Offrire al bambino qualcosa a cui tenersi stretto
Il principio dietro al prossimo passo è semplice: dare al bambino qualcosa a cui possa attaccarsi, al fine di coinvolgere i suoi istinti di attaccamento. Con i neonati, questo implica spesso mettere un dito nel palmo della mano. Se il cervello di attaccamento del bambino è ricettivo, afferrerà il dito, altrimenti tirerà via la mano. Non si tratta di un riflesso muscolare involontario, come quello indotto dai colpetti sotto al ginocchio, bensì di un riflesso di attaccamento, uno dei molti presenti dalla nascita, e che rendono possibili alcune attività come nutrire e coccolare il piccolo. Indica che gli istinti di attaccamento si sono attivati e il bambino ora è pronto per farsi accudire.
Né l’adulto, né il bambino si rendono conto o apprezzano ciò che sta avvenendo. Questo semplice gesto di afferrare il dito è un’interazione completamente inconscia, il cui obiettivo è quello di innescare gli istinti di attaccamento, e far sì che il bambino si tenga stretto. In questo caso il bambino si aggrappa fisicamente, ma il proposito di fondo è quello di stabilire una connessione emotiva. Mettendo il dito nel palmo della mano, invitiamo il bambino a legarsi a noi. Iniziamo così la nostra danza attraverso un invito.
Man mano che i bambini crescono, l’obiettivo della danza non sarà più quello di una stretta fisica, bensì di un aggrapparsi simbolico. Dobbiamo offrire ai bambini qualcosa da stringere, qualcosa a cui tengano, qualcosa che gli stia tanto a cuore da non volerla lasciar andare. Dev’essere qualcosa che proviene da noi, una cosa nostra che possiamo donare e, qualsiasi cosa sia, la chiave è che tenendola stretta, si terranno stretti a noi.
L’attenzione e l’interesse sono formidabili nel suscitare la connessione, e i segni di affetto sono straordinari in questo. I ricercatori hanno identificato il calore, la gioia e il piacere ai primi posti come efficaci attivatori dell’attaccamento. Se ci avviciniamo con una luce negli occhi e il calore nella voce, per la maggior parte dei bambini sarà un invito al contatto che non potranno declinare. Quando diamo ai bambini il segnale di quanto siano importanti per noi, molti vorranno aggrapparsi alla consapevolezza di essere speciali e apprezzati.
Per i propri figli, in particolare, la componente fisica è determinante. Strette e abbracci sono stati creati apposta per permettere ai bambini di restare aggrappati a noi, e possono continuare a scaldare anche molto tempo dopo che l’abbraccio è terminato. Non sorprende che molti adulti in terapia sentano ancora il dolore dovuto al poco calore fisico ricevuto dai genitori durante l’infanzia.
Mi viene chiesto spesso dagli insegnanti come possono coltivare un legame al giorno d’oggi, dove il contatto fisico è un tema tanto controverso. Il tatto è solo un dei cinque sensi e i sensi sono solo una delle sei modalità di connessione (si veda il capitolo 2). Sebbene il tatto sia importante, dobbiamo tenere a mente che non è certo il solo modo in cui stabilire una connessione con i bambini.
Per i bambini che sono emotivamente difesi contro la possibilità di connettersi attraverso una delle modalità più vulnerabili, ci si può concentrare su offerte di minor vulnerabilità – come creare un senso di somiglianza con il giovane o dimostrare lealtà mettendosi dalla sua parte. Nel mio lavoro con i giovani fuorilegge, iniziavo quasi sempre così. A volte era qualcosa di semplice come notare che entrambi avevamo gli occhi azzurri o che condividevamo uno stesso interesse e avevamo qualcosa in comune. Sopratutto, è l’adulto che deve dare qualcosa prima che il giovane vi si possa aggrappare.
Il dono più grande è di far sentire il bambino accolto e invitato ad esistere accanto a noi proprio così com’è, esprimendo la nostra gioia per il suo vero essere. Ci sono mille modi per comunicare un simile invito: con i gesti, con le parole, simbolicamente o attraverso le azioni. Il bambino deve sapere di essere voluto, deve sentire quanto è speciale, prezioso, apprezzato, quanto si senta la sua mancanza e si goda della sua presenza. Affinché il bambino possa pienamente far suo questo invito – crederci e potercisi aggrappare anche quando si è lontani fisicamente – è necessario che esso sia genuino e incondizionato. Nel capitolo 17, quando parleremo della disciplina efficace, vedremo quanto è dannoso utilizzare la separazione dal genitore in modo punitivo contro il bambino. Cimentarsi in questa tecnica, molto consigliata ma anche estremamente dannosa, significa, di fatto, invitare il bambino ad esistere accanto a noi solo quando è all’altezza delle nostre aspettative e dei nostri valori. In altre parole, significa che la nostra relazione con lui è condizionata. La nostra sfida di genitori è di offrire un invito che sia troppo desiderabile e importante per il bambino perché possa rifiutarlo, un’accettazione amorevole che nessun coetaneo possa mai offrire. Nel tenersi stretto al nostro dono di amore incondizionato, il bambino si terrà stretto a noi emotivamente – proprio come il neonato stringeva col pugno il dito del genitore.
Perché il legame possa funzionare, il bambino deve percepire che la nostra offerta è spontanea. Potrebbe sembrare contrario al buon senso – e spiegherò brevemente le mie ragioni – ma non possiamo richiamare a noi un bambino dandogli ciò che egli si aspetta, come nel caso di un rituale o di un regalo di compleanno, o di una ricompensa per aver eseguito un qualche compito. Possiamo esagerare e fare tutta la scena che vogliamo, ma ciò che viene donato in tali circostanze sarà associato alla situazione o all’evento, non alla relazione stessa. Sono doni che non soddisfano mai. Un bambino può apprezzare i regali attesi, siano essi materiali o emotivi, ma i suoi bisogni di attaccamento non verranno saziati da essi.
