prima parte

il fenomeno dell'orientamento ai coetanei

capitolo I

I genitori contano più che mai

Jeremy, dodici anni, è chino sulla tastiera con gli occhi fissi sullo schermo del computer; sono le otto di sera e i compiti per il giorno seguente ben lungi dall’essere finiti, ma il reiterato ammonimento di suo padre: “Finisci i compiti!”, è ignorato. Jeremy è su internet che scambia messaggi con gli amici: pettegolezzi su chi piace a chi, cercando di capire chi è un amico e chi no, disquisendo su chi ha detto cosa a chi quel giorno a scuola, stabilendo chi è molto gettonato e chi no. “Non mi scocciare!”, dice rivolgendosi in tono brusco a suo padre, che per l’ennesima volta è venuto a rammentargli i compiti. “Se avessi fatto il tuo dovere”, replica il padre con la voce scossa dalla frustrazione, “non sarei qui a scocciarti!”. La battaglia verbale si intensifica, le voci si fanno stridule, e qualche istante dopo Jeremy grida: “Tu non capisci niente!”, e sbatte la porta.


Il padre è turbato, arrabbiato con Jeremy ma, soprattutto, con se stesso: “Sono esploso di nuovo”, pensa “non riesco a comunicare con mio figlio!”. Lui e sua moglie sono preoccupati per Jeremy: un tempo era un bambino collaborativo e ora è impossibile controllarlo e persino offrirgli un consiglio; la sua attenzione sembra catturata esclusivamente dalla ricerca di contatto con gli amici. La stessa situazione di conflitto domestico si ripete molte volte nell’arco della settimana; genitori e figlio sono a un punto morto e non trovano pensieri o azioni nuove per uscire dall’impasse. I genitori si sentono deboli e impotenti, non hanno mai fatto molto ricorso alle punizioni, ma ora sono sempre più inclini a imporre la disciplina severamente e, quando lo fanno, il figlio è ancor più inasprito e insolente.


Ma fare i genitori deve per forza essere così difficile? Ed è sempre stato così? Le vecchie generazioni hanno spesso lamentato, in passato, il fatto che i giovani fossero meno rispettosi e disciplinati, ma oggi molti genitori sentono intuitivamente che qualcosa non va. I bambini non sono più quelli di cui abbiamo memoria. Appaiono meno propensi a farsi guidare dagli adulti, meno timorosi di finire nei guai; sembrano anche meno innocenti e ingenui, mancando, pare, della meraviglia che con occhi incantati dovrebbe condurli eccitati alla scoperta del mondo, all’esplorazione delle meraviglie della natura o della creatività umana. Molti di loro mostrano di essere sofisticati in modo inappropriato, persino in certo senso logorati, sfiniti, ed esibiscono anzitempo una pseudo-maturità. Si annoiano facilmente quando sono lontani gli uni dagli altri o quando non sono tenuti occupati dalla tecnologia. Il gioco creativo e solitario sembra essere un vestigio del passato. “Da bambina, trascorrevo ore affascinata dalla creta che scavavo in un fossato vicino casa”, racconta una madre di quarantaquattro anni: “Mi piaceva tanto toccarla, modellarla in forme diverse o anche solo impastarla con le mani; eppure, mio figlio di sei anni non riesce a giocare da solo, a meno che non sia al computer, alla play-station o davanti a un video-game”.


Anche i genitori, dal canto loro, sembrano diversi. I nostri genitori erano più sicuri, avevano più fiducia in se stessi e riuscivano ad avere un’influenza maggiore, nel bene o nel male. Oggi molti non riescono a essere genitori con naturalezza.


I genitori di oggi amano i propri figli come hanno sempre fatto i genitori, ma l’amore non sempre raggiunge il bersaglio. Abbiamo tanto da insegnare, ma la capacità di penetrazione della nostra conoscenza è, in qualche modo, diminuita; percepiamo le potenzialità che animano i nostri ragazzi, ma non ci sentiamo capaci di guidarli verso la loro realizzazione. A volte vivono e agiscono come se fossero sedotti da un canto di sirena, lontani da noi che non possiamo udirlo. Temiamo, seppur vagamente, che il mondo sia divenuto un luogo meno sicuro, ma dal quale non abbiamo il potere di difenderli; e il divario che si spalanca fra adulti e bambini a tratti può sembrare incolmabile.

