Prefazione all'edizione italiana

di Michel Odent

Il libro di Ibone Olza ed Enrique Lebrero Martínez ci aiuta a capire una svolta senza precedenti nella storia dell’umanità. Fino a un’epoca recente – sebbene tutte le società umane abbiano sempre profondamente sconvolto l’evento del parto – per mettere al mondo un bambino, una donna era obbligata a contare sulla liberazione di un vero e proprio cocktail di “ormoni dell’amore”.

Per varie ragioni, all’alba del XXI secolo non è più così.


Da un lato, il cesareo è diventato un intervento rapido, facile e sicuro. Dall’altro, l’incapacità culturale di capire la fisiologia del parto ha raggiunto un limite estremo negli ultimi decenni. Per consuetudine, la sfera culturale interferisce con i processi fisiologici attraverso credenze e rituali che si tramandano. Ma, dall’inizio del XX secolo, teorie cosiddette scientifiche hanno preso il posto dei riti. Direttamente o indirettamente, le teorie dei riflessi condizionati di Pavlov hanno fortemente influenzato tutti i metodi di nascita naturale. Gli studiosi della scuola di Pavlov (e i loro discepoli occidentali, come Lamaze) hanno trasmesso il concetto che, per ridurre le inibizioni di origine culturale, che rendono il parto difficile e pericoloso, si dovesse per prima cosa “ricondizionare” la donna. Ciò significa prepararla a partorire e insegnarle, in particolare, a respirare e a spingere. Ci si è ulteriormente allontanati dalla nozione di parto come processo involontario. La partoriente è spesso diventata membro di un’équipe che comprende una guida (un coach) che ha il ruolo di controllare razionalmente il ritmo della respirazione, il modo di spingere, le posizioni ecc. L’errore iniziale è stato quello di non capire che la natura aveva già il sistema per ridurre gli effetti delle inibizioni di tipo culturale: durante il parto, la neocorteccia (la parte razionale del cervello) deve sospendere la propria attività. È quindi meglio evitare di stimolare la neocorteccia di una donna durante il travaglio, soprattutto attraverso il linguaggio.


Inoltre, le esigenze statistiche sono attualmente diverse da quelle di qualche decina d’anni fa.


In un simile contesto non sorprende che in molti Paesi – comprese alcune regioni italiane – il cesareo sia già divenuto un modo abituale di mettere al mondo un bambino. E non stupisce nemmeno che in tutto il mondo la curva del tasso di cesarei sia in crescita. Dobbiamo preoccuparci?


No, se prendiamo in considerazione unicamente gli abituali criteri di valutazione delle pratiche ostetriche (come il tasso di mortalità o di patologie perinatali, il tasso di patologie della madre e il rapporto costo-efficacia). Così si spiega che certi ambienti medici diano per scontata la prospettiva di un’umanità nata con il cesareo.


Ma non è così per coloro che intuiscono la complessità delle domande che si pongono oggi. E nemmeno per coloro che sono consapevoli dell’importanza dei dati forniti dalle discipline che concorrono a quella che abbiamo definito “la scientificazione dell’amore”. E neppure per coloro che hanno la capacità di pensare a lungo termine e di pensare in termini di civiltà.


Allorché un evento che riguarda la vita di tutti gli esseri umani viene improvvisamente trasformato, bisogna ragionare in termini di civiltà. È questo a fare una sostanziale differenza tra gli umani e gli altri mammiferi. Una femmina (non umana) di mammifero che partorisca con il cesareo non si interessa al proprio neonato (ad esempio, un piccolo di scimmia nato con il cesareo sopravvive solo se accudito da esseri umani): nei mammiferi non umani che partoriscono in modo non naturale si registrano conseguenze incredibili e facilmente identificabili a livello individuale.


Invece, milioni di donne si prendono cura del proprio bambino dopo un cesareo. Non bisogna preoccuparsi per un bambino che debba la vita al cesareo. Tutto è più complesso nella nostra specie, perché noi abbiamo il linguaggio e creiamo àmbiti culturali. Pertanto è comprensibile che in certe situazioni, e specialmente nel periodo perinatale, i comportamenti umani siano meno influenzati dagli ormoni liberati dalla madre e dal bambino che da fattori culturali. Ad esempio, una donna sa quando è incinta e può assumere da subito un comportamento materno, mentre una femmina di scimmia deve aspettare il giorno in cui libererà un fiotto di ormoni dell’amore per interessarsi del suo piccolo. Ciò non vuol dire che non abbiamo nulla da imparare da una scimmia. Essa, infatti, ci suggerisce le domande che dobbiamo porci circa la nostra specie: quando si tratta di umani, bisogna sempre aggiungere la parola ‘civiltà’ alle domande.


Possiamo quindi concludere dicendo che, se la scimmia non si interessa del suo piccolo dopo un parto cesareo, la domanda da porsi è: “quale sarà il futuro di un’umanità nata con il cesareo?” Formuliamo la domanda in modo ancora più esplicito: “come si evolverà il genere umano quando gli ormoni dell’amore saranno diventati inutili?


Michel Odent

Il parto cesareo
Il parto cesareo
Ibone Olza, Enrique Lebrero Martinez
Solo se indispensabile, sempre con rispetto.Spesso il parto cesareo viene proposto senza una reale scelta da parte della mamma. Come è possibile renderlo il meno tecnologico possibile? Negli ultimi anni alcuni Paesi hanno registrato un allarmante incremento dei parti con taglio cesareo, al punto che per molti costituisce addirittura il modo più frequente di nascere. Senza alcun dubbio questa cultura non tiene conto delle conseguenze psicologiche, oltre che fisiche, tanto per la madre quanto per il figlio. Contro questa tendenza, il saggio Il parto cesareo di Enrique Lebrero Martinez e Ibone Olza intende incoraggiare le madri a ritrovare la fiducia nel proprio corpo e a recuperare la dignità della nascita. Il libro si rivolge quindi sia alle donne e alle famiglie, sia agli operatori sanitari, e tutti coloro che hanno a che fare con l’evento della nascita. Conosci l’autore Ibone Olza, nata in Belgio nel 1970, è madre di tre figli. È laureata in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Navarra e dottoressa in Medicina presso l'Università di Saragozza, specializzandosi in Psichiatria e svolgendo la sua attività professionale nel campo della psichiatria infantile, giovanile e perinatale. Attualmente lavora come psichiatra infantile presso un Centro di Igiene Mentale di Madrid e appartiene all'associazione El Parto es Nuestro. Dal 1996 è socia del gruppo di sostegno all'allattamento "Via Lactea" di Saragozza e nel 2001 ha fondato, insieme a Meritxell Vila, il forum virtuale Apoyo Cesareas, che fornisce supporto psicologico a madri che hanno subito cesarei e parti traumatici.