Quando l'attaccamento si ritorce contro di noi
Ora che abbiamo compreso il modo in cui gli amici di Cynthia hanno preso il posto dei suoi genitori, resta ancora una domanda penosa: come si spiega il suo atteggiamento ostile verso il padre e la madre? Oggi, sono molti i genitori di adolescenti e persino di bambini più piccoli che restano traumatizzati dal linguaggio aspro e aggressivo con cui i figli si rivolgono a loro. Perché mai l’ascendente esercitato dai coetanei dovrebbe sfociare in una alienazione del bambino dai suoi genitori?
La risposta risiede nella natura bipolare dell’attaccamento: l’attaccamento umano ricorda le sue controparti fisiche del mondo materiale, come ad esempio il magnetismo. Il magnetismo è polarizzato: uno dei poli attrae l’ago della bussola, l’altro lo respinge; il termine bipolare indica appunto l’esistenza concomitante di una doppia polarità, l’avere due poli allo stesso tempo. Non c’è nulla di anormale riguardo la bipolarità; è la natura intrinseca dell’attaccamento.
Più ci si avvicina al Polo Nord e più si è lontani dal Polo Sud; la similitudine è vera anche per la personalità umana, soprattutto per i bambini e altre creature di attaccamento ancora immature. Un bambino che cerchi la vicinanza con una persona quasi certamente opporrà resistenza a chiunque sembri competere con quella, proprio come un adulto che abbia un nuovo amore potrebbe, d’improvviso, non sopportare più la persona che amava prima. Eppure l’antico amante non è affatto cambiato, ciò che è mutato è solo l’attaccamento; la stessa persona può essere desiderata o ripudiata, dipende tutto da dove punta l’ago della bussola. Quando l’attaccamento primario si sposta, persone che fino a quel momento sentivamo vicine, possono all’improvviso trasformarsi in oggetti di disprezzo e ripulsa. Tale spostamento può avvenire con rapidità sorprendente – come testimoniano molti genitori che vedono tornare a casa i propri figli in lacrime, amareggiati e demoralizzati per qualche inatteso rifiuto da parte del loro “migliore amico”.
Molti di noi percepiscono per istinto la natura bipolare dell’attaccamento: sappiamo quanto in fretta la brama di contatto possa trasformarsi in distanza, il piacere in ripulsa, l’affetto in disprezzo e l’amore in odio, ma pochi si rendono conto che questi impulsi e queste forti emozioni sono le facce di una stessa medaglia.
È cruciale per i genitori di oggi comprendere la bipolarità dell’attaccamento; insieme all’orientamento verso i coetanei, cresce infatti sempre di più il corrispondente allontanamento dai genitori e tutti i problemi correlati. I ragazzi di oggi non solo si rivolgono ai coetanei ma, come Cynthia, voltano le spalle ai propri genitori con piglio energico e fattivo. Nulla è neutrale nell’attaccamento, e fintantoché il bambino è governato dall’attaccamento, sulle relazioni ricadrà la responsabilità maggiore. L’attaccamento divide il mondo del bambino fra coloro che ama e coloro verso i quali è indifferente, quelli dai quali è attratto e quelli che lo ripugnano, coloro cui avvicinarsi e quelli da evitare. Troppo spesso, nel mondo di oggi, i genitori e i compagni sono diventati attaccamenti in competizione – come amanti che si contendano uno stesso amore. Molti genitori hanno provato, con grande dolore, che i figli non possono essere orientati ai coetanei e ai genitori nello stesso tempo.
Un atteggiamento di disaffezione non è segno di carenza nel carattere, di inveterata maleducazione o di problemi comportamentali, è invece ciò che si osserva quando gli istinti di attaccamento sono stati sviati.