Non possiamo coltivare la connessione indulgendo alle richieste del bambino, né di attenzione, né di affetto, né di riconoscimento o di importanza. Sebbene si rischi di danneggiare la relazione negandosi a lui quando esprime un bisogno genuino, andare incontro ai bisogni su richiesta non deve essere confuso con l’arricchimento della relazione. Nel richiamare a sé un bambino, l’elemento della sorpresa e dell’iniziativa è cruciale. Fornire qualcosa a cui aggrapparsi riesce al meglio se avviene quando uno meno se lo aspetta. Se ciò che abbiamo da offrire può essere guadagnato, o è visto come una sorta di ricompensa, non servirà a nutrire e accrescere il legame. Le nostre offerte di connessione devono fluire attraverso l’invito di fondo che stiamo estendendo al bambino. Questo passo della danza non è in risposta al bambino; è invece l’atto di concepimento della relazione, continuamente rinnovato. È un invito a danzare la madre di tutte le danze: la danza dell’attaccamento. Di nuovo, si tratta di comunicare una gioia spontanea di fronte al vero essere del bambino – non quando lui chiede qualcosa, ma proprio quando non lo fa. Esprimiamo il nostro piacere nei confronti della sua esistenza attraverso i gesti, i sorrisi, il tono della voce, un abbraccio, un riso divertito, suggerendo un’attività da fare insieme, o semplicemente con un lampo di luce nei nostri occhi.
Un convincimento assai diffuso, a tale proposito, è che cedere alle richieste del bambino significhi “viziarlo”. È un timore che non contiene più di un briciolo di verità. Alcuni genitori compensano l’attenzione, la sintonia, la connessione e il contatto che non offrono ai propri figli facendo concessioni indiscriminate alle loro richieste. Quando viziamo o roviniamo qualcosa, è perché le neghiamo le condizioni di cui ha bisogno. Ad esempio, roviniamo la carne se la lasciamo fuori dal frigorifero. Viziare davvero un bambino non significa indulgere alle sue richieste o offrirgli dei regali, bensì ignorare i suoi veri bisogni. Alla nipote del mio coautore, neomamma, fu detto da un’ostetrica dell’ospedale di non tenere tanto in braccio il suo bambino per non viziarlo. Al contrario, il vizio consiste nel negare al neonato il contatto e la vicinanza di cui ha bisogno. Saggiamente, la mamma ignorò il consiglio “dell’esperto”. Un neonato e un bambino a cui venga garantito un generoso contatto con i genitori, non sarà indotto a richieste eccessive quando diventerà più grande.
È vero che un bambino molto insicuro può richiedere tempo e attenzione, tanto da logorare e far desiderare al genitore un po’ di tregua e di respiro. Il punto è che l’attenzione offerta seguendo le richieste del bambino non è mai soddisfacente: lascia nell’incertezza che il genitore stia solo rispondendo a una richiesta, anziché offrendo per libera scelta qualcosa di sé al figlio.
In questo modo le richieste non fanno che aumentare, senza che il bisogno emotivo sottostante sia mai appagato. La soluzione è quella di cogliere il momento giusto, e invitare al contatto proprio quando il bambino non lo sta chiedendo. O, nel caso in cui si risponda a una sua richiesta, il genitore può prendere l’iniziativa ed esprimere maggior desiderio ed entusiasmo di quello anticipato dal bambino stesso: “Oh, ma è un’idea meravigliosa! Stavo giusto pensando a come passare un po’ di tempo insieme! È bello che tu ci abbia pensato!” Lo prendiamo di sorpresa, facendolo sentire come se fosse lui a ricevere l’invito.
Né si può richiamare a sé un bambino, o offrirgli qualcosa a cui aggrapparsi, sommergendolo di elogi e approvazione. La lode riguarda in generale qualcosa che il bambino ha fatto e, come tale, non è né un dono né è spontanea. La lode trae origine non dall’adulto, bensì dai conseguimenti del bambino. Egli non può aggrapparsi alla lode, perché questa può essere cancellata ad ogni insuccesso. E anche se potesse tenersela stretta, non sarebbe un legame con colui che l’ha espressa, ma con il conseguimento che l’ha prodotta. Non meraviglia che la lode sia controproducente in alcuni bambini, dando luogo a un comportamento che è il contrario di ciò che è stato lodato, o causando l’allontanamento dalla relazione per il timore di non essere all’altezza.
Stiamo dicendo che i bambini non dovrebbero mai essere lodati? Al contrario, offrire agli altri il proprio riconoscimento per qualcosa di speciale che hanno fatto o per l’energia e gli sforzi che hanno profuso nel far sì che qualcosa si realizzasse, è utile, esprime la propria partecipazione emotiva, ed è una buona cosa per la relazione – qualunque relazione. Stiamo invece dicendo che non bisognerebbe mai abusare della lode, stando bene attenti a non far dipendere la motivazione del bambino dall’ammirazione o dalla buona opinione altrui. L’immagine che il bambino ha di sé non dovrebbe riposare sulla capacità o incapacità di suscitare la nostra approvazione attraverso conseguimenti o comportamenti compiacenti. Il vero fondamento dell’autostima nel bambino è il senso di accettazione, amore e gioia che il genitore prova per lui esattamente così com’è.