I coetanei non sono la risposta alla noia
Nel nostro mondo ossessionato dai coetanei, questi sono diventati una sorta di panacea per qualunque cosa affligga il bambino. Sono spesso sbandierati come soluzione alla noia, alla stravaganza, e ai problemi di autostima. Ai genitori che hanno un solo figlio, può sembrare che i coetanei funzionino anche come sostituti di fratelli e sorelle. Ma anche in questo caso, non facciamo che andare in cerca di sabbia pensando che sia oro.
“Mi annoio!”, “Questa roba è una palla!”, sono ritornelli assai noti dell’infanzia; molti genitori si trovano a cercare di alleviare la noia esibita dai propri figli facilitando interazioni di un tipo o dell’altro con i coetanei. La soluzione potrebbe funzionare temporaneamente, ma non farebbe che esacerbare la dinamica sottostante, proprio come un bambino affamato lo sarà ancora di più se gli viene offerto solo un succhiotto, o un bevitore che tenti di affogare il proprio dolore nell’alcool sarà, alla fine, ancor più infelice. E il peggio è che, utilizzando i coetanei per alleviare la noia, non facciamo che promuovere l’orientamento verso i pari.
Quali sono le reali cause della noia? Il vuoto che si percepisce nella noia non è mancanza di stimolazione o di attività sociale, come in genere si è portati a credere. I bambini si annoiano quando i loro istinti di attaccamento non sono coinvolti a sufficienza e quando il senso del sé non emerge a riempire questo vuoto. È come essere in folle, in attesa, aspettando che la vita prenda l’avvio. I bambini che sono in grado di percepire le reali fattezze di una tale vacuità è più probabile che si esprimano in termini di sentimenti parlando di solitudine, mancanza e isolamento. In alternativa, le loro parole rivelano l’assenza di una creatività affiorante: “Non riesco a pensare a niente da fare”, “In questo momento non mi interessa nulla”, “Sono a corto di idee”, “Non mi sento molto creativo”. Quelli che non riescono a percepire questo vuoto in termini di vulnerabilità, si sentiranno svogliati e disconnessi e diranno di essere annoiati.
In altre parole, il vuoto che di solito viene vissuto come noia è il risultato di una duplice mancanza, relativa all’attaccamento e al sé emergente: il bambino non è con qualcuno con cui possa stabilire un legame e sentirsi a proprio agio, e, dall’altro lato, manca della curiosità e dell’immaginazione sufficienti a trascorrere il tempo da solo in modo creativo. Ad esempio, il bambino che si annoia in classe non è coinvolto nel far funzionare le cose per l’insegnante, e neppure è interessato a ciò che viene proposto. Mancano sia l’attaccamento all’insegnante, sia l’emergere di curiosità e meraviglia che abbiano una motivazione propria. Le difese psicologiche contro il senso di vulnerabilità impediscono al bambino di percepire la mancanza per quello che è: un senso di vuoto dentro se stesso. Egli crede che la noia scaturisca dall’esterno e sia una qualità o un attributo della situazione e delle circostanze, “La scuola è così noiosa!”, oppure, quando è a casa: “Sono così annoiato, non c’è niente da fare!”
Idealmente, un tale vuoto dovrebbe essere riempito dal sé emergente del bambino: iniziativa, interessi, gioco e solitudine creativa, idee originali, immaginazione, riflessioni, slanci di indipendenza. Quando ciò non avviene, c’è un impulso incalzante a riempire il vuoto con qualcos’altro. La noia è ciò che percepiscono adulti e bambini ignari del proprio vuoto interiore e delle sue cause reali. E poiché il vuoto viene percepito in modo tanto indiretto, la soluzione è altrettanto vaga. Anziché rivolgersi alle proprie risorse interiori, cerchiamo una soluzione che provenga dall’esterno – qualcosa da mangiare, qualcosa per distrarsi, qualcuno con cui vedersi. In genere è a questo punto che la mente del bambino approfitta degli appigli che gli vengono offerti da stimoli esterni e dall’attività sociale. La televisione, i giochi elettronici o le stimolazioni esterne possono coprire temporaneamente questo vuoto, ma non lo riempiranno mai. Appena cessano le attività di distrazione, la noia ritorna.
Questa dinamica diventa particolarmente acuta durante la prima adolescenza, soprattutto se l’attaccamento ai genitori non è diventato abbastanza profondo e il sé emergente non è sufficientemente sviluppato. Ma che il bambino abbia tre anni o tredici, è proprio all’interno di questo vuoto che noi genitori tendiamo a introdurre i suoi coetanei. Organizziamo magari per i più piccoli un incontro di gioco, o li incoraggiamo a cercare i compagni: “Perché non guardi se tizio o caio vogliono giocare?”. È proprio quando si sentono annoiati che i bambini sono ancor più suscettibili alla formazione di legami di attaccamento che siano in competizione con i nostri. In realtà è come se dicessimo: “Porta la tua fame di attaccamento dai tuoi amici e vedi se possono aiutarti”, o “Se non riesci a sopportare il tuo senso di solitudine, vai dai tuoi coetanei per avere una dose di attaccamento”, o ancora: “Perché non vedi se qualcun altro può sostituire il tuo senso del sé che ora ti manca?”. Se fossimo in grado di comprendere davvero le radici della noia, ciò rappresenterebbe un segnale per noi che il bambino non è ancora in grado di interagire con gli altri. Più sono inclini alla noia, più i nostri figli hanno bisogno di noi e più il loro sé ha bisogno di emergere. Più sono annoiati e meno sono pronti all’interazione con i coetanei; per bambini così, non è l’interazione con i coetanei che dovremmo facilitare, bensì la connessione con gli adulti o del tempo per se stessi.
L’orientamento ai coetanei non fa che esacerbare il problema della noia. Per i bambini che sono seriamente attaccati gli uni agli altri, la vita sembra assai noiosa se non sono insieme. Molti di loro, dopo aver trascorso insieme un lungo periodo di tempo, come una notte fuori casa o un campeggio estivo, al ritorno a casa proveranno un tedio tremendo e cercheranno immediatamente di riconnettersi ai loro coetanei. Arrestando il processo di maturazione e innescando la fuga dalla vulnerabilità, l’orientamento ai coetanei blocca anche l’emergere di un sé vitale, curioso, e impegnato. Se noi genitori abbiamo anche solo un briciolo di controllo sulla situazione, il momento della noia è il momento di prendere in mano le redini e guidare il bambino, riempiendo il vuoto di attaccamento con coloro a cui egli ha realmente bisogno di sentirsi legato: noi stessi.