Lo sgretolamento del bullo
È importante ricordare che il bullismo non è intenzionale. I bambini non vogliono essere bulli, e neppure devono imparare come si fa, poiché il bullismo può sorgere spontaneamente nel contesto di qualsiasi cultura. È un errore credere che il comportamento aggressivo del bullo rifletta la sua vera personalità. I bulli non sono delle semplici uova marce quanto piuttosto uova dal guscio duro, che né genitori né insegnanti hanno saputo far schiudere in individui autonomi. Il bullismo è il risultato dell’interazione fra le due più importanti dinamiche psicologiche del cervello di attaccamento nell’essere umano: attaccamento e difesa. Queste dinamiche formidabili mascherano la personalità innata del bambino.
Se vogliamo salvare il bullo, dobbiamo prima metterlo al suo posto – non nel senso di dargli una lezione, di punirlo o umiliarlo, bensì reintegrandolo in una naturale gerarchia di attaccamenti. L’unica sua speranza è di legarsi a qualche adulto che, a sua volta, abbia voglia di assumersi la responsabilità di aver cura dei suoi bisogni emotivi. Sotto la dura corazza esteriore vi è una giovane persona assai ferita e terribilmente sola, la cui maschera di durezza si sgretola in presenza di un adulto autenticamente amorevole. “Una volta chiesi a un bullo cosa provava, visto che tutti avevano paura di lui”, mi confidò uno psicologo delle scuole medie. “‘Ho molti amici’, replicò il bullo, ‘ma in realtà non ho nessun amico’, e così dicendo scoppiò in lacrime”.
Quando non si sentirà più insoddisfatto e frustrato, il bullo non dovrà più arrangiarsi da sé per soddisfare la propria fame di attaccamento, e il suo bullismo diventerà superfluo. Nella versione cinematografica de Le Due Torri, la seconda parte della trilogia de Il Signore degli Anelli, abbiamo un esempio toccante di quanto il comportamento aggressivo sia ridondante una volta che i bisogni di attaccamento vengano soddisfatti. Gollum, una creatura viscida, perversa e denutrita affettivamente, piena di odio e amarezza, è impegnato in una conversazione interiore con se stesso dopo essersi legato all’hobbit Frodo, che lui chiama “Padrone”. “Non abbiamo più bisogno di te”, dice rivolgendosi al suo doppio interiore che è infido, manipolativo e persino omicida, “Il padrone ora ha cura di noi”.
Se dovessimo riassumere l’essenza del bullo, dovremmo parlare di un guscio duro di emozioni irrigidite a protezione di una creatura assai sensibile all’attaccamento, molto immatura e immensamente dipendente, che aspira alla posizione dominante. Sebbene un tale comportamento possa essere causato da altre circostanze, esso è tuttavia un risultato prevedibile dell’orientamento ai coetanei. Il bullismo ha la sua radice e il suo inasprimento nell’orientamento ai coetanei, che è la maggiore causa di bullismo fra i bambini di oggi. Tutti gli attributi dei bulli scaturiscono dalla combinazione di queste due formidabili dinamiche: l’attaccamento che è intenso, rovesciato, e malriposto, e una disperata fuga dalla vulnerabilità. Da questa unione nasce il bullo: un bambino duro, crudele, estremamente esigente, che prende di mira gli altri, li insulta, li prende in giro, li minaccia e li intimorisce. Oltre a ciò, è sensibile agli affronti, si sente subito provocato, è senza lacrime e senza paura, e le sue prede sono la debolezza e la vulnerabilità.
L’orientamento ai coetanei alimenta sia i bulli, sia le loro vittime. Siamo stati pericolosamente ingenui nel pensare che facendo stare insieme i bambini avremmo favorito i valori egualitari e di relazione. Invece, abbiamo lastricato la strada che conduce alla formazione di nuove e dannose gerarchie di attaccamento. Stiamo creando una comunità che prepara il terreno per una situazione da Signore delle mosche. L’orientamento ai coetanei rende orfani i nostri figli e trasforma le scuole in orfanotrofi diurni, per così dire. La scuola è oggi un luogo dove i ragazzi orientati ai coetanei stanno insieme, relativamente liberi dalla supervisione degli adulti, nelle mense, nei corridoi e nei cortili. A causa della straordinaria riorganizzazione degli attaccamenti che ha luogo sulla scia dell’orientamento ai coetanei, le scuole sono diventate anche delle fabbriche di bulli – certo in maniera involontaria e inconsapevole, ma pur sempre tragica.
