terza parte

Confinati nell’immaturità: come l’orientamento ai coetanei impedisce il sano sviluppo dell’individuo

capitolo xiii

Studenti a cui è
difficile insegnare

Alle elementari Ethan era stato un buon studente, anche se non aveva mai dimostrato un grande interesse. Era piuttosto intelligente e, per quanto non eccellesse, seguiva le direttive di genitori e insegnanti in materia di studio e di comportamento. Gli insegnanti lo trovavano simpatico e piacevole. Quando i suoi genitori vennero da me, quasi alla fine della prima media, la sua accondiscendenza alle aspettative degli adulti era ormai storia passata. Fargli fare i compiti era una battaglia continua, gli insegnanti si lamentavano che non prestava attenzione e non era ricettivo ai loro insegnamenti. Era spesso polemico e insolente, e non rendeva a scuola quanto avrebbe potuto, considerate le sue capacità. Questo mutamento seguiva in parallelo il nuovo coinvolgimento di Ethan con i compagni. Nei mesi precedenti, aveva stretto legami con un compagno dietro l’altro, copiandone i modi di fare e sposandone gli interessi. Se le cose iniziavano ad andare male con uno, si disperava per riuscire a farle funzionare con un altro.


Per Mia, la flessione scolastica aveva avuto inizio un anno prima. Prima della quinta elementare era molto impegnata nello studio, era piena di interesse e faceva molte domande intelligenti. Ora diceva che le materie scolastiche l’annoiavano. I genitori scoprirono, con grande costernazione, che non consegnava alcuni dei compiti assegnati, mentre altri non erano all’altezza dei suoi livelli abituali. Gli insegnanti chiamavano per riferire sia della sua mancanza di attenzione e di motivazione sia del suo incessante chiacchiericcio con gli amici in classe; lamentele a cui i genitori non erano abituati. Quando le parlarono delle loro preoccupazioni, Mia si mostrò disinteressata. I genitori notarono anche che non parlava più dei suoi insegnanti e, se lo faceva, era solo in termini spregiativi. I compiti a casa non erano più una priorità per lei; lo era invece parlare al telefono con gli amici o connettersi con loro via internet. Quando i genitori tentarono di limitare queste attività, oppose resistenza con un’insolenza e un rancore cui non avevano mai assistito in passato.

Questi due casi rappresentano un fenomeno endemico nella cultura odierna: bambini capaci eppure non motivati, intelligenti ma con un rendimento al di sotto delle proprie capacità, svegli ma annoiati. Dall’altro lato della medaglia, l’istruzione scolastica è oggi un’occupazione molto più stressante rispetto a una o due generazioni fa. Come attestano molti insegnanti, l’insegnamento si fa sempre più difficile, gli studenti meno rispettosi e meno ricettivi. Le classi sono via via più ingestibili e i risultati scolastici peggiorano. Sembra che le capacità di lettura degli alunni siano deteriorate, nonostante la forte enfasi che negli ultimi anni molte scuole hanno posto sulla preparazione letteraria49. Eppure, gli insegnanti non sono mai stati tanto ben formati come adesso, né i programmi così sviluppati e la tecnologia tanto sofisticata.

Cosa è cambiato? Ancora una volta torniamo all’influenza cruciale dell’attaccamento. Lo slittamento nelle forme di attaccamento dei nostri figli ha avuto profonde ripercussioni negative sull’istruzione. Molti genitori e insegnanti credono ancora che basti mettere insieme uno studente capace e un buon maestro per ottenere dei risultati. Non è così che ha mai funzionato; però, visto che l’apprendimento riusciva, potevamo permetterci di essere ingenui. Fino a un tempo relativamente recente, gli insegnanti potevano sfruttare il forte orientamento agli adulti prodotto dalla società e dalla cultura. Quel tempo è finito. Il problema che ora dobbiamo affrontare in merito all’istruzione dei nostri figli non è qualcosa che possa essere risolto con i soldi, affrontato con i programmi scolastici, o a cui si possa porre rimedio grazie alla tecnologia dell’informazione. È un problema più grande di tutto questo, e allo stesso tempo anche più semplice.


