CAPITOLO V

Alterazioni nell'alimentazione
del neonato

Il consolidamento della respirazione orale e l’instaurarsi di una vera e propria alterazione fisiologica della funzione respiratoria, insieme al corollario di disturbi e malattie ricorrenti che questo comporta, sono il frutto di una situazione complessa in cui giocano diversi fattori, spesso concomitanti: una predisposizione allergica della madre, alterazioni precoci nell’alimentazione del neonato, aumento delle dimensioni di tonsille e adenoidi, una respirazione nasale difficoltosa e l’avvio di un vero e proprio circolo vizioso di disfunzioni che coinvolgono tutto il sistema digerente e respiratorio.


Alterazioni molto precoci nella fisiologia dell’alimentazione riguardano sia il modo in cui il bambino viene nutrito, sia la quantità e la qualità dei cibi ingeriti.


Le alterazioni della modalità si riferiscono alla più o meno precoce sostituzione del seno materno con succhiotti e biberon. La modalità di nutrimento tramite biberon è in tutto diversa da quella al seno materno. Il biberon e il succhiotto obbligano la lingua ad acquisire una postura abituale più “interna” sul piano anteroposteriore, e più bassa sul piano frontale.


Poiché la postura abituale della lingua è il motore morfofunzionale per lo sviluppo di almeno due terzi del viso, la parte media e quella inferiore, il suo precoce condizionamento in una posizione più arretrata e più in basso determina un ritardo nello sviluppo scheletrico delle ossa facciali che, se non corretto con tempestività, impedisce di realizzare il potenziale di crescita cranio-facciale dell’individuo, come si vedrà anche nei prossimi capitoli.

Nella prima metà del Novecento, un medico dentista francese, Pierre Robin, fu il primo a parlare di prolasso linguale o glossoptosi, al quale è dedicato il prossimo capitolo. Robin fu anche il primo a osservare che una postura prolassata della lingua era legata in modo inevitabile alla respirazione orale e allo sviluppo di adenoidi e tonsille ipertrofiche. Per questo, ideò il primo apparecchio ortodontico posturale, capostipite di quelli ancor oggi in uso.


Sempre Robin intuì che il prolasso linguale, quando non ha un’origine congenita, molto più spesso può essere acquisito attraverso modalità di nutrizione errate. Secondo questo autore, l’allattamento o l’uso della formula dovrebbero avvenire mantenendo il neonato in posizione più verticale possibile, e mai orizzontale, altrimenti il neonato avrebbe difficoltà a deglutire senza soffocare, proprio come avverrebbe a noi adulti se provassimo a bere stando sdraiati.

In più, sempre secondo Robin, bisogna guardarsi dall’allattare il bambino avendo fretta che finisca. In natura la fretta non esiste e un neonato sembra proprio fatto apposta per ricordarcelo.


Uno stimolo ricorrente o prolungato a utilizzare la lingua per difendersi dal soffocamento può indurre una precocissima alterazione posturale nella lingua del bambino, che così si abitua a rimanere indietro, a guardia dell’istmo delle fauci che si trova alla base della lingua. Ciò accade con facilità se si utilizzano formule somministrate con il biberon perché la portata del liquido di solito è maggiore di quella del latte dal seno, e minore è il controllo che il bambino vi può esercitare (oltre al fatto che già di per sé l’uso del biberon induce alterazione posturale della lingua). Robin suggerisce perciò di adottare una posizione verticale e di frazionare il pasto, se si utilizza il biberon, facendo brevi pause ogni 5 o 6 poppate. Questo ha lo scopo di permettere all’aria di tornare dentro la bottiglia. Senza un minimo di aria nel biberon il neonato si stanca molto nel tentativo vano di succhiare, finisce per ingoiare proprio aria al posto della formula, e rischia di vomitare. Questo “piccolo riposo”, il frazionamento appunto, previene l’aerofagia e favorisce la digestione del neonato, già di per sé molto provata dall’uso stesso della formula.


