prima parte

il fenomeno dell'orientamento ai coetanei

capitolo iI

Attaccamento sviato
e sovvertimento degli istinti

I genitori di Cynthia, una ragazza di quattordici anni, si sentivano turbati e confusi: per ragioni a loro incomprensibili, nell’ultimo anno il comportamento della figlia era mutato. Sgarbata, taciturna e a volte persino ostile, era cupa e imbronciata con i genitori, mentre appariva incantevole e allegra quando era con gli amici. Aveva una preoccupazione ossessiva per la propria privacy e insisteva nell’affermare che i genitori non dovessero occuparsi della sua vita. Per il padre e la madre era ormai molto difficile parlarle senza sentirsi invadenti e quella figlia, che era stata tanto affettuosa, ora sembrava infastidita dalla loro presenza. Cynthia non apprezzava più i pasti in famiglia e trovava ogni scusa per alzarsi da tavola; era ormai impossibile riuscire a sostenere una conversazione con lei. Gli unici momenti in cui la madre poteva condividere una qualche attività insieme alla figlia erano quando le proponeva di uscire a comprare vestiti; la ragazza che credevano di conoscere si era trasformata in un enigma.


Agli occhi del padre, il nuovo e preoccupante atteggiamento di Cynthia era una mera questione di comportamento: egli desiderava avere consigli su come rimetterla in riga, giacché i metodi abituali per ristabilire la disciplina – sanzioni, uscite negate, confinamenti nella propria stanza – non solo non avevano ottenuto risultati, ma avevano aggravato la situazione. Da parte sua, la madre si sentiva sfruttata e persino maltrattata dalla figlia: le era ormai impossibile comprenderne i comportamenti. Si trattava di una normale ribellione adolescenziale? Ne erano forse responsabili gli ormoni? Bisognava preoccuparsi? Come dovevano reagire?


La causa del comportamento sconcertante di Cynthia diventa però evidente non appena si pensi a una situazione analoga fra adulti; immaginate di vedere un cambiamento improvviso nella persona che amate: non vi guarda più negli occhi, rifiuta il contatto fisico, vi parla a monosillabi e con voce irritata, sfugge ai vostri approcci ed evita la vostra compagnia. Poi immaginate di rivolgervi agli amici per avere un consiglio, e che loro vi dicano: “Hai provato a metterla/o in castigo? Hai imposto dei limiti ed espresso chiaramente ciò che ti aspetti?”; sarebbe chiaro a tutti che, nell’ambito di un rapporto fra adulti, non si tratta di un problema di comportamento, bensì di un problema di relazione. E forse il primo dubbio che vi verrebbe in mente sarebbe che il vostro partner avesse una nuova relazione amorosa.


Ciò che diventa subito evidente nel mondo degli adulti si fa invece molto confuso quando si tratta dei propri figli. Cynthia era presa interamente dai coetanei; la sua ricerca esclusiva di un contatto con essi entrava in concorrenza con l’attaccamento alla famiglia: era come se avesse una nuova relazione amorosa.


L’analogia con una relazione amorosa è calzante sotto vari aspetti, non ultimo il sentimento di frustrazione, dolore, rifiuto e tradimento percepito dai genitori di Cynthia. Gli esseri umani possono sviluppare molti attaccamenti – al lavoro, alla famiglia, agli amici, a una squadra sportiva, a un’icona della cultura, alla religione – ma non possono gestire attaccamenti contrastanti. Nel caso del matrimonio, quando un attaccamento – di qualsiasi natura – interferisce con la vicinanza e l’intimità fra i coniugi, minacciandone l’unione, sarà vissuto con le caratteristiche emotive e affettive tipiche di una nuova relazione amorosa. Il marito che evitasse la moglie e ossessivamente trascorresse le sue ore su internet, evocherebbe in lei sentimenti di abbandono e gelosia. Nella nostra cultura, le relazioni con i coetanei competono con l’attaccamento dei bambini agli adulti. Innocentemente, ma con effetti devastanti, i più giovani sono coinvolti in relazioni amorose d’attaccamento gli uni con gli altri.

Essere consapevoli dell'attaccamento

Cos’è l’attaccamento? Detto in poche parole, è una forza di attrazione che spinge due corpi l’uno verso l’altro. Che si manifesti in forma fisica, elettrica o chimica, si tratta della forza più potente dell’universo. La diamo per scontata ogni giorno della nostra vita: ci mantiene saldi a terra e conserva unito il nostro corpo; tiene insieme le particelle dell’atomo e induce i pianeti a orbitare attorno al sole. Dà forma all’universo.


Nella sfera psichica l’attaccamento è al cuore delle relazioni e del funzionamento sociale. In quella umana, l’attaccamento è ricerca e conservazione di prossimità, vicinanza, legame, sia dal punto di vista fisico, sia da quello comportamentale, emozionale e psicologico. Così come accade nel mondo materiale, esso è invisibile e tuttavia essenziale per la nostra esistenza; senza di esso, una famiglia non sarebbe una famiglia, e quando ne ignoriamo le leggi inesorabili, siamo già in cerca di guai.


Siamo creature d’attaccamento, che ne siamo consapevoli o no. Idealmente non dovremmo avere coscienza alcuna dell’attaccamento, ma darne, invece, per scontata la forza: come la gravità che tiene i nostri piedi ancorati alla terra; come i pianeti che ruotano nelle rispettive orbite; o come gli aghi delle bussole che puntano verso il polo nord magnetico. Non è necessario comprendere l’attaccamento o anche solo conoscerne l’esistenza per trarre beneficio dal suo possente lavoro, proprio come non è necessario sapere come funziona un computer per utilizzarlo o essere esperti meccanici per guidare un’auto. Solo quando qualcosa si guasta è necessario conoscerne i meccanismi di funzionamento. L’attaccamento è ciò che, più di ogni altra cosa, orchestra gli istinti di genitori e figli; finché l’attaccamento è all’opera, possiamo permetterci di seguire semplicemente i nostri istinti, in modo automatico e senza pensare. Ma quando l’attaccamento non funziona, non lo faranno neppure i nostri istinti. Per buona sorte noi esseri umani siamo in grado di compensare lo sviamento degli istinti aumentando la consapevolezza di ciò che è andato per il verso sbagliato.


