CAPITOLO II

I viaggi di Weston Price

Gli organismi viventi, uomo compreso, si distinguono, come abbiamo appena visto, per l’innata capacità di adattarsi in modo dinamico agli stimoli provenienti dall’ambiente, di qualsiasi natura essi siano (fisici, chimici, alimentari, emotivi). E la capacità di adattamento può avere un esito felice, ossia fisiologico, o al contrario patologico, ossia gravato dal prezzo che l’organismo ha dovuto pagare per garantirsi in primo luogo la sopravvivenza.


Nelle nostre società contemporanee sembra ormai quasi impossibile sviluppare una corretta “oralità”; certo, chi manifesta problemi respiratori, dentali, occlusali, ha pur sempre adattato tutto il suo sistema corporeo agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, ed è proprio il processo di adattamento a provocare la comparsa delle disfunzioni.


Il fatto che nel mondo occidentale moderno esista la figura del dentista, del tutto sconosciuta presso le popolazioni tradizionali da noi impropriamente definite “primitive”1, indica che presso le popolazioni moderne esiste un’altissima percentuale di individui affetti da disordini neuromotori dei muscoli che circondano i denti, disordini che le popolazioni primitive non avevano e non hanno.

L’allattamento materno molto inferiore ai due anni, la sostituzione precoce del seno materno con surrogati il cui effetto neuromotorio è deviante (ciucci e biberon), e lo svezzamento precoce con cibi artificiali e di consistenza molle, sono senz’altro i tre fattori principali che impediscono e distorcono la corretta maturazione neuromotoria dei muscoli facciali, nonché di tutto il corpo.

Fino all’età della deambulazione, infatti, l’unico distretto muscolare veramente potente in un bambino è quello della bocca, e se questo non funziona, i successivi processi di maturazione subiranno, nella migliore delle ipotesi, almeno dei ritardi.

Esistono però anche molti altri stimoli a cui l’attuale stile di vita sottopone i nostri bambini, e che sono responsabili in larga parte delle disfunzioni che affliggono il sistema respiratorio e più in generale i sistemi adattativi di base (psicologico, neurologico e immunitario).


Ci riferiamo agli stress emotivi con cui convivono gli adulti e soprattutto le madri durante la gravidanza; all’utilizzo di farmaci di sintesi, nonché di alcol e fumo prima e durante la gestazione; all’uso abituale di farmaci come antibiotici e vaccini sin dal primo anno di vita, in un momento molto delicato nella formazione del sistema immunitario, ancora fragile e immaturo; alla vicinanza continua a campi elettromagnetici artificiali (elettrodomestici, computer, telefonini, Wi-fi, elettrodotti ecc.) sin dal concepimento; all’assenza prolungata e abituale dei genitori, che lavorano fuori casa, e al conseguente scarso contatto epidermico tra essi e i loro figli, il che spinge l’io del bambino a sentirsi fragile e inadeguato; alla riduzione eccessiva o addirittura all’assenza di contatto con gli stimoli fisici naturali (raggi solari, vento, terra ecc.), sia perché i bambini vengono vestiti troppo e con indumenti sintetici, sia perché nelle grandi città scarseggiano prati dove giocare e aria pulita da respirare, sia perché le mamme hanno il timore che i bimbi si raffreddino o si sporchino. Senza parlare della scarsità di movimento fisico e dell’alterazione delle qualità vitali dell’aria e dell’acqua, soprattutto nelle grandi città.


Le disfunzioni dell’apparato digerente e di quello respiratorio sono le prime a manifestarsi; la disfunzione respiratoria, in particolare, alterando la dinamica posturale della muscolatura della testa e del collo, modella le ossa del cranio e della colonna vertebrale, e, tramite le catene muscolari, arriva a determinare addirittura la postura dei piedi.


In questo capitolo e nel successivo racconteremo due storie che documentano e testimoniano in modo esemplare l’importanza di uno stimolo ambientale: l’alimentazione nello sviluppo del singolo individuo e dei suoi discendenti.


Vedremo la diversa epidemiologia (ossia la manifestazione all’interno di una popolazione) di carie e malocclusioni fra popolazioni moderne, che si nutrono di alimenti raffinati, e popolazioni al di fuori del commercio internazionale, che consumano alimenti naturali preparati secondo la tradizione.