Lottiamo per essere all’altezza dell’immagine cui, secondo noi, un genitore dovrebbe corrispondere e, non raggiungendo i risultati sperati, imploriamo i nostri figli, li persuadiamo con lusinghe, li allettiamo, usiamo premi o punizioni.


Ci ascoltiamo mentre ci rivolgiamo a loro con toni che suonano aspri persino a noi stessi ed estranei alla nostra vera natura; nei momenti di crisi ci sentiamo invadere dalla freddezza, proprio quando desidereremmo fare appello al nostro amore incondizionato. Ci sentiamo feriti come genitori, e rifiutati. Ce la prendiamo con noi stessi per aver fallito nel nostro compito, o con i nostri figli per essere recalcitranti, o con la televisione per averli distratti, o con il sistema scolastico per non essere abbastanza rigido. Quando l’impotenza si fa insostenibile, ripieghiamo su formule autoritarie e semplicistiche in accordo con l’ethos delle soluzioni rapide e del far-da-sé, tipico della nostra era.

L’importanza stessa del genitore per lo sviluppo e la maturazione dei giovani esseri umani è stata messa in discussione: I Genitori Contano? era il titolo di un articolo di copertina su “Newsweek” nel 1998. “I genitori sono stati sopravvalutati”, argomentava un libro che quell’anno assurgeva all’attenzione internazionale, “Siete stati indotti a credere di avere molta più influenza sulla personalità di vostro figlio di quanta non ne abbiate in realtà1.

La questione dell’influenza genitoriale non sarebbe tanto cruciale se tutto procedesse nel migliore dei modi con i nostri ragazzi. Che i nostri figli non ci ascoltino o non abbraccino i nostri stessi valori, forse, sarebbe accettabile di per sé, se li sentissimo individui autenticamente autosufficienti, indipendenti, capaci di fare affidamento su se stessi; se avessero un senso positivo di ciò che sono e possedessero una chiara visione dei loro propositi e della direzione da prendere nella vita. Ma per molti ragazzi e giovani adulti non scorgiamo alcuna di queste qualità: in famiglia, a scuola, comunità dopo comunità, i giovani esseri umani in crescita hanno perduto gli ormeggi. Molti mancano di autocontrollo e sono sempre più inclini all’alienazione, all’uso di droghe, alla violenza o anche solo a una generale mancanza di scopi. Anche solo rispetto a poche decine di anni fa, si tratta di ragazzi molto più difficili da gestire e da istruire; molti di loro hanno perduto la capacità di adattamento, di apprendere dalle esperienze negative e di maturare. A un numero senza precedenti di bambini e adolescenti vengono prescritti farmaci per la depressione o l’ansia, o per una molteplicità di altre diagnosi. La crisi dei giovani si è manifestata, inquietante, con il crescente problema del bullismo nelle scuole e, in casi estremi, con gli omicidi di bambini perpetrati da altri bambini. Tali tragedie, per quanto rare, sono solo la punta visibile dell’iceberg; esiste un malessere diffuso, una vena comune di violenza nell’odierna cultura giovanile.


I genitori responsabili e attenti sono frustrati. Nonostante le cure amorevoli, bambini e ragazzi appaiono molto stressati e i genitori e gli altri adulti non sembrano rivestire più il ruolo naturale di mèntori, come è sempre stato per gli esseri umani ed è ancora per tutte le altre specie viventi che si trovano nel loro habitat naturale. Le generazioni passate, i nonni e i genitori di coloro che sono nati negli anni del baby-boom, osservano senza riuscire a capire; “ai nostri tempi, non avevamo bisogno di manuali per fare i genitori, lo facevamo e basta!”, affermano in un misto di verità e incomprensione.


C’è dell’ironia in questo stato di cose, poiché mai come oggi si conoscono i meccanismi dello sviluppo infantile e abbiamo accesso a libri e corsi su come allevare i bambini assai più di qualunque altra generazione di genitori in passato.

