quarta parte

Come tenersi stretti i propri figli (o come riprenderseli)

capitolo xv

Preservare la forza del legame

La relazione fra genitori e figli è sacra. Dovendo affrontare la sfida della cultura giovanile, abbiamo bisogno di far sì che l’attaccamento dei nostri figli sia forte, e che duri finché ce ne sarà bisogno. Ma come fare?

Mettere la relazione al primo posto

Qualunque siano i problemi e le difficoltà che ci troviamo ad affrontare in qualità di genitori, la nostra relazione con i bambini dovrebbe avere sempre la precedenza su tutto. I bambini non sperimentano le nostre intenzioni, per quanto sincere. Sperimentano, invece, ciò che manifestiamo con i toni e il comportamento. Non possiamo dare per scontato che conoscano le nostre priorità: dobbiamo viverle. Molti bambini per cui i genitori provano un amore incondizionato ricevono invece il messaggio che quest’amore è molto condizionato. “La vera sfida è restare pazienti, aggrapparsi a una visione a lungo termine”, dice Joyce, madre di tre bambini piccoli. “Quando sei di fretta, è difficile ricordare che hai una relazione con una persona, e non stai solo cercando di far uscire qualcuno di casa in dieci minuti. Il problema è che abbiamo i nostri impegni, e a volte consideriamo i figli come degli impedimenti”.


L’accettazione incondizionata è la più difficile da comunicare, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno: quando i nostri figli ci hanno deluso, quando hanno offeso i nostri valori o si sono resi odiosi. È appunto in quei momenti che dobbiamo indicare, a parole o a gesti, che il bambino è più importante di quello che fa, che la relazione conta più della condotta o dei conseguimenti. Salvaguardiamo la relazione prima di guardare al comportamento. È quando le cose si fanno più difficili che dovremmo tenerci stretti ai nostri figli il più saldamente possibile; sicché, a loro volta, possano restar saldi accanto a noi. Cercare di disciplinare, di “dare una lezione” quando siamo delusi o pieni di rabbia, rischia di rendere il bambino ansioso nei confronti della relazione. È difficile aspettarsi che egli si aggrappi a un legame a cui, ai suoi occhi, noi non diamo valore. In questi momenti la cosa migliore da fare è chiamare a raccolta le proprie risorse, trattenere le critiche, e rinunciare a imporre qualsivoglia “conseguenza”.


Per alcuni genitori questo modo di relazionarsi appare innaturale. Temono che venga percepito dai figli come un passar sopra alle cattive condotte. Credono che evitare di discutere subito e in modo sistematico del comportamento inappropriato confonda il bambino e comprometta i propri valori. Per quanto sia comprensibile, tale timore è però fuori luogo. Di rado il problema è la confusione: un bambino di solito sa cosa deve fare, ma non può, o non vuole farlo. L’incapacità di solito è un problema di maturità; invece il non volere è, in genere, un problema di attaccamento. È molto più probabile che il bambino sia confuso non su quali siano i valori, bensì sul valore e l’importanza che lui stesso ha per il genitore. Ed è esattamente questo che richiede un chiarimento e un’attestazione; quando diciamo al bambino: “Questa cosa è inaccettabile”, a meno che l’attaccamento non sia sicuro e la connessione profonda, è molto probabile che il bambino senta: “Non le piaccio”, o “Io non sono accettabile perché...”, oppure “Io sono accettabile solo se...”. Quando un bambino sente questo tipo di messaggio, che sia stato in effetti detto oppure no, la relazione è danneggiata. Le basi stesse sulle quali riposa la volontà del bambino di essere buono per noi sono minacciate.


Non compromettiamo i nostri valori se diciamo che il bambino è più importante della sua condotta; piuttosto, in tal modo affermiamo i nostri valori a livello profondo. Scaviamo fino alle fondamenta per dichiarare ciò che è vero. Sfidati a chiarire i propri valori, i genitori, tranne rare eccezioni, si schierano tutti dalla parte del bambino e dell’attaccamento. Il problema è che, di regola, diamo la relazione per scontata. Siamo consci degli altri valori, quelli morali ad esempio, ma non del più fondamentale di tutti, l’attaccamento. Quando interagiamo con i nostri figli, sono questi altri valori che comunichiamo. Solo quando l’attaccamento diviene consapevole, scopriamo la nostra più profonda dedizione: il bambino stesso.

Agire pensando sempre all'attaccamento

Se prendessimo le mosse dalla sequenza evolutiva naturale, le nostre priorità sarebbero chiare. Prima verrebbe l’attaccamento, poi la maturazione, e infine la socializzazione. Di fronte a un bambino turbolento, prima ci occuperemmo della relazione, che è un tutt’uno con la salvaguardia del contesto utile alla maturazione, e solo in seguito ci concentreremmo sulla convenienza sociale, ossia sul comportamento del bambino. E procederemo con la terza non prima di esserci assicurati che le prime due priorità siano soddisfatte. Accettare questa disciplina nelle interazioni con i nostri figli ci manterrebbe in sintonia con il disegno evolutivo, e ci aiuterebbe a vivere in armonia con le nostre responsabilità più importanti. Ecco ciò che accade ad essere genitori: fare del nostro meglio per i figli tira fuori il meglio da noi stessi.


Agire avendo in mente l’attaccamento significa non consentire che qualcosa ci separi da nostro figlio, almeno non psicologicamente. Questa sfida è molto maggiore con un bambino orientato ai coetanei, perché qualcosa si è già intromesso fra lui e i genitori: i coetanei appunto. I bambini orientati ai coetanei, non solo sono meno inclini a legarsi a noi, ma sono anche spinti verso comportamenti che potrebbero ferirci e allontanarci (per l’energia negativa di attaccamento che alimenta questi comportamenti si veda il capitolo 2). I nostri sentimenti di genitori possono essere feriti persino da un neonato che non risponde alle nostre offerte. Un bambino più grande, coinvolto nell’orientamento ai coetanei, potrebbe non solo restare indifferente, ma essere assolutamente sgarbato e sgradevole. È doloroso essere rifiutati, ignorati, e non rispettati. È difficile non reagire agli occhi che si levano al cielo, all’impazienza della voce, al contegno irrispettoso e ai toni villani. Ciò che viene percepito come arroganza e slealtà nel bambino orientato ai coetanei urta ogni sensibilità di attaccamento nel genitore. Tocca tutte le corde sbagliate. Un comportamento tanto ingiurioso e offensivo ci fa infuriare, e come potrebbe essere altrimenti?