Perché oggi dobbiamo essere consapevoli dell’attaccamento? Perché viviamo in un mondo in cui non è più possibile darne per scontato il funzionamento. Gli aspetti economici e culturali della società odierna non offrono più il contesto appropriato per la fioritura del naturale attaccamento dei bambini agli adulti che se ne prendono cura. Dal punto di vista dell’attaccamento, potremmo dire senza tema di sbagliare che le nostre società vivono una realtà storica senza precedenti – e nel prossimo capitolo analizzeremo i modi in cui le basi sociali, economiche e culturali di un sano attaccamento genitori-figli sono state corrose. Per ritrovare la strada perduta verso quella genitorialità naturale, necessaria al sano sviluppo dei figli, dobbiamo essere pienamente consapevoli delle dinamiche dell’attaccamento. In un mondo dove cresce la turbolenza culturale, la consapevolezza dei meccanismi di attaccamento è probabilmente la conoscenza più importante che un genitore possa avere. Ma non è sufficiente comprendere dall’esterno cosa sia l’attaccamento: dobbiamo conoscerlo dall’interno. I due modi della conoscenza – il sapere razionale e l’intimo sentire – devono procedere di pari passo: l’attaccamento dobbiamo sentircelo nelle ossa.


Al cuore del nostro essere, è lì che troviamo l’attaccamento; ma proprio per questa sua natura, esso è rimosso dalla sfera cosciente. Da questo punto di vista, è calzante l’analogia con il cervello: più si va in profondità, meno consapevolezza si trova. Ci piace pensare a noi stessi come a creature d’intelletto: Homo Sapiens abbiamo chiamato la nostra specie, “uomo che sa”, e tuttavia, la parte pensante del nostro cervello è solo un sottile strato, mentre la gran parte dei circuiti cerebrali è dedicata alle dinamiche psicologiche utili all’attaccamento. Questo apparato, cui giustamente è stato assegnato il nome di “cervello dell’attaccamento”, è il luogo dove risiedono le nostre emozioni inconsce e gli istinti. Noi esseri umani condividiamo questa parte del nostro cervello con molte altre creature, ma siamo i soli a poter diventare consci del processo di attaccamento.


Nella vita psicologica dei giovani esseri umani in crescita – e, a dire il vero, anche in quella di molti adulti – l’attaccamento è ciò che conta sopra ogni altra cosa. Per i bambini è un bisogno assoluto; incapaci di funzionare per loro conto, devono necessariamente creare un attaccamento con un adulto. L’attaccamento fisico nel grembo materno è necessario per dare alla prole quella vitalità che le consentirà di nascere; in modo simile i nostri bambini hanno bisogno di noi emotivamente, finché non saranno in grado di reggersi sulle proprie gambe, capaci di badare a sé e di stabilire la direzione verso cui procedere.

Attaccamento e orientamento

Strettamente legato all’istinto di orientamento introdotto nel capitolo precedente, l’attaccamento è cruciale per la cura dei bambini, l’educazione e la trasmissione della cultura. E come l’attaccamento, anche l’istinto di orientamento è connaturato al nostro essere, anche se raramente ne siamo consapevoli. Nella sua forma fisica più tangibile, esso implica la capacità di collocarsi nello spazio e nel tempo; un’eventuale difficoltà nel farlo ci rende ansiosi. Se al risveglio non siamo sicuri di dove ci troviamo, o se abbiamo il dubbio di stare ancora sognando, la ricollocazione nello spazio e nel tempo ha la precedenza su tutto il resto. Se ci perdiamo durante un’escursione nei boschi, non ci fermeremo certo ad ammirare la flora e la fauna, né a riflettere e giudicare i nostri obiettivi nella vita, e neppure penseremo alla cena. Ritrovare l’orientamento assorbirà tutta la nostra attenzione e consumerà la maggior parte delle nostre energie.


I nostri bisogni di orientamento non sono però soltanto fisici; nello sviluppo umano quelli psicologici sono altrettanto importanti. Durante la crescita, i bambini hanno un bisogno crescente di orientarsi: di possedere un senso del sé, di chi sono e di cosa è reale, cosa è giusto, perché le cose accadono e qual è il loro significato. Chi non riesce a orientarsi soffre di un disorientamento, è perduto – e questo è uno stato psicologico che il cervello è programmato per evitare quasi a qualunque costo. I bambini sono assolutamente incapaci di orientare se stessi; hanno bisogno di essere aiutati.


L’attaccamento fornisce l’aiuto necessario; il suo primo compito, infatti, è proprio quello di far sì che la persona verso cui esso si sviluppa diventi una vera e propria bussola di riferimento. Fintantoché il bambino potrà ritrovare se stesso in riferimento alla sua bussola, non si sentirà perduto; gli istinti che si attivano in lui lo spingono, perciò, a restare sempre accanto ad essa. L’attaccamento consente al bambino di farsi dare un passaggio dagli adulti che, almeno nella sua mente, sono ritenuti più capaci di orientare se stessi e ritrovare sempre la strada.


Ciò che i bambini temono più di ogni altra cosa, compreso il male fisico, è proprio di smarrirsi. Per loro, perdersi significa non essere più in contatto con la propria bussola, e i vuoti di orientamento, quelle situazioni in cui non si riesce a trovare nulla o nessuno verso cui orientarsi, sono assolutamente intollerabili per la mente umana. Persino gli adulti, che sono relativamente capaci di auto-orientarsi, si sentono un po’ smarriti quando non sono in contatto con le persone che nella loro vita fungono da bussole e punti di riferimento.