La conoscenza, come disse Goethe, non può essere infilata nella mente come le monete in una borsa. La facilità di insegnamento per ogni particolare studente è il risultato di molti fattori: il desiderio di imparare e comprendere, l’interesse per ciò che è sconosciuto, la volontà di correre qualche rischio, accettare di essere influenzati e corretti. Richiede anche una relazione con l’insegnante, la tendenza a prestare attenzione, la volontà di chiedere aiuto, l’aspirazione a essere all’altezza e a raggiungere un traguardo, nonché, ultima ma non meno importante, la propensione al lavoro. Tutti questi fattori sono radicati nell’attaccamento o influenzati da esso.


A un’attenta osservazione, sono quattro le qualità essenziali che hanno una funzione primaria nel determinare la possibilità di insegnare a un bambino: una naturale curiosità, una mente integrativa, la capacità di trarre beneficio dalla correzione, e una relazione con l’insegnante. Gli attaccamenti sani esaltano ognuna di queste qualità; l’orientamento ai coetanei le mina tutte quante.

L'orientamento ai coetanei estingue la curiosità

Idealmente, ciò che dovrebbe indurre un bambino all’apprendimento è una curiosità di ampie vedute verso il mondo. Egli dovrebbe fare domande prima di tirar fuori le risposte, esplorare prima di scoprire la verità, e sperimentare prima di raggiungere solide conclusioni. La curiosità, però, non è parte integrante della personalità del bambino. È il frutto del processo dell’emergere – in altre parole, è il risultato di quello sviluppo che conduce alla formazione di un individuo capace di vivere come essere separato, indipendente, in grado di funzionare al di fuori degli attaccamenti.


Bambini fortemente emergenti mostrano di solito un vivo interesse in alcune aree e sono intrinsecamente motivati ad apprendere. Traggono grande soddisfazione dall’esercizio del proprio intuito e dalla comprensione del funzionamento delle cose. Hanno obiettivi propri in fatto di apprendimento. Amano essere originali e aspirano autonomamente al raggiungimento di conoscenze approfondite. Gli allievi dall’individualità emergente sono felici di prendersi delle responsabilità e realizzano con naturalezza il proprio potenziale.


Per gli insegnanti che apprezzano la curiosità, sollecitano le domande, e danno la precedenza agli interessi del bambino, gli allievi dalla personalità emergente sono una piacere per l’insegnamento. Per questi bambini i migliori insegnanti sono coloro che servono da mèntori, che alimentano i loro interessi, che ne eccitano la passione, che li rendono responsabili del proprio apprendimento. Se i ragazzi dalla personalità emergente non sempre danno buoni risultati a scuola, probabilmente è perché, avendo idee proprie su cosa desiderano imparare, vivono il programma imposto dall’insegnante come una scomoda intrusione.


Dal punto di vista evolutivo, la curiosità è un lusso; l’attaccamento è ciò che conta più di ogni altra cosa. Finché una certa quantità di energia non venga lasciata libera dalla necessità di assicurarsi attaccamenti solidi e sicuri, avventurarsi verso l’ignoto non diventa parte degli obiettivi evolutivi. Ecco perché l’orientamento ai coetanei uccide la curiosità. Gli studenti orientati ai pari hanno un’unica preoccupazione: quella relativa all’attaccamento. Invece di interessarsi all’ignoto, tutto ciò che non serve a stabilire un attaccamento con i coetanei li annoia. Fra di loro la noia è epidemica.


Esiste un altro problema legato alla curiosità. Essa rende una persona estremamente vulnerabile nel mondo dei “fichi”. Gli occhi pieni di meraviglia, l’entusiasmo e le domande sul funzionamento delle cose, l’originalità di un’idea – tutto questo espone il bambino al ridicolo e allo scherno dei compagni. La fuga dalla vulnerabilità dei bambini orientati ai coetanei uccide la curiosità, e inibisce la curiosità di coloro che li circondano. L’orientamento ai coetanei rende la curiosità un concetto in via di estinzione.

L'orientamento ai coetanei offusca la mente integrativa

Per avere motivazioni proprie, è di grande aiuto avere una mente integrativa – ossia un mente in grado di elaborare impulsi e pensieri contrastanti. Nel bambino con una capacità di integrazione ben sviluppata, non voler andare a scuola evoca la preoccupazione relativa alla perdita delle lezioni; non volersi alzare al mattino fa scattare il timore di arrivare in ritardo; la mancanza di interesse in ciò che sta dicendo l’insegnante è controbilanciata dalla voglia di far bene; la resistenza a compiere quanto richiesto è mitigata dalla consapevolezza che la disobbedienza ha conseguenze spiacevoli.