Nel capitolo 2, ho assimilato l’orientamento ai coetanei a un relazione amorosa. Quando i nostri figli ci abbandonano per i coetanei, ci sentiamo oltraggiati, arrabbiati e umiliati come in qualunque altra relazione a cui teniamo profondamente. È naturale, quando ci si sente feriti, retrocedere in difesa, distaccarsi emotivamente per evitare di essere feriti ancora di più. È il momento in cui la parte difensiva del nostro cervello ci spinge con urgenza a retrocedere dal territorio della vulnerabilità, per rifugiarci in un luogo dove gli insulti non brucino più e la mancanza di unione non ci prenda allo stomaco. I genitori sono pur sempre esseri umani.


Ritirare la nostra energia di attaccamento può proteggere la nostra vulnerabilità, ma questo viene vissuto dal bambino come un rifiuto. Dobbiamo rammentare che il bambino non si propone consciamente di ferirci, sta solo seguendo i suoi istinti sviati. Se, in risposta, noi ci chiudiamo emotivamente, creiamo un vuoto di attaccamento ancora maggiore, che spinge il bambino ancora più intensamente fra le braccia dei coetanei. Per lui, la ritirata del genitore vuol dire quasi sempre precipitare a capofitto in una spirale di attaccamenti ai coetanei e squilibrio. Per quanto il genitore possa credere che non ci sia nessun legame da salvare, la relazione con la mamma, il papà e la famiglia è ancora profondamente significativa anche per i più orientati ai coetanei. Se i genitori si allontanano sarà come bruciare l’unico ponte grazie al quale il bambino può ancora tornare. Bisognerebbe essere dei santi per non farsi estraniare, ma, con l’orientamento ai coetanei, forse ciò a cui siamo chiamati è proprio la santità. Se ciò appare innaturale, è perché effettivamente lo è. Fare i genitori non avrebbe mai dovuto essere così, la natura non ha mai previsto la possibilità che il cuore dei nostri figli si rivoltasse contro di noi. Tuttavia, se permettiamo a noi stessi di farci respingere, ai nostri ragazzi non resta nulla a cui aggrapparsi. Restare in gioco, non consentire di farci allontanare, è una delle cose più importanti da fare, per il bene nostro e dei nostri figli.


È vero, non c’è nulla di più doloroso e offensivo che sentirsi respinti di continuo. È necessario attingere con fede e pazienza alle proprie risorse – infinitamente profonde – di amore non corrisposto, e sperare in giorni migliori. Anche se la situazione ci lascia frustrati e senza speranza, non dobbiamo abbandonare il campo. Finché resteremo aperti, c’è una buona probabilità che il figlio o la figlia ribelle ritorni.

Non di rado, in un gesto di disperazione, i genitori lanciano un ultimatum ai figli. Di solito è una qualche versione del “a meno che non ti dài da fare, te ne dovrai andare”. Che sia utilizzato formalmente come tecnica di “tough love” (“amore duro, inflessibile”)54, o, più semplicemente, come risposta istintiva per rimetterli in riga, quasi mai funziona con ragazzi orientati ai coetanei. Un ultimatum di questo genere presume di poter approfittare di una sufficiente dose di attaccamento. Se invece questo non è abbastanza forte, non ci sarà alcun impulso, da parte del ragazzo, a restare accanto al genitore. Gli ultimatum gli fanno sentire in modo pungente che i genitori lo amano e lo accettano solo in maniera condizionata. Inducono il ragazzo a distaccarsi ancor più dai genitori e a trincerarsi sempre più a fondo nel mondo dei suoi pari.

A volte, l’ultimatum non è affatto un vero ultimatum, ma solo un modo per declinare le proprie responsabilità o farla finita. Il genitore ne ha avuto abbastanza, gli manca la speranza che le cose migliorino o l’energia per far sì che ciò accada. Se questo dovesse essere il caso, è meglio trovare un modo di separarsi che non aggravi il problema o renda più difficile ricucire la relazione in futuro. Per qualsiasi ragazzo, è difficile riprendersi da un rifiuto di queste proporzioni. Se tener duro non è più possibile per i genitori, suggerisco spesso che considerino l’idea di mandare il figlio in una scuola privata di tipo residenziale, oppure di affidarsi a parenti o magari trovare una famiglia amica che sia disposta a dare una mano. Meno è evidente il rifiuto, più è possibile un’eventuale ricongiungimento. Se il legame psicologico non è stato spezzato e la separazione fisica concede ai genitori un po’ di sollievo, essi potrebbero forse ritrovare la forza e l’iniziativa per tentare di reclamare a sé il figlio.


In modi diversi, meno drastici ma ugualmente importanti da riconoscere, a tutti i genitori può capitare di tirarsi fuori dalla relazione di tanto in tanto, anche se senza intenzione. Dare la massima priorità alla relazione implica occuparsi di ricucirla, soprattutto quando la connessione emotiva si è logorata o spezzata. È raro che un genitore non perda mai le staffe. La perfetta equanimità è al di là delle nostre possibilità; per quanto grande sia il nostro discernimento e lucide le nostre priorità, siamo destinati a reagire in modo incontrollato, provocati emotivamente dai nostri figli; lo siamo tutti, tranne i santi. Rotture temporanee nella relazione sono inevitabili e non sono dannose di per sé, a meno che non siano gravi e reiterate. Il danno reale viene inflitto quando trascuriamo di richiamarli a noi, comunicando in tal modo che non diamo importanza alla relazione o, in alternativa, se lasciamo l’impressione che sia responsabilità dei figli ristabilire il legame.


Uno dei modi che rivelano quanto una cosa stia a cuore a qualcuno è attraverso gli ostacoli che si è disposti a superare per ottenerla. È così che i nostri figli capiscono quanto conti per noi la relazione. Quando facciamo lo sforzo di trovare la strada che ci riporta al loro fianco, trascendendo i nostri sentimenti e contenendo i loro, comunichiamo un messaggio forte: che la relazione è in cima alle nostre priorità. Quando le reazioni sono intense e i sentimenti logori, è ora di richiamare le nostre più profonde priorità e affermare la nostra dedizione. “Sono ancora la tua mamma e sempre lo sarò. So che è difficile ricordarsi che ti voglio bene quando sono arrabbiata, e a volte può capitare anche a me di dimenticarlo per qualche istante, ma torno sempre in me. Sono felice che il nostro legame sia forte. Deve esserlo in momenti come questo”. Le vere parole non sono così importanti, il messaggio è trasmesso dal tono della voce e dalla dolcezza dello sguardo, e dalla gentilezza del contatto.