Se gli adulti stessi vivono una sensazione di disorientamento quando sono lontani da coloro cui li lega un forte attaccamento, figuriamoci lo smarrimento dei bambini! Ricordo ancora la sensazione di sconforto che provavo quando la signora Ackerberg, la mia maestra in prima elementare a cui ero molto affezionato, era assente: mi sentivo abbandonato come un’anima in pena, alla deriva, senza meta.


Un genitore è di gran lunga la bussola migliore per un figlio – o, in sostituzione, un altro adulto che ne faccia le veci, come nel caso di un insegnante. Scegliere chi farà da bussola è funzione specifica dell’attaccamento, ma quest’ultimo, come ben sappiamo, può essere volubile: la funzione di orientamento, che è di importanza cruciale, può essere affidata a qualcuno che si rivelerà assolutamente inadatto al compito – per esempio un coetaneo. Quando un bambino diventa così attaccato ai propri compagni da non desiderare altro se non essere come loro e stare insieme a loro, quei compagni, singolarmente o in gruppo, diventeranno per lui la bussola cui far riferimento, e saranno loro quelli con cui cercherà un’intima vicinanza. Il bambino guarderà ai coetanei per trarre ispirazione sul modo di comportarsi, per sapere cosa indossare, quale aspetto avere, cosa dire e cosa fare. I coetanei saranno arbitri su ciò che è bene, su ciò che conta e ciò che accade, e persino su come autodefinirsi. Questo è esattamente quello che è successo a Cynthia: nel suo universo emozionale, i compagni avevano preso il posto dei genitori come centro di gravitazione e lei ruotava attorno a loro in un completo sovvertimento dell’ordine naturale delle cose.


Solo di recente gli schemi psicologici dell’attaccamento sono stati ben compresi e descritti, e ciò che appare con assoluta certezza è che la natura ha previsto che i bambini ruotassero attorno ai genitori e agli altri adulti responsabili, proprio come i pianeti ruotano attorno al sole. Eppure, oggi, sono sempre di più i bambini che orbitano gli uni attorno agli altri.


Ben lontani dall’essere idonei all’orientamento di chiunque, i più giovani non sono neppure in grado di orientare se stessi, in nessuno dei sensi in cui può essere intesa praticamente questa parola. I coetanei dei nostri figli non sono certo le persone da cui li vorremmo far dipendere. Non potranno mai dar loro il senso del loro stesso essere, non saranno in grado di aiutarli a discernere il bene dal male, a distinguere la realtà dalla fantasia, a capire cosa può funzionare e cosa no, a guidarli nella direzione verso cui andare e a indicare loro il modo in cui arrivarci.


Ma quale vantaggio traggono dall’orientarsi reciproco? Immaginiamo, ancora una volta, di trovarci noi in una landa selvaggia, lungo un sentiero oscuro, sconosciuto e malagevole; se fossimo soli potremmo sentirci molto spaventati o addirittura essere presi dal panico; se condotti da una guida che mostrasse di sapere dove sta andando, o quantomeno se questo è ciò che credessimo, potremmo invece proseguire fiduciosi. Nulla farebbe scattare l’allarme a meno che, certo, la nostra guida non tradisse la sua stessa ansia.


Allo stesso modo, utilizzandosi reciprocamente come bussola, i bambini si difendono dall’incubo angoscioso del vuoto di orientamento. A livello cosciente ciò impedisce loro di sentirsi persi, confusi e turbati, e i bambini orientati ai coetanei sono straordinariamente sprovvisti di questo genere di sentimenti. E questa è l’ironia: sono come un cieco che guida un altro cieco, come un branco di pesci che gira in tondo, però si sentono bene. Sembra che non conti il fatto di avere una bussola inadeguata, incoerente e su cui è impossibile fare affidamento; questi bambini sono davvero sperduti e disorientati, ma senza esserne coscienti.


I bambini che hanno sostituito gli adulti con i coetanei si accontentano di stare in compagnia gli uni degli altri, anche se sono completamente smarriti. Non accettano i consigli degli adulti e non si rivolgono a loro per farsi guidare. La loro apparente sicurezza che tutto proceda bene ci lascia frustrati perché vediamo chiaramente che vanno verso la direzione sbagliata o addirittura non vanno in direzione alcuna.


Molti genitori hanno provato quanto sia irritante tentare di richiamare alla realtà un adolescente il cui mondo magari è stravolto, ma che con risoluta sconsideratezza insiste nel sostenere che non c’è nulla fuori posto.


A prima vista si potrebbe argomentare che il loro attaccamento ai coetanei in realtà svolge bene il suo compito poiché impedisce loro di sentirsi sperduti e confusi; in realtà, non li salva affatto dall’essere smarriti, ma solo dal sentirsi tali.

Le sei modalità dell'attaccamento

Se vogliamo aver cura dei nostri figli con successo, o se vogliamo orientarli nuovamente verso di noi dopo che sono stati sedotti dalla cultura dei coetanei, è necessario fare i conti con l’attaccamento. L’analisi che seguirà intende aiutare i genitori a raggiungere una conoscenza attiva di questa dinamica tanto cruciale. “Se non comprendi il tuo bambino”, ha detto una madre intervistata per questo libro, “non riesci a sopportarlo”. Comprendere l’attaccamento è il fattore più importante per penetrare a fondo nella comprensione dei bambini e anche per riuscire a identificare i campanelli d’allarme quando un bambino si sta orientando verso i coetanei.