Autore di queste osservazioni cliniche e antropologiche fu Weston A. Price, medico dentista e ricercatore nell’ambito delle patologie dentali, attivo nella prima metà del Novecento. Egli si occupò principalmente di studiare la correlazione fra le malattie dentali e le deficienze alimentari, in particolare le carenze minerali e vitaminiche, argomento che suscitava vivo interesse fra i ricercatori prima dell’ultima guerra mondiale. Leggere le osservazioni e le ricerche di Price ci consente di sapere come saremmo se non vivessimo in condizioni artificiali. È importante cogliere l’opportunità di verificare come l’inurbamento e la tecnologizzazione della vita non siano l’unica possibilità, che non è sempre stato così, e che forse le nostre scelte di vita ci privano anche di alcuni vantaggi molto importanti, potremmo dire vitali, sia in termini di qualità della vita, sia in termini di consapevolezza personale e sociale.


Sebbene, a prima vista, le malattie dentali non sembrino correlate alle allergie e alla respirazione orale, esse sono tuttavia un esempio di malattia cronica degenerativa propria di una società moderna. Le maloccusioni attuali, in particolare, sono da considerarsi una manifestazione accessoria della sindrome da disadattamento neurologico, endocrino e immunitario di cui fanno parte le allergie, in quanto prodotto della precoce alterazione posturale della muscolatura del viso e del collo, della respirazione e della deglutizione. Questa alterazione posturale è, infatti, sempre correlata alle conseguenze respiratorie della disfunzione linfatica e digerente che colpisce i bambini nelle società contemporanee.


Il lavoro di Price prende spunto da una considerazione in apparenza banale: non si può curare il malato se prima non è chiaro il concetto di stato di salute. Price tuttavia avverte che nel mondo a lui noto, gli Stati Uniti del primo dopoguerra, di individui con i denti sani ne esistono ben pochi. Anche il giovane ventenne privo di carie (caratteristica questa già poco comune nelle città di quei tempi) mostra nondimeno quei segni di disfunzione masticatoria propri di gran parte degli abitanti di una qualsiasi città europea e nordamericana.


Non trovando adeguati termini di controllo fra gli individui ormai malati della nostra società, si rese necessaria una ricerca altrove, nel grande laboratorio biologico della natura”, è così che Price riassume la sua presa di coscienza. Ebbero quindi inizio i viaggi in giro per il mondo, alla ricerca di popolazioni rimaste isolate nel corso dei secoli. L’iniziativa di Price era sostenuta e finanziata dall’Associazione dei Dentisti Americani, interessata a conoscere l’origine della carie e delle malocclusioni, attraverso lo studio delle popolazioni che ne erano immuni.


Price selezionò 14 gruppi etnici primitivi, e studiò i rapporti e le differenze nelle condizioni fisiche, nutrizionali e psichiche rispetto a individui appartenenti agli stessi gruppi etnici, ma che non vivevano più in modo tradizionale, essendo ormai venuti a contatto con le abitudini e i prodotti commerciali dell’“uomo bianco”. Ovviamente, il confronto più significativo avvenne fra gli individui delle popolazioni tradizionali e i nordamericani, che conosceva molto bene e che scelse come esempio di moderna popolazione urbanizzata di stampo occidentale.


I gruppi etnici prescelti non dovevano avere fra loro alcuna affinità genetica o culturale: a tal fine, incluse Indiani nordamericani, Polinesiani, Melanesiani, Africani, Aborigeni australiani, Maori neozelandesi, Micronesiani malesi, Peruviani discendenti direttamente dagli Inca, Indiani andini e Indios dell’Amazzonia. Fra gli europei studiò gli Svizzeri di una valle racchiusa fra le Alpi, e gli abitanti delle Isole Ebridi, al largo delle coste scozzesi. Oltre a ciò, Price effettuò esperimenti dietologici su animali e studiò la composizione chimica degli alimenti “primitivi” (ossia tradizionali) e di quelli moderni occidentali.

I primitivi e l’uomo bianco

In tutti i gruppi etnici studiati, che seguivano il regime dietetico naturale tramandato di generazione in generazione, Price riscontrò condizioni dentali, fisiche e psicoemotive ideali.


A queste si contrapponeva la situazione, in rapida degenerazione, degli individui dello stesso gruppo etnico, ma venuti a contatto con Europei o Nordamericani, e quindi con il loro stile di vita e i cibi raffinati.


I figli dei primitivi modernizzati che adottavano la dieta dei bianchi andavano incontro ad alterazioni della forma e della funzionalità del cranio, comuni fra le popolazioni occidentali civilizzate, come deformazioni delle ossa facciali e delle arcate dentarie, respirazione orale, carie, malattie gengivali ecc. (insomma tutti quei problemi per i quali gli occidentali continuano a rivolgersi al dentista, senza domandarsi il perché).