Nell’allattamento al seno, se effettuato a richiesta, ossia ogni qualvolta il bambino mostri il desiderio e il bisogno di attaccarsi, di norma egli stesso è perfettamente in grado di controllare e gestire la durata della poppata e delle pause che gli sono necessarie. Esistono situazioni anche nell’allattamento al seno in cui il bambino può mostrare segni di disagio dovuti a un flusso troppo abbondante del latte, a un riflesso di emissione troppo forte (il riflesso di emissione è il meccanismo con cui il latte prodotto viene spinto fuori dal seno in seguito alla stimolazione di ossitocina prodotta dalla suzione del bambino) oppure a posizioni di allattamento che non gli sono consone. In questi casi, anche il bambino allattato potrebbe mostrarsi sopraffatto dalla quantità di latte che fuoriesce dal seno, e sarà perciò necessario adottare alcune strategie; una di queste è senz’altro quella di posizionare il bambino il più in verticale possibile e di assecondarlo nel bisogno di frequenti pause.


Soprattutto le prime settimane dopo la nascita sono delicate e decisive per consentire il corretto posizionamento della lingua, un buon attacco al seno (rivelato dall’assenza di ragadi e di dolore ai capezzoli durante la poppata), e una buona sintonia fra mamma e bambino.


Molte volte è capitato che i genitori dei miei piccoli pazienti affermassero che il loro bambino non aveva mai utilizzato il ciuccio, solo il biberon, oppure che, sì, il biberon era stato usato, ma poco, per esempio solo dai 2 ai 4 anni. Non si considera, purtroppo, che succhiotti e biberon hanno un potere analogo di sovvertire la postura della lingua. Né, tantomeno, ci si rende conto del fatto che il neonato o il bambino molto piccolo possiedono la massima capacità di apprendimento neuromuscolare che sia possibile immaginare, per cui anche pochi mesi di allenamento intermittente con uno “strumento di fisioterapia al contrario”, come un succhiotto, corrispondono per un adulto a diversi anni di allenamento agonistico di body building per più ore al giorno.


A causa della contiguità anatomica delle strutture in gioco, una postura arretrata della lingua finisce per “comprimere” le strutture tonsillari e adenoidee, impedendone o rendendone più difficoltosa la funzione, ossia lo stoccaggio e il drenaggio linfatico. Questo accadimento, insieme a un aumento della quantità e a un’alterazione della qualità della linfa, che avvengono per altri meccanismi che vedremo, innesca l’ipertrofia adenotonsillare che è alla base della respirazione orale.


È pur vero che alcuni bambini vengono al mondo già con la mascella inferiore arretrata e, di conseguenza, la lingua prolassata. Sono quei neonati col mento in dentro, quasi a sembrare dei “tartarughini”, che hanno subito difficoltà evidenti all’allattamento, sembrano pigri, si staccano dal seno stanchi, provano a succhiare ma i loro sforzi sono poco efficaci e alla fine, dopo tanto penare, il seno poco stimolato della mamma finisce per diminuire la produzione di latte. Questi bambini sono respiratori orali dalla nascita e, pur non mostrando tutti i connotati della sindrome di Robin (che prevede anche palatoschisi, micrognatia e ostruzione delle vie aeree superiori), di fatto sono affetti da prolasso linguale congenito.


È possibile individuare questo tipo di neonato anche scoprendo le labbra e osservando le creste gengivali da cui spunteranno i denti. Con delicatezza si porta la cresta inferiore verso la cresta superiore, come se si volesse chiudere la bocca al bambino per osservare come chiudono i denti che ancora non ha. Quando la cresta gengivale inferiore si trova nettamente arretrata rispetto a quella superiore, allora siamo in presenza di un caso di prolasso linguale congenito.


Perché l’azione dell’allattamento sia efficace e il bambino possa riceverne nutrimento adeguato, è necessario che il labbro superiore si trovi esattamente sopra quello inferiore, e che quello inferiore non sia arretrato. La posizione arretrata impedisce al capezzolo di essere afferrato e spremuto con efficienza stimolando in modo corretto la produzione e la fuoriuscita del latte.


Dall’osservazione della postura di altri mammiferi durante l’allattamento, come vitelli, puledri, cagnolini e gattini, Robin aveva notato che la testa era leggermente sollevata e il collo in un lieve stato di allungamento.


