza.Non mancano, infine, un decalogo sull’allattamento e un manuale di sopravvivenza per gravidanza, parto e post parto, oltre a capitoli sulla figura dell’ostetrica e sulle Case di Maternità. Conosci l’autore Elisabetta Malvagna, giornalista Ansa, scrittrice e blogger, studia da anni il tema della nascita.Ha fondato e cura i blog partoriresenzapaura.it, ispirato all’omonimo libro uscito nel 2008 e ormai divenuto un classico del settore, e partoincasa.it.