Ecco la percentuale di carie fra i primitivi e i loro omologhi modernizzati, come documentato da Price:

 

% Primitivi

% Modernizzati

Svizzeri

4,6

29,8

Gaelici

1,2

30

Eschimesi

0,09

13

Indiani nordamericani

0,16

21,5

Indiani Seminole

4

40

Melanesiani

0,38

29

Polinesiani

0,32

21,9

Africani

0,2

6,8

Aborigeni australiani

0

70,9

Maori neozelandesi

0,01

55,3

Malesi

0,09

20,6

Peruviani del Pacifico

0,04

40

Indiani delle Ande

0

40

Indios dell’Amazzonia

0

40

Sulla base delle statistiche dell’epoca, negli Stati Uniti l’incidenza della carie interessava dal 40 al 98% della popolazione.


Price osservò anche la morfologia e lo sviluppo facciale e masticatorio dei gruppi etnici primitivi, riscontrando sempre caratteristiche fisiche superiori a quelle delle popoli moderni. In particolare, soprattutto fra le popolazioni delle zone costiere che vivevano sempre a contatto con il sole e si cibavano soprattutto di prodotti ittici, le incidenze delle malocclusioni da sottosviluppo scheletrico erano pressoché sconosciute.


Viceversa quelle stesse popolazioni, così integre nel corpo e nella mente, sembravano perdere ogni immunità nei confronti di tante malattie, a loro sconosciute, nel momento in cui la dieta virava dai prodotti naturali, consumati secondo la tradizione, a quelli importati, in particolare i carboidrati raffinati come la farina e lo zucchero bianchi.

Ecco uno degli esempi più significativi riportati da Price:


Nel periodo in cui il prezzo della copra (polpa di cocco essiccata) salì improvvisamente da 40 a 400 dollari la tonnellata, i paesi occidentali iniziarono a effettuare scambi commerciali con alcune isole del Pacifico che producevano tale materia prima a buon mercato. Ciò durò per breve tempo, perché, nel giro di due anni, il prezzo alla tonnellata scese a circa 4 dollari. Fui personalmente informato da un armatore di questi mercantili che il 90% della merce di scambio fornita agli indigeni era costituito da farina e zucchero bianchi, e solo il 10 % da indumenti e altri prodotti. Nei porti ove attraccavano le navi erano scaricati anche scatolame, riso brillato, grassi vegetali ecc”.

Tutto ciò contribuì a un radicale mutamento nelle abitudini alimentari dei nativi.


I miei studi nelle remote isole del Pacifico vennero intrapresi pochi anni dopo l’interruzione di questi scambi commerciali. Essi rivelarono che i denti erotti di recente, in particolare i primi e i secondi molari, evidenziavano lesioni cariose che erano state attive in precedenza, la cui comparsa risaliva al periodo del cambio di dieta. Tali lesioni, pur essendo rimaste aperte e esposte alla saliva (poiché non c’erano dentisti che potessero fare le otturazioni), mostravano segni di arresto della progressione cariosa, come se si fosse ripristinata una sorta di immunità dopo il ritorno alla dieta tradizionale. I dati ottenuti da vari studi intrapresi indicano con forza che la presenza o l’assenza di un’immunità nei confronti della carie non dipende da un’alterazione della struttura dello smalto dei denti avvenuta durante la crescita dell’individuo. Tale immunità sembra, in modo chiaro, collegata allo stato nutrizionale dell’individuo nel periodo in cui è attiva la carie stessa”.

È interessante notare che tutti i gruppi etnici osservati consumavano cibi del tutto diversi fra loro per tipologia, provenienza e caratteristiche organolettiche, ma molto simili nel contenuto di vitamine e sali minerali. Price lo ha dimostrato studiando in laboratorio la composizione chimica di campioni di alimenti naturali comunemente consumati dai primitivi.


Da tali analisi chimiche Price individuò i princìpi attivi, comuni a tutti gli alimenti tradizionali, che sembravano conferire l’immunità alla carie delle diverse etnie e, somministrandoli ogni giorno a giovani pazienti nordamericani affetti da carie gravissime prossime alla polpa (quelle che di solito provocano il mal di denti), riusciva ad arrestarne la progressione fino a ottenere uno strato di dentina dura fortemente mineralizzata2.