Immaginiamo il bambino allattato sempre in posizione molto obliqua o orizzontale: non solo avrà la difficoltà della deglutizione da sdraiato, ma avrà anche il peso del seno contro il mento, che subirà dunque la tendenza a ritrarsi portandosi all’indietro rispetto alla mascella superiore.


Per Robin la posizione ideale di allattamento è dunque quella in verticale, ortostatica. Questa predispone la mascella inferiore a venire in avanti e il collo a una lieve tensione, cosa che libera lo spazio interno per il passaggio dell’aria. In questo modo, si aiuta il bambino a nutrirsi e, al contempo, a respirare attraverso il naso, col minimo dispendio di energie.


Robin raccomanda altresì di evitare, se possibile, che il bambino dorma in posizione orizzontale.


I successi ottenuti dal medico francese, adottando l’allattamento in posizione verticale in casi di prolasso congenito della lingua, furono notevoli, tanto che egli lo suggeriva come modalità prediletta anche solo a scopo preventivo.


Esiste oggi sull’allattamento una vasta letteratura anche in italiano, grazie alla quale è possibile ricevere molti consigli e indicazioni preziose per far sì che l’estraneità, prodotta dalla cultura e dalla società nei confronti del solo modo che la natura abbia previsto di nutrire un neonato, si riduca fino a sparire del tutto. Le madri odierne occidentali non sono certo come le madri che ancor oggi vivono a stretto contatto con la natura, senza subire dannose interferenze e disturbi nella percezione dei propri istinti, nel funzionamento del proprio sistema endocrino e riproduttivo, del proprio assetto posturale, del buon funzionamento del sistema immunitario. E non sono più neppure le madri di inizio secolo a cui poteva riferirsi Pierre Robin.


Siamo ormai giunti a un alto grado di estraneità rispetto alle pratiche naturali di accudimento della propria persona e dei nuovi nati, e anche le madri che desiderano assecondare il richiamo di quegli istinti ancestrali e sapienti, ancora vitali e presenti nel nucleo pulsante di ogni cellula del nostro corpo, devono spesso recuperare la giusta naturalezza con impegno e fatica.


Sin dai primi istanti di vita, nella gran parte dei casi, le interferenze sono ancora talmente forti che per una donna non è sempre facile avviare l’allattamento con piena naturalezza e senza qualche difficoltà.

Ciò nonostante, anche oggi è perfettamente possibile per ogni nuova madre seguire con successo e piena soddisfazione la strada che in migliaia di anni è stata seguita da generazioni e generazioni di donne e madri prima di lei. La conoscenza e l’istinto vivono ancora dentro di noi, nella memoria del nostro corpo e di ogni nostra singola cellula, appartengono al nostro bagaglio ancestrale di memorie, e molte donne di oggi tornano a sentirle vibrare dentro di sé nel momento in cui iniziano di nuovo ad avvicinarsi a uno stile di vita più sano e consono ai bisogni reali dei propri bambini.

Le alterazioni della quantità di cibo ingerito hanno anch’esse origine spesso fin dai primi mesi di vita se si utilizza il biberon, per proseguire nei periodi cruciali in cui ha inizio lo svezzamento, che di norma, come già accennato, è sempre troppo rapido e precoce, per continuare poi nell’arco di tutta l’infanzia.


Il biberon si differenzia dal capezzolo reale sia per la forma, sia per la consistenza, sia per le dimensioni dei fori attraverso cui sgorga il latte. È facile rendersi conto che, mentre nel capezzolo i pori di uscita per il latte sono quasi invisibili a occhio nudo, nel biberon sono ben più grandi. La tecnologia tenta di rincorrere la natura, e le pubblicità dei prodotti per l’infanzia utilizzano spesso in modo subdolo e ambiguo immagini di donne che allattano al seno i propri figli. In realtà, nonostante il tentativo di migliorare il funzionamento di biberon e tettarelle, il loro uso comporta sempre il rischio di rendere difficile al bambino una giusta autoregolazione delle proprie funzioni e dei propri fabbisogni.