Possiamo individuare sei modalità di attaccamento, ognuna delle quali fornirà indicazioni preziose sul comportamento dei nostri figli, e spesso anche sul nostro stesso comportamento. Sei modalità che vanno dalla più semplice alla più complessa, riflettendo sul fatto che i bambini orientati ai coetanei tendono ad impiegare solo le modalità più semplici e basilari quando sviluppano attaccamento reciproco.

I sensi

La vicinanza fisica è lo scopo della prima modalità di attaccamento. Il bambino ha bisogno di percepire fisicamente la persona cui è attaccato, che sia attraverso l’odore, la vista, l’udito o il tatto; e farà tutto ciò che è nelle sue possibilità per non perdere il contatto con quella persona. Se la vicinanza fisica è minacciata o interrotta darà segni di agitazione, paura e protesterà con forza.


Sebbene abbia inizio durante la prima infanzia, il bisogno ardente di contatto fisico non svanisce mai, e più la persona è immatura più sentirà il desiderio di affidarsi a questa modalità di base dell’attaccamento. I ragazzi orientati ai compagni, come Cynthia, si preoccupano di stare insieme, di occupare lo stesso spazio, di frequentare insieme gli stessi posti, di restare in contatto. Quando l’attaccamento si esprime in modo così primitivo, il linguaggio diventa vago e senza senso: “Io e i miei amici parliamo per ore senza dire nulla”, dice Peter, quindici anni. “È tutto un ‘che si dice?’ e ‘come butta?’ e ‘hai del fumo?’ e ‘dove si va?’ e ‘dove stanno questo e quello?’”. Qui il linguaggio non svolge una funzione di comunicazione, ma è solo un rituale di attaccamento con il semplice scopo di stabilire un contatto uditivo. I ragazzi orientati ai coetanei non hanno idea di cosa li spinga tanto intensamente; a loro sembra assolutamente naturale e persino urgente voler sempre esser vicini gli uni agli altri. Seguono semplicemente i loro istinti sviati.


La somiglianza

La seconda modalità di attaccamento di solito è ben evidente nei bambini fra uno e tre anni d’età: cercano di essere come coloro a cui si sentono più vicini, tentano di assumere le stesse espressioni e la stessa forma d’esistenza attraverso l’imitazione e l’emulazione. È una forma di attaccamento che si manifesta eminentemente nell’apprendimento del linguaggio e nella trasmissione della cultura; si è notato che a partire dalla Seconda Guerra Mondiale il vocabolario del bambino medio è significativamente diminuito. Perché? Perché ora i bambini acquisiscono il linguaggio gli uni dagli altri: coloro che sono orientati ai coetanei prendono a modello il parlare e il camminare l’uno dell’altro, i gesti e i gusti, il comportamento e l’aspetto.


Un altro mezzo di attaccamento attraverso la somiglianza è l’identificazione. Identificarsi con qualcuno o qualcosa è essere una cosa sola con quella persona o quella cosa. Il senso del proprio sé si confonde con l’oggetto della propria identificazione. Potrebbe trattarsi di un genitore, di un eroe, di un gruppo, di un ruolo, di un Paese, di una squadra sportiva, di una rock star, di un’idea o persino del proprio lavoro. Il nazionalismo e il razzismo estremi si fondano sull’identificazione del senso del proprio essere con il Paese o il gruppo etnico di appartenenza.


Più un bambino o una persona sono dipendenti, più intense è probabile che siano tali identificazioni. Nella nostra società, i coetanei – o le icone popolari del mondo dei giovani – sono diventati il nucleo identificativo al posto dei genitori o delle figure storiche e culturali di rilievo.


L’appartenenza e la lealtà

La terza modalità di attaccamento fa anch’essa il suo debutto nei primi anni di vita, sempre che tutto proceda come previsto. Essere vicini a qualcuno vuol dire considerare quella persona come propria; il bambino di due o tre anni reclamerà il possesso di qualsiasi cosa o persona alla quale è legato – che sia mamma, papà, l’orsacchiotto o la sorellina più piccola. In modo simile i bambini orientati ai coetanei cercano gelosamente il possesso gli uni degli altri e si proteggono dalla perdita: i conflitti causati dalla possessività possono diventare intensi e feroci. Per molti adolescenti diventa una questione di vita o di morte stabilire chi è il miglior amico di chi. Questa modalità immatura dell’attaccamento predomina su gran parte delle interazioni fra i bambini orientati ai coetanei, soprattutto fra le ragazze.


L’appartenenza è seguita a ruota dalla lealtà: l’essere fedeli e obbedienti alla figura prescelta del proprio attaccamento. I bambini orientati ai coetanei non fanno altro che seguire i loro naturali istinti di attaccamento quando mantengono i propri segreti a vicenda, prendono le parti gli uni degli altri, e fanno quello che dice l’altro. La lealtà può essere molto forte, ma è una semplice conseguenza dell’attaccamento; se l’attaccamento cambia, cambierà anche il senso di appartenenza e di lealtà.


I ragazzi fortemente orientati ai compagni sono notoriamente leali gli uni con gli altri e con il gruppo. La morte di Reena Virk, un’adolescente di Victoria, nella British Columbia, uccisa dai suoi coetanei, era nota a molti dei suoi compagni ma non ne fu fatta parola con nessun adulto per diversi giorni – un episodio divenuto tristemente famoso a livello internazionale.


Il valore

La quarta modalità con cui si persegue vicinanza e connessione è quella per cui si cerca di avere valore, ossia di sentirsi importanti per qualcuno. È nella natura umana il tener stretto ciò a cui si dà valore. Essere cari a qualcuno vuol dire assicurarsi vicinanza e connessione. Il bambino piccolo cerca ardentemente di essere benvoluto e di suscitare approvazione, ed è sensibilissimo agli sguardi di biasimo e disapprovazione; vive per l’espressione sorridente nel volto di coloro a cui è legato. I bambini orientati ai coetanei fanno la stessa cosa, ma il volto che vogliono illuminare è quello dei loro coetanei. Coloro che definiscono “simpatici” sono di solito quelli a cui piacciono e che li approvano, anche se questi “simpatici” sono poi “antipatici” con altri compagni.