In circostanze normali la natura bipolare dell’attaccamento ha lo scopo benefico di tenere i bambini strettamente uniti agli adulti che li allevano. La sua prima espressione ricorre durante la prima infanzia ed è spesso definita paura dell’estraneo. Più è stretto il legame del bambino con alcuni adulti in particolare, più si opporrà al contatto con gli altri a cui non è attaccato. Se un bambino molto piccolo desidera restare stretto a voi e qualcuno con cui non è legato si avvicina, egli vorrà evitare l’intruso e si nasconderà aggrappandosi a voi. È puro istinto. Nulla potrebbe essere più naturale dell’allontanamento dagli estranei che si avvicinano troppo e sono percepiti come una minaccia. Eppure abbiamo tutti assistito a scene in cui i genitori rimproverano i loro piccoli per questo gesto di ritrosia, scusandosi con gli altri adulti per la “scortesia” del figlio.
Gli adulti trovano queste reazioni ancor meno accettabili nei bambini di due, tre anni e del tutto intollerabili nei più grandi. L’orientamento ai coetanei ritorce contro gli stessi genitori le risposte naturali e istintuali tipiche della paura dell’estraneo. La manifestazione adolescenziale dell’attaccamento sovvertito potrebbe non essere tanto vivida quanto il mostrare la lingua come fa il bambino piccolo, ma esistono gesti e atteggiamenti di distacco che sono altrettanto efficaci: lo sguardo freddo che tiene a distanza, il volto duro, il rifiuto di sorridere, alzare gli occhi al cielo, evitare lo sguardo e il contatto, opporre resistenza al legame.
A volte, è possibile percepire distintamente il cambiamento di polarità. Immaginate di essere la madre di Rachel, una bambina di otto anni; avete provato la meravigliosa esperienza di accompagnarla a scuola a piedi, mano nella mano, sin dall’asilo. Prima di lasciarla l’abbracciate, le date un bacio e le sussurrate qualche parola affettuosa. Negli ultimi tempi però Rachel si preoccupa molto dei suoi coetanei e vorrebbe sempre stare con loro senza interruzione; quando torna a casa porta con sé cose che appartengono a loro, come i loro gesti, il loro linguaggio, le preferenze nel modo di vestire, persino la maniera di ridere. Un giorno uscite come al solito, mano nella mano, e con un reciproco desiderio di vicinanza e intimità; lungo la strada incontrate alcuni dei compagni di classe e qualcosa cambia. Voi tenete ancora la mano di Rachel, ma la presa non è reciproca e lei sembra essere un passo avanti o un passo indietro, non siete più allineate. Al comparire di altri bambini, l’abisso aumenta, e improvvisamente Rachel lascia la vostra mano e corre avanti; quando giungete a destinazione, vi chinate per il solito abbraccio ma lei vi spinge via, imbarazzata. Invece di essere abbracciata con affetto, siete stata tenuta a distanza e lei vi ha guardata appena mentre vi salutava; è come se aveste violato qualche istinto fondamentale. Ciò che avete sperimentato in realtà è il lato oscuro dell’attaccamento, il rovescio della medaglia – il rifiuto di ciò che prima era tenuto caro all’apparire di una nuova e più preziosa relazione. Detto in parole povere, i nostri figli ci piantano per correre dietro ai compagni.
Questo polo negativo dell’attaccamento si manifesta in diversi modi. Uno di questi è il rifiuto della somiglianza; la ricerca di somiglianza gioca un ruolo cruciale nel forgiare la personalità e il comportamento del bambino. I bambini che hanno un buon attaccamento con i genitori desiderano ardentemente essere come loro. Almeno fino all’adolescenza, traggono un grande piacere dal fatto che gli altri notino somiglianze e caratteristiche in comune con i genitori; che si tratti dello stesso senso dell’umorismo, delle stesse preferenze sul cibo, delle idee su un argomento specifico, delle reazioni a un film o dei gusti in fatto di musica. (Alcuni lettori potrebbero accogliere quest’affermazione con scetticismo, ritenendola terribilmente idealistica e fuori dal tempo. Se è così, è proprio il segno di quanto, nel corso degli ultimi decenni, le generazioni di adulti si siano orientate esse stesse ai pari, e di quanto l’orientamento ai coetanei sia ormai accettato e considerato la norma).
