terza parte

Confinati nell’immaturità: come l’orientamento ai coetanei impedisce il sano sviluppo dell’individuo

capitolo xi

Il bullismo e le
sue vittime

I bulli sono sempre esistiti, come sa chiunque abbia familiarità con il personaggio spaccone ma codardo di Flashman, nel classico per ragazzi di epoca vittoriana Tom Brown’s School Days. Tutti noi possiamo ricordare episodi di bullismo nella nostra infanzia, sia che vi partecipassimo, che ne fossimo spettatori, oppure vittime. Malgrado ciò il fenomeno del bullismo ha raggiunto solo di recente proporzioni tali da scatenare un diffuso allarme sociale. Secondo il “New York Times”,

in uno dei più vasti studi mai effettuati sullo sviluppo infantile, i ricercatori dell’U.S. National Institutes of Health hanno riferito che circa un quarto di tutti i bambini delle scuole medie inferiori erano o perpetratori o vittime (e in alcuni casi entrambi) di atti seri e cronici di bullismo; si trattava di comportamenti che includevano minacce, esposizione al ridicolo, offese, pugni e botte, scherno e derisione37.

Oggi è difficile trovare un distretto scolastico in Nord America che non ritenga necessario istituire programmi antibullismo o emettere editti di “tolleranza zero” contro atteggiamenti di bullismo. Tuttavia, le cause del fenomeno sono poco comprese. Le misure proposte per affrontarlo sono prevedibilmente inefficaci poiché, come al solito, tentano di far fronte ai comportamenti anziché alle cause. Nel 2001, ad esempio, il “New York Times” riferiva che, dopo una sparatoria mortale provocata da episodi di bullismo in una scuola superiore a Santee, in California, il Senato dello Stato di Washington emise una legislazione che mirava a stroncare il problema. Secondo il servizio giornalistico,

i sostenitori del disegno di legge dicevano che avrebbe potuto senz’altro aiutare ad evitare altra violenza, ma gli scettici facevano notare che la scuola superiore californiana dove era avvenuta la sparatoria aveva già programmi antibullismo, inclusi provvedimenti per ottenere informazioni anonime su studenti che facevano minacce, e programmi per aiutare i teenager ad andare d’accordo, fra cui uno dal titolo ‘gli insulti feriscono davvero’ 38.

In uno studio menzionato nel capitolo precedente, ricercatori della York University analizzarono videocassette di cinquantatrè episodi di bullismo durante la ricreazione in scuole elementari, e scoprirono che, per più della metà del tempo, gli astanti osservavano passivamente le violenze e gli insulti, mentre quasi per un quarto del tempo alcuni di loro si univano ai maltrattamenti39.

Un omicidio che catturò l’attenzione internazionale nel 1997, a Victoria, nella British Columbia – quello dell’adolescente Reena Virk per mano dei suoi coetanei – ricordava spaventosamente Il Signore delle mosche. Reena aveva quattordici anni al momento della sua morte, e i suoi presunti assassini avevano uno o due anni di differenza. Come nel romanzo di William Golding, un gruppo di adolescenti se la prende con la più vulnerabile del gruppo e sfoga appieno la propria rabbia e frustrazione su di lei, finché il suo corpo non giace esanime dopo essere stato martoriato e annegato. Da quanto venne riferito, uno degli assassini fumava una sigaretta mentre con noncuranza teneva la testa della vittima sott’acqua. Molti che non avevano partecipato direttamente avevano però assistito alle percosse, e nessuno aveva tentato con forza di intervenire, nessuno era stato spinto a riferire l’incidente alle autorità. Nessun adulto ne seppe nulla per diversi giorni.