Il problema con questa modalità di attaccamento è che rende il bambino vulnerabile, esposto alla possibilità di essere ferito. Desiderare di avere valore per qualcuno vuol dire soffrire quando sentiamo di non essere importanti per quella particolare persona. Cercare il favore di qualcuno conduce a sentimenti di dolore se ci sono segnali di disapprovazione. Un bambino sensibile può essere facilmente annientato se gli occhi che scruta per scorgere segni di calore e piacere non si illuminano alla sua presenza, siano questi gli occhi di un genitore o quelli di un compagno. La maggior parte dei genitori, per quanto imperfetti, è però di gran lunga meno incline dei coetanei a ferire ripetutamente il bambino in questo modo.


I sentimenti

Un quinto modo di favorire l’intimità è attraverso i sentimenti: sentimenti di calore, di amore e di affetto. Le emozioni sono sempre coinvolte nell’attaccamento, ma in un bambino di pochi anni che sente profondamente ed è vulnerabile, la ricerca di un’intimità emotiva si fa ardente. I bambini che perseguono l’attaccamento in questo modo, spesso si innamorano di coloro cui sono legati. Vivere in intimità emotiva con il genitore significa riuscire a tollerare molta separazione fisica senza perdere il senso di una profonda vicinanza e di uno stretto legame. Se l’attaccamento attraverso i sensi – la prima e più primitiva delle modalità descritte – può essere definito come il braccio corto che tiene saldo il contatto, l’amore sarà il braccio lungo dell’attaccamento. Il bambino porta con sé nella sua mente l’immagine cara dell’amato genitore, e da essa trae conforto e sostegno.


Ci siamo però inoltrati in un territorio molto pericoloso: chi dona il proprio cuore può rischiare che sia spezzato. Alcune persone non sviluppano mai la capacità di aprirsi emotivamente e di essere vulnerabili, e questo è di solito dovuto a una precoce esperienza di rifiuto e abbandono. Coloro che hanno amato e sono stati feriti possono ripiegare su modalità di attaccamento meno vulnerabili. Come vedremo, la vulnerabilità è qualcosa che i ragazzi orientati ai coetanei cercano di evitare. Quando le forme più profonde di attaccamento appaiono troppo rischiose, predominano modalità meno sensibili. L’intimità emotivo-sentimentale è molto meno comune fra i bambini orientati ai compagni che non fra quelli orientati ai genitori.


Farsi conoscere

La sesta modalità di attaccamento avviene attraverso il farsi conoscere. I suoi primi segnali sono in genere osservabili verso l’inizio della scuola primaria. Sentirsi vicini a qualcuno significa essere conosciuti; si tratta, per certi versi, di una ricapitolazione della modalità di attaccamento attraverso i sensi, solo che ora l’essere visti e ascoltati è percepito psicologicamente anziché in una modalità soltanto fisica. Nella ricerca di vicinanza e contatto, il bambino condividerà i suoi segreti; di fatto, l’intimità è spesso definita dalla condivisione dei segreti. I bambini orientati ai genitori non amano avere dei segreti nei loro confronti, perché ne risulterebbe una perdita di intimità. Per un bambino orientato ai coetanei, il migliore amico è quello con cui non ci sono segreti. Non si può essere più vulnerabili di quando ci si espone psicologicamente: condividere se stessi con un altro e poi sentirsi incompresi o rifiutati è per molti un rischio che non vale la pena correre. Per questo motivo l’intimità del farsi conoscere è la più rara da raggiungere e molti di noi sono riluttanti a condividere le insicurezze e le preoccupazioni più profonde anche con coloro che amano. Pur tuttavia non esistono vicinanza e intimità più grandi di quelle che derivano dall’essere conosciuti e allo stesso tempo apprezzati, accolti, accettati e invitati ad esistere.


Mentre osserviamo i nostri figli furtivamente intenti a scambiarsi segreti gli uni con gli altri, è facile immaginare che stiano condividendo se stessi e la propria vulnerabilità, ma di fatto i segreti di cui bisbigliano riguardano generalmente pettegolezzi su altre persone. La vera intimità psicologica è un’eccezione nell’universo dell’orientamento ai coetanei, quasi certamente perché i rischi sono troppo elevati. I ragazzi che svelano i propri segreti ai genitori sono spesso considerati strani dai loro amici più orientati ai compagni: “I miei amici non riescono a credere che ti dica tutte queste cose!”, sono le parole di una quattordicenne a suo padre durante una delle loro passeggiate, “Dicono che è da matti!”.


Sei modalità di attaccamento ma un’unica sottostante spinta verso il legame. Se lo sviluppo è sano, queste sei componenti sono strettamente intrecciate fra loro a formare un legame solido e resistente, in grado di preservare la vicinanza e l’unione anche nelle circostanze più avverse. Un bambino profondamente attaccato ha molti modi per restare vicino e tenersi stretto ai genitori anche se fisicamente separato da essi. Più un bambino è immaturo, e più primitiva – cioè simile a quella di un neonato o di un bambino di pochi anni – sarà la sua modalità di attaccamento. Non tutti i bambini riescono a realizzare il loro potenziale di attaccamento, e meno fra tutti quelli orientati ai coetanei; per ragioni che chiariremo, questi ultimi hanno più probabilità di restare immaturi e il loro modo di relazionarsi emotivamente è programmato per evitare ogni consapevolezza della propria vulnerabilità (si vedano i capitoli 8 e 9). I bambini orientati ai coetanei vivono in un universo caratterizzato da attaccamenti superficiali e gravemente limitati. Poiché la ricerca della somiglianza è la meno vulnerabile fra le modalità di attaccamento, si tratta anche di quella di regola prescelta dai ragazzi costretti a cercare un contatto con i propri pari. Pertanto essi spingono il più possibile verso la reciproca somiglianza: vogliono essere uguali nell’aspetto, nel modo di comportarsi e di pensare, nei gusti e nei valori.