Come aveva già intuito F.X. Mayr, forse il più grande esperto di fisiologia dell’alimentazione e del sistema digerente che sia mai esistito, i primi danni all’apparato digerente per noi umani civilizzati compaiono già in età neonatale quando, costretti alla sostituzione del seno materno con il biberon, veniamo nostro malgrado introdotti senza troppi complimenti alle prime “abbuffate” della nostra vita. La fatica non è più quella di estrarre un po’ di latte dal capezzolo, bensì quella di trovare il modo, con la lingua e con le labbra, di impedire che il getto eccessivo della tettarella venga ingerito con troppa rapidità. Il bambino, per bere dal biberon, deve escogitare strategie posturali e di movimento diverse da quelle che avrebbe impiegato per succhiare dal seno materno. Nel primo caso deve contenere la portata eccessiva, nel secondo avrebbe dovuto stimolare la produzione del latte.


In genere poi nel biberon si introduce anche una quantità di formula eccessiva, così come superiori alle reali necessità sono il numero delle poppate giornaliere decise dai genitori. La tendenza è infatti quella di riproporre con il biberon lo stesso numero di poppate che il bimbo faceva al seno. Oltre al fatto che la quantità di liquido che fuoriesce da quest’ultimo è maggiore a parità di tempo, non si considera che la qualità del latte materno varia anche nel corso di una singola poppata. Pur mantenendo sempre un ricco bagaglio di vitamine, sali minerali, fattori immunitari ecc., la sua concentrazione cambia e permette al bambino di dissetarsi oltre che sfamarsi, lasciando al piccolo il pieno controllo della quantità e qualità di latte di cui ha bisogno in quel preciso momento. Così facendo, l’allattamento asseconda e non snatura l’istinto del bambino a riconoscere i propri bisogni, primo fra tutti il senso di sazietà. La formula, all’opposto, priva dell’intelligenza della natura, propone sempre la stessa composizione e lo stesso quantitativo di nutrienti, anche a un bambino che in quel momento avrebbe poppato solo per dissetarsi un po’ o fare un breve spuntino anziché affrontare un pasto abbondante. Che dire? Benvenuti nella società dell’abbondanza!


Gli errori nelle quantità di cibo proposte ai bambini hanno inizio in questo modo e proseguono con lo svezzamento, che come abbiamo già detto è quasi sempre troppo precoce. Oltre alla cultura del mangiare troppo, che ci accompagna insieme all’ottundimento del riflesso di sazietà (ormai comune a quasi tutti gli individui delle società dell’opulenza), degli errori di quantità è responsabile anche l’ansia di veder crescere il bambino il più in fretta possibile, al passo con i percentili delle tabelle standard di crescita tanto care ai pediatri.


Il bambino, poi, viene imboccato, anziché esser lasciato libero di esplorare il cibo e nutrirsene in modo autonomo, seguendo il proprio istinto e il proprio appetito. Del resto, solo un bambino che raggiunga lo svezzamento in modo naturale, avrà un’età che gli consentirà di stare seduto da solo, di avere dentini per mordere i cibi, e di non dover per forza esser nutrito con pappe semiliquide che rendono necessario l’aiuto di un adulto. I cucchiaini di cibo fanno presto a susseguirsi con troppa fretta e a essere troppo colmi. Forse, quel fastidioso senso di impazienza che ci coglie nel dover attendere i tempi lenti del bambino non sarà anche, in parte, un piccolo campanello d’allarme che ci suggerisce che ciò che stiamo facendo non ha nulla di appropriato e naturale? Meglio sarebbe, in ogni caso, anche per gli adulti, impiegare il cucchiaino piuttosto che il cucchiaio, e non introdurre un nuovo boccone in bocca prima che quello precedente sia stato completamente masticato, insalivato, ridotto allo stato liquido e ingerito.


Anche bambini che non hanno mai veramente utilizzato succhiotti o biberon potrebbero presentare i segni e i sintomi tipici di una disfunzione digestivo-respiratoria. In questo caso, l’origine di tale disfunzione potrebbe essere ricercata proprio nel momento dello svezzamento, e nell’accumularsi degli errori di alimentazione, soprattutto relativi alla quantità. Questo, è ovvio, a meno che non si tratti di prolasso linguale congenito come osservato da Pierre Robin.


