CAPITOLO II

Cesareo: come, quando e perché

Il cesareo è sempre un sacrificio. In teoria si sottopone la madre a un intervento per salvare la vita del suo bambino se non addirittura la sua stessa vita. Questo, almeno, è ciò che ci raccontano, ciò che la maggior parte di noi pensa nel momento in cui riceve la sentenza: “Cesareo”. Tutte le donne gravide conoscono il significato di questa parola: praticheranno un taglio sulla pancia della madre per estrarre il bambino che non uscirà attraverso la vagina. Così è e così lo vivono, sul tavolo operatorio, con le braccia in croce e in totale solitudine, poiché nella maggior parte dei casi non è consentito l’accesso di alcun familiare in sala operatoria.


Ha senso questo divieto? Perché viene comunemente accettato che il padre possa rimanere accanto alla madre durante il parto vaginale e non durante un cesareo? I medici obiettano che si tratta di un intervento chirurgico e che la presenza del padre o di un’altra persona potrebbe intralciare l’operazione. Ma è vero tutto questo? In effetti, il cesareo è un intervento di chirurgia addominale maggiore, ma è allo stesso tempo la nascita di un essere umano e il primo incontro con sua madre. Se la madre non può prendere immediatamente fra le braccia il suo bambino, non è forse questo un motivo più che sufficiente affinché una persona vicina possa starle accanto? La madre non ha forse bisogno di qualcuno che la segua, la rassereni, le dia spiegazioni e possa accogliere il neonato?


E il bambino? Se per qualche ragione sua madre non può essere sveglia durante il cesareo, non avrà quindi bisogno di suo padre o di sua nonna accanto a sé, che lo accolga e lo abbracci, dicendogli quanto sua madre e la sua famiglia lo amano? Il bambino ha il diritto di essere ricevuto dai suoi cari e di rimanere accanto a loro. I neonati sono continuamente coscienti di ciò che accade attorno a loro: hanno bisogno di qualcuno che spieghi loro cosa sta accadendo, e se la madre non è in grado di farlo è indispensabile che sia il padre o un altro familiare a garantirgli un degno ricevimento colmo di affetto.


Per molte madri che subiscono un cesareo in anestesia generale, il fatto di non possedere alcuna immagine, alcun ricordo delle prime ore di vita del loro bambino è fonte di tristezza. La presenza di una persona che stia loro accanto in sala operatoria potrebbe, in buona misura, riempire quel vuoto se non addirittura permettere che le madri che lo desiderano abbiano foto e video dei primi momenti di vita dei loro figli.


Il fatto che la donna debba rimanere sola durante un cesareo non è assolutamente indispensabile, anzi! Se i ginecologi chiedessero loro se preferiscono rimanere sole in sala operatoria o essere accompagnate da una persona cara, probabilmente nessuna donna sceglierebbe di rimanere sola. In alcune cliniche non ci si oppone alla presenza in sala operatoria di un accompagnatore, solitamente il padre. L’esperienza dimostra che non è necessaria alcuna preparazione. Il padre o il familiare indossa un camice sterile e si siede accanto alla madre per appoggiarla, tranquillizzarla, vivere insieme a lei la nascita del bambino e accoglierlo fra le proprie braccia appena possibile. Non osserva l’intervento né intralcia il lavoro dei chirurghi.


Vediamo cosa succede in realtà durante un normale cesareo, per comprendere perché è raccomandabile che la madre sia in compagnia di qualcuno.

Anatomia del cesareo

Quando si pratica un cesareo, i preparativi basilari, la somministrazione dell’anestesia e la preparazione dei medici e della sala operatoria richiedono fra i quindici e i trenta minuti prima dell’inizio dell’intervento.


Alla donna viene applicata una flebo, vale a dire viene presa una via venosa attraverso la quale somministrare liquidi (sieri fisiologici) al fine di riequilibrare la pressione arteriosa (poiché l’anestesia epidurale tende ad abbassare la pressione sanguigna). Si rade la zona superiore del vello pubico e si pulisce la pelle dell’addome. Poi, al fine di svuotare la vescica dall’urina, viene inserito un catetere, solitamente quando l’anestesia epidurale (o peridurale) ha già fatto effetto, in modo da evitare fastidi.


La cosiddetta anestesia epidurale è stata una grande innovazione per l’esperienza del cesareo1. Con l’epidurale, il bambino non subisce gli effetti dell’anestesia, poiché il farmaco viene introdotto direttamente nello spazio che circonda il midollo spinale della madre, vale a dire dove passano i nervi che trasmettono la sensibilità. Il farmaco agisce direttamente sui nervi, senza passare nel sangue della madre quindi nemmeno in quello del bambino. In questo modo la madre può vedere la nascita del proprio figlio condividendo questo momento con la persona amata. Per somministrare l’anestesia il medico è solito chiedere alla donna di mettersi in posizione fetale, vale a dire con le ginocchia all’altezza del petto, per favorire l’estensione della colonna vertebrale.