Nel Signore delle mosche, un gruppo di giovani coristi inglesi si trova abbandonato su un’isola tropicale. Lasciati a se stessi, si dividono istintivamente in bulli e vittime, fino all’assassinio. L’interpretazione che molti hanno dato del romanzo di Golding è che nei bambini alberga una selvaggia ferocia sotto un velo sottile di civiltà, e che solo la forza dell’autorità può tenere a bada i loro innati impulsi brutali. Quest’impressione è rinforzata dalla proliferazione di notizie riportate dai media su bambini che vittimizzano altri bambini, e sebbene sia vero che l’assenza degli adulti nella vita dei bambini sia la causa maggiore del bullismo, in realtà ciò che determina davvero questa dinamica non è la mancanza di un’autorità, ma invece la penuria di attaccamenti agli adulti. Più precisamente, il declino dell’autorità degli adulti è direttamente collegato all’indebolimento degli attaccamenti dei bambini a persone più grandi e mature, sostituiti con attaccamenti ai compagni. Il bullismo, e più in generale l’aggressività e la violenza, sono il risultato più evidente e macroscopico dell’orientamento ai coetanei. Lo stesso fenomeno è osservabile, in verità, anche nel mondo animale.

In un laboratorio di scimmie dell’U.S. National Institutes of Health, un gruppo di cuccioli venne separato dagli adulti e, per forza di cose, le piccole scimmie si crebbero le une con le altre. Al contrario delle scimmie che erano cresciute con gli adulti, un gran numero di questi animali orientati ai coetanei ebbe un comportamento da bullo e divenne impulsivo, aggressivo e autodistruttivo40.

In una riserva del Sud Africa, i guardaparco iniziarono a preoccuparsi per il massacro dei rari rinoceronti bianchi. All’inizio fu data la colpa ai bracconieri, ma si scoprì in seguito che la responsabilità era da attribuire a un gruppo di giovani elefanti che vivevano appartati dal resto del branco. L’episodio catturò a tal punto l’attenzione che venne riferito nel programma televisivo “60 Minutes”. Un resoconto su internet ne fornisce ulteriori dettagli:

La storia ebbe inizio dieci anni fa, quando il parco non riusciva più a sostenere la popolazione degli elefanti. (I ranger) decisero di uccidere molti degli esemplari adulti i cui piccoli erano abbastanza grandi per sopravvivere senza di loro; e così i giovani elefanti crebbero orfani.
Col passar del tempo, molti di questi giovani elefanti vagabondarono insieme e formarono delle bande iniziando a fare cose che di solito gli elefanti non fanno. Lanciavano rami e acqua ai rinoceronti e si comportavano come dei bulli di quartiere...un gruppetto di giovani maschi crebbe particolarmente violento. Caricavano i rinoceronti e li calpestavano o si inginocchiavano sopra di loro, schiacciandoli fino a farli morire... La soluzione fu di portare un grosso maschio a capo del gruppo, in grado di fronteggiarne il bullismo. Presto il nuovo arrivato divenne il maschio dominante e mise a posto i più giovani. Le uccisioni terminarono.

In entrambi i casi vediamo che il bullismo fra gli animali segue alla distruzione della naturale gerarchia generazionale. Lo stesso accade fra i piccoli della specie umana, dove il fenomeno del bullismo è un prodotto diretto del sovvertimento della gerarchia naturale, conseguente alla perdita della relazione con l’adulto. Nel Signore delle mosche, i bambini sono lasciati a se stessi a seguito di un incidente aereo dove nessuno degli adulti sopravvive. Nell’assassinio di Reena Virk a Victoria, sia la vittima sia gli aggressori erano giovani provenienti da famiglie disastrate, ragazzi molto orientati ai coetanei dopo la perdita dell’attaccamento emotivo con gli adulti. Persino Flashman, il bullo di epoca vittoriana, era il prodotto di un sistema che toglieva alle famiglie bambini ancora piccoli e li metteva in istituti dove i valori dei pari avrebbero dominato la loro vita sociale e di relazione. Il bullismo è sempre stata una caratteristica endemica delle British boys’ schools, i collegi inglesi per ragazzi.