D.M. Davies così riassume questo sorprendente fenomeno:


Quando un dente è affetto da una profonda lesione cariosa, la dentina decalcificata ha circa la stessa consistenza del legno marcio. Con un adeguato cambiamento nutrizionale, la carie di solito si arresterà, a condizione che si abbia un adeguato miglioramento nella qualità chimica della saliva, e a patto che questa abbia libero accesso alla cavità cariosa3.

Le ricerche epidemiologiche sulle malattie dentali


Tutti i ricercatori che hanno studiato gli effetti delle malocclusioni su gruppi etnici primitivi, concordano nell’affermare che la malocclusione costituisce uno dei fattori che contribuiscono all’insorgenza delle malattie gengivali e del sistema di ancoraggio del dente, insieme a una dieta in parte o del tutto priva di certi nutrienti. Più numerosi sono, invece, gli autori di ricerche epidemiologiche che affrontano il rapporto fra carie e alimentazione.


Nel 1937 Pedersen4 visitò per primo la Groenlandia orientale, le cui comunità eschimesi non erano state individuate prima del 1888. Nel suo studio su 13.308 denti appartenenti a crani eschimesi ritrovati in loco, ne trovò appena 68 affetti da carie.


Nel 1949, lo stesso Pedersen riportò il risultato di studi epidemiologici sulla carie condotti sempre sugli Eschimesi della Groenlandia: ad Angmagssalik ne era affetto l’8,6% della popolazione; in un avamposto della Groenlandia occidentale (quella da più tempo in contatto commerciale con i Paesi scandinavi) il 16,5%; a Julianehaab, la capitale, il 67,9% su 1.225 individui esaminati. Il ricercatore concluse che, quanto più i nativi si cibavano di alimenti raffinati, tanto più erano affetti da carie5.


Nel 1946 Henriksen6 condusse il primo rapporto sulle condizioni dentali degli abitanti dell’isola Tristan da Cuhna, nell’Atlantico, e le descrisse come eccellenti. Pochissimi erano affetti da carie o malattie parodontali. Poco tempo dopo, le navi iniziarono ad attraccare con maggiore frequenza, fu inaugurato un emporio di prodotti e viveri d’importazione per i nativi e fu costruita un’industria per la lavorazione e l’inscatolamento dei crostacei. Nel 1961 gli abitanti dovettero abbandonare l’isola a causa di un’eruzione vulcanica, e si stabilirono in Inghilterra.


Il rapporto di Black del 19637 rivelò che le condizioni dentali degli isolani ormai trasferitisi sul continente erano degenerate, e Hollingsworth, nel 19668, affermò che i loro denti erano ormai indistinguibili da quelli dell’inglese medio.


Afonsky, nel suo rapporto del 19519 sulle condizioni dentali delle popolazioni rurali cinesi, riscontrò appena il 2,46% di carie su 95.830 denti esaminati, e praticamente nessun segno di malattia gengivale. Queste popolazioni si cibavano in prevalenza di riso integrale, per cui i carboidrati non raffinati costituivano l’82% della loro dieta.


Un quadro esattamente opposto si ebbe delle popolazioni cinesi che vivevano nelle città, e che mostravano segni di carie e malattie gengivali nel 90% dei casi; si cibavano per lo più di riso raffinato (bianco). Laband fece analoghe osservazioni in Borneo nel 194110.

Le ricerche sulle patologie da carenze nutritive


Le importanti osservazioni epidemiologiche di Price non si limitano alla carie, ma abbracciano anche la sfera delle patologie dello sviluppo facciale da cui, a suo parere, hanno origine le malocclusioni.


Non ci vuole un occhio clinico per riconoscere che una vasta percentuale d’individui delle moderne società europea e nordamericana è affetta da alterazioni della forma del viso e delle arcate dentarie. I miei studi in molte parti degli Stati Uniti e dell’Europa hanno rivelato che una percentuale tra il 25 e il 75% della popolazione è affetta da difetti di questo tipo, e in alcune comunità è addirittura superiore. A tale situazione, si contrappone in modo prepotente quella emersa da uno studio effettuato su 27 tribù dell’Africa centrale e orientale: in 13 di queste non ho riscontrato il benché minimo segno di alterazione morfologica delle ossa facciali e delle arcate dentarie. Allo stesso modo, in uno studio condotto su antiche tombe inca lungo le coste peruviane, neppure un solo cranio dei 1.276 esaminati ha rivelato segni delle suddette patologie… ho visitato a Roma il professor Sergio Sergi e ho avuto modo di studiare la sua eccezionale collezione di crani nel 1935. Mentre solo 4 dei 4.000 crani appartenenti all’era precristiana, ritrovati in Italia e nelle isole limitrofe, mostravano serie malformazioni, circa il 40% di quelli appartenenti a individui deceduti negli ultimi 50 anni evidenziavano vistose imperfezioni… tutte le comunità modernizzate osservate hanno mostrato una notevole percentuale di deformazioni delle ossa craniche.