Esistono due varianti di questo tipo di anestesia:


- L’anestesia rachidea si somministra in una dose unica, ad effetto quasi istantaneo con una durata di circa 2-3 ore. Si pratica al momento del cesareo.


- L’anestesia peridurale è quella che si somministra durante il travaglio. Attraverso un tubicino inserito nella schiena, l’anestesia entra in piccole dosi e in modo continuo. Elimina il dolore, ma non provoca un’anestesia profonda, e può durare per ore e ore. Se si decide di praticare un cesareo, si inietta più anestetico attraverso il tubicino e si procede al cesareo.


In realtà sono poche le occasioni in cui si dovrebbe ricorrere all’anestesia generale in occasione di un cesareo: in presenza di problemi seri della colonna lombare della donna e in rari casi di pericolo di vita per il nascituro. Anche su richiesta della madre, benché non sia frequente.


Una volta che l’anestesia ha avuto effetto, si dà il via all’intervento propriamente detto. Il taglio che si pratica sulla pelle dell’addome è solitamente trasversale (orizzontale), lungo il bordo superiore del vello pubico (è ciò che si definisce incisione di Pfannenstiel). In rare occasioni si rende necessario praticare un’incisione longitudinale (verticale), vale a dire dall’ombelico al pube.


Qualsiasi sia il taglio della pelle, i passi successivi sono simili. Dopo avere separato lo strato grasso, si seziona in senso trasversale l’aponeurosi, uno strato molto resistente che sostiene i muscoli addominali e la pressione dell’intestino. I muscoli addominali si separano, non si tagliano. Il peritoneo, una fine sacca nella quale si concentrano gli organi addominali, viene reciso delicatamente con le dita (invece di essere tagliato con le forbici, come si faceva fino a poco tempo fa). In questo modo si accede all’utero. Quest’ultimo viene aperto con un taglio trasversale nella zona chiamata “segmento”, situata fra il collo e il corpo dell’utero.


Durante il parto, con le prime contrazioni, si va stirando il muscolo fra la cervice e il resto dell’utero, in modo che si evidenzi questa zona. Ma il segmento non si forma se l’utero non ha contrazioni da parto per un certo periodo. Poiché si tratta di una zona molto sottile, dato che il tessuto è ben teso, praticare il cesareo nel segmento uterino garantisce un minore sanguinamento durante l’intervento e facilita in futuro il parto vaginale (nei cesarei programmati l’utero non ha segmento). Fatta eccezione per casi isolati che la rendono impossibile, viene sempre eseguita questa incisione uterina – detta isterotomia segmentare trasversale – poiché è più sicura e garantisce maggiormente il parto vaginale dopo un cesareo. (Diverso è il microcesareo in presenza di feti di 5-6 mesi, nel qual caso si pratica una piccola incisione longitudinale alta sul corpo uterino). Dopo avere aperto l’utero, si estrae il bambino e qualora quest’ultimo sia, come spesso accade, in buono stato di salute, viene mostrato alla madre al di sopra del telo chirurgico che la separa dalla zona dell’intervento, approfittando del “beneficio” rappresentato dall’anestesia epidurale. Dopo avere accertato lo stato di salute del neonato, il padre, se presente in sala operatoria insieme alla madre, sostiene il piccolo fra le braccia dandogli il benvenuto mentre i medici terminano il cesareo.


Successivamente si taglia il cordone ombelicale e si estrae manualmente la placenta. Alcuni ginecologi preferiscono aspettare che si stacchi spontaneamente, poiché pare che questo costituisca un beneficio per la madre e il bambino2.

L’utero viene ricucito con un filo che si riassorbe in quaranta giorni. Fino a qualche anno fa, anche il peritoneo veniva ricucito con un filo uguale, ma si è scoperto che il peritoneo non si consolida, bensì si sviluppa nuovamente quindi è meglio non ricucirlo. Anche in questo modo si semplifica il cesareo e si evitano frequenti problemi urinari successivi, dovuti all’eccessivo innalzamento della vescica nel ricucire il peritoneo.


In seguito si sutura l’aponeurosi con un filo simile, al disopra dei muscoli che ritornano nella loro posizione originaria. Non cucire lo strato grasso migliora il risultato estetico finale.


In pochi minuti, si sutura la ferita della pelle con graffe o con un filo di nylon che lascia la cicatrice più sottile e omogenea e che viene rimosso qualche giorno dopo.