Se paragonati ai bambini che hanno un sano attaccamento ai genitori, coloro che si orientano ai coetanei si limitano spesso a due o tre sole modalità per stabilire una stretta relazione e vicinanza. I bambini limitati nelle modalità di attaccamento dipendono pesantemente da queste, proprio come le persone non vedenti dipendono molto più dagli altri sensi per esaminare il mondo che li circonda. Se esistesse un solo modo di aggrapparsi a qualcuno, la stretta sarebbe molto probabilmente intensa e disperata. È proprio questa la maniera in cui i bambini orientati ai coetanei si attaccano gli uni agli altri: intensamente e disperatamente.

La competizione degli attaccamenti importanti

Data l’importanza centrale dell’attaccamento nella psiche del bambino, chiunque stabilisca con lui l’attaccamento maggiore, avrà anche l’influenza maggiore sulla sua vita.


Ma non dovrebbe essere possibile, per i bambini, essere attaccati ai genitori e agli insegnanti e, allo stesso tempo, ai loro coetanei? Non solo ciò è possibile ma è anche auspicabile, fintantoché i diversi attaccamenti non entrino in competizione reciproca. Ciò che non funziona, e non può funzionare, è la coesistenza di attaccamenti primari in competizione fra loro, di relazioni di orientamento discordanti le une con le altre – in altre parole, relazioni di orientamento con valori e messaggi contrastanti. Quando gli attaccamenti primari competono, uno dovrà soccombere, ed è facile capire perché. Un marinaio che si affidasse alla bussola non riuscirebbe mai a trovare la rotta se esistessero due poli nord magnetici. Altrettanto fallimentare il tentativo di un bambino che utilizzasse simultaneamente i coetanei e gli adulti come bussole. Egli potrà orientarsi riferendosi ai valori del mondo dei coetanei o a quelli del mondo degli adulti, ma non ad entrambi. Perciò dominerà la cultura dei compagni oppure avrà il sopravvento quella dei genitori: il cervello di attaccamento delle creature immature non tollera due influenze di uguale forza, due serie dissonanti di messaggi; dovrà sceglierne e selezionarne una per evitare che le emozioni si confondano, la motivazione si paralizzi e l’azione sia impedita: al bambino sarebbe impossibile scegliere la direzione in cui procedere. Allo stesso modo, quando gli occhi del neonato divergono dando origine a una visione sdoppiata, il cervello sopprime automaticamente l’informazione visiva proveniente da uno dei due; l’occhio che verrà ignorato diventerà cieco.


Se paragonati agli adulti, ovviamente adulti maturi, i bambini sono molto più in balìa dei propri bisogni intensi di attaccamento. Anche gli adulti possono avere forti bisogni di attaccamento, e molti di noi lo hanno provato, ma con la maturità autentica arriva anche una certa capacità di mettere questi bisogni in prospettiva. I bambini invece non hanno una tale capacità e quando le loro energie sono investite in una relazione che compete con l’attaccamento ai genitori, gli effetti sulla personalità e sul comportamento sono drammatici. La possente attrazione gravitazionale delle relazioni con i compagni era proprio quello che i genitori di Cynthia osservavano con grande dispiacere.


Al di sotto della rabbia e della frustrazione molti genitori si sentono feriti, traditi nei sentimenti. Tuttavia questo segnale di avvertimento viene spesso ignorato o tenuto in scarsa considerazione, e si cerca di alleviare la pena riducendo la questione a un problema di comportamento, a una faccenda di ormoni, oppure tirando in ballo la “normale ribellione dell’adolescenza”. Le spiegazioni pseudo-biologiche o gli assunti psicologici distolgono dal vero problema, quello degli attaccamenti incompatibili in competizione fra loro. Gli ormoni sono stati in ogni tempo parte della normale costituzione fisica degli esseri umani, ma non hanno sempre portato alla forte alienazione dai genitori che sperimentiamo oggi. Comportamenti sgarbati e irritanti sono sempre la manifestazione superficiale di problemi più profondi: un genitore che tenti di punire o controllare i comportamenti senza rivolgersi alle dinamiche sottostanti è come un medico che prescriva un rimedio per i sintomi ignorando le cause che li hanno prodotti. Una comprensione profonda dei figli offrirà ai genitori la capacità di far fronte ai “cattivi comportamenti” in modi che siano veramente efficaci, come mostreremo nel corso del libro. Per quanto riguarda, invece, la “normale ribellione degli adolescenti”, la spinta compulsiva dei nostri figli verso l’appartenenza al gruppo dei pari, nonché al conformarsi e all’essere bene accetti a discapito della loro autentica individualità, non ha nulla a che vedere con una maturazione e uno sviluppo sani, come analizzeremo nei capitoli successivi.


La vera questione da affrontare è quella degli attaccamenti antagonisti che hanno sedotto i nostri figli, allontanandoli dalle nostre cure amorevoli.

Quando l'attaccamento si ritorce contro di noi

Ora che abbiamo compreso il modo in cui gli amici di Cynthia hanno preso il posto dei suoi genitori, resta ancora una domanda penosa: come si spiega il suo atteggiamento ostile verso il padre e la madre? Oggi, sono molti i genitori di adolescenti e persino di bambini più piccoli che restano traumatizzati dal linguaggio aspro e aggressivo con cui i figli si rivolgono a loro. Perché mai l’ascendente esercitato dai coetanei dovrebbe sfociare in una alienazione del bambino dai suoi genitori?