Il problema sottostante non è il comportamento in sé, bensì la perdita della naturale gerarchia di attaccamento con gli adulti responsabili. Quando i più giovani non possono più rivolgersi ai genitori per orientarsi, si riducono a essere puro istinto e impulsività. Come dirò in seguito, l’istinto a dominare scaturisce quando c’è una perdita di attaccamenti appropriati. Purtroppo le dinamiche del bullismo, così profondamente radicato negli istinti e nelle emozioni, sono spesso sottovalutate. Solo ciò che è visibile in modo immediato, ossia il comportamento aggressivo dei bulli e il suo deplorevole effetto sulle vittime, suscita la preoccupazione generale.

Ciò che cattura la nostra attenzione in modo particolare è l’epidemia di bullismo all’interno delle scuole. Il tradizionale stereotipo nordamericano del bullo come un disadattato, socialmente svantaggiato, che approfitta dei più deboli ma viene ostracizzato dal resto della società, non regge più. Nel mondo dei nostri figli, i bulli non sono degli emarginati. Spesso godono di una larga base di sostegno, almeno a scuola. Secondo uno studio pubblicato nel 2000 dall’American Psychological Association, “molti bambini maschi estremamente aggressivi e antisociali delle scuole elementari sono premiati dalla celebrità”. Il principale autore della ricerca fu Philip Rodkin, professore alla Duke University, nel Nord Carolina, che affermò

quando pensiamo a bambini aggressivi, tendiamo a immaginare dei perdenti, stigmatizzati e fuori controllo. Ma circa un terzo di questi bambini sono invece dei capobanda in classe; possono avere molta influenza sui compagni e sulla classe nel suo insieme, anche se sono una minoranza, per via della loro alta reputazione41.

È comune, per quanto fuorviante, credere che il bullismo abbia origine in un contesto di svilimento morale o scaturisca dal maltrattamento in casa, da una mancanza di disciplina o dall’esposizione alla violenza attraverso i media e altre forme di intrattenimento. Alcuni aspetti del bullismo possono nascere da queste fonti, ma il bullismo in sé, ne sono convinto, è essenzialmente un prodotto del fallimento negli attaccamenti. In ognuno degli esempi precedenti, i bambini e gli animali erano stati resi orfani, dal punto di vista fisico oppure psicologico ed emotivo. Per studiare gli effetti dell’accudimento fra coetanei, le scimmie erano state separate dai genitori; i genitori degli elefanti erano stati selezionati e uccisi. Gli adulti del Signore delle Mosche erano morti, e gli adolescenti di Victoria erano isolati dai genitori. Tutti, animali e bambini, soffrivano un intollerabile vuoto di attaccamento e il loro bullismo era l’espressione di esseri immaturi non correttamente inseriti in una gerarchia naturale di attaccamenti. Tutte le ricerche esistenti non fanno che avvalorare questa conclusione. Uno studio, citato dal “New York Times”, suggeriva che più tempo i bambini trascorrono in compagnia dei coetanei e lontano dai genitori, più saranno inclini a sviluppare atteggiamenti di bullismo. Secondo questo articolo,

I bambini che trascorrevano più di 30 ore a settimana lontano dalla mamma avevano il 17 per cento di possibilità di finire come bulli comuni e combina guai, in confronto al 6 per cento di possibilità dei bambini che trascorrevano meno di 10 ore a settimana al nido42.