Per un apprendimento integrativo, il bambino deve essere abbastanza maturo da sopportare l’ambivalenza del pensiero – deve poter accogliere sentimenti diversi, dar vita a ripensamenti, provare la conflittualità e il dubbio. Perché siano presenti elementi mitigatori – la componente che serve a controbilanciare quegli impulsi che minerebbero l’apprendimento – è necessario un attaccamento appropriato. Il bambino deve infatti essere in grado di sentire con profondità e vulnerabilità. Egli deve essere abbastanza attaccato, ad esempio, da tenere in considerazione le aspettative e i pensieri degli adulti, cioè genitori e insegnanti; deve desiderare di non suscitare il loro disappunto e aver cura di non alienarseli. Uno studente deve sentirsi emotivamente coinvolto nell’apprendimento, sentirsi stimolato all’idea di riuscire a comprendere le cose. Non essere vulnerabile, non aver a cuore tutto ciò, paralizza l’apprendimento e distrugge la ricettività agli insegnamenti.


Per quel tipo di apprendimento che va oltre il semplice esercizio meccanico di memoria, lo studente ha bisogno di un’intelligenza integrativa. Per risolvere i problemi egli deve compiere un’elaborazione che non sia unidimensionale. Al di là dei semplici fatti, ha la necessità di scoprire le tematiche, di discernere i significati più profondi, di comprendere le metafore, di svelare i princìpi sottostanti. Deve sapere come distillare un insieme di elementi per giungere alla sua essenza, o come mettere insieme i pezzi per creare un tutto armonico. Qualsiasi cosa che vada oltre il pensiero concreto richiede una mente integrativa. Proprio come la percezione della profondità ha bisogno di due occhi, l’approfondimento nello studio richiede l’abilità di vedere le cose almeno da due punti di vista differenti. Se l’occhio della mente è unico, non vi è profondità né prospettiva, nessuna sintesi né distillato, nessuna penetrazione dei significati profondi e della verità. Il contesto non viene preso in considerazione; le figure e lo sfondo non si differenziano.


Purtroppo l’intelligenza nuda e cruda non si trasforma automaticamente in intelligenza integrativa. Come già discusso nel capitolo 9, le funzioni di integrazione sono il frutto della maturazione – proprio quel processo che invece si arresta con l’orientamento ai coetanei; gli immaturi falliscono nello sviluppo della capacità di integrazione.


La nostra pedagogia e i nostri programmi danno per scontata l’esistenza di abilità integrative nei bambini. Quando, in qualità di educatori, non sappiamo vedere ciò che manca, non riusciamo neppure a capire contro cosa lottare per tentare di mitigare il pensiero e il comportamento dei bambini. Cerchiamo di indurli a fare qualcosa che la loro mente è incapace di fare, e, quando non ci riusciamo, è loro che puniamo per il fallimento. Coloro che hanno una mente integrativa presumono che chiunque altro riesca a ragionare nello stesso modo. Ma questo genere di assunto non corrisponde più al tipo di scolari che si trovano nelle classi di oggi. I bambini a cui manca un’intelligenza integrativa non possono affatto essere ricondotti a questo genere di insegnamento e vanno approcciati in modo diverso. Gli studenti orientati ai coetanei hanno più probabilità di incorrere nelle disabilità dell’apprendimento – sregolati come sono nei pensieri, nelle azioni e nei sentimenti.

L'orientamento ai coetanei mette a repentaglio l'apprendimento che procede per tentativi ed errori

Gran parte dell’apprendimento avviene attraverso l’adattamento, ossia un processo fatto di tentativi ed errori. Si tentano nuove attività, si fanno errori, si incontrano degli ostacoli, le cose non vanno e si traggono le dovute conclusioni, o c’è qualcun altro che le trae per noi. Il fallimento è una parte essenziale del processo di apprendimento, e la correzione è il principale strumento dell’insegnamento. La fuga dalla vulnerabilità suscitata dall’orientamento ai coetanei mette a segno tre colpi devastanti ai danni di questa strada maestra dell’apprendimento.


Il primo colpo annienta la parte del processo che riguarda i tentativi. Provare nuove cose implica dei rischi: leggere ad alta voce, esprimere un’opinione, addentrarsi in un territorio estraneo, sperimentare un’idea. Una tale sperimentazione è un campo minato di possibili errori, reazioni imprevedibili, e risposte negative. Quando la vulnerabilità è già troppo grande da sopportare, e lo è per la maggior parte dei bambini orientati ai coetanei, questi rischi appaiono inaccettabili.