Quando poi il bambino arriverà finalmente a poter mangiare da solo, un po’ per il fatto che il suo riflesso di sazietà è stato prevaricato da ormai troppo tempo, un po’ per la fretta di chi lo invoglia o lo minaccia a terminare il pasto il più presto possibile, si assisterà alla sua definitiva trasformazione in un mangione privo della capacità di sentire quanto e come nutrirsi in base alle proprie reali necessità. L’individuo avrà così perduto, forse per sempre, il senso della “personale misura digestiva”, a meno che non si intervenga con una rieducazione specifica (si veda, come esempio, la dieta Mayr).

Il latte vaccino

Premessa la totale inadeguatezza del latte vaccino e delle formule come surrogati del latte materno, resta pur sempre il fatto che il latte vaccino rappresenta un prodotto alimentare di uso comune nella dieta di adulti e bambini, e merita perciò alcune considerazioni specifiche.


Le critiche al latte vaccino sono molteplici, ed esiste una letteratura piuttosto vasta in merito. Il latte di mucca è tristemente coinvolto nelle forme di reazione immunitaria più frequenti contro gli alimenti, tanto che in commercio si trovano persino soluzioni “tecnologiche” a basso contenuto di lattosio. È senz’altro in testa alle classifiche delle allergie e intolleranze alimentari. Molti non possono berlo senza sentirsi, subito dopo, la pancia gonfia, ed è oggetto di polemiche da parte di chi lo accusa di essere il principale responsabile delle malattie digestive croniche nella nostra società dell’opulenza.


D’altro canto, la sua composizione lo rende un alimento completo, con un rapporto percentuale di proteine, carboidrati e grassi di 30/40/30 (molto vicino al nostro ideale che è 20/60/20). È un alimento nutriente e, visto il ruolo importante attribuitogli nell’alimentazione, suscita discussioni animate e stati di forte emotività.


Tenteremo, perciò, di spezzare una lancia in suo favore.


Il latte, oltre a essere un alimento nutriente, dovrebbe essere anche facilmente digeribile, vista l’assenza di fibre. Le fibre, infatti, contenute soprattutto nella frutta, nella verdura e nei cibi integrali, non possono essere digerite. Il loro apporto è essenziale per garantire un buon transito intestinale, ma nelle persone che soffrono di eccessiva proliferazione batterica, che masticano poco o in modo inefficiente, le fibre provocano con facilità fermentazione eccessiva e stanchezza della funzione muscolare.


È molto importante comprendere che una buona capacità di tollerare e assimilare un alimento è decisiva per la salute dell’organismo, e che ognuno di noi, in un determinato momento, potrebbe aver bisogno di una dieta appropriata e specifica. Anche la verdura e la frutta, costituenti principali di una sana alimentazione, non sempre possono essere consumate in modo indiscriminato e senza un minimo di riflessione sulle proprie capacità digestive del momento e sull’attuale stato di salute intestinale.


Il latte, di per sé, avrebbe una digeribilità spiccata: è privo di fibre vegetali ed è costituito per l’88,5 % di acqua, ciò che rende più facile il transito intestinale e ne diluisce in modo appropriato i componenti (proteine, carboidrati, grassi) che, come abbiamo già detto, sono nella percentuale relativa più proporzionata rispetto a ogni altro alimento.


Di tutti i nostri organi, l’intestino è quello che consuma più energia nell’esercizio delle sue funzioni. Si presume che esso consumi circa il 70% di tutta l’energia prodotta dal metabolismo, molta più del cuore, dei polmoni o del sistema nervoso centrale, che pure sono in attività 24 ore su 24, anche durante il sonno. Ebbene, di tutti gli alimenti il latte è quello che richiede all’intestino minor energia per essere digerito e assimilato. Le proteine e i grassi che contiene sono appunto emulsionati in modo tale da essere immediatamente disponibili per l’interazione biochimica con gli enzimi digestivi.


Tutto ciò è vero a una sola condizione, che riguarda la modalità con cui viene introdotto nel nostro sistema digerente. Il latte, infatti, è un alimento liquido, ma non come l’acqua! A differenza dell’acqua che può essere bevuta, il latte è un alimento e non deve essere bevuto, bensì succhiato. È essenziale assumerlo in quantità minime e ripetute, assaporandolo senza inghiottirlo subito, centellinandolo. Il latte è un alimento ideale anche per gli adulti solo se assunto sorseggiandolo lentamente o a cucchiaini, meglio ancora se alternato a un cibo solido, così da poterlo, di fatto, “mangiare”. Perché questa modalità di assunzione del latte è così importante? Perché non lo si può tracannare a piacimento come un bicchiere d’acqua?