Dominare senza prendersi cura

Perché gli attaccamenti sconvolti di un bambino lo predispongono al bullismo oppure a diventare una vittima? Ho spiegato che il ruolo primario dell’attaccamento nella vita degli esseri umani è quello di rendere possibile che un adulto maturo e amorevole si prenda cura di un piccolo immaturo e bisognoso. A tal fine, la prima faccenda da sistemare in qualunque relazione di attaccamento è quella di stabilire una gerarchia efficace. Come abbiamo visto nel capitolo 5, in condizioni normali il cervello di attaccamento assegna al bambino la modalità dipendente, mentre l’adulto assume il ruolo dominante. L’istinto ad assumere la posizione dominante o quella dipendente può tuttavia essere attivato da qualsiasi relazione di attaccamento, anche quando entrambe le parti sono immature e nessuna delle due è in grado di soddisfare i bisogni dell’altra. Chi dipende si rivolge all’altro per farsi accudire, mentre colui che domina si assume la responsabilità del benessere dell’altro; fra adulti e bambini, l’appropriata divisione dei ruoli è ovvia, o almeno così dovrebbe essere. Quando i soggetti sono invece solo bambini, i risultati possono essere disastrosi. Alcuni di loro cercano di dominare senza assumersi la responsabilità per chi si sottomette, mentre altri sono remissivi verso chi non può aver cura di loro. Il risultato dell’orientamento ai coetanei è che il bisogno urgente di creare un forte attaccamento costringe bambini immaturi, che dovrebbero essere alla pari gli uni con gli altri, a disporsi in gerarchie innaturali di dominio e sottomissione.


Alcuni dei bambini dominanti in effetti diventano delle mamme chioccia, stanno attenti ai più piccoli, si prendono cura di chi ha bisogno, difendono i più vulnerabili e proteggono i deboli. Ci sono storie commoventi di bambini che si prendono cura di altri bambini in assenza degli adulti. I bambini alfa possono essere autoritari, prescrittivi e inclini a dare ordini, ma è con il proposito di prendersi cura di quelli che dipendono da loro, e di far fronte alle proprie responsabilità. Qualcuno deve farlo, e questi bambini si mostrano all’altezza della situazione. Nonostante i loro modi autoritari, non sono dei bulli. Non maltrattano i deboli, ma solo quelli che si comportano male con i bambini di cui hanno cura. Non attaccano la vulnerabilità quando la vedono, ma solo coloro che intendono approfittarsene. Non hanno una vena crudele, solo un fiero istinto di protezione; sarebbero capaci di combattere o litigare, ma non per elevare la propria posizione, bensì solo per difendere i propri protetti. The Boxcar Children, di Gertrude Chandler, è un incantevole racconto su bambini che si assumono la responsabilità di altri bambini. Quattro fratelli e sorelle orfani decidono di aver cura gli uni degli altri anziché cercare rifugio da un nonno che nessuno di loro conosce. Henry, il più grande, trova persino lavoro per aiutare a mantenere i fratelli.


I bambini (o gli adulti) diventano dei bulli quando la brama di dominio non è equilibrata dall’istinto di responsabilità per coloro che sono più in basso nella scala gerarchica. I bisogni degli altri sono calpestati anziché soddisfatti, la vulnerabilità non è salvaguardata ma sfruttata, la debolezza evoca lo scherno e non l’aiuto e, anziché preoccupazione, le menomazioni suscitano il ridicolo.


Il dominio non determina la cura altruistica dell’altro perché la fuga dalla vulnerabilità da parte del bullo è, di solito, talmente disperata che egli (o ella) si è troppo indurito verso i sentimenti di cura e responsabilità. I bulli sono, soprattutto, chiusi psicologicamente verso la consapevolezza di qualsiasi cosa che possa aumentare il loro senso di vulnerabilità – qualunque cosa che possa aprirli alla percezione della propria capacità di essere feriti emotivamente. I bulli sono ciechi di fronte ai propri difetti ed errori. Per loro l’invulnerabilità è una virtù, sono senza lacrime e senza paura. Aver cura significa invece essere impegnati emotivamente in qualcosa o qualcuno. Sentirsi responsabili vuol dire essere aperti ai sentimenti di inadeguatezza e colpa. “Non me ne importa” e “Non è colpa mia” sono i mantra del bullo.


Il bullismo insorge quando il bisogno di dominare i compagni, innescato dall’attaccamento, si combina con l’irrigidimento e la chiusura verso i sentimenti di cura e responsabilità che dovrebbero accompagnare il ruolo dominante. Le difese del bullo contro la vulnerabilità piegano la dominazione in una direzione distruttiva.


Non c’è da meravigliarsi che il bullismo sia germogliato nel mondo dei nostri figli.