Il secondo colpo lede la capacità del bambino orientato ai pari di trarre beneficio dagli errori. Prima di poter imparare dai nostri errori, dobbiamo riconoscerli e accettare il nostro fallimento. Dobbiamo assumerci la responsabilità dei nostri errori se vogliamo trarne un beneficio, e dobbiamo dare il benvenuto agli aiuti, ai consigli, e alle correzioni. Ancora una volta, i ragazzi orientati ai coetanei sono spesso troppo difesi contro la vulnerabilità per prestare attenzione ai propri errori o prendersi la responsabilità dei propri fallimenti. Se il voto di un compito è troppo basso perché si riesca a tollerarlo, la colpa dell’esito negativo verrà data a qualcos’altro o a qualcun altro. Oppure si eviterà di affrontare il problema. Le menti dei bambini induriti contro la vulnerabilità ignorano qualunque cosa gliela possa far percepire, in questo caso l’ammettere di aver fallito o aver commesso degli errori. Persino essere corretti dolcemente da un insegnante o un genitore può far sì che questi bambini si sentano sopraffatti da un senso di inadeguatezza e di vergogna, dal senso che ci sia qualcosa di sbagliato in loro. Sottolineare gli errori susciterà in questi bambini una reazione sfacciatamente evasiva oppure ostile. Gli adulti spesso interpretano queste risposte come scortesia, ma esse hanno invece la vera funzione di impedire ai bambini di sentire la propria vulnerabilità.


Il terzo colpo contro l’apprendimento per tentativi ed errori è che la futilità di una determinata serie di azioni non penetra a fondo quando il bambino è troppo difeso contro la vulnerabilità. Come si è già rilevato, la frustrazione deve tramutarsi in sentimenti di futilità per permettere al cervello di capire che c’è qualcosa che non va (si veda il capitolo 9). Registrare la futilità è l’essenza del processo adattativo di apprendimento. Quando le nostre emozioni sono troppo indurite per consentire alla tristezza o al disappunto di esprimersi, non rispondiamo imparando dai nostri errori, ma dando libero sfogo alla frustrazione. Nel caso degli studenti, il bersaglio esterno sarà “quell’idiota” del professore, quella “noia” di compito, la mancanza di tempo. Il bersaglio interno potrebbe invece essere se stessi: “Sono uno stupido!”. Ad ogni modo, la rabbia non si tramuta in tristezza, le emozioni legate a un sentire vero della futilità non affiorano in superficie. Il modo di lavorare non cambia, le strategie di apprendimento non vengono modificate, e gli ostacoli non si superano. I bambini così bloccati non sviluppano quella capacità di recupero necessaria per affrontare i fallimenti e le correzioni. Restano prigionieri di ciò che non funziona. Nel corso della mia pratica professionale vedo un numero crescente di bambini continuare a ripetere sempre la stessa cosa, ancora e ancora, nonostante i ripetuti insuccessi.

L'orientamento ai coetanei induce gli studenti ad apprendere solo tramite l'attaccamento,
(e dalle figure di riferimento sbagliate)

Come già detto, da un punto di vista evolutivo esistono solo quattro modalità basilari di apprendimento. Abbiamo spiegato come l’orientamento ai coetanei ne comprometta tre: l’apprendimento emergente, quello integrativo e quello adattativo. I bambini che sono studenti emergenti riescono ad apprendere con insegnanti che consentano ai loro interessi di avere la priorità. Gli studenti integrativi possono essere messi faccia a faccia con gli elementi conflittuali che devono essere tenuti in considerazione quando si risolve un problema. Ai bambini adattativi si può insegnare attraverso tentativi, prove e correzioni. Tutti questi possono imparare anche da persone con le quali non hanno una relazione di attaccamento. Ma se questi processi cruciali dell’apprendimento vengono soppressi, l’apprendimento dipenderà unicamente dalle dinamiche di attaccamento. Gli studenti resi impotenti dalla mancanza di una propria personalità emergente, integrativa o adattativa possono apprendere solo se l’attaccamento è in qualche modo coinvolto. Il loro desiderio di apprendere può non provenire dall’interno, ma sarà lo stesso forte se sono motivati da un bisogno urgente di restare intimamente uniti all’adulto che insegna – che sia il maestro in classe o il genitore che fa scuola familiare, o un amico di famiglia che agisce da figura di riferimento.