È presto detto: la digestione del latte avviene nello stomaco grazie a un enzima (la rennina o chimosina) che digerisce la caseina (la proteina più abbondante contenuta nel latte), trasformando il tutto in fiocchi che transitano poi con lentezza nell’intestino. Lo stomaco non produce grandi quantità di rennina in tempi rapidi, per cui, se un volume eccessivo di latte raggiunge lo stomaco all’improvviso, come quando beviamo il latte invece di sorseggiarlo, allora nello stomaco, anziché dei fiocchi, si formerà un blocco voluminoso di latte cagliato, che raggiungerà l’intestino senza essere stato del tutto digerito, e andando incontro, è inevitabile, a fenomeni di putrefazione e fermentazione.


Questo meccanismo è alla base di tutti i disordini digestivi che vedono il latte come principale imputato. È verosimile che gran parte delle cosiddette “intolleranze” al latte siano in realtà dovute a questo errore di assunzione, che ne comporta la mancata digestione.

Ma non è tutto:


Se l’errata assunzione del latte prosegue per troppo tempo (come per il bambino che beve troppi biberon pieni di latte in troppo poco tempo), lo stomaco finisce per diminuire la sua produzione di rennina fino a sospenderla del tutto. Questo è l’inizio della vera intolleranza, ossia dell’irreversibile incapacità di digerire la caseina del latte, che si innesca per un errore di assunzione durato troppo a lungo, oltre le capacità di tolleranza dello stomaco. Si vede bene l’origine epigenetica di questo meccanismo: uno stimolo disfunzionale come l’ingestione eccessiva di latte, che ne impedisce la digestione, fa sì che l’organismo smetta di produrre la rennina, ossia la proteina che lo digerisce.


Come sappiamo, il latte contiene anche carboidrati oltre alle proteine. Il carboidrato (zucchero) principale del latte è il lattosio, digerito dall’enzima lattasi, prodotto dalla mucosa intestinale. Una forma di intolleranza al latte è relativa all’incapacità di secrezione di questa lattasi. La sua carenza può sì essere di tipo genetico, tuttavia è noto che se l’individuo riduce il consumo regolare di latte, si riduce anche la produzione di questo enzima. In ciò consiste, principalmente, la cosiddetta intolleranza al lattosio.


In definitiva, dunque, il principale nemico della nostra digestione non è tanto il latte, quanto la fretta. Detto questo, dobbiamo evitare in ogni caso di accelerare i tempi del pasto dei nostri bambini, accettando la loro naturale lentezza. Così è anche più facile capire perché la natura offra ai cuccioli il piacere della suzione dal seno materno, e perché ogni cucciolo abbia il suo latte, fornito espresso in quantità e composizione adatte alle capacità digestive della propria specie. Siamo esseri umani e non vitelli, e non possiamo pensare che la generosa opulenza di mamma mucca si produca avendo in mente noi come destinatari prescelti (se potesse scegliere, è facile supporre che mamma mucca preferirebbe donare il suo sforzo produttivo al nutrimento dei suoi piccoli!). Pertanto, se si sceglie il latte vaccino come alimento per noi e i nostri figli già cresciutelli, non si può pensare di nutrirsene come se avessimo lo stomaco di un vitello, bensì prestando la dovuta attenzione alle nostre capacità digestive.


Fino ai sei mesi di vita, e a volte anche oltre (dipende dal bambino e dai segnali che invia per mostrare che è pronto a iniziare l’assaggio di qualche cibo solido), i bambini non hanno un sistema digerente maturo a sufficienza, e l’unico alimento che sono in grado di digerire e assimilare in modo corretto è il latte materno. È buona regola evitare comunque l’uso del latte vaccino per tutto il primo anno di età, altrimenti si rischia di sensibilizzare precocemente l’intestino e il sistema immunitario, causando allergie e intolleranze.