L'assenza del contesto

Ma allora, cosa è cambiato? Il problema, in una parola, è il contesto. Assumersi il compito di genitore non è qualcosa che può esser fatto con qualsiasi bambino, per quanto ben intenzionati, pieni di risorse o amorevoli e comprensivi si possa essere. Come genitori, per essere efficaci, abbiamo bisogno di un contesto; un figlio deve essere sensibile alle attenzioni genitoriali, altrimenti non ci si potrà prendere cura di lui, confortarlo, guidarlo e indirizzarlo. I bambini non ci garantiscono automaticamente l’autorevolezza per essere genitori solo perché siamo adulti, o perché li amiamo e sappiamo ciò che è meglio per loro, o abbiamo a cuore solo il loro bene e il loro interesse. I genitori acquisiti delle famiglie allargate devono confrontarsi spesso con questo fatto, così come tutti coloro che si prendono cura dei figli di altri, siano essi genitori affidatari, nonni, babysitter, bambinaie, puericultrici degli asili nido o insegnanti. Persino con i propri figli la naturale autorità genitoriale può andare perduta se viene eroso il contesto nel quale esercitarla.


Se abilità ed esperienza nell’accudimento dei piccoli, e persino l’amore, si rivelano insufficienti, allora cos’è che serve? Esiste un tipo indispensabile di relazione, molto speciale, senza la quale non si possono fondare solide basi per la cura e l’accudimento dei figli. Gli esperti dell’età evolutiva – psicologi o altri scienziati che studiano lo sviluppo umano – la chiamano relazione di attaccamento. Affinché un bambino sia ricettivo verso le cure prodigate da un genitore o un adulto, deve aver sviluppato un vivo attaccamento nei confronti di quest’ultimo, desiderandone il contatto e la vicinanza. All’inizio della vita, questa ricerca di contatto e intimità è soprattutto di natura fisica – il bambino si aggrappa letteralmente al genitore e ha bisogno di essere tenuto fisicamente. Se tutto si svolge come previsto, l’attaccamento evolverà in una vicinanza emotiva e, infine, in un senso di intimità psichica. È molto difficile prendersi cura, e a volte persino insegnare, a bambini cui manca questo tipo di legame con gli adulti che ne sono responsabili. Solo una relazione di attaccamento può fornire il contesto appropriato alla crescita del bambino.


Il segreto dell’essere genitori non risiede tanto in ciò che un genitore fa, quanto in ciò che un genitore è per il proprio figlio. La ricerca di contatto e vicinanza da parte del bambino è proprio quella che ci consente di essere per lui una fonte di cure e di conforto, di essere una guida e un esempio, un maestro o un allenatore. Se l’attaccamento è vivo, saremo per lui una solida base dalla quale avventurarsi verso il mondo esterno, il rifugio nel quale battere in ritirata, una primigenia fonte di ispirazione. Tutte le abilità genitoriali di questo mondo non potranno compensare la mancanza di una relazione di attaccamento. Tutto l’amore della terra non ce la farà senza il cordone ombelicale psichico creato dall’attaccamento del bambino.


La relazione di attaccamento verso il genitore deve durare almeno per tutto il tempo che serve al bambino per crescere, ciò che è sempre più difficile nel mondo di oggi. I genitori non sono mutati, non sono meno competenti o meno devoti; anche la natura fondamentale dei bambini non è affatto cambiata, non sono divenuti meno dipendenti, né oppongono una maggiore resistenza: ciò che è mutato è la cultura nella quale cresciamo i nostri figli. L’attaccamento ai genitori, infatti, non riceve più il sostegno necessario della cultura e della società. Anche una relazione all’inizio forte e piena può essere minacciata quando i nostri figli entrano in contatto con un mondo che non è più in grado di apprezzare e rinforzare tale legame. I bambini tendono sempre più a creare relazioni di attaccamento che sono in competizione con i genitori, con il risultato che il contesto appropriato alle cure genitoriali è sempre meno disponibile. Ciò che ci rende impotenti come genitori non è una mancanza d’amore o di abilità e conoscenze pratiche, bensì l’erosione del contesto di attaccamento.

L'impatto dell'orientamento ai coetanei

Il primo e più dannoso degli attaccamenti competitivi che contrastano e indeboliscono l’autorità e l’amore dei genitori è il legame crescente dei nostri figli con i loro coetanei. La tesi di questo libro è che il disturbo che affligge oggi le generazioni di bambini e adolescenti in cammino verso l’età adulta ha le sue radici nella perdita di quell’orientamento che li volgeva verso le figure genitoriali presenti nella loro vita. Ben lungi dal voler stabilire qui l’accezione di un nuovo disturbo di natura medico-psicologica – l’ultima cosa di cui i genitori sconcertati di oggi hanno bisogno – utilizziamo la parola disturbo nella sua accezione più classica: uno sconvolgimento nell’ordine naturale delle cose.