Dal momento in cui si inizia a incidere il ventre fino alla sutura finale, trascorrono dai quaranta minuti a un’ora circa in assenza di complicazioni. Nella maggior parte dei cesarei in cui sia la madre che il neonato godono di buona salute, i due potranno andare insieme dalla sala operatoria alla stanza di degenza e iniziare l’allattamento durante la prima ora di vita del bambino, proprio come per il parto vaginale. Se ciò non avviene nella maggior parte degli ospedali e delle cliniche spagnole, è per via di protocolli antiquati che non si basano su prove scientifiche.


L’effetto dell’anestesia passa dopo una o due ore. Dopodiché si somministrano calmanti (analgesici) in vena periodicamente. La flebo può essere rimossa dopo 8-12 ore, come pure il catetere vescicale, così da evitare infezioni urinarie. Si può iniziare a ingerire liquidi una volta trascorse quattro ore dall’intervento. Gli analgesici sono farmaci che calmano il dolore e si assumono per via orale. Non è dimostrato che la somministrazione preventiva di antibiotici in tutti i cesarei dia risultati più favorevoli. Tale somministrazione dovrebbe essere ampiamente giustificata.


Raccontato così, il cesareo non sembra tanto drammatico, ma in realtà ha i suoi rischi e pertanto, come ogni intervento chirurgico, dovrebbe essere praticato solo nel caso in cui i benefici siano maggiori rispetto ai pericoli dell’intervento stesso, vale a dire ogni volta che la prosecuzione della gravidanza o del parto sia più rischiosa per il bambino o per la madre di quanto non lo sia praticare un cesareo. Con le necessarie informazioni alla mano, dovrebbe essere la madre a decidere. Ciò è conosciuto con il nome di “consenso informato”.


In alcune occasioni, fortunatamente poche, una situazione di grave ed effettiva urgenza giustifica che sia il medico a decidere di effettuare immediatamente un cesareo. Tuttavia in altre occasioni, benché non si verifichi una simile necessità, si fa pressione sulla madre asserendo che, se non consente a un immediato cesareo, il suo bambino e lei stessa moriranno o subiranno gravi conseguenze.


Quali sono i rischi? In generale i rischi del cesareo si suddividono in due gruppi: i rischi per la salute della madre e quelli che minacciano la salute del nascituro. Tale classificazione è pur sempre alquanto arbitraria: dopo nove mesi di gravidanza, madre e figlio sono ancora un tutt’uno, in simbiosi; è chiaro che tutto quello che danneggerà la madre si ripercuoterà in qualche modo sul bambino e viceversa.


Basti solo pensare all’effetto che avrebbe sulla salute del bambino la morte della madre durante un cesareo o, al contrario, a come influirebbe sullo stato psicologico della madre vedere il proprio bambino ricoverato presso un’unità di terapia intensiva neonatale nelle settimane successive alla sua nascita.

Rischi del cesareo per la madre

I cesarei, come qualsiasi altro intervento chirurgico, sono molto più sicuri ora rispetto a quanto non lo fossero all’inizio del XX secolo, non vi è alcun dubbio. Il miglioramento delle condizioni igieniche e il perfezionamento di nuovi farmaci anestetici e delle tecniche chirurgiche hanno incrementato in modo spettacolare la sopravvivenza a questo tipo di intervento. Tuttavia questa fiducia nei progressi della medicina non dovrebbe impedirci di vedere la realtà, vale a dire che “il rischio di morte materna nel cesareo è da quattro a sei volte maggiore rispetto ad un parto vaginale”3. Questo dato già di per sé giustificherebbe il tentativo di evitare tutti i cesarei inutili.


La mortalità materna nel cesareo può essere attribuita a complicazioni del cesareo stesso o all’anestesia. Le più gravi sono le emorragie, che a volte comportano l’estirpazione dell’utero materno (isterectomia) – come unico modo per interrompere il sanguinamento incessante e salvare la vita della donna – e le trombosi o embolie (coaguli di sangue che passano ad altri organi del corpo come i polmoni o il cervello ostruendo le arterie o le vene). Non si tratta di complicazioni frequenti, fortunatamente, ma pur sempre molto gravi. Inoltre il rischio di morte della madre, di perdita dell’utero o di degenza presso un’unità di terapia intensiva sono situazioni dolorose che possono rendere difficile l’inizio del rapporto con il bambino o l’allattamento.


Nella maggior parte dei casi la perdita di sangue non è grave, nonostante provochi un’ anemia che fa sì che la donna si senta debole e stanca nei mesi successivi. In alcune occasioni, è necessario ricorrere a una trasfusione di sangue (che a sua volta comporta dei rischi).