Molti degli approcci al bullismo sono inadeguati perché mancano del discernimento relativo alle dinamiche sottostanti. Coloro che percepiscono il bullismo come un problema comportamentale, pensano di poterlo eliminare imponendo sanzioni e conseguenze. Non soltanto le conseguenze negative non riusciranno a far breccia, ma anzi alimenteranno la frustrazione e alieneranno il bullo ancora di più. Non è il bullo ad essere forte, lo sono invece le dinamiche che lo creano. Nella cultura dei pari, anche l’offerta di vittime è inesauribile.
Il solo modo di distruggere un bullo è quello di rovesciare le dinamiche che lo hanno originato: reintegrare il bambino in una gerarchia appropriata di attaccamenti, e poi procedere all’addolcimento delle sue difese e al soddisfacimento della sua fame di attaccamento. Per quanto possa rivelarsi un compito sconfortante, è l’unica soluzione che offra possibilità di successo. I metodi correnti, che si concentrano sullo scoraggiare i comportamenti del bullismo o, in alternativa, sull’esortare i bambini a comportarsi civilmente gli uni verso gli altri, non colgono le radici del problema: l’assenza di una dipendenza vulnerabile da un adulto che si prenda cura del bambino. Finché non vedremo il bullismo come un disturbo dell’attaccamento, quale esso è in realtà, è improbabile che i nostri rimedi facciano la differenza.
In modo analogo, il miglior modo per proteggere le vittime è anche quello di reintegrarle in una dipendenza dagli adulti che ne sono responsabili, così che possano sentire la propria vulnerabilità e piangere ciò che non funziona per loro. Molto spesso, sono proprio i bambini troppo orientati ai coetanei per potersi affidare a un adulto, che corrono i rischi maggiori.
Ho partecipato di recente a uno speciale della TV nazionale canadese dedicato al bullismo, dove c’era un certo numero di genitori i cui bambini si erano suicidati dopo aver subìto atti di bullismo. Vi era anche una ragazza, la cui vita era stata resa un inferno dal bullismo. La madre della ragazza raccontò che la figlia scoppiava in lacrime quasi ogni giorno dopo la scuola e parlava delle sue dolorose esperienze. Dopo la trasmissione, parlando con me la presentatrice espresse la sua preoccupazione che anche questa ragazza potesse togliersi la vita. Al contrario, risposi, la sua dipendenza dalla madre e le parole e le lacrime versate nel seno sicuro della loro relazione erano state la sua salvezza. I bambini che si erano tolti la vita erano degli enigmi per i loro genitori. I loro suicidi li avevano colti di sorpresa. Queste vittime infelici si erano troppo orientate ai coetanei per parlare con i genitori di ciò che stava succedendo, ed erano troppo barricati contro la vulnerabilità per versare lacrime sui traumi che stavano subendo; la loro frustrazione crebbe finché non poté essere contenuta più a lungo. In questi casi particolari, i bambini avevano attaccato se stessi anziché gli altri. Anche da questo punto di vista, i bulli e le loro vittime sono fatti della stessa pasta – mancano entrambi di attaccamenti adeguati con adulti amorevoli. Per quanta infelicità possano talvolta provare, i bambini non rischiano di aggredire se stessi o gli altri finché possono appoggiarsi ai genitori, affrontare ciò che li addolora, e rispondere con sentimenti adeguati di futilità.
Alcuni, compresi coloro che vengono considerati degli esperti, interpretano il problema del bullismo come un fallimento nella trasmissione dei valori morali. La percezione è senz’altro giusta, ma in un senso del tutto diverso da quello inteso di solito. Non si tratta di un fallimento nell’insegnare ai nostri figli i valori dell’altruismo e della considerazione: questi sono valori che emergono in modo naturale nei bambini che sentono abbastanza profondamente e con sufficiente vulnerabilità. Non è l’insuccesso nell’educazione morale del bullo che costituisce un problema, bensì il crollo dei valori fondamentali dell’attaccamento e della vulnerabilità nella società contemporanea. Se questi valori essenziali ci stessero a cuore, l’orientamento ai coetanei non avrebbe proliferato, né generato il bullismo e le sue vittime.