Per la prima volta nella storia i giovani esseri umani non si rivolgono più alle madri, ai padri, agli insegnanti e agli altri adulti responsabili per farsi guidare e istruire, bensì a persone per cui la natura non ha mai previsto che potessero occupare un ruolo genitoriale: i loro coetanei. Non è più possibile guidarli, insegnare loro, aiutarli a maturare, poiché non siamo più noi adulti quelli da cui traggono ispirazione. Invece, essi vengono cresciuti da persone immature che non potranno mai guidarli verso la maturità; si educano gli uni con gli altri.


Il termine che più di ogni altro sembra descrivere efficacemente il fenomeno è orientamento verso i coetanei. È proprio l’orientamento ai coetanei che ha attutito i nostri istinti genitoriali, eroso la nostra naturale autorità, costringendoci a esercitare il nostro compito di genitori non più con il cuore ma con la testa – dai manuali, ai consigli degli “esperti”, fino alle confuse aspettative della società.


Ma cos’è l’orientamento ai coetanei?

L’orientamento, la spinta a non perdersi e a familiarizzare con ciò che ci circonda, è un bisogno e un istinto fondamentale dell’essere umano. Il disorientamento è un’esperienza psichica fra le più insopportabili. L’attaccamento e l’orientamento sono inestricabilmente connessi poiché gli esseri umani e altre creature si orientano in modo automatico proprio guardando a coloro cui sono legati da una relazione di attaccamento per ricevere ispirazione e consiglio.

I bambini, come i giovani di qualsiasi specie a sangue caldo, hanno un innato istinto di orientamento: hanno bisogno di trarre il senso della propria direzione da qualcuno. Come un magnete si volge automaticamente verso il Polo Nord, così i bambini hanno un bisogno innato di trovare l’orientamento volgendosi verso una fonte di autorevolezza, contatto e calore; non sopportano l’assenza nella loro vita di una tale figura di riferimento: quello che chiamo vuoto di orientamento è per loro insostenibile2. Il genitore, o un altro adulto che ne faccia le veci, è appunto il polo d’orientamento previsto dalla natura per il bambino, proprio come nel resto del regno animale sono gli adulti che influenzano l’orientamento dei piccoli in tutte quelle specie che allevano e crescono la propria prole.

Accade, così, che l’istinto dell’uomo sia molto simile all’istinto dell’imprinting che guida un anatroccolo. Mamma anatra è oggetto immediato dell’imprinting per il piccolo appena uscito dall’uovo: la seguirà ovunque, presterà attenzione al suo esempio e alle sue direttive, finché crescerà e giungerà a una matura indipendenza. Com’è ovvio, questo è ciò che la Natura preferirebbe, ma, in assenza della madre, il giovane anatroccolo inizierà a seguire l’oggetto in movimento a lui più vicino: un essere umano, un cane o persino un giocattolo meccanico. Non c’è bisogno di dire che né l’essere umano, né il giocattolo o il cane potranno mai essere buoni sostituti di mamma anatra nel crescere con successo e far maturare il piccolo anatroccolo in un esemplare adulto. In modo analogo, se nessun adulto è disponibile, il piccolo dell’uomo si orienterà verso chiunque sia nelle vicinanze. Le tendenze sociali, economiche e culturali degli ultimi cinquanta o sessant’anni hanno spodestato i genitori dal loro ruolo naturale di poli d’orientamento e il gruppo dei coetanei ha occupato questo vuoto di orientamento, con esiti deplorevoli.


Come vedremo, i bambini non possono orientarsi nello stesso tempo verso gli adulti e verso altri bambini. Così come è impossibile seguire contemporaneamente due serie di indicazioni contrastanti, altrettanto il cervello del bambino è obbligato a scegliere automaticamente fra i valori, la guida e la cultura dei genitori e quelle dei coetanei, ogni qual volta siano in conflitto fra loro.


Stiamo forse affermando che i bambini non dovrebbero avere amici della loro età o stabilire relazioni con altri bambini? Al contrario, tali legami sono assolutamente naturali e possono offrire sane opportunità di crescita.