Cosa spinge i bulli al dominio

Una persona che domina è molto meno vulnerabile di una che si trova in posizione di dipendenza, perciò i bambini che sono più chiusi emotivamente sono anche quelli più predisposti a dominare gli altri.


Senza dubbio alcuni bambini sono predisposti psicologicamente a diventare dei bulli prima ancora di orientarsi ai coetanei. In tal caso questo orientamento, anche se non ne è la causa, offre un’ampia possibilità di esprimere gli impulsi a tiranneggiare.


Talvolta la pulsione a dominare risale a esperienze dolorose subite mentre si era in una condizione di dipendenza. Quando un genitore o un adulto responsabile ha abusato della sua posizione di responsabilità per tiranneggiare il bambino, calpestando la sua dignità e ferendolo, non stupisce che egli sviluppi poi un desiderio di evitare ad ogni costo una posizione dipendente. In ogni nuova situazione di attaccamento egli cercherà per istinto di assumere la posizione superiore. Da piccolo, Frank aveva vissuto con un padre adottivo che lo picchiava regolarmente. Quando, a dodici anni, i coetanei sostituirono i genitori negli attaccamenti che contavano per lui, cercò con tutte le forze di essere in cima alla gerarchia. Emulava esattamente quello che era stato fatto a lui; in questo modo, e non attraverso i geni, i bulli generano altri bulli.


Un bambino può essere predisposto a diventare un bullo se il genitore non riesce a dargli la sicurezza che c’è un adulto competente, benevolo e capace pronto a prendersi cura di lui. Il bambino, per quanto possa opporre resistenza alle direttive genitoriali e fare ogni sforzo per avere un’autonomia maggiore di quella che è in grado di gestire, desidera ardentemente sentire che è nelle mani di qualcuno abbastanza forte e saggio da prendersi cura di lui. Il fallimento dei genitori nell’affermare il proprio ruolo dominante nell’attaccamento sembra in crescita, in parte a causa delle pratiche parentali correnti e della svalutazione dell’intuizione genitoriale. A quanto pare, molti genitori mettono al comando i propri figli, rivolgendosi a loro per avere indicazioni su come comportarsi. Alcuni sperano di evitare litigi e frustrazioni facendo tutto quanto è in loro potere per accontentarli. I bambini trattati in questo modo non si scontrano mai con la necessaria frustrazione che accompagna l’incontro con l’impossibile; sono privati dell’esperienza di trasformare la frustrazione in sentimenti di futilità, di adattamento, e nella capacità di lasciar andare. Altri genitori confondono il rispetto per i figli con l’indulgere alle loro voglie anziché incontrare i loro bisogni. Altri ancora tentano di dare potere ai propri figli offrendo scelte e spiegazioni quando ciò di cui i figli hanno bisogno è di poter esprimere il proprio disappunto se i loro desideri vengono frustrati dalla realtà, e di avere la libertà di inveire contro qualcosa che non cederà. Ancora, altri genitori fanno affidamento sui figli per soddisfare i propri bisogni di attaccamento. Molti, nel clima socioeconomico altamente instabile di oggi, sono presenti fisicamente ma troppo preoccupati a causa dello stress delle loro vite per riuscire ad essere presenti dal punto di vista emotivo.


Se i genitori sono troppo bisognosi o troppo passivi, o troppo incerti per asserire la propria posizione di dominio, gli istinti di attaccamento spingeranno il bambino nella posizione dominante per forza di cose. Questi bambini possono diventare prepotenti e dispotici. Come un bambino di cinque anni spiegò a sua madre: “Come puoi dire di volermi bene se non fai quello che ti dico?”. Un altro, in età prescolare, sussurrò all’orecchio della madre: “Se non mi ascolti, quando sarò grande ti ucciderò”. Se i genitori vengono meno nell’assumere la loro posizione legittima nella relazione con i figli, l’attaccamento si inverte. Se la mia esperienza professionale può essere indicativa, i bambini stanno assumendo sempre di più atteggiamenti da bulli verso i genitori. Quando questi bambini si orientano ai compagni, il loro cervello seleziona in automatico la modalità dominante, e continueranno a spadroneggiare con i coetanei.