L’attaccamento è di gran lunga il più formidabile processo per quanto concerne l’apprendimento ed è senz’altro sufficiente all’impresa, anche senza l’aiuto della curiosità o della capacità di trarre beneficio dalle correzioni. Sono sempre esistiti studenti che mancavano della funzione adattativa, emergente e integrativa. Sebbene svantaggiati in termini della realizzazione piena del proprio potenziale, possono riuscire spesso bene. Gli studenti che apprendono sulla base dell’attaccamento sono molto motivati in modi in cui altri studenti potrebbero non esserlo. Ad esempio sono molto predisposti ad apprendere per imitazione, seguendo un modello, memorizzando e prendendo spunto da qualcuno. Desiderano essere all’altezza e saranno motivati al lavoro per l’approvazione, il riconoscimento e lo status che ne derivano. Il problema sorge non tanto quando l’apprendimento dei bambini è ristretto alla modalità di base attraverso l’attaccamento, bensì quando tale attaccamento è verso i coetanei anziché verso figure adulte di riferimento.


Ethan, ad esempio, era un bambino che apprendeva quasi esclusivamente sulla base dell’attaccamento; possedeva pochi interessi emergenti in ambiti che non gli erano familiari. La sua capacità adattativa era minima ancor prima di orientarsi ai coetanei. Pertanto a Ethan si poteva insegnare solo grazie all’attaccamento, e solo con maestri ai quali fosse legato. Aveva avuto un’esperienza terribile in seconda elementare, anno in cui non era riuscito a stabilire una relazione con l’insegnante. Non era stato il suo recente orientamento ai coetanei a trasformarlo in uno studente che imparava attraverso l’attaccamento, ma ciò che fece fu invece di distruggere completamente anche questa sua capacità. Un bambino abituato ad apprendere solo tramite l’attaccamento, e i cui istinti siano male indirizzati dall’orientamento ai coetanei, avrà una forte riduzione delle sue capacità di apprendimento, a prescindere da quanto promettenti siano le sue innate potenzialità.


Mia, d’altro canto, era stata una studentessa molto facile prima dell’orientamento ai coetanei, anche con insegnanti a cui non era legata. L’orientamento ai coetanei aveva estinto la sua curiosità, spento la sua mente integrativa, sabotato la sua abilità di apprendimento attraverso tentativi ed errori. Aveva ridotto per forza di cose il suo apprendimento alla tipologia basata sull’attaccamento. L’intelligenza di Mia ora era focalizzata su una cosa soltanto: il suo legame affettivo con gli amici.


Per alcuni bambini la decisione di “ottundersi” è pienamente consapevole. “In prima e seconda media ero sempre il primo della classe”, ricorda Ross, ventinove anni, ora istruttore di fitness: “Vincevo ogni premio. Poi, a tredici anni, gli altri bambini iniziarono a prendermi in giro. Tutto a un tratto non ero più intelligente e brillante, ero solo un secchione. E questo non era affatto fico. Volevo essere un atleta, essere benvoluto e alla moda. Allora ho scelto di adeguarmi, facendo in modo di non prendere più dei bei voti. Facevo apposta degli errori nei compiti di matematica, così non avrei preso il massimo. Col passare degli anni, questo mi aveva portato ad avere cattive abitudini di studio e, durante gli ultimi due anni di scuola superiore, il mio ‘piano’ era riuscito fin troppo bene. Anche al college, le mie cattive abitudini continuarono e non mi sono mai laureato. Ora, vorrei aver saputo autoregolarmi meglio da ragazzo, vorrei essere stato meno preoccupato di quello che pensavano gli amici”.

L'orientamento ai coetanei rende gli studenti insignificanti

Per chi è orientato ai coetanei, le materie scolastiche diventano insignificanti. La storia, la cultura, le contraddizioni della società o le meraviglie della natura non lo interessano. Come si lega la chimica agli amici? Come fa la biologia a essere d’aiuto nel far funzionare le cose con i compagni? O di quale utilità sono la matematica, la letteratura, gli studi sociali in questioni di attaccamento? Le parole della famosa canzone anni cinquanta lo esprimono perfettamente:

Don’t Know much about history, Don’t know much biology... But I do know that I love you50.