Nelle culture orientate agli adulti, nelle quali i princìpi e i valori di riferimento sono quelli delle generazioni più mature, i bambini stringono rapporti con altri bambini senza per questo perdere l’orientamento o dover respingere l’influenza dei genitori.


Nella nostra società questo non succede più: i legami con i coetanei hanno sostituito le relazioni con gli adulti come fonte primaria di orientamento. Ciò che è innaturale non è il contatto con i coetanei, bensì il fatto che questi siano dovuti diventare coloro che esercitano l’ascendente dominante sulla crescita e lo sviluppo dei bambini stessi.

Normale non vuol dire sano o naturale

L’orientamento ai coetanei, oggi, è talmente onnipresente da essere divenuto la norma. Molti psicologi e educatori, come pure il pubblico dei profani, lo ritengono una cosa naturale o, più in generale, non lo riconoscono neppure come un fenomeno specifico e distintivo; viene semplicemente dato per scontato che le cose stiano così. Ma ciò che è “normale”, ossia che si conforma a una norma, non è necessariamente lo stesso di “naturale” o “sano”. Non c’è nulla che sia sano o naturale nell’orientamento ai coetanei. Solo in epoca recente si è avuto, nella maggior parte dei paesi industrialmente avanzati, il trionfo di questa controrivoluzione che si oppone all’ordine naturale (per ragioni che verranno analizzate nel Capitolo 3). L’orientamento ai coetanei è un fenomeno ancora sconosciuto alle società indigene, e persino in molti luoghi del mondo occidentale, lontani dai grandi centri urbani “globalizzati”. Nel corso della storia umana, e fino alla Seconda Guerra Mondiale, l’orientamento agli adulti era la norma dello sviluppo umano; solo di recente noi adulti, genitori e insegnanti cui spetterebbe il compito di fare da guida, abbiamo perso il nostro ascendente senza neppure esserne consapevoli.


L’orientamento ai coetanei si maschera come naturale, o non viene percepito affatto, perché abbiamo alienato le nostre intuizioni e inconsapevolmente siamo noi stessi orientati ai coetanei. Per i membri delle generazioni del dopoguerra nati in Inghilterra, Nord America e molte altre parti del mondo industrializzato, la nostra stessa ossessione per quelli della nostra età ci rende ciechi di fronte alla gravità del problema.


La cultura, fino a poco tempo fa, veniva trasmessa verticalmente, di generazione in generazione; per millenni, scrive Joseph Campbell, “i giovani sono stati educati e gli anziani resi saggi” attraverso lo studio, l’esperienza, e la comprensione delle forme tradizionali di cultura. Gli adulti hanno giocato un ruolo cruciale nella trasmissione della cultura, prendendo ciò che avevano ricevuto dai propri genitori e passandolo ai figli. Invece la cultura alla quale verranno iniziati i nostri figli sarà molto probabilmente quella dei loro coetanei anziché quella dei genitori. I bambini stanno dando vita a una cultura loro propria, molto diversa da quella dei genitori e, in certo qual modo, addirittura contraria. Invece di un passaggio verticale, la cultura viene trasmessa orizzontalmente all’interno della generazione più giovane.


Ogni cultura ritiene essenziali i propri costumi, la propria musica, il proprio abbigliamento, le proprie celebrazioni e le proprie storie. La musica che ascoltano i figli ha ben poca rassomiglianza con quella che ascoltavano i nonni; il modo di abbigliarsi è dettato soprattutto dal modo in cui si abbigliano i coetanei, piuttosto che dall’eredità culturale dei genitori. Le feste di compleanno e i riti di passaggio sono influenzati dalle abitudini degli altri giovani che li circondano, e non dai costumi che avevano i genitori prima di loro. Se tutto ciò ci sembra naturale, è solo perché noi stessi siamo culturalmente orientati verso i coetanei. L’esistenza di una cultura giovanile, separata e distinta da quella degli adulti, risale solo a una cinquantina di anni fa; sebbene mezzo secolo sia un tempo relativamente breve nella storia del genere umano, nella vita di un individuo rappresenta un perido considerevole. Molti lettori di questo libro saranno già stati cresciuti in una società dove la trasmissione della cultura era orizzontale anziché verticale. Ad ogni nuova generazione, questo processo, potenzialmente corrosivo per la società civilizzata, acquista nuova forza e velocità. Persino nei ventidue anni intercorsi fra il mio primo e il mio quinto figlio, sembra che i genitori abbiano perduto terreno.