Aiutare il bambino a legarsi al genitore

Nel secondo capitolo, ho detto che ci sono sei modalità di attaccamento, “ognuna delle quali fornirà indicazioni preziose sul comportamento dei nostri figli, e spesso anche sul nostro stesso comportamento”. Ciò che fa sentire un figlio disconnesso da noi dipende dalla dinamica di attaccamento che predomina nella sua vita emotiva.


I bambini che si legano soprattutto attraverso i sensi provano un senso di separazione quando vi è una mancanza di contatto fisico. Coloro che si legano attraverso la lealtà, si sentiranno allontanati se avranno l’impressione che il genitore sia contro di loro, anziché essere dalla loro parte. Gabor, il mio coautore, ricorda che suo figlio, un bambino molto intelligente e sensibile che all’epoca aveva nove anni, si sentiva a tal punto tormentato dai continui rimbrotti della mamma e del papà, che aveva immaginato che prendessero lezioni notturne su come rendere la vita difficile ai figli! Pochi bambini riuscirebbero ad articolare in modo tanto drammatico i propri sentimenti, ma molti intendono proprio questo: che i genitori non sono dalla loro parte.


Alcuni hanno bisogno di sentire che contano per i genitori per potersi sentire vicini a loro. Se un bambino siffatto percepisce di non essere importante per il genitore, si sentirà escluso, come per esempio nel caso in cui abbia l’impressione che il genitore dia priorità al lavoro o ad altre attività anziché a lui. Quando invece si lega attraverso il cuore, si sentirà lasciato in disparte dalla mancanza di calore e affetto. Se essere conosciuti e compresi è ciò che crea un senso di intimità, sentirsi incompreso aprirà una breccia, come ad esempio la percezione, anche solo inconscia, che i genitori stiano covando qualche importante segreto. Ecco perché non si dovrebbe mai mentire ai figli. Le bugie, per quanto innocenti, non possono proteggere un bambino dal dolore. C’è qualcosa in noi che sa quando qualcuno ci dice una bugia, anche se questa consapevolezza non raggiunge mai la coscienza. Essere esclusi da un segreto genera la sensazione di essere tagliati fuori, e fa crescere l’ansia dell’esclusione.


Per riassumere, qualunque sia la principale modalità di attaccamento dei nostri figli, l’obiettivo fondamentale è di aiutarli a restare legati a noi quanto basta perché non sentano il bisogno di rimpiazzarci.

Restare uniti quando si è lontani fisicamente

La sfida più grande si presenta con quei bambini che sono ancora dipendenti in primo luogo dai sensi per sentirsi vicini ai genitori. I bambini molto piccoli, ovviamente, sono così per forza di cose, ma anche molti di quelli più grandi, se orientati ai coetanei, saranno incapaci di mantenere in primo piano un senso di vicinanza ai genitori quando questi sono lontani fisicamente. Possiamo riconoscere questi bambini dalla loro indifferenza verso di noi e dal loro distacco dopo periodi di separazione fisica, anche se relativamente brevi, come per esempio una giornata di scuola elementare. Sarebbe una buona idea prendere a prestito dagli innamorati qualcuno degli espedienti che usano per colmare l’abisso della separazione fisica. In effetti, pensare in questi termini dovrebbe generare una moltitudine di idee. Per gli innamorati il desiderio di preservare la prossimità è reciproco, pertanto di solito si applicano entrambi a questo compito. Con i bambini è il genitore che deve farsi carico di pensare a ciò che serve al bambino. La sfida è la medesima, a prescindere dal motivo della separazione: il lavoro dei genitori, la scuola, i genitori che non vivono insieme, un ricovero in ospedale, una partenza per il campeggio o dormire separati.


Tra alcune delle tecniche utili per aiutare il bambino a colmare separazioni inevitabili vi è il dono di fotografie del genitore, di gioielli o medaglioni da indossare, di biglietti da leggere o farsi leggere, di qualcosa del genitore a cui il bambino possa aggrapparsi durante l’assenza, le telefonate a orari prestabiliti, le registrazioni della propria voce con canzoni o messaggi, qualcosa che conservi l’odore del genitore, regali da aprire in momenti particolari. L’elenco è senza limiti. Ognuno saprà cosa fare; si tratta solo di riconoscere che colmare la separazione fisica è importante, e prendersene la responsabilità. È importante farlo soprattutto con quei bambini che non ci offrono indicazioni esplicite del fatto che questo è ciò di cui hanno bisogno. Naturalmente ci riferiamo ai preadolescenti; questo genere di stratagemmi non funzionerebbe molto bene con un teenager!


Un altro modo di tenersi vicini ai propri figli è quello di dare loro una percezione del luogo dove ci troviamo quando non siamo con loro. Farli familiarizzare con il nostro posto di lavoro può aiutare. Quando si parte per un viaggio, organizzare qualcosa in modo che possano seguire gli spostamenti su una mappa. Come per gli innamorati, l’assenza fisica è più facile da sopportare se si è in grado di localizzare l’altro nel tempo e nello spazio. Non offrire un senso di continuità significa rischiare di essere rimpiazzati.


Sarebbe necessario inserire nell’elenco anche l’aiuto che gli altri possono offrire per tenerci vivi nella mente del bambino quando siamo assenti. Si può chiedere ad amici e parenti, o ad altri adulti di riferimento, di parlare di noi ai nostri figli in modo amichevole, per aiutarli a immaginare cosa stiamo facendo in un determinato momento, e mostrare fotografie che evochino in loro ricordi piacevoli. Anche se in un primo momento potrebbe persino turbare il bambino, questo contatto secondario con noi ha il proposito di preservare il legame. Con i bambini che sono a rischio di sostituirci con i coetanei, altri adulti possono giocare un ruolo significativo nel mantenere intatta la relazione genitore-figlio. Questo è vero soprattutto per i bambini i cui genitori non vivono insieme. Se vogliamo agire nell’interesse del bambino, dobbiamo fare tutto quanto è in nostro potere per aiutarlo a tenersi vicino all’altro genitore quando siamo assenti. Visto l’accresciuto rischio di orientamento ai coetanei come conseguenza del divorzio, questo dovrebbe essere uno dei nostri obiettivi principali, e la prima delle nostre responsabilità. Per disgrazia, la coscienza dell’attaccamento non è spesso abbastanza forte da superare i conflitti personali che esistono fra i genitori.