Un altro grave problema è rappresentato dalle infezioni: può verificarsi un’infezione dell’utero, della vescica o della ferita e della pelle che la circonda. Si possono anche commettere errori in un cesareo; ad esempio, in alcuni casi vengono recisi accidentalmente la vescica o l’intestino, che sono gli organi adiacenti all’utero, quindi aumenta il rischio di infezioni addominali gravi (peritoniti). In altri casi, senza che se ne conoscano bene le ragioni, dopo l’intervento chirurgico si verifica una paralisi intestinale (ileo paralitico) che a sua volta può essere grave.


Ogni volta che si esegue un intervento addominale, esiste un alto rischio di formazione di aderenze. Sono delle specie di cordoni di tessuto fibroso che il corpo stesso produce dopo l’intervento in seguito all’adesione delle superfici sanguinanti che sono state recise e suturate alle pareti degli organi adiacenti.


Le aderenze a volte non causano alcun disturbo e la donna non si accorge nemmeno di averle. Ma in altre occasioni creano molti problemi. A volte, ad esempio, rallentano il transito intestinale e per questo alcune donne, mesi dopo un cesareo, accusano i sintomi tipici del colon irritabile: stitichezza, gonfiore e dolori addominali seguiti da episodi di diarrea. Alcune volte le aderenze possono addirittura causare un’ostruzione intestinale molti anni dopo il cesareo. Logicamente, quanti più cesarei una donna subisce, più è facile che si formino aderenze e si accusino i sintomi che queste provocano.

Altre volte le aderenze rendono difficile una successiva gravidanza, e possono ostruire le tube o causare dolore durante i rapporti sessuali e infiammazioni pelviche. Inoltre il cesareo condiziona il futuro riproduttivo di una donna. La cicatrice uterina aumenta il rischio di complicazioni nelle gravidanze successive: dall’aborto spontaneo alla placenta previa (vale a dire posizionata sull’apertura dell’utero), la placenta accreta (con molte radici), i distacchi di placenta e il rischio di rottura dell’utero (che spiegheremo dettagliatamente nel capitolo settimo). L’utero della donna viene danneggiato dal cesareo e si è scoperto che, purtroppo, il rischio di morte fetale al termine di una gravidanza successiva ad un cesareo raddoppia.4


Anche le complicazioni dell’anestesia possono essere molteplici. La prima di tutte è ovviabile, ed è che l’anestesia a volte non ha effetto. Per quanto possa sembrare incredibile abbiamo raccolto numerose testimonianze di donne che raccontano di come era stato praticato loro un cesareo mentre gridavano terrorizzate dicendo di sentire perfettamente l’incisione o svenivano per il dolore, necessitando quindi di un’anestesia supplementare generale. Si tratta di un’esperienza molto traumatizzante e che a volte provoca una sindrome da stress post-traumatico. Altre complicazioni dell’anestesia possono essere lo spasmo bronchiale, le emicranie che possono manifestarsi in seguito a un’anestesia rachidea, e, molto raramente benché gravissima, la reazione allergica o lo shock da anestesia.


La sofferenza psicologica che provoca il cesareo viene solitamente omessa nella maggior parte degli studi che descrivono i rischi dell’intervento e di fatto quasi mai viene menzionata nel consenso informato. Il cesareo aumenta il rischio di depressione post-partum e di sindrome da stress post traumatico legata al parto, come vedremo quando affronteremo il tema della ferita emotiva (capitolo quinto). Queste difficoltà emotive possono anche avere effetti negativi sulla fertilità.


Il fatto che l’arrivo di ogni figlio rappresenti un vero e proprio dramma, poiché la madre immagina di correre un rischio serio, può costituire una minaccia per l’equilibrio della coppia. È possibile che proprio qui affondino le radici della frequente sterilità secondaria che segue un cesareo5.

Rischi del cesareo per la salute del bambino

L’intervento comporta inoltre una serie di rischi per il bambino. La mortalità perinatale nei cesarei è solitamente il doppio che nei parti vaginali, benché ciò non si possa attribuire solamente al cesareo: ci sono bambini che stavano già male prima dell’intervento e proprio questa situazione ha reso necessario l’intervento.


Il passaggio attraverso il canale del parto è un elemento molto salutare per tutti i neonati, non un capriccio: a mano a mano che attraversano il canale, i polmoni si comprimono e si liberano del liquido, preparandosi così a respirare per la prima volta. Questa “messa a punto” dei polmoni avviene anche per altri organi del bambino durante il parto vaginale (cervello, intestino…). I bambini che nascono col cesareo, invece, non ricevono questa specie di massaggio polmonare e per questo presentano frequentemente la cosiddetta sindrome da distress respiratorio: respirano più velocemente e superficialmente, rendendo necessario il loro ricovero presso l’unità di terapia intensiva neonatale per ricevere ossigeno. Questo si verifica con maggiore frequenza nei cesarei programmati, poiché non vi sono state precedentemente le contrazioni del parto.