La risposta risiede nella natura bipolare dell’attaccamento: l’attaccamento umano ricorda le sue controparti fisiche del mondo materiale, come ad esempio il magnetismo. Il magnetismo è polarizzato: uno dei poli attrae l’ago della bussola, l’altro lo respinge; il termine bipolare indica appunto l’esistenza concomitante di una doppia polarità, l’avere due poli allo stesso tempo. Non c’è nulla di anormale riguardo la bipolarità; è la natura intrinseca dell’attaccamento.


Più ci si avvicina al Polo Nord e più si è lontani dal Polo Sud; la similitudine è vera anche per la personalità umana, soprattutto per i bambini e altre creature di attaccamento ancora immature. Un bambino che cerchi la vicinanza con una persona quasi certamente opporrà resistenza a chiunque sembri competere con quella, proprio come un adulto che abbia un nuovo amore potrebbe, d’improvviso, non sopportare più la persona che amava prima. Eppure l’antico amante non è affatto cambiato, ciò che è mutato è solo l’attaccamento; la stessa persona può essere desiderata o ripudiata, dipende tutto da dove punta l’ago della bussola. Quando l’attaccamento primario si sposta, persone che fino a quel momento sentivamo vicine, possono all’improvviso trasformarsi in oggetti di disprezzo e ripulsa. Tale spostamento può avvenire con rapidità sorprendente – come testimoniano molti genitori che vedono tornare a casa i propri figli in lacrime, amareggiati e demoralizzati per qualche inatteso rifiuto da parte del loro “migliore amico”.


Molti di noi percepiscono per istinto la natura bipolare dell’attaccamento: sappiamo quanto in fretta la brama di contatto possa trasformarsi in distanza, il piacere in ripulsa, l’affetto in disprezzo e l’amore in odio, ma pochi si rendono conto che questi impulsi e queste forti emozioni sono le facce di una stessa medaglia.


È cruciale per i genitori di oggi comprendere la bipolarità dell’attaccamento; insieme all’orientamento verso i coetanei, cresce infatti sempre di più il corrispondente allontanamento dai genitori e tutti i problemi correlati. I ragazzi di oggi non solo si rivolgono ai coetanei ma, come Cynthia, voltano le spalle ai propri genitori con piglio energico e fattivo. Nulla è neutrale nell’attaccamento, e fintantoché il bambino è governato dall’attaccamento, sulle relazioni ricadrà la responsabilità maggiore. L’attaccamento divide il mondo del bambino fra coloro che ama e coloro verso i quali è indifferente, quelli dai quali è attratto e quelli che lo ripugnano, coloro cui avvicinarsi e quelli da evitare. Troppo spesso, nel mondo di oggi, i genitori e i compagni sono diventati attaccamenti in competizione – come amanti che si contendano uno stesso amore. Molti genitori hanno provato, con grande dolore, che i figli non possono essere orientati ai coetanei e ai genitori nello stesso tempo.


Un atteggiamento di disaffezione non è segno di carenza nel carattere, di inveterata maleducazione o di problemi comportamentali, è invece ciò che si osserva quando gli istinti di attaccamento sono stati sviati.


In circostanze normali la natura bipolare dell’attaccamento ha lo scopo benefico di tenere i bambini strettamente uniti agli adulti che li allevano. La sua prima espressione ricorre durante la prima infanzia ed è spesso definita paura dell’estraneo. Più è stretto il legame del bambino con alcuni adulti in particolare, più si opporrà al contatto con gli altri a cui non è attaccato. Se un bambino molto piccolo desidera restare stretto a voi e qualcuno con cui non è legato si avvicina, egli vorrà evitare l’intruso e si nasconderà aggrappandosi a voi. È puro istinto. Nulla potrebbe essere più naturale dell’allontanamento dagli estranei che si avvicinano troppo e sono percepiti come una minaccia. Eppure abbiamo tutti assistito a scene in cui i genitori rimproverano i loro piccoli per questo gesto di ritrosia, scusandosi con gli altri adulti per la “scortesia” del figlio.


Gli adulti trovano queste reazioni ancor meno accettabili nei bambini di due, tre anni e del tutto intollerabili nei più grandi. L’orientamento ai coetanei ritorce contro gli stessi genitori le risposte naturali e istintuali tipiche della paura dell’estraneo. La manifestazione adolescenziale dell’attaccamento sovvertito potrebbe non essere tanto vivida quanto il mostrare la lingua come fa il bambino piccolo, ma esistono gesti e atteggiamenti di distacco che sono altrettanto efficaci: lo sguardo freddo che tiene a distanza, il volto duro, il rifiuto di sorridere, alzare gli occhi al cielo, evitare lo sguardo e il contatto, opporre resistenza al legame.


A volte, è possibile percepire distintamente il cambiamento di polarità. Immaginate di essere la madre di Rachel, una bambina di otto anni; avete provato la meravigliosa esperienza di accompagnarla a scuola a piedi, mano nella mano, sin dall’asilo. Prima di lasciarla l’abbracciate, le date un bacio e le sussurrate qualche parola affettuosa. Negli ultimi tempi però Rachel si preoccupa molto dei suoi coetanei e vorrebbe sempre stare con loro senza interruzione; quando torna a casa porta con sé cose che appartengono a loro, come i loro gesti, il loro linguaggio, le preferenze nel modo di vestire, persino la maniera di ridere. Un giorno uscite come al solito, mano nella mano, e con un reciproco desiderio di vicinanza e intimità; lungo la strada incontrate alcuni dei compagni di classe e qualcosa cambia. Voi tenete ancora la mano di Rachel, ma la presa non è reciproca e lei sembra essere un passo avanti o un passo indietro, non siete più allineate. Al comparire di altri bambini, l’abisso aumenta, e improvvisamente Rachel lascia la vostra mano e corre avanti; quando giungete a destinazione, vi chinate per il solito abbraccio ma lei vi spinge via, imbarazzata. Invece di essere abbracciata con affetto, siete stata tenuta a distanza e lei vi ha guardata appena mentre vi salutava; è come se aveste violato qualche istinto fondamentale. Ciò che avete sperimentato in realtà è il lato oscuro dell’attaccamento, il rovescio della medaglia – il rifiuto di ciò che prima era tenuto caro all’apparire di una nuova e più preziosa relazione. Detto in parole povere, i nostri figli ci piantano per correre dietro ai compagni.