Intimità: il legame più profondo

Il traguardo più importante nell’aiutare il bambino a tenersi stretto a noi è quello di coltivare una profonda intimità con cui i coetanei non possano competere. Per quanto possano essere buoni amici, è raro che i ragazzini fra loro condividano ciò che hanno nel cuore. I sentimenti più profondi di solito sono difesi; è un terreno troppo vulnerabile perché si possa correre il rischio di essere derisi o non compresi. Una madre ricorda cosa accadde quando il cavallo di sua figlia adolescente morì in un incidente di corsa: “Restai sbigottita quando scoprii che i migliori amici di Jenna non sapevano assolutamente nulla del suo dolore. Quando le chiesi perché non glielo avesse detto, replicò in tono pratico che quelle non erano il genere di cose che i ragazzi condividono con gli amici!”. Strano concetto di amicizia, ma piuttosto tipico nel mondo degli attaccamenti fra coetanei.


I segreti che di solito vengono condivisi fra i ragazzi riguardano spesso segreti di altri o informazioni su se stessi che non rivelano troppo; le cose vulnerabili di rado vengono tirate fuori. È una fortuna per i genitori, poiché il senso di vicinanza che può venire dal sentirsi conosciuti e compresi a fondo è forse la più profonda delle intimità, in grado di creare un legame che trascende anche le separazioni fisiche più dure. Il potere di una tale connessione intima fra genitore e figlio non può essere esagerato.


Il primo passo nel creare questo genere di vicinanza è quello di indurre il bambino a confidarsi. Sebbene molti di loro abbiano bisogno di un invito, chiedere cosa provano e cosa pensano di rado funziona. Talvolta il segreto è nel trovare l’attività giusta: regolari uscite insieme, impegni condivisi, portare a spasso il cane. Con mia madre, era quando lavavamo i piatti insieme o raccoglievamo mirtilli che io condividevo quei pensieri e sentimenti che con difficoltà sarebbero venuti fuori altrimenti. La vicinanza che sentivo in quei momenti era davvero molto speciale e fece molto per creare un legame duraturo.


La figlia adolescente del mio coautore ha l’abitudine di andare nel suo studio la sera tardi, proprio quando egli spera in un po’ di privacy. In questi momenti, però, lei si apre e confida cose di sé che non è disposta a raccontare durante il resto della giornata. Lui ha imparato a dare il benvenuto a queste “intrusioni”: lascia perdere le sue letture e la posta elettronica per concentrare la propria attenzione sulla figlia. È necessario approfittare di ogni opportunità.


I sentimenti di alcuni ragazzi sono chiusi, per le ragioni difensive spiegate nel capitolo 8. Indurli a palesare qualsiasi cosa che sia anche lontanamente vulnerabile è scoraggiante. Dobbiamo fare in modo che per loro confidarsi sia il più semplice possibile, e ricordare che il nostro primo obiettivo non è correggerli o istruirli, bensì creare un legame con loro. Ideare occasioni speciali a tu per tu e aver cura di non essere troppo diretti, può essere un buon inizio. In gran parte si tratta di procedere per tentativi, ma iniziativa e inventiva di solito danno i loro frutti. Più è difficile dar vita a una tale connessione, e più cercarla è importante. Più i nostri figli si sentono conosciuti e compresi da noi, minore è il rischio di venir rimpiazzati. Questo genere di legame è la scommessa migliore che possiamo fare per immunizzare i nostri figli contro l’orientamento ai coetanei.


Coltivare un senso di intimità psicologica è la migliore misura preventiva. Se il ragazzo è molto orientato ai coetanei, abbiamo forse già perduto la possibilità di sviluppare una tale connessione; in questi casi dobbiamo prima richiamare a noi i nostri figli nei modi già discussi nel capitolo 14. Per i ragazzi orientati ai coetanei è più che evidente che parlare con i genitori di qualsiasi cosa che conti è fuori luogo. Una giovane ascoltatrice di un programma radiofonico che stavo conducendo su questo argomento, espresse con chiarezza sferzante ciò che devono fronteggiare i genitori di adolescenti orientati ai coetanei. In un tono che trasudava la sicurezza di chi la sa lunga, questa quindicenne chiamò in trasmissione e mi sistemò così: “Siete talmente strano! Per i ragazzi la vera famiglia sono gli amici. Perché mai un ragazzo dovrebbe voler parlare con i genitori? Non va bene, non è nemmeno una cosa normale”. Dato il suo orientamento ai compagni, non avrebbe potuto vedere la cosa diversamente. La malattia è insidiosa – questi ragazzi non hanno affatto il senso che qualcosa è andato storto. È del tutto inutile sottolineare a un tale adolescente che i suoi istinti lo stanno fuorviando, o che l’intensità delle sue relazioni con i coetanei non è nel suo interesse. Non vi è nulla di razionale in questa aberrazione, e tutte le ragioni del mondo non possono raddrizzare gli istinti deviati. Non ci sono altri modi se non quelli di riconquistare i nostri ragazzi, uno per uno.


Coltivare legami che siano sfaccettati e ben radicati è la miglior prevenzione (sulla prevenzione dell’orientamento ai coetanei dirò di più nel capitolo 17). Non è facile che un bambino o un ragazzo, che si senta conosciuto e compreso, tragga soddisfazione dal trattamento ben più misero offerto dall’orientamento ai pari. In questo modo, forniamo ai nostri figli anche un modello per gli attaccamenti futuri, appagante come quello che hanno sperimentato con i genitori. Senza questo modello di riferimento, le relazioni future potrebbero risultare impoverite, basate principalmente sulla dimensione unica delle interazioni fra coetanei.