Un altro problema del cesareo è il rischio di prematurità iatrogena (iatrogena significa causata dalla cura stessa) vale a dire i rischi che comporta la nascita prima del tempo e, soprattutto, prima che il bambino sia pronto. Ciò accade quando i cesarei o le induzioni vengono programmate. A volte vi è un errore nella data presunta del parto: si pratica un cesareo alla trentottesima settimana quando in realtà il bambino ne ha trentasei. In altre occasioni non si tratta di un errore ma semplicemente del fatto che la gestazione umana a volte dura quarantadue settimane o più, e se in questo caso il bambino viene estratto prima della trentasettesima settimana, sarà un neonato prematuro. Anche se viene estratto successivamente, può essere ancora immaturo.


Anche un cesareo non preceduto da travaglio può provocare sintomi di prematurità iatrogena in un bambino maturo, per via della cosiddetta “messa a punto”. Pensare al bambino dovrebbe essere il principale motivo per evitare al massimo i cesarei programmati: questi vengono solitamente pianificati in funzione dei medici e non del bambino. Se si aspettasse l’inizio del parto e il cesareo fosse indispensabile, forse dovrebbe essere eseguito alle tre di notte, il che potrebbe risultare scomodo per gli addetti ai lavori. Il bambino, tuttavia, nascerebbe in condizioni migliori dopo alcune contrazioni da parto e dopo essersi preparato a nascere. Lui stesso sceglierebbe la data della sua nascita ed eviterebbe di essere ricoverato in terapia intensiva neonatale per problemi respiratori.

Un pericolo più frequente di quel che si pensa è che il nascituro subisca un taglio durante l’intervento. Si stima che ciò accade circa nel 2 per cento dei cesarei (o anche più spesso, se il bambino si presenta di natiche). Un altro aspetto che merita sempre maggiore attenzione da parte dei ricercatori è quello dei microbi che entrano in contatto con il bambino al momento della nascita, e che sono molto diversi se si nasce vaginalmente (in questo caso sono i microbi della vagina e del perineo della madre) che se si nasce mediante cesareo (i primi microbi sono quelli presenti nell’aria della sala operatoria) e di come ciò sembri influire sul fatto che i bambini nati con un cesareo corrono un maggior rischio di soffrire di allergie o asma6.


I ricercatori di psicologia perinatale hanno studiato le ripercussioni che la nascita mediante cesareo crea nello sviluppo psicologico del bambino. Il trauma può essere minimizzato spiegando al bambino ciò che sta accadendo e consentendogli di rimanere con i suoi genitori.


Una volta a conoscenza di tutti i rischi di questo intervento, vale la pena chiedersi: quando è davvero necessario praticare un cesareo? Si tratta di uno dei dibattiti più accesi della medicina moderna. Perché sebbene sia vero che i cesarei sono sempre più sicuri, è anche vero che il parto vaginale ospedaliero, con le attuali pratiche di routine, sempre più facilmente rende necessario un cesareo. Quanto meno si rispetta la fisiologia del parto – facendo partorire le donne da sdraiate, rompendo loro il sacco e somministrando ossitocina di prassi – più si mette in serio pericolo la salute del bambino e della madre. Questo paradosso ha dato luogo a un incremento dei cesarei, ma soprattutto degli “innecesarei”, operazioni che non sono affatto necessarie o che si potrebbero evitare se il parto venisse assistito in modo diverso.

Indicazioni del cesareo

Le situazioni nelle quali è assolutamente necessario praticare un cesareo sono per buona sorte molto poche:


- Prolasso del cordone. Si verifica quando il cordone ombelicale si presenta nella vagina prima del bambino e la testa esercita su di esso una pressione tale da impedire il passaggio del sangue lungo il cordone stesso, impedendo così che il bambino riceva ossigeno. È assai poco frequente, ma può verificarsi in un parto se qualcuno, da fuori, rompe il sacco amniotico troppo presto. Può anche accadere in parti prematuri o in caso di presentazione podalica. Il prolasso è un’indicazione di cesareo urgente e, fino a quando non è possibile intervenire, la madre deve rimanere carponi.


- Distacco della placenta. Si verifica quando, prima o durante il travaglio, la placenta si distacca parzialmente con emorragia ed evoluzione imprevedibile. La madre percepisce solitamente un dolore intenso e la vita del bambino corre grave pericolo se non si pratica un cesareo d’urgenza.


- Placenta previa. La vera placenta previa è una complicazione che si diagnostica solo alla fine della gravidanza. È relativamente normale che verso la metà della gravidanza la placenta sia bassa, ma si va alzando col trascorrere delle settimane di gestazione. Per questo si può parlare di placenta previa solo al termine della gravidanza, quando questa si è posizionata presso l’apertura dell’utero, verso la cervice, ostruendo l’uscita del bambino. È frequente che la madre abbia un sanguinamento (più frequente durante la notte) che segnala il problema.