Questo polo negativo dell’attaccamento si manifesta in diversi modi. Uno di questi è il rifiuto della somiglianza; la ricerca di somiglianza gioca un ruolo cruciale nel forgiare la personalità e il comportamento del bambino. I bambini che hanno un buon attaccamento con i genitori desiderano ardentemente essere come loro. Almeno fino all’adolescenza, traggono un grande piacere dal fatto che gli altri notino somiglianze e caratteristiche in comune con i genitori; che si tratti dello stesso senso dell’umorismo, delle stesse preferenze sul cibo, delle idee su un argomento specifico, delle reazioni a un film o dei gusti in fatto di musica. (Alcuni lettori potrebbero accogliere quest’affermazione con scetticismo, ritenendola terribilmente idealistica e fuori dal tempo. Se è così, è proprio il segno di quanto, nel corso degli ultimi decenni, le generazioni di adulti si siano orientate esse stesse ai pari, e di quanto l’orientamento ai coetanei sia ormai accettato e considerato la norma).


Ai ragazzi orientati verso i coetanei ripugna la somiglianza con i genitori e vorrebbero essere quanto più possibile diversi da loro. Poiché somiglianza vuol dire vicinanza, ricercare la differenza è un modo per prendere le distanze. Questi ragazzi spesso fanno di tutto pur di manifestare un punto di vista opposto e preferenze del tutto diverse rispetto a quelle dei genitori: in loro albergano una gran quantità di giudizi e opinioni contrarie.


Si potrebbe confondere questo bisogno ossessivo di differenziazione rispetto ai genitori con la ricerca da parte del bambino di una propria individualità, ma sarebbe un’interpretazione non corretta della situazione. Un genuino processo di individuazione si manifesterebbe in tutte le relazioni del bambino, non solo in quelle con gli adulti. Un bambino che stesse veramente cercando di essere se stesso, affermerebbe la propria personalità di fronte a qualsiasi pressione a conformarsi. Al contrario molti di questi ragazzi “fortemente individualistici” sono letteralmente consumati dal processo di fusione con il gruppo dei pari, angosciati all’idea che qualcosa possa farli apparire diversi. Ciò che gli adulti considerano l’individualismo del ragazzo maschera in realtà una forte spinta a conformarsi al mondo dei coetanei.


Uno dei comportamenti che segnano il maggior distacco per noi esseri umani è quello di deridere e schernire coloro dai quali vogliamo prendere le distanze. Si tratta di un comportamento che mostra di essere trasversale rispetto alle diversità culturali, a testimonianza delle sue radici profondamente istintive. L’istinto alla derisione è il polo opposto dei nostri tentativi di raggiungere l’intimità e la vicinanza attraverso l’imitazione e l’emulazione; sentirsi emulati può essere il più grande dei complimenti, ma venire derisi e presi in giro è una delle offese più umilianti.


Più un bambino tenta di avvicinarsi e sentirsi prossimo ai suoi compagni attraverso la somiglianza, più è probabile che il suo comportamento derisorio sia indirizzato agli adulti. Essere scherniti dai propri studenti o dai propri figli tocca nel vivo, scatena tutte le reazioni. Se un tale comportamento di allontanamento è rivolto a coloro che sono responsabili dei bambini, si tratta di un segnale potente dell’orientamento ai coetanei. In maniera analoga, i poli opposti al piacere e al venir apprezzati sono lo spregio e il disdegno. Quando i figli si orientano ai coetanei, di solito i genitori diventano oggetto di scherno e vengono messi in ridicolo, insultati e umiliati. Le male parole si pronunciano dapprima alle spalle dei genitori – spesso è un modo per acquistare punti con i coetanei – ma all’intensificarsi dell’orientamento ai compagni, gli attacchi possono diventare sempre più espliciti. Un atteggiamento tanto ostile dovrebbe essere riservato ai nemici, dove la distruzione dei ponti è esattamente ciò che ci si auspica. Essere trattati come nemici dai nostri stessi figli è quanto mai privo di senso, sia per noi, sia per loro, sia per la nostra relazione; non è affatto benefico per i ragazzi mordere la mano che li nutre. Eppure il bambino orientato ai coetanei fa solo ciò che gli appare naturale e in linea con i suoi istinti. Come già detto, sono proprio gli istinti a essere fuori posto e il comportamento semplicemente li segue a ruota; è ciò che accade quando gli attaccamenti entrano in competizione e si polarizzano.


A volte si viene ripudiati in modo passivo: i ragazzi orientati ai coetanei agiscono spesso come se non avessero affatto dei genitori, specialmente quando sono insieme; i genitori non sono né riconosciuti, né messi in discussione e nelle incombenze scolastiche vengono spesso ignorati.


Gesù aveva colto l’incompatibilità degli attaccamenti in competizione, nonché la natura bipolare dell’attaccamento, quando diceva: “Nessuno può essere il servo di due padroni, poiché o si odierà l’uno e si amerà l’altro, oppure si sarà fedeli a uno e si disprezzerà l’altro” (Mt 6:24). Se la lealtà è verso i pari, non sembrerà giusto stare dalla parte dei genitori e obbedirli; i bambini non sono sleali di proposito, seguono semplicemente i propri istinti – istinti che sono stati sovvertiti per ragioni che vanno ben al di là della loro capacità di controllo.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.