Creare abitudini e imporre restrizioni

Per quanto si possa credere necessario fare ordine nel comportamento del bambino, è ancor più importante mettere ordine nei suoi attaccamenti. Sono due i lavori da fare: creare abitudini per coltivare il legame affettivo, e stabilire restrizioni che indeboliscano la concorrenza. E credetemi, se vedessimo la situazione con chiarezza, ci renderemmo conto che si tratta di una lotta senza quartiere, di uno scontro senza esclusione di colpi, dove chi vince piglia tutto e chi perde resta a bocca asciutta, un si salvi chi può dove sono in gioco i cuori e le menti dei nostri figli!


Certo esistono dei limiti a ciò che possiamo fare: non possiamo costringere i nostri figli a voler stare con noi, a essere orientati da noi, o amarci. Non possiamo costringerli a voler essere buoni per noi o decidere chi siano i loro amici. Con bambini connessi agli adulti non è necessario fare nessuna di queste cose – il loro attaccamento verso di noi lavorerà al posto nostro. Allo stesso modo, ci sono limiti a ciò che dovremmo fare: non dovremmo imporci a loro, né usare la forza per tenerli stretti a noi. Tener stretti i propri figli non ha niente a che vedere col forgiare il loro comportamento, bensì riguarda il saper coinvolgere i loro istinti di attaccamento e conservare la naturale gerarchia. Non è sufficiente – e neppure possibile – tenersi accanto i figli quando i loro istinti li trascinano lontano da noi. Dobbiamo lavorare per preservare e ristabilire la relazione, così che sentano lo stare con noi e il dipendere da noi come la cosa più giusta e naturale. A questo fine dobbiamo mettere in atto consuetudini e restrizioni. Non dovremmo rimettere gli attaccamenti dei nostri figli al destino più di quanto non affideremmo al fato la nostra salute o le nostre finanze.


Consuetudini e restrizioni sono a salvaguardia di ciò che è sacro. Una funzione della cultura è proteggere i valori che teniamo cari, ma che, nella vita di tutti i giorni, non sentiamo in tutta la loro urgenza. Sappiamo, ad esempio, che l’esercizio e la solitudine sono importanti per il nostro benessere fisico ed emotivo, tuttavia quasi mai la nostra sensazione di urgenza è forte abbastanza da indurci a soddisfare in modo risoluto questi bisogni. Le culture nelle quali l’esercizio e la solitudine meditativa sono pratiche ben consolidate proteggono i propri membri dalla mancanza di motivazione. Man mano che la nostra cultura si logora, le abitudini e i rituali che proteggono la vita familiare e la sacralità della relazione genitori-figli – che è di vitale importanza ma per nulla urgente nella nostra coscienza – si vanno erodendo di pari passo.

Se la cultura provenzale dovesse soccombere alle pressioni economiche e alla cultura del momento, i rituali che proteggono gli attaccamenti del bambino molto probabilmente sparirebbero anch’essi: i pasti seduti a tavola tutti insieme, i rituali di accoglimento e saluto ai cancelli della scuola, le feste di paese, le gite familiari della domenica. Ecco perché i genitori di oggi devono rimboccarsi le maniche e dar vita loro stessi a una minicultura che funzioni. Ci servono rituali di attaccamento per salvaguardare ciò che è sacro, qualcosa che serva a lungo termine in modo da non richiedere necessariamente una consapevolezza a breve termine. Non possiamo permetterci di lasciar andare le cose così come vanno fino al punto in cui, come Humpty Dumpty, non possano più essere aggiustate55.

È saggio utilizzare il potere di attaccamento che possediamo oggi per creare abitudini che ci permettano di conservare il potere che ci servirà domani. Dobbiamo ideare consuetudini che limitino tutto ciò che potrebbe allontanare i nostri figli da noi e, allo stesso tempo, ci aiutino a richiamarli a noi. Le regole e le restrizioni dovrebbero applicarsi alla televisione, al computer, al telefono, a internet, ai giochi elettronici, e alle attività del doposcuola. Le restrizioni più ovvie sono quelle che governano l’interazione con i coetanei, specialmente il tipo di interazione libera che non è orchestrata da adulti. A meno che i genitori non impongano qualche restrizione, la richiesta di incontri per giocare, stare insieme, dormire dagli amici, e trascorrere il tempo a mandarsi messaggini in tempo reale sfugge ben presto di mano. Non ci vuole molto perché il desiderio di contatto con i coetanei prenda il sopravvento sulla voglia di intimità con i genitori. Senza regole e restrizioni che ci diano un vantaggio, diventa sempre più difficile competere. Si noti che stiamo ancora parlando di prevenzione: routine e restrizioni non possono essere imposte con la forza sui giovani già orientati ai coetanei senza fare un danno maggiore. In quei casi bisogna adottare un criterio diverso.


I genitori saggi non imporranno più restrizioni di quelle che il potere di attaccamento che esercitano è in grado di sopportare. “Quando Lance aveva undici anni, all’improvviso si trovò nella cerchia più in vista del gruppo, mentre prima era ai margini”, ricorda la madre di un adolescente. “Suo padre e io eravamo molto a disagio con i suoi due nuovi migliori amici. Non sembravano legati ai genitori o attaccati alla famiglia. Ci sentivamo a disagio quando venivano a casa nostra; era una sensazione istintiva molto forte; entrambi mettevano a dura prova i nostri nervi.


“Inaspettatamente, Lance iniziò ad ascoltare i loro CD; erano disgustosi – e io sono una fan del rock! Molte parolacce, pieni di violenza. CD sui quali ora non avrei ripensamenti, ma allora, quando mio figlio aveva undici anni... comunque, c’era questo ragazzo, Josh, era come il pifferaio magico della storia, e si era portato via mio figlio. Lance era cambiato, iniziò ad avere dei segreti con noi, e chiedeva sempre di stare con questi ragazzi.


“Decidemmo che dovevamo interrompere questa relazione, ma fallimmo miseramente. Facemmo sedere Lance per parlare con lui: ‘Io e tuo padre non vogliamo più che tu veda Josh’, gli dissi. All’inizio pianse, e continuò a piangere e a piangere. Fu chiaro che sentiva che lo avevamo costretto a scegliere fra noi e Josh, e lui aveva scelto Josh: piangeva perché gli sarei mancata.


“Non ci rivolse la parola per tre mesi e mezzo, nulla di nulla. Continuò a vedere Josh, a scuola, dopo la scuola, e nei fine settimana. Alla fine dovemmo cedere”. Quello che i genitori di Lance compresero era che non potevano affrontare il problema dei coetanei in modo diretto. Mancava loro il potere di attaccamento, perciò il loro tentativo di limitare l’interazione del figlio con i coetanei era destinato a fallire. Dovevano tornare indietro alle basi e richiamare il figlio a sé, corteggiarlo e riconquistarlo.