- Malposizionamento fetale. A volte i bambini sono posizionati in un modo che impedisce loro di uscire e non sono in grado di cambiare posizione. Questo caso si verifica quando, una volta iniziato il parto, il bambino si trova in posizione trasversale o si presenta di faccia.


- Quando la madre soffre di una cardiopatia scompensata o di altre gravi malattie, o nel caso in cui la madre sia deceduta.


Tutte queste complicazioni sono fortunatamente molto rare, e in totale si verificano in meno del 5 per cento dei parti.


Esistono altre situazioni in cui l’indicazione è relativa:


Stenosi del bacino. Il bacino stretto è assai poco frequente, ma può presentarsi in donne che hanno sofferto di rachitismo o di altre malformazioni durante l’infanzia. Tuttavia la diagnosi di sproporzione fetopelvica, vale a dire asserire che il bacino è troppo stretto, è una scusa utilizzata con preoccupante frequenza per giustificare un cesareo, quando il bambino non scende “correttamente”. Vale la pena di ricordare che molti studi hanno dimostrato che far partorire le donne da sdraiate o con le gambe alzate non solo è assurdo, ma è anche pericoloso poiché favorisce il fatto che i bambini rimangano incastrati e non scendano correttamente. Come si può pretendere che il bambino esca in senso contrario alla forza di gravità? Se invece la donna è accovacciata, l’apertura del bacino aumenta del 30 per cento. La rottura artificiale del sacco amniotico o la somministrazione di ossitocina per via intravenosa mentre la madre è sdraiata, provoca a sua volta che il bambino non scenda.


In realtà, se si rispettasse il parto e si consentisse l’espressione del riflesso di eiezione fetale, dover fare un cesareo per bacino stretto sarebbe un evento eccezionale. Benché il bacino sia formato da tre ossa, le cartilagini che le uniscono si ammorbidiscono enormemente grazie agli ormoni del parto, pertanto pretendere di misurare il bacino prima del parto serve a poco se non a nulla.


Le donne che credono di avere un bacino stretto dovrebbero iniziare il parto in modo spontaneo e, a seconda dell’evoluzione, si deciderà se è necessario un cesareo. In ogni caso, il bambino sfrutterà quelle contrazioni per rivitalizzare la funzionalità dei suoi organi, in primo luogo i polmoni.


In realtà molti casi valutati come “sproporzione pelvica” avvengono in seguito a presentazioni cefaliche sfavorevoli, frequentemente causate dalla rottura precoce del sacco, dall’uso indiscriminato di ossitocina e dall’obbligo di partorire sdraiata. Di fatto ci sono donne che hanno subìto cesarei per una presunta sproporzione pelvica ma che in seguito partoriscono per via vaginale bambini di peso superiore.


Presentazioni fetali sfavorevoli. Il bambino, invece di avere la testa flessa e presentare l’apice del capo (il diametro minore), ha la testa meno flessa oppure posizionata di lato, con un maggiore diametro, rendendo così più difficoltoso il suo passaggio attraverso il canale del parto. Con la testa sempre più deflessa, presenterebbe la fronte o la faccia, impedendo il parto vaginale. Accade anche nel caso in cui il bambino si presenti rivolto verso il ventre materno e non verso la schiena.Viene detta posizione fetale posteriore ed è causa di parti lunghi e difficili. Questo aumento del diametro della testa per via della deflessione è ciò che provoca una sproporzione relativa con il bacino materno, cosa che non necessariamente avviene nei parti successivi.


Questo problema è accentuato dal nostro stile di vita sedentario, sempre seduti, in casa, in macchina, in ufficio… Per ridurne la frequenza, bisogna camminare quotidianamente, nuotare se è possibile, ballare, praticare la danza del ventre… e nelle ultime settimane, assumere con frequenza la “posizione del gatto” (in ginocchio a quattro zampe).


L’abituale pratica medica di rompere artificialmente il sacco amniotico, all’inizio del travaglio, può causare una presentazione cefalica sfavorevole, dando così luogo a molti cesarei.


Presentazione di natiche. Inizialmente veniva incentivata la pratica di cesarei programmati nei parti con presentazione di natiche, soprattutto nelle primipare. Questa scelta di carattere extra medico, affonda le sue origini in due aspetti: la mancanza di formazione dei ginecologi nell’assistenza ai parti con presentazione di natiche e la pratica della medicina difensiva che tende a un eccessivo interventismo.