In che modo il bullo cerca di dominare gli altri

L’affermazione del dominio può prendere molte forme. Il modo più diretto per elevare se stessi è quello di vantarsi e gloriarsi, presentandosi come il più grande, il migliore, il più importante. Il modo più comune è però quello di sminuire gli altri, e il bullo di solito si preoccupa di mostrare agli altri chi è il capo e di tenerli in riga. Gli strumenti del mestiere sono molteplici: condiscendenza, disprezzo, insulti, denigrazione e umiliazione, mortificazione, derisione e prese in giro, infamia. Il bullo sonda d’istinto l’insicurezza negli altri e tenta di sfruttarla a suo vantaggio. Egli trae un gran piacere nel far sembrare gli altri sciocchi o stupidi, o nel farli vergognare. Per gonfiare se stesso, istintivamente sgonfia gli altri. Non ha bisogno di imparare come raggiungere lo scopo: le tecniche necessarie sorgono spontaneamente dalla psicologia del bullo.

Ciò che il bullo desidera è, naturalmente, quello che ogni bambino vuole: qualcosa che soddisfi la sua fame di attaccamento. Per il bullo, un tale soddisfacimento deve realizzarsi nel modo meno vulnerabile possibile. Delle sei modalità di attaccamento descritte nel capitolo 2, la somiglianza, l’essere come l’altro, è la meno vulnerabile43. Il risvolto della medaglia implica che le differenze siano il primo bersaglio per gli insulti. Qualsiasi cosa che lo distingua, che lo renda unico, o che non abbia valore per la cultura dei pari, fa sì che il bambino diventi un bersaglio del bullismo. I bulli hanno orrore delle differenze e dominano attaccando la diversità negli altri. Un altro dei modi meno vulnerabili per stabilire l’attaccamento è quello di avere significato, di essere importante agli occhi di qualcuno. Nel loro affannarsi per la superiorità, i bulli sfruttano qualsiasi apparente inferiorità degli altri, proprio come ridicolizzano e svalutano ogni sentore di superiorità negli altri. I bulli non sopportano che qualcuno sia più importante di loro.

Un altro modo di dominare è attraverso l’intimidazione. Suscitando la paura, il bullo prende il coltello dalla parte del manico. Per questo si occupa di intimorire gli altri con minacce, sfide, storie e tattiche intimidatorie. Per consolidare la propria posizione, il bullo non deve mai farsi vedere impaurito. Alcuni adolescenti si spingono ridicolmente lontano per dimostrare la propria temerarietà, provocandosi tagli e bruciature, e mostrando le proprie cicatrici per esibire il proprio coraggio. Il potere di questi istinti non deve essere sottovalutato, e riportare al buon senso questi ragazzi è impossibile perché ciò che è sensato per noi non lo è per loro.


Com’è noto, uno dei modi più primitivi di stabilire un dominio, è quello di conquistare una superiorità fisica. Un adolescente che testimoniava a Toronto per un processo dove lui e tre suoi coetanei erano accusati di aver picchiato a morte un ragazzo di quindici anni, affermò che i suoi amici avevano iniziato a vantarsi dopo l’assalto: “Si atteggiavano da grandi”, disse.


Esistevano significative differenze di sesso in questa lotta per la supremazia, e anche molte regole, ben definite culturalmente, che stabilivano le modalità dell’ascesa. L’orientamento ai coetanei ha ridotto le differenze di sesso, ha privato la competizione delle norme socialmente accettate, e ha reso la ricerca del dominio più disperata che mai. Anche le ragazze ora stabiliscono la propria supremazia attaccando gli altri sul piano fisico. A volte questa lotta delle ragazze è interpretata come un essere meno compassate e composte, meno inibite rispetto al passato – un’espressione, quindi, di maggior “potere femminile”. Ma la realtà è ben diversa; il bullismo fra ragazze è un segno di regressione