Le uscite familiari e le vacanze hanno bisogno di essere protette. Se sono momenti designati per richiamare a noi i figli e preservare i legami che ci uniscono a loro, non possiamo permetterci di diluirne la funzione portando con noi gli amici dei figli. Né possiamo permetterci quel genere di vacanza che divide la famiglia, come sta diventando di moda sia durante le settimane bianche, sia nei soggiorni al mare. È indice della nostra follia maniacale verso i coetanei questo soccombere all’idea che i bambini appartengano ai bambini e gli adulti agli adulti, persino durante le vacanze; o che le vacanze siano fatte per permettere ai genitori di avere un po’ di respiro dai figli. Più respiri ci concediamo, meno i nostri figli saranno legati a noi. L’ironia è che così diventano più difficili da gestire – e quindi si ha bisogno di stare lontani da loro sempre di più!


È più difficile imporre delle restrizioni agli adolescenti, naturalmente, soprattutto a quelli già molto orientati ai coetanei. Vogliono la libertà di coltivare le loro relazioni reciproche e il cielo aiuti chi osa ostacolarli. Per i ragazzi che seguono i propri istinti sviati, è assolutamente chiaro e certo che essi appartengono gli uni agli altri e che i genitori sono solo un intralcio sulla strada di ciò che è davvero importante. Per quanto li riguarda, i genitori e gli insegnanti che non capiscono queste cose semplicemente non ci arrivano, sono fuori della loro portata.


Da qui l’importanza di dar luogo a consuetudini finché ancora abbiamo il potere di farlo. Se abbandoniamo le cose al loro destino, le nostre famiglie saranno gradualmente fatte a pezzi dagli scopi individuali, dalle richieste della società, dalle pressioni economiche e, infine, dagli istinti distorti della nostra prole. Le modalità di strutturazione del tempo che facilitano la relazione genitori-figli sono essenziali: le vacanze con la famiglia, le feste in famiglia, i giochi per tutta la famiglia, le attività in comune. A meno di non stabilire a priori un posto e un luogo, e di non creare dei rituali, le pressioni che sono più urgenti avranno inevitabilmente il sopravvento. Per le famiglie con genitore unico, questo compito è ancora più cruciale perché le pressioni della concorrenza sono più intense. Le tradizioni culturali che sopravvivono ancora nel matrimonio, anche se indebolite rispetto al passato, spesso vengono trascurate come conseguenza della disgregazione della famiglia.


Sin dal nostro soggiorno in Provenza, ho iniziato a considerare i pasti in famiglia come uno dei rituali di attaccamento più importanti. L’attaccamento e il cibo vanno di pari passo; l’uno facilita l’altro. Penso che i pasti dovrebbero essere un momento di disinvolta dipendenza: dove è ancora intatta la gerarchia degli attaccamenti, e dove colui da cui si dipende ha cura di coloro che dipendono; dove l’esperienza conta ancora; dove esiste il piacere di nutrire e di essere nutriti, e dove il cibo è la via che porta al cuore. Studi su altri mammiferi hanno mostrato che anche la digestione funziona meglio nel contesto dell’attaccamento. Attaccamenti disturbati spiegano probabilmente l’alta incidenza di dolori addominali nei bambini a scuola, e i loro problemi di appetito durante l’intervallo del pranzo. Si spiega così anche la resistenza di molti ragazzi orientati ai coetanei a farsi nutrire dai genitori, a sedere a tavola e partecipare ai pasti della famiglia.


Sebbene il semplice fatto di mangiare insieme possa facilitare un qualche legame primario, ciò che più probabilmente crea un attaccamento genuino ha a che fare con il tipo di interazione che ha luogo mentre si mangia. I pasti in famiglia possono rivelarsi dei formidabili rituali di richiamo. Quale altra attività riesce a offrire una simile opportunità per metterci di fronte ai figli in modo amichevole, dar loro qualcosa a cui aggrapparsi, e invitarli a dipendere da noi? Quale altra attività ci dà l’opportunità di catturare gli occhi, indurre al sorriso e ai cenni del capo? È naturale che per millenni i pasti siano stati il pezzo forte dei rituali umani di corteggiamento. E spiega anche perché il pasto della famiglia riunita a tavola sia la pietra angolare della cultura provenzale: la tavola è apparecchiata con cura, le portate sono servite una alla volta, le tradizioni sono rispettate, i pasti sono congegnati in modo da richiedere del tempo, non sono ammesse interruzioni. Il pasto della famiglia seduta a tavola ha molti sostenitori, incluso il panettiere, il macellaio, e i venditori al mercato del paese. A mezzogiorno e a ora di cena, le attività commerciali cessano e i negozi chiudono. I fast food sono rari, così come l’abitudine di mangiare da soli o in piedi. Quella provenzale è stata definita una cultura del cibo; a me sembra tuttavia che il consumo del cibo sia solo l’aspetto più visibile. Il proposito di fondo è l’attaccamento. I pasti seduti a tavola erano certamente al centro della nostra vita familiare durante il nostro soggiorno in Provenza, e fu ciò di cui i nostri figli sentirono di più la mancanza quando tornammo a casa.


Qui nel Nuovo Mondo abbiamo seri problemi; i pasti seduti della famiglia al completo sono un evento in via di estinzione. Quando sopravvivono, è più probabile che siano un’attività meccanica col mero proposito di alimentarsi. Esistono luoghi in cui andare, lavoro da svolgere, sport da praticare, computer davanti ai quali sedersi, cose da comprare, film e televisione da guardare. Mangiare è ciò che si fa per prepararsi a ciò che viene dopo ma quasi mai queste altre attività ci permettono di esercitare un richiamo sui figli. Proprio adesso che avremmo bisogno come non mai di mangiare tutti riuniti a tavola, è invece probabile che il pasto si consumi ognuno per conto proprio, permettendo ai figli di fare lo stesso. Certo, i pasti carichi di tensione, che finiscono in litigate o preparano il terreno a discussioni sulle buone maniere o su chi deve sparecchiare, non avranno alcuna funzione di richiamo. I genitori devono utilizzare i pasti per poter entrare nello spazio dei figli in modo amichevole.


