Studi sull’epigenetica sono stati condotti anche sull’uomo e i risultati sono altrettanto stupefacenti.
In uno di questi si sono voluti investigare gli effetti della conflittualità coniugale sulla guarigione delle ferite. Anche un’emozione come la rabbia, avvertita nell’ambiente familiare, costituisce uno stimolo epigenetico in grado di modificare il funzionamento, ossia l’espressione, del nostro DNA. I ricercatori hanno provocato piccole ferite sulla pelle di alcune coppie di coniugi, e hanno poi monitorato la produzione di tre diverse proteine che vengono sintetizzate quando la pelle guarisce dalle ferite. Si è scoperto che la produzione di queste proteine si riduceva in modo sensibile nelle coppie cui veniva imposto, per motivi sperimentali, di affrontare discussioni su argomenti che li vedevano in disaccordo. Nelle coppie con disaccordo grave, accompagnato da sarcasmo e cinismo, il rallentamento nella produzione di queste proteine, e quindi nella guarigione delle ferite, raggiungeva il 40%.
Esistono studi epigenetici anche di interesse pediatrico. Gli esperimenti hanno dimostrato un singolare collegamento fra lo stress infantile e le patologie cui siamo soggetti da adulti. Queste conclusioni provengono da un’indagine di ampio respiro nota come ACE (Adverse Childhood Experiences), condotta in California per un periodo di 5 anni su 17.421 individui di età media superiore ai 50 anni, e che ha visto la collaborazione di sociologi, psicologi e medici. I ricercatori hanno assegnato un punteggio a vari gradi di disfunzionalità familiare capace di generare stress nei bambini. Sono state incluse situazioni di separazione o divorzio, alcolismo, depressione, malattie mentali, violenze da parte dei genitori. Si è scoperto che coloro che da bambini erano cresciuti a contatto con simili esperienze avevano una possibilità quintupla di essere affetti da depressione; una possibilità tripla di iniziare a fumare; erano 30 volte più inclini al suicidio; avevano una probabilità maggiore del 4.600% di far uso di droghe per endovena; erano affetti più di frequente da disturbi quali obesità, cardiopatie, patologie polmonari, diabete, fratture ossee, pressione alta, epatite.
Alcuni studi hanno messo in relazione le cure ricevute nell’infanzia con il funzionamento epigenetico. Uno di questi ha dimostrato come i bambini in possesso di una certa versione del gene che produce l’enzima MAO-A (che digerisce sostanze chimiche ad effetto neurologico come la serotonina e la dopamina) abbiano maggiori possibilità di essere inclini alla violenza, ma solo se da piccoli sono stati maltrattati.
Attraverso i recenti studi, sia su animali, sia su esseri umani, sono stati indagati gli effetti sul piccolo del comportamento materno, dello stress da separazione dalla mamma, della depressione prenatale materna, dei maltrattamenti e degli abusi nell’infanzia.
L’ambiente in cui viviamo induce di continuo trasformazioni nella manifestazione delle caratteristiche relative al fenotipo, in particolare agendo sulle cellule germinali degli organismi adulti e sui primi stadi di sviluppo degli embrioni.
David Barker, epidemiologo dell’Università inglese di Southampton, e professore del dipartimento di medicina cardiovascolare all’Oregon Health and Science University degli Stati Uniti, fu il primo a condurre una serie di studi, a partire dagli anni ’80, che mostrarono per la prima volta come un basso peso alla nascita comportasse un maggior rischio di sviluppare ischemia coronarica in età adulta. Quella che è stata poi battezzata nel 1995 dal “British Medical Journal” come “Ipotesi di Barker” è ormai una tesi avvalorata da molti studi scientifici e ampiamente condivisa. Condizioni avverse in utero, come sottonutrizione o malnutrizione della madre, spingono il feto, per poter sopravvivere, a riprogrammare alcune importanti funzioni metaboliche, a ridurre il proprio peso, modificando in modo permanente la propria capacità di risposta a determinate condizioni ambientali. Adattandosi a un ridotto apporto di nutrienti, privilegia il buon funzionamento e lo sviluppo di organi essenziali come il cervello, a scapito di altri, come reni, pancreas e fegato, provocando disfunzioni metaboliche che lo predisporranno a sviluppare insulino-resistenza, intolleranza al glucosio, diabete di tipo 2, obesità, malattie cardiovascolari.
Un aspetto rilevante, messo in luce dagli studi sviluppatisi a seguito della tesi di Barker, è proprio quello della programmazione fetale; il feto è in grado di dispiegare grandi risorse adattative e utilizza gli stimoli nutrizionali, ormonali (quindi legati anche allo stress e alle emozioni) e metabolici provenienti dalla madre, per programmare le proprie funzioni, il proprio metabolismo e il proprio sistema endocrino, in funzione di ciò che si aspetta di trovare dopo la nascita. È un fenomeno a cui Peter D. Gluckman e Mark A. Hanson hanno dato il nome di “risposta predittiva-adattativa”. Ne esistono molti esempi in natura, come nel caso di animali che nascono in autunno con una pelliccia più folta rispetto alla primavera perché i maggiori livelli di melatonina della madre, dovuti alla diversa durata del giorno, inducono modificazioni adattative nello spessore del manto. Una discrepanza fra l’ambiente atteso e quello reale può però predisporre allo sviluppo di patologie. È il caso in cui a una programmazione fetale la cui attesa è scarsità di cibo e alti livelli di stress, segua invece, dopo la nascita, una dieta ricca e abbondante.
La programmazione fetale potrebbe trovare proprio nell’epigenetica una delle sue spiegazioni più accreditate, ciò che darebbe ragione anche della trasmissione da una generazione alle successive di determinate alterazioni metaboliche, ossia del protrarsi per più generazioni delle cosiddette malattie ereditarie.
L’ambiente che circonda la mamma prima del concepimento ha il potere di modellare il divenire morfofunzionale del bambino. E l’ambiente che circonda il bambino durante la sua crescita in utero continua a modularlo, individuando quali geni utilizzerà di preferenza per il resto della vita. Nel momento in cui il bambino diventerà a sua volta genitore, trasmetterà l’informazione epigenetica come “strada preferenziale consigliata” per le future funzioni del nuovo essere. È come se i nostri genitori ci dicessero: “Questa è la mia esperienza epigenetica, ti conviene memorizzarla e utilizzarla visto che è molto probabile che gli stimoli ambientali che troverai crescendo siano simili o uguali a quelli che ho incontrato nel mio ambiente di vita”.
Se la mamma ha vissuto in un ambiente allergogeno, trasmetterà l’informazione di questo vissuto alla sua progenie, che si comporterà di conseguenza. Nell’Italia rurale le allergie e le intolleranze alimentari erano un evento piuttosto raro; 30 anni dopo l’ultima guerra, il massiccio inurbamento della popolazione produceva un aumento nella percentuale di bambini allergici, soprattutto nelle città. Oggi i figli di quei bambini hanno altissime probabilità di sviluppare allergie precoci, in quanto figli di individui sottoposti a un ambiente allergogeno. È proprio ciò che accadde ai gatti di Pottenger e ai “selvaggi” di Weston Price, due storie tuttora capaci di sorprenderci per il loro valore così palesemente apodittico, e che perciò vale la pena raccontare.