Ai ragazzi orientati verso i coetanei ripugna la somiglianza con i genitori e vorrebbero essere quanto più possibile diversi da loro. Poiché somiglianza vuol dire vicinanza, ricercare la differenza è un modo per prendere le distanze. Questi ragazzi spesso fanno di tutto pur di manifestare un punto di vista opposto e preferenze del tutto diverse rispetto a quelle dei genitori: in loro albergano una gran quantità di giudizi e opinioni contrarie.
Si potrebbe confondere questo bisogno ossessivo di differenziazione rispetto ai genitori con la ricerca da parte del bambino di una propria individualità, ma sarebbe un’interpretazione non corretta della situazione. Un genuino processo di individuazione si manifesterebbe in tutte le relazioni del bambino, non solo in quelle con gli adulti. Un bambino che stesse veramente cercando di essere se stesso, affermerebbe la propria personalità di fronte a qualsiasi pressione a conformarsi. Al contrario molti di questi ragazzi “fortemente individualistici” sono letteralmente consumati dal processo di fusione con il gruppo dei pari, angosciati all’idea che qualcosa possa farli apparire diversi. Ciò che gli adulti considerano l’individualismo del ragazzo maschera in realtà una forte spinta a conformarsi al mondo dei coetanei.
Uno dei comportamenti che segnano il maggior distacco per noi esseri umani è quello di deridere e schernire coloro dai quali vogliamo prendere le distanze. Si tratta di un comportamento che mostra di essere trasversale rispetto alle diversità culturali, a testimonianza delle sue radici profondamente istintive. L’istinto alla derisione è il polo opposto dei nostri tentativi di raggiungere l’intimità e la vicinanza attraverso l’imitazione e l’emulazione; sentirsi emulati può essere il più grande dei complimenti, ma venire derisi e presi in giro è una delle offese più umilianti.
Più un bambino tenta di avvicinarsi e sentirsi prossimo ai suoi compagni attraverso la somiglianza, più è probabile che il suo comportamento derisorio sia indirizzato agli adulti. Essere scherniti dai propri studenti o dai propri figli tocca nel vivo, scatena tutte le reazioni. Se un tale comportamento di allontanamento è rivolto a coloro che sono responsabili dei bambini, si tratta di un segnale potente dell’orientamento ai coetanei. In maniera analoga, i poli opposti al piacere e al venir apprezzati sono lo spregio e il disdegno. Quando i figli si orientano ai coetanei, di solito i genitori diventano oggetto di scherno e vengono messi in ridicolo, insultati e umiliati. Le male parole si pronunciano dapprima alle spalle dei genitori – spesso è un modo per acquistare punti con i coetanei – ma all’intensificarsi dell’orientamento ai compagni, gli attacchi possono diventare sempre più espliciti. Un atteggiamento tanto ostile dovrebbe essere riservato ai nemici, dove la distruzione dei ponti è esattamente ciò che ci si auspica. Essere trattati come nemici dai nostri stessi figli è quanto mai privo di senso, sia per noi, sia per loro, sia per la nostra relazione; non è affatto benefico per i ragazzi mordere la mano che li nutre. Eppure il bambino orientato ai coetanei fa solo ciò che gli appare naturale e in linea con i suoi istinti. Come già detto, sono proprio gli istinti a essere fuori posto e il comportamento semplicemente li segue a ruota; è ciò che accade quando gli attaccamenti entrano in competizione e si polarizzano.
A volte si viene ripudiati in modo passivo: i ragazzi orientati ai coetanei agiscono spesso come se non avessero affatto dei genitori, specialmente quando sono insieme; i genitori non sono né riconosciuti, né messi in discussione e nelle incombenze scolastiche vengono spesso ignorati.
Gesù aveva colto l’incompatibilità degli attaccamenti in competizione, nonché la natura bipolare dell’attaccamento, quando diceva: “Nessuno può essere il servo di due padroni, poiché o si odierà l’uno e si amerà l’altro, oppure si sarà fedeli a uno e si disprezzerà l’altro” (Mt 6:24). Se la lealtà è verso i pari, non sembrerà giusto stare dalla parte dei genitori e obbedirli; i bambini non sono sleali di proposito, seguono semplicemente i propri istinti – istinti che sono stati sovvertiti per ragioni che vanno ben al di là della loro capacità di controllo.