Le abitudini personali sono anch’esse importanti per richiamare i nostri figli e preservare i legami. Dobbiamo creare un tempo e un luogo per un’attività con loro dove l’unico vero obiettivo sia il legame. Costruire relazioni e conservare l’attaccamento è qualcosa che riesce molto meglio a tu per tu anziché in gruppo. Esistono infinite attività che possono fornire un pretesto: lavorare a un progetto, fare una passeggiata o un gioco, cucinare insieme, leggere. I rituali della buonanotte, come le storie e le canzoni, sono interazioni di attaccamento ormai consacrate con i più piccoli. La maggior parte dei genitori è perfettamente in grado di immaginare cosa fare. Ciò che manca, invece, è la comprensione che l’attaccamento che i figli hanno per noi ha bisogno di essere preservato se non vogliamo che la concorrenza ce li porti via. Persino un’attività una volta a settimana può fare molto per rispondere agli obiettivi dell’attaccamento.

Restrizioni al contatto con i coetanei

Sebbene restrizioni e consuetudini funzionino meglio quando sono utilizzate a livello preventivo, possono anche essere usate per temperare l’ossessione per i coetanei. È sempre meglio essere il più indiretti possibile. Dire a un figlio che i suoi amici contano troppo, rivela solo la nostra stranezza e la nostra poca comprensione. Dobbiamo creare eventi e abitudini che facciano il lavoro senza svelare le nostre intenzioni. Se l’ora del pranzo è quella che crea e rafforza il legame con i coetanei, allora, quando i genitori o altri adulti sono nella posizione per farlo, la priorità dovrebbe essere cercare delle alternative. Se il momento principe dell’attaccamento fra coetanei è dopo la scuola, questo dovrà diventare il momento per altre attività che entrino in competizione con quell’attaccamento. Se andare a dormire dagli amici è il problema, imporre alcune restrizioni sulla frequenza sarà la cosa giusta da fare. La nostra politica di limitare le notti fuori casa a una volta al mese, all’inizio incontrò notevoli proteste da parte di nostra figlia Bria. Un giorno, presa dalla frustrazione, sbottò: “Ma non è giusto – così interferite con le nostre possibilità di creare un legame”. Non avrebbe potuto dirlo in maniera più succinta, o aumentare di più le nostre preoccupazioni. Se le tecnologie casalinghe che favoriscono l’attaccamento – telefoni cellulari, internet, Messenger – servono per permettere ai ragazzi di frequentare la concorrenza, allora dobbiamo trovare un modo per ridurre l’accesso a questa tecnologia o per creare modalità competitive. Ad ogni modo, una volta che siano veramente orientati ai coetanei, l’istinto al contatto con i compagni riesce a essere talmente forte che le regole potrebbero non essere più sufficienti a controllare il comportamento. In questi casi, forse sarà necessario sacrificare del tutto l’armamentario tecnologico che serve all’attaccamento fra coetanei, proprio come si bandirebbe l’alcol da casa se uno dei membri della famiglia avesse problemi col bere, o si staccherebbe la televisione se i limiti imposti al suo utilizzo fossero ignorati.


A volte, un genitore può competere con successo con i compagni del figlio mostrandosi un passo avanti a loro. I ragazzi orientati ai coetanei spesso hanno difficoltà a pianificare le cose in anticipo. Vogliono stare insieme, tuttavia, se prendono troppa iniziativa rischiano di apparire troppo bisognosi di contatto, rischiando perciò di essere respinti. Diventano maestri dell’indiretto: “Ciao, che fai?”, “Non so, e tu?”, “Non so”, “Beh, forse potremmo vederci o roba così”, “Come ti pare” – e via così prendendola alla larga. Questi ragazzi vagano insieme senza mai mettere se stessi o gli altri in condizioni di vulnerabilità. L’attaccamento fornisce l’impeto a voler stare insieme, ma la paura della vulnerabilità impedisce loro di essere troppo espliciti nel sollecitare l’incontro. Un motivo di conforto è dato dal fatto che in queste condizioni i genitori hanno l’opportunità di effettuare attacchi preventivi. Pianificare qualcosa un giorno prima o anche solo qualche ora prima del momento in cui prevedibilmente socializzeranno con i coetanei – un pranzo speciale, un giro per compere, un’uscita familiare, un’attività preferita – può impedire al giovane di essere risucchiato nella spirale dell’interazione con i coetanei. Essere creativi nel precedere il momento del contatto con i coetanei è molto meglio che dover reagire ai sintomi dell’orientamento sviato.


Spesso, se si riesce ad allentare abbastanza la presa dell’interazione con i compagni, avverrà un processo automatico di auto selezione. I più orientati ai coetanei fra gli amici dei nostri figli si sposteranno verso altri ragazzini che come loro cercano prima di tutto una connessione con i loro pari. E, visto che tutti noi vogliamo legarci a persone con le quali condividiamo interessi e valori, quei bambini che sono ben connessi con i genitori probabilmente legheranno con amici per i quali la famiglia è altrettanto importante. È proprio ciò che avvenne con Bria in prima e seconda media. I suoi amici più orientati ai coetanei erano spariti in cerca di altri del loro stesso tipo, mentre quelli che restarono avevano famiglie cui erano molto attaccati e a cui volevano restare vicini. Amici che non entrino in competizione con la famiglia sono esattamente ciò che desideriamo, per i nostri figli e per noi.


Com’è naturale, per arrivare a questo punto i nostri ragazzi potrebbero attraversare periodi dolorosi, se sono già orientati ai coetanei. È difficile fare cose che li addolorano, anche quando sappiamo che a lungo andare sarà per il loro bene. Se imponiamo delle restrizioni al desiderio di un ragazzino di seguire i coetanei, lo mettiamo in una condizione terribile. La loro capacità di restare vicini gli uni agli altri dipende dalla possibilità di cogliere ogni occasione di contatto e unione. Perdere uno scambio di SMS con un amico, o una chat room su internet, mancare l’occasione per una telefonata o un’uscita, non andare a una festa o a dormire da un compagno, sono tutte cose che rischiano di mettere a repentaglio la relazione. Questa insicurezza ossessiva di solito è ben fondata. Coloro che sono orientati ai coetanei con molta forza non tollerano chi non riesce a mantenere la vicinanza tanto intensamente quanto loro, o chi ha i genitori che rappresentano un intralcio. Spesso, per quanto possa sembrare crudele, è nondimeno nell’interesse dei figli esser loro d’intralcio. Nessuno di noi vorrebbe vedere che i propri figli sono lasciati in disparte, ma è di gran lunga il male minore quando le relazioni con i coetanei minacciano la vicinanza ai genitori. Non c’è modo di salvarli dalla sofferenza, se sono orientati ai coetanei. L’unica scelta riguarda se affrontare il problema subito o più tardi. La sofferenza che provochiamo nel breve termine previene problemi molto più gravi in futuro.