L’educazione formale in sè non è apprezzata dai giovani. Ci vuole un po’ di maturità per capire che l’istruzione può aprire la mente e le porte, che può rendere più umani e civilizzare. Ciò di cui gli studenti hanno bisogno è di dare valore a coloro che assegnano valore alla cultura e all’istruzione. Almeno in questo modo seguiranno le indicazioni degli adulti finché non saranno maturi abbastanza da giungere alle loro personali conclusioni. Gli studenti orientati ai coetanei sanno per istinto che gli amici sono più importanti, e che stare insieme a loro è tutto ciò che conta. Discutere con gli istinti di qualcuno, per quanto sviati, è impossibile.

L'orientamento ai coetanei priva gli studenti degli insegnanti

Le giovani persone immature dipendono dall’attaccamento per riuscire nell’apprendimento. E questo è tanto più vero quanto meno il bambino ha una personalità emergente e una mente integrativa e adattativa. Nel capitolo 5 ho spiegato che l’attaccamento può essere utile a genitori e insegnanti nel catturare l’attenzione del bambino e suscitarne il rispetto, così come nel renderlo soggetto alla loro influenza – processi essenziali ai fini della sua istruzione. I bambini orientati agli adulti si rivolgono ai grandi come loro bussola di riferimento per non perdere l’orientamento e la direzione. Resteranno fedeli all’insegnante piuttosto che al gruppo dei pari, e lo vedranno come un modello, un’autorità e una fonte di ispirazione. Quando i bambini si affezionano all’insegnante, costui ha il potere naturale di orchestrarne il comportamento, di spronarne le buone intenzioni, di inculcare in loro i valori sociali.


Ma chi sono i maestri designati dei bambini orientati ai coetanei? Non certo quelli alle dipendenze della scuola. Dopo essersi orientati ai coetanei, l’apprendimento raggiunge un massimo durante le vacanze, a mensa, dopo la scuola, e negli intervalli fra le lezioni. Quello che imparano questi bambini non verrà né dagli insegnanti, né dai programmi scolastici. Niente negli attaccamenti del bambino detterà in modo automatico la sua lealtà verso gli educatori certificati dal governo, preparati dalle università e incaricati dalle istituzioni. Quando l’attaccamento è sviato, maestri e professori sono inefficaci, per quanto siano ben preparati, dediti e scrupolosi, o degni di stima.


Non vogliamo svalutare il fatto che un insegnante abbia un’istruzione universitaria, una ricchezza di esperienze, sia profondamente dedito al suo compito, scelga un buon programma o abbia accesso alla tecnologia. Tutte queste cose non saranno fondamentali nel consentirgli di insegnare; i bambini imparano meglio quando amano i propri insegnanti e pensano di essere ricambiati. La via per la mente di un bambino è sempre stata quella che passa dal cuore.


Il nostro approccio postindustriale all’educazione ha avuto la tendenza ad essere idealistico, dando per scontato che si possa insegnare ai bambini anche senza un legame affettivo fra loro e l’insegnante. Nei decenni passati, alcuni approcci educativi, fatti a fin di bene e persino ben meditati, hanno cercato di far tesoro dei fattori emergenti, adattativi e integrativi, facendo spazio agli interessi degli studenti, all’individualità, all’interazione e alle scelte. Se hanno spesso fallito, non è perché fossero intrinsecamente sbagliati, ma perché l’orientamento ai coetanei ha reso gli studenti inaccessibili. I ragazzi orientati ai coetanei sono per forza di cose legati all’apprendimento che si basa sull’attaccamento, incapaci di apprendimento emergente, adattativo o integrativo. Il problema è che i loro attaccamenti deviati fanno sì che apprendano dai maestri sbagliati.