Tali cambiamenti morfologici avvengono nel giro di una sola generazione (ossia si manifestano già nei primi nati di genitori sani che si siano cibati di alimenti raffinati), così come osservato in tutti i gruppi etnici esaminati che consumano una dieta di transizione fra quella tradizionale e quella modernizzata
”.11

Ipotesi sull’origine delle alterazioni morfologichedel cranio e delle arcate dentali

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto i ricercatori statunitensi si erano preoccupati di studiare l’origine delle alterazioni morfologiche del viso, nonché delle malocclusioni12. Il grande afflusso migratorio proveniente da tutti i Paesi del mondo, e il gran numero di matrimoni misti che ne seguì, indussero l’ipotesi che tali difetti potessero essere la conseguenza della commistione di razze che aveva avuto luogo in quegli anni; fra le ipotesi più accreditate vi era quella secondo cui gli individui affetti da affollamento dentale avrebbero ereditato da uno dei genitori una base ossea insufficiente a contenere denti troppo grandi, ereditati dall’altro genitore. Nessuno fece caso al fatto che la frequenza di queste alterazioni era aumentata dopo l’inizio della Rivoluzione Industriale, proprio a ridosso dell’introduzione sul mercato americano di alimenti trattati con conservanti, coloranti, additivi di vario genere, nonché di farina e zucchero bianchi e loro derivati.


Price dimostrò che il difetto morfologico non era causato da tare ereditarie o dalla mescolanza di razze; egli osservò infatti questi medesimi difetti nei gruppi etnici puri che iniziavano a nutrirsi dei cibi raffinati introdotti dagli occidentali.


Le ricerche originali, i numerosi articoli e volumi pubblicati da Weston A. Price sono ancora oggi diffusi dalla Price-Pottenger Nutrition Foundation.

Il giusto respiro
Il giusto respiro
Andrea Di Chiara
Proteggere i bambini da adenoidi ingrossate, allergie, infezioni respiratorie ricorrenti e altre patologie.Come alleviare i problemi di adenoidi ingrossate, allergie e infezioni respiratorie nei bambini e favorire una crescita naturale ed equilibrata. Siamo sicuri che problemi come allergie, adenoidi ingrossate, denti storti, raffreddori frequenti, asma, siano caratteristici di tutti i bambini? Studi epidemiologici dimostrano che questi problemi sono in netto aumento nei paesi occidentali e che lo stato di salute pediatrico è cambiato nel corso del tempo, passando dalle malattie acute infettive a quelle croniche, caratterizzate da risposte alterate del sistema immunitario; denominatore comune di tale fenomeno pare essere l’alterazione degli automatismi di respirazione e deglutizione nei bambini piccoli, indotta da uno stile di vita poco indicato e da ritmi artificiali. Respirare è una funzione vitale e la sua sede propria è il naso, ma ecco che, quando il respiro si fa corto, in modo naturale la bocca si apre e risponde alla situazione di emergenza. Respirare con la bocca è indice di un profondo disagio del bambino, il quale coinvolge le sfere psichica, neurologica, endocrina, digestiva e immunitaria. Il libro Il giusto respiro dell’odontoiatra Andrea Di Chiara vuole fare il punto della situazione, dando alcuni suggerimenti pratici alle famiglie per il trattamento domiciliare del bambino adenoideo allergico e, più in generale, per una crescita naturale ed equilibrata. Conosci l’autore Andrea Di Chiara è un odontoiatra, agopuntore, perfezionato in occlusione e postura in chiave chinesiologica ed esperto in strategie per la rieducazione respiratoria dei bambini adenoidei/allergici/respiratori orali.È promotore e Presidente dell’Associazione Italiana per la Prevenzione della Respirazione Orale (AIPRO), sul cui sito, www.aipro.info, sono disponibili informazioni rivolte agli insegnanti, ai consumatori, ai genitori, agli enti locali, ai medici. Si occupa da sempre della relazione tra la forma e la funzione negli organismi viventi.