Secondo un ampio studio internazionale condotto dallo psichiatra infantile inglese Sir Michael Rutter e dal criminologo David Smith, una cultura dei giovani emerse per la prima volta nel secondo dopoguerra e fu uno dei più drammatici e infausti eventi del ventesimo secolo3. La ricerca, che includeva studiosi di spicco da sedici paesi, metteva in relazione l’aumento dei comportamenti antisociali con la rottura della trasmissione verticale della cultura tradizionale. Insieme al sorgere di una cultura giovanile, separata e distinta da quella tradizionale dei genitori, si accresceva la criminalità giovanile, la violenza, il bullismo e la delinquenza.


Tendenze culturali così vaste vanno in parallelo con modelli analoghi che riguardano lo sviluppo dei bambini in quanto individui. Chi vogliamo essere e come vogliamo essere lo definisce il nostro orientamento, lo definiscono coloro cui facciamo riferimento come modello da seguire per l’essere e per l’agire – coloro con i quali ci identifichiamo. La letteratura psicologica corrente enfatizza il ruolo dei coetanei nella creazione del senso di identità4; se interrogati sulla definizione di se stessi, molti bambini oggi non fanno alcun riferimento ai genitori, quanto piuttosto a categorie e aspettative proprie di altri bambini e del gruppo di coetanei cui appartengono. Il mutamento avvenuto è estremamente cruciale: per troppi bambini, oggi, i coetanei hanno sostituito i genitori nella formazione del nucleo della personalità. Tutto lascia pensare che fino a poche generazioni fa i genitori fossero le figure più importanti.

Carl Jung suggeriva che non è neanche tanto ciò che accade nella relazione genitore-figlio ad avere l’impatto maggiore, ma è ciò che manca in essa a lasciare segni rilevanti sulla personalità del bambino, ovvero:

il fatto che non accada nulla quando, con grande beneficio, sarebbe invece potuto accadere qualcosa

citando il grande psichiatra infantile inglese D.W. Winnicott. Spaventoso! Ma ancor più terribile è il pensiero che se i coetanei ci hanno rimpiazzati come coloro che contano di più per i nostri figli, allora è ciò che manca nella relazione fra coetanei che avrà su di loro il più profondo impatto. Nelle relazioni fra coetanei è del tutto assente l’amore incondizionato e l’accettazione, il desiderio di prendersi cura dell’altro, la capacità di superare se stessi per il bene altrui, il desiderio di sacrificarsi per lo sviluppo e la crescita dell’altro. Quando mettiamo a confronto la relazione con i coetanei e quella con i genitori in ciò che può mancare al bambino, ne veniamo fuori con l’aureola del santo; per i nostri figli, invece, si annuncia il disastro!

Parallelo alla crescita dell’orientamento ai coetanei nella nostra società è lo sbalorditivo e drammatico aumento del tasso di suicidi fra i ragazzi, quadruplicato in Nord America negli ultimi cinquanta anni per la fascia d’età dai dieci ai quattordici anni. Il tasso dei suicidi in questo gruppo d’età cresce vertiginosamente, con un incremento che, solo dal 1980 al 1992 è stato del 120%. All’interno delle grandi città, dove è più probabile che il gruppo dei coetanei abbia rimpiazzato i genitori, il tasso dei suicidi è cresciuto ancor più rapidamente5. Ciò che si cela dietro questi suicidi è assai rivelatore. Come molti altri studiosi degli stadi evolutivi nell’essere umano, avevo sempre dato per assodato che il più significativo dei fattori critici in caso di suicidio dovesse essere il rifiuto da parte dei genitori: le cose non stanno più in questi termini. Ho lavorato per un certo periodo con giovani criminali e una parte dei miei compiti consisteva nell’investigare le dinamiche psicologiche di bambini e adolescenti che avevano tentato il suicidio, con più o meno successo. Con mia grande sorpresa e sconcerto, per la gran parte di loro il vero fattore scatenante era il modo in cui erano stati trattati dai compagni, e non dai genitori. La mia non fu un’esperienza isolata, e venne infatti confermata dal numero crescente di rapporti sui suicidi infantili scatenati dal rifiuto dei compagni e dal bullismo. Più i compagni sono importanti, più è devastante per i ragazzi la loro insensibilità, il non riuscire a inserirsi, la percezione di venire rifiutati o ostracizzati.