A causa delle angosce provocate dalle nostre restrizioni, è necessario prepararsi a momenti burrascosi. Quando si impongono limitazioni al proposito dei ragazzi di mantenere ottime relazioni con i compagni, è molto probabile che una profonda frustrazione si impadronisca di loro. Se mai ci fossero dubbi sul fatto che essi si sentono sopraffatti dalla situazione, questi verrebbero immediatamente fugati dall’espressione rabbiosa e sgarbata della loro profonda frustrazione. Nel suo attuale lavoro di medico con i tossicodipendenti, Gabor – il mio coautore – assiste spesso a simili scoppi di disperazione e di furia rabbiosa, ad esempio quando rifiuta di prescrivere ai tossicodipendenti un narcotico che essi gli chiedono. L’approccio più saggio è quello di non considerare in modo personale questi attacchi. Bisogna ricordare sempre che, per i ragazzi orientati ai coetanei, l’unica risposta alla vita è la prossimità con i compagni. La nostra interferenza provoca una terribile frustrazione nell’attaccamento, per questo è meglio che i genitori siano pronti ad affrontare ostilità e aggressività. Inoltre, va ricordato che i ragazzi orientati ai coetanei restano bloccati nelle proprie priorità e non riescono a lasciar andare. Poiché per loro la futilità di un determinato modo di agire non riesce a penetrare in profondità, essi persistono fino a diventare odiosi. È un errore interpretare questo atteggiamento come forza di volontà o testardaggine; la verità è che si tratta solo di blocco e disperazione. I più fortemente orientati ai compagni non riescono a immaginare la propria vita al di fuori di questo attaccamento, dobbiamo perciò essere pronti a sopportare e contenere le reazioni provocate dalle nostre regole e restrizioni. In questi frangenti il nostro compito è quello di restare saldi in noi stessi, non farci provocare e non lasciarci sopraffare dai nostri stessi scoppi incontrollati. Questo ci aiuterà a restare accanto ai nostri figli, e a tenerli stretti finché tutto non sarà passato.


Nel porre delle restrizioni dobbiamo mettere insieme un sentimento fiducioso di ciò che serve ai nostri figli con una visione realistica di ciò che è possibile fare – ossia di quanto potere di attaccamento possediamo davvero. Più riusciamo ad essere indiretti nell’imporre restrizioni, maggiore è la nostra intraprendenza nel creare abitudini e routine che facciano il lavoro per noi, e più è probabile che eviteremo scontri frontali. Tentare di rinforzare le regole, se non ne abbiamo il potere, non fa che manifestare la nostra impotenza; e l’impotenza è qualcosa che non vogliamo assolutamente svelare. Una volta che la nostra mancanza di potere sia palese, persino le nostre minacce più sinistre saranno smascherate, rivelandosi per ciò che sono: un bluff – a meno che non si voglia alzare la posta e far ricorso alla forza in modi che danneggerebbero gravemente la relazione. Senza il potere dell’attaccamento non esiste potere alcuno.


È anche importante ricordare che quando si impongono delle limitazioni all’interazione con i coetanei, siamo solo a metà della soluzione. Con questi giovani la sfida non è solo quella di separarli dai compagni, ma anche quella di capovolgere il processo che all’inizio li aveva allontanati da noi. Dobbiamo prendere il posto dei coetanei, e se creiamo un vuoto di attaccamento grazie alle restrizioni, dobbiamo anche essere pronti a riempirlo con noi stessi. Ho già sottolineato che il divieto di uscire di casa dovrebbe essere considerato un’opportunità anziché una punizione (si veda il capitolo 14). Il vero beneficio non è nel dare una lezione; come vedremo nel prossimo capitolo, le punizioni pensate per “insegnare una lezione” lo fanno ben di rado. Ad ogni modo, scoraggiare l’interazione con i compagni proibendo di uscire può creare spazio per trascorrere del tempo insieme ai genitori.


Abbiamo bisogno di tanta sicurezza e determinazione per andare controcorrente, imporre limiti alle interazioni con i coetanei, stabilire abitudini e modalità che preservino l’attaccamento fra noi e i nostri figli. Potrebbe richiedere del coraggio far fronte alle risposte critiche e incredule dei nostri amici, che non comprendono perché non diamo al contatto fra coetanei lo stesso valore che gli attribuiscono loro, e perché vogliamo cercare di limitarlo entro confini ristretti. “Persino con gli amici intimi, persone adorabili e di notevole integrità, continuiamo a dover fare i conti con gli stessi spauracchi, le stesse pressioni a permettere ai nostri figli tempo di gioco illimitato con i coetanei, regolari pernottamenti fuori casa e così via”, dice un giovane padre, “Ogni volta che rispondiamo alla domanda sul perché non vogliamo, li insultiamo senza volere, per il semplice fatto che loro hanno fatto una scelta diversa”.


Ci vuole forza per resistere alle suppliche disperate di un bambino orientato ai coetanei, per sopportare l’inevitabile scombussolamento e le proteste violente. Soprattutto, dobbiamo aver fede in noi stessi e nella scommessa migliore per i nostri figli. Aiuta avere qualche sostegno concettuale per le nostre intuizioni – e questa è proprio l’intenzione di questo libro – ma ci vuole ancora del coraggio per non seguire la corrente.

Non raccomandiamo ai genitori di accettare i nostri suggerimenti finché non avranno la sicurezza, la pazienza, e il calore di viverle fino in fondo. Nessuno dovrebbe mai allevare un figlio solo sulla base di un libro – neppure questo libro!

I nostri atteggiamenti e le nostre azioni devono scaturire dal profondo convincimento che ciò che stiamo facendo è realmente nel migliore interesse del bambino – e ciò richiede una piena sicurezza di sé e del proprio discernimento, nonché una dedizione risoluta alle proprie convinzioni.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.