I critici conservatori considerano i moderni e “illuminati” approcci alla pedagogia come dei fallimenti, ritenendo che fomentino l’anarchia, la mancanza di rispetto e la disobbedienza. Molti guardano al di là dell’oceano agli approcci più autoritari e strutturati dell’Europa continentale e dell’Asia. Quello che non comprendono è che questi sistemi educativi tradizionali esistono in società dove gli attaccamenti agli adulti sono ancora relativamente intatti. È questo ciò che fornisce loro vitalità e potere. Ma persino questi sistemi stanno mostrando le loro debolezze mentre la tradizionale gerarchia degli attaccamenti viene meno. Ho avuto l’opportunità di assistervi di persona in Giappone, dove ero stato invitato in qualità di studioso ad una conferenza sull’istruzione, dedicata all’esplorazione dei problemi di un sistema sotto pressione. Nessuna società postindustriale ne sembra immune. Una volta che le società iniziano ad assegnare maggior valore all’economia rispetto alla cultura, il crollo è inevitabile e il villaggio degli attaccamenti inizia a disintegrarsi. Gli insegnanti dei sistemi educativi autoritari non hanno ancora compreso che è la connessione, non la coercizione, che facilita l’insegnamento. Il nostro sistema scolastico deve poter incanalare i processi emergenti, integrativi e adattativi dove esistono, ma deve anche creare una rete sicura di connessioni e relazioni per impedire che gli studenti il cui apprendimento è basato solo sull’attaccamento sfuggano via dalle maglie che non tengono. Gli approcci autoritari che guardano al passato possono solo peggiorare le cose.

Posto che l’orientamento ai coetanei è devastante per il nostro sistema educativo, dovrebbe esserci un allarme generale, e la ricerca di modi per rovesciare il fenomeno o quantomeno rallentarlo. Al contrario, di fatto noi genitori ed educatori non facciamo che sostenerlo e favorirlo. Il nostro approccio “illuminato” all’educazione, centrato sui bambini, ci porta a studiare i bambini e a confondere ciò che è con ciò che dovrebbe essere, i loro desideri con i loro bisogni. Si è creato il pericoloso mito educativo che i bambini imparino meglio dai loro coetanei. Lo fanno, in parte, perché i compagni sono più facili da emulare rispetto agli adulti, ma soprattutto perché sono diventati estremamente orientati ai loro pari. Ciò che imparano, comunque, non è il valore del pensiero, l’importanza dell’individualità, i misteri della natura, i segreti della scienza, i temi dell’esistere, le lezioni della storia, la logica della matematica, l’essenza della tragedia. E neppure imparano ciò che è peculiare dell’uomo, come si diventa uomini, perché esistono le leggi, o cosa vuol dire essere persone nobili d’animo. Quello che i bambini imparano dai coetanei è come copiarne il linguaggio, il modo di vestire, il comportamento e l’aspetto. In breve, imparano a conformarsi e a imitare51.

Apprendere dai coetanei, inoltre, rende gli studenti più indipendenti rispetto agli insegnanti, con gran sollievo, senza dubbio, di molti educatori oberati di lavoro. Purtroppo, in questo modo gli studenti non fanno alcun progresso dal punto di vista evolutivo. La radice del significato di pedagogo è “guida” - nello specifico, colui che guida il fanciullo. Gli insegnanti possono guidare solo se gli alunni seguono, e gli alunni seguiranno solo coloro a cui sono legati. Sempre di più, a quanto pare, sono gli insegnanti a prendere le mosse dai propri studenti, mettendo perciò questi ultimi in posizione di guida e compromettendo lo spirito stesso della pedagogia.


L’orientamento ai coetanei rende il compito, già arduo, di educare i giovani ancor più difficile, esigendo dagli insegnanti un pesante tributo in termini di umore, livelli di stress, e persino salute fisica. Gli studenti oppongono resistenza alle proposte degli insegnanti e sono impegnati incessantemente in una campagna di lavoro per il predominio. Incontrare una resistenza cronica è una ricetta sicura per l’esaurimento. Essere più rigidi non è la risposta. L’unica maniera per facilitare l’insegnamento è quella di affrontare la faccenda dell’attaccamento. Ciò che gratifica un insegnante è aprire la mente dello studente; e per aprire la mente agli studenti è necessario prima conquistare i loro cuori.


Un’ultima parola sull’istruzione: in questo ambito di specializzazione e di esperti, potremmo pensare all’insegnamento come al compito esclusivo dell’insegnante. Tuttavia, se riconoscessimo il ruolo dell’attaccamento nel facilitare l’apprendimento e nel prevenire l’orientamento ai coetanei, vedremmo che l’educazione dei giovani è una responsabilità sociale condivisa in egual modo da genitori, insegnanti, e da tutti gli adulti che entrano in contatto con bambini e ragazzi - nonché da tutti coloro che forgiano la natura della società e della cultura nelle quali i bambini crescono e imparano le cose della vita.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.