Nessuna società, nessuna cultura ne è immune; in Giappone, ad esempio, i valori tradizionali trasmessi dagli anziani hanno dovuto soccombere all’occidentalizzazione e alla nascita di una cultura giovanile. In quel Paese la delinquenza e i problemi scolastici erano quasi sconosciuti fino a poco tempo fa, ma ora vi si sperimentano le conseguenze più indesiderate dell’orientamento ai coetanei, inclusi criminalità, suicidi infantili e un crescente tasso di abbandono scolastico. La rivista “Harper’s” ha pubblicato recentemente una raccolta di messaggi lasciati dai piccoli suicidi giapponesi: la gran parte di essi attribuiva all’intollerabile bullismo da parte dei compagni la ragione per cui decideva di togliersi la vita.6

Gli effetti dell’orientamento ai coetanei sono più ovvi ed evidenti nei teenager, ma segnali precoci sono visibili già in seconda o terza elementare; le origini possono risalire persino a prima della scuola materna e devono essere ben comprese da tutti i genitori, soprattutto quelli di bambini piccoli che desiderano evitare il problema o contrastarlo al suo primo apparire.

Campanelli d'allarme

Il primo campanello d’allarme risale a circa quaranta anni fa: i testi che utilizzavo nei miei corsi sulla psicologia dell’età evolutiva e sulla relazione genitori-figli contenevano riferimenti a un ricercatore americano dei primi anni sessanta che aveva lanciato l’allarme proprio in relazione al fatto che i genitori venivano sostituiti dai coetanei come fonte primaria di valori e direttive comportamentali. In uno studio su settemila ragazzi, il Dr. Coleman scoprì che le relazioni con i compagni avevano la priorità rispetto a quelle con i genitori; temeva che fosse avvenuto un grave slittamento nella società americana7. Gli studiosi, dal canto loro, rimasero piuttosto scettici, sottolineando che si trattava di Chicago e non del Nord America tradizionalista. Confidavano che una tale scoperta fosse dovuta probabilmente agli sconvolgimenti sociali causati dalla Seconda Guerra Mondiale e che tale fenomeno sarebbe scomparso con il ritorno alla normalità. L’idea che i coetanei esercitassero un ascendente predominante sui giovani derivava da situazioni atipiche ai margini della società, sostenevano i critici; fu così che le preoccupazioni di Coleman vennero accantonate come allarmiste.

Io stesso nascosi la testa sotto la sabbia finché le mie stesse figlie non distrussero all’improvviso ogni mia resistenza. Non mi ero mai aspettato di poterle perdere a causa dei compagni; all’approssimarsi dell’adolescenza, notai sgomento che entrambe le mie figlie maggiori tendevano a orbitare attorno ai loro amici, seguendone la guida, imitandone il linguaggio, interiorizzandone i valori. Divenne sempre più difficile mantenerle entro i confini: tutto ciò che facevo per imporre i miei desideri e le mie aspettative non faceva che peggiorare le cose; è come se il nostro ascendente di genitori, che io e mia moglie avevamo dato per scontato, fosse svanito tutto a un tratto. Un conto è condividere i propri figli, e un conto è essere rimpiazzati! Credevo che i miei figli fossero immuni: non mostravano interesse per le bande o la criminalità, erano cresciuti in un contesto di relativa stabilità, in una famiglia allargata che li amava teneramente; vivevano in una solida comunità orientata alla famiglia, e la loro infanzia non era certo stata sconvolta da una devastante guerra mondiale. Le scoperte di Coleman mi apparivano irrilevanti se riferite alla mia vita familiare. Tuttavia, quando iniziai a mettere insieme tutti i pezzi, mi resi conto che quello che stava accadendo con le mie figlie era la norma più che l’eccezione.


“Ma non dovremmo lasciarli andare?”, chiedono molti genitori, “i figli non dovrebbero essere autonomi e indipendenti?”. Certamente! Ma solo dopo aver portato a termine il nostro lavoro di genitori e solo affinché possano essere realmente se stessi! Cercare di rispondere alle attese di un gruppo immaturo di coetanei non è il modo per crescere e diventare adulti indipendenti e rispettosi di sé. L’orientamento ai coetanei, indebolendo i percorsi naturali dell’attaccamento e della responsabilità, compromette alla base il sano sviluppo della persona.