La natura fornisce al sistema neuromuscolare i giusti parametri e ritmi del movimento fisiologico; con l’allattamento al seno allena a dovere la postura e la tenacia dei motori muscolari dello sviluppo del bambino, che sono le labbra e la lingua; e, soprattutto, fa in modo che il latte, contenente tutto ciò che serve a una crescita bilanciata, non possa uscire in quantità eccessiva e incontrollata, attraverso ugelli strettissimi che secernono il liquido solo se spremuti con energia.


Al bambino, dopo essersi coordinato, allenato e nutrito nel migliore dei modi, non resta che godersi un meritato riposino.

Alterazione metabolica, immunologica e posturale del tubo digerente

La precoce alterazione funzionale dello stomaco e dell’intestino del bambino, innescata da tutti i fattori appena discussi (allattamento materno insufficiente, assunzione inadeguata del latte vaccino, svezzamento precoce e frettoloso, sovralimentazione), producono l’inizio dei turbamenti morfologici dell’addome, il cambiamento dei rapporti di posizione fra sistema digerente e sistema respiratorio, la modifica della tensione e il sollevamento del diaframma e, in buona parte, anche l’alterazione della postura generale dell’individuo, cioè la sua personale strategia neuromuscolare per mantenere la stazione eretta orientando la sua colonna vertebrale.


Le più comuni forme dell’addome sulla base delle difficoltà digestive:

  1. Addome normale.
  2. Addome scavato con componente infiammatoria.
  3. Addome da fermentazione.
  4. Addome da feci.
  5. Addome da feci con componente infiammatoria.
  6. Addome da fermentazione e putrefazione.
  7. Addome da fermentazione e putrefazione con componente infiammatoria. (tratto da Diagnostico y terapia segundo Dr. F.X. Mayr. Saude integral na otica do aparelho digestivo do Dr. Erich Rauch. Edicao brasileira por Dr. K. Th. Finkam Ofm y Dr. C. De Lima Barbosa)

Il giusto respiro
Il giusto respiro
Andrea Di Chiara
Proteggere i bambini da adenoidi ingrossate, allergie, infezioni respiratorie ricorrenti e altre patologie.Come alleviare i problemi di adenoidi ingrossate, allergie e infezioni respiratorie nei bambini e favorire una crescita naturale ed equilibrata. Siamo sicuri che problemi come allergie, adenoidi ingrossate, denti storti, raffreddori frequenti, asma, siano caratteristici di tutti i bambini? Studi epidemiologici dimostrano che questi problemi sono in netto aumento nei paesi occidentali e che lo stato di salute pediatrico è cambiato nel corso del tempo, passando dalle malattie acute infettive a quelle croniche, caratterizzate da risposte alterate del sistema immunitario; denominatore comune di tale fenomeno pare essere l’alterazione degli automatismi di respirazione e deglutizione nei bambini piccoli, indotta da uno stile di vita poco indicato e da ritmi artificiali. Respirare è una funzione vitale e la sua sede propria è il naso, ma ecco che, quando il respiro si fa corto, in modo naturale la bocca si apre e risponde alla situazione di emergenza. Respirare con la bocca è indice di un profondo disagio del bambino, il quale coinvolge le sfere psichica, neurologica, endocrina, digestiva e immunitaria. Il libro Il giusto respiro dell’odontoiatra Andrea Di Chiara vuole fare il punto della situazione, dando alcuni suggerimenti pratici alle famiglie per il trattamento domiciliare del bambino adenoideo allergico e, più in generale, per una crescita naturale ed equilibrata. Conosci l’autore Andrea Di Chiara è un odontoiatra, agopuntore, perfezionato in occlusione e postura in chiave chinesiologica ed esperto in strategie per la rieducazione respiratoria dei bambini adenoidei/allergici/respiratori orali.È promotore e Presidente dell’Associazione Italiana per la Prevenzione della Respirazione Orale (AIPRO), sul cui sito, www.aipro.info, sono disponibili informazioni rivolte agli insegnanti, ai consumatori, ai genitori, agli enti locali, ai medici. Si occupa da sempre della relazione tra la forma e la funzione negli organismi viventi.