Gli studi medici dimostrano che, in caso di parto con presentazione di natiche con indicatori favorevoli – testa fetale flessa, peso fetale equilibrato e bacino materno normale –, ci si può attendere un parto normale. Se il parto inizia in modo spontaneo, la dilatazione progredisce agevolmente e senza medicalizzazione (né ossitocina né anestesia epidurale) e il periodo espulsivo mostra una discesa fetale progressiva, il risultato del parto è favorevole tanto quanto un parto con presentazione cefalica.

Per ridurre le possibilità che il bambino si presenti di natiche, bisogna agire sin dalla trentesima-trentaduesima settimana, con massaggi, ginnastica e agopuntura. I massaggi che consentono di effettuare una versione esterna7 devono essere praticati da un esperto – ginecologo o ostetrica – sotto controllo fetale. La ginnastica in ginocchio, con le natiche posizionate al di sopra delle spalle, per facilitare la mobilità del bambino, poiché l’utero è come un imbuto, deve essere praticata unitamente all’agopuntura.


Quest’ultima va applicata per mezzo del calore (la cosiddetta moxibustione) e può essere praticata dalla gravida stessa. Con la brace di una sigaretta, di artemisia o di tabacco, viene applicato calore sul lato esterno della base dell’unghia del dito mignolo di entrambi i piedi, una volta al giorno per cinque minuti per ciascun piede, fino a che il bambino si gira. È raccomandabile farlo durante i momenti di relax affinché l’utero sia rilassato.


I cesarei per presentazione di natiche costituiscono il 10 per cento del totale.


Tumori che ostacolano il passaggio del bambino. Generalmente si tratta di fibromi uterini presenti nel collo dell’utero o nel segmento uterino; più raramente di cisti solide ovariche che sono assai poco frequenti.


Riguardo la conizzazione del collo dell’utero (estirpazione di una parte della cervice per via di una lesione precancerosa prima della gravidanza), essa non crea necessariamente problemi di dilatazione durante il parto. In ogni caso la valutazione verrà fatta durante il processo di dilatazione e non prima dell’inizio del parto.


Blocco della dilatazione. Può verificarsi nel caso in cui viene riferito alla donna che la dilatazione del collo si è bloccata e che il parto non progredisce. Esistono svariati motivi che provocano questo evento.


Uno di essi è che la testa del bambino non scende nel bacino e, non poggiando sul collo dell’utero, impedisce che questo si dilati ulteriormente. Solitamente è per via di un malposizionamento della testa – la deflessione di cui abbiamo parlato in precedenza –, ma raramente è causato da una sproporzione del bacino.


Un altro motivo può essere la presenza di una cervice dura e con edema. Ciò accade con frequenzaa causa di un’eccessiva stimolazione con ossitocina.


Molto spesso la paura, la tensione circostante, il senso di solitudine che la donna prova, il fatto di sentirsi osservata continuamente dal personale sanitario, fanno sì che il parto venga inibito, il corpo si blocchi e con esso la dilatazione. Si sa che in queste circostanze, se la donna rimane sola per un lungo periodo, senza osservatori né pressioni esterne, la dilatazione è più facile. Di solito questo accade in bagno.


A volte, il blocco della dilatazione avviene per assenza di contrazioni uterine efficaci, vale a dire che le contrazioni sono troppo deboli per consentire la prosecuzione del parto.


In una qualsiasi di queste situazioni, se il bambino sta bene, può essere indicato l’uso terapeutico dell’anestesia epidurale unitamente alla stimolazione con ossitocina. In questo modo, l’anestesia rilassa la cervice uterina e i muscoli pelvici e vaginali, mentre l’ossitocina ottimizza le contrazioni. Seguendo questa procedura terapeutica e con un po’ di pazienza, si possono evitare molti cesarei.


Riduzione del benessere fetale. Prima veniva detta “sofferenza fetale”. Il bambino, durante il travaglio, mostra attraverso il monitoraggio fetale, segni di disagio che si mantengono o si accentuano con il passare del tempo e in base ai quali si valuta una perdita progressiva della sua capacità di recupero.


La stimolazione del parto con ossitocina, provocando contrazioni più frequenti e intense di quelle che l’utero provoca spontaneamente, può causare o accentuare la riduzione del benessere fetale. Per questo la stimolazione con l’ossitocina dovrebbe essere praticata solo in caso di effettiva necessità e non per accelerare il parto in modo sistematico.


È risaputo, d’altro canto, che il bambino è già ben sviluppato sia da un punto di vista emotivo che psicologico, e reagisce in stretta relazione con le emozioni della madre. Può quindi avere paura e di conseguenza ulteriore disagio. Per questo motivo è bene che la madre parli con lui durante il parto e lo tranquillizzi, calmandosi a sua volta.


Inoltre, rimanere distesa durante tutto il processo di dilatazione, favorisce la presenza di segnali di sofferenza fetale. Infatti i protocolli di parto normale dell’OMS, alla luce di evidenze scientifiche, indicano che “rimanere solitamente in decubito supino (distesa) durante la dilatazione e il parto, è una pratica chiaramente dannosa e inefficace che dovrebbe essere eliminata”.


I cesarei praticati per questo motivo costituiscono il 10-15 per cento del totale dei cesarei.


Precedente cesareo. Il 25-30 per cento degli interventi viene praticato per questo motivo. Ciò significa che un cesareo su quattro viene fatto perché se ne è subìto uno in precedenza.


Questo numero si può ridurre agendo su due piani. Ridurre i primi cesarei, evitando l’induzione e la medicalizzazione inutile del parto, e promuovendo il parto spontaneo.


In secondo luogo, promuovere il VBAC (parto vaginale dopo un cesareo) in più del 70 per cento dei casi di precedente cesareo, secondo esperienze mediche internazionali.

Altre situazioni relative possono essere:


Gravidanze gemellari o multiple. Dipende dalla maturità fetale e dalla posizione dei nascituri. Nei Paesi Bassi solo il 14 per cento di gemelli nasce mediante cesareo, mentre in Spagna la percentuale è del 50 per cento8.


Eclampsia. Durante la gravidanza, se la funzione renale materna è alterata, si manifesta un’elevata pressione arteriosa, vi è presenza di proteine nelle urine, edemi sul corpo e se il quadro si scompensa, viene praticato un cesareo urgente.


Precedenti interventi uterini. Raramente rappresentano un’indicazione valida per un cesareo. È risaputo che è più sicuro tentare un parto vaginale dopo uno o più cesarei che programmare un cesareo per questa ragione (nel capitolo settimo viene spiegato nel dettaglio questo aspetto).


L’infezione da erpes genitale è un’indicazione di cesareo se la madre presenta un’infezione attiva al momento del parto, situazione relativamente eccezionale.


Se la madre è infetta da virus HIV, il cesareo può ridurre le possibilità di contagio materno-fetale.


La tocofobia o terrore del parto. Alcune donne manifestano una grande paura nei confronti del parto. In alcune occasioni ciò ha a che vedere con una ferita profonda nella sessualità subita (come quelle derivanti da esperienze di abuso precedenti). Altre donne hanno perso un figlio al temine di una gravidanza o in seguito a un parto vaginale e desiderano che venga praticato loro un cesareo perché lo ritengono più sicuro. Ma il timore non dovrebbe essere trattato chirurgicamente, bensì con la psicoterapia. Avere uno spazio dove poter parlare di queste paure, smontandole progressivamente e comprendendo che nella maggior parte dei casi un parto vaginale è più sicuro di un cesareo, consentirebbe di evitare questi interventi.


Infine, la categoria delle false indicazioni per un cesareo, vale a dire i motivi per i quali, sfortunatamente, più di una donna è stata sottoposta a un intervento: miopia, età della gravida, dimensioni del feto stimate tramite ecografia nelle primipare, evitare danni al suolo pelvico…

Il parto cesareo
Il parto cesareo
Ibone Olza, Enrique Lebrero Martinez
Solo se indispensabile, sempre con rispetto.Spesso il parto cesareo viene proposto senza una reale scelta da parte della mamma. Come è possibile renderlo il meno tecnologico possibile? Negli ultimi anni alcuni Paesi hanno registrato un allarmante incremento dei parti con taglio cesareo, al punto che per molti costituisce addirittura il modo più frequente di nascere. Senza alcun dubbio questa cultura non tiene conto delle conseguenze psicologiche, oltre che fisiche, tanto per la madre quanto per il figlio. Contro questa tendenza, il saggio Il parto cesareo di Enrique Lebrero Martinez e Ibone Olza intende incoraggiare le madri a ritrovare la fiducia nel proprio corpo e a recuperare la dignità della nascita. Il libro si rivolge quindi sia alle donne e alle famiglie, sia agli operatori sanitari, e tutti coloro che hanno a che fare con l’evento della nascita. Conosci l’autore Ibone Olza, nata in Belgio nel 1970, è madre di tre figli. È laureata in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Navarra e dottoressa in Medicina presso l'Università di Saragozza, specializzandosi in Psichiatria e svolgendo la sua attività professionale nel campo della psichiatria infantile, giovanile e perinatale. Attualmente lavora come psichiatra infantile presso un Centro di Igiene Mentale di Madrid e appartiene all'associazione El Parto es Nuestro. Dal 1996 è socia del gruppo di sostegno all'allattamento "Via Lactea" di Saragozza e nel 2001 ha fondato, insieme a Meritxell Vila, il forum virtuale Apoyo Cesareas, che fornisce supporto psicologico a madri che hanno subito cesarei e parti traumatici.