È possibile che i bambini sappiano ciò che desiderano, ma è pericoloso presumere che conoscano ciò di cui hanno bisogno. I bambini orientati ai coetanei preferiscono una prossimità con i compagni anziché la vicinanza alla famiglia, e dal loro punto di vista ciò è perfettamente naturale: desiderano restare in contatto con gli amici il più a lungo possibile, somigliare loro il più possibile. Un bambino non può sapere cosa è meglio per lui; un genitore che tragga le proprie mosse dalle preferenze del bambino può ritrovarsi in pensione ben prima che il suo lavoro sia concluso. Per aver cura dei nostri figli, dobbiamo reclamarli a noi e assumerci il compito di provvedere ai loro bisogni di attaccamento.


Le manifestazioni estreme dell’orientamento ai coetanei catturano l’attenzione dei mezzi di informazione: bullismo violento, omicidi di altri coetanei, suicidi; sebbene tali eventi spaventosi ci lascino sconvolti, molti di noi non sentono che ci riguardino direttamente, e in questo libro non ci focalizzeremo su questi. Tuttavia le tragedie che coinvolgono i giovanissimi sono solo i segnali più drammatici di questo fenomeno, che non si limita solo alle giungle di cemento e al caos culturale dei grandi centri urbanizzati come Chicago, New York, Toronto o Los Angeles. È qualcosa che ha colpito i centri residenziali dove vivono comunità caratterizzate da famiglie borghesi e buone scuole. L’attenzione di questo libro non si focalizzerà su ciò che accade là fuori, a un passo da noi, bensì su quello che sta succedendo nel cuore delle nostre stesse case.


Per noi autori, il campanello d’allarme giunse con il crescente orientamento ai coetanei dei nostri stessi figli; ci auguriamo che I vostri figli hanno bisogno di voi possa essere un segnale d’allarme per i genitori, ovunque essi vivano, e per la società tutta.

La buona notizia

Forse non siamo in grado di rovesciare le forze economiche, sociali e culturali che hanno condotto all’orientamento verso i coetanei, ma possiamo fare molto, in famiglia e a scuola, per evitare di essere prematuramente rimpiazzati. Poiché la cultura non guida più i nostri figli nella giusta direzione, ossia verso la maturità e l’indipendenza autentica, i genitori e tutti gli adulti che si prendono cura dei bambini contano più che mai.


Solo ricondurre al suo alveo naturale la relazione genitori-figli (e adultibambini) ci permetterà di riuscire nell’intento, nulla meno di questo. Così come la “relazione” è al cuore delle odierne difficoltà di genitori e insegnanti, essa è anche al cuore della soluzione. Gli adulti che fondano la propria maternità e paternità su una solida relazione con i figli potranno poi essere genitori d’istinto, muoversi intuitivamente. Non avranno la necessità di ricorrere a tecniche o manuali, ma agiranno grazie a sentimenti di empatia e comprensione. Se sappiamo come essere con i nostri figli e cosa rappresentare per loro, avremo molto meno bisogno di farci consigliare sul da farsi. Una volta ristabilita la relazione, gli approcci pratici emergeranno spontaneamente dal cuore della nostra esperienza.


La buona notizia è che la natura è dalla nostra parte. I nostri figli desiderano appartenerci, anche se non lo sanno o non lo percepiscono, e persino se le loro parole o azioni sembrano indicare l’opposto. Possiamo reclamare il ruolo che ci è proprio di custodi e mèntori. Nella quarta parte di questo libro verrà presentato un programma dettagliato per rinsaldare il legame con loro, tenerli stretti a noi finché non saranno abbastanza maturi, e ricostituire le relazioni che si fossero indebolite o perse. C’è sempre qualcosa che si può fare, anche se non tutti gli approcci sono efficaci in ogni circostanza; la mia esperienza mi ha insegnato che i successi superano di gran lunga gli insuccessi, una volta che i genitori comprendano dove focalizzare gli sforzi. Ma la cura, come sempre, dipende dalla diagnosi; vediamo allora cos’è che manca e come mai le cose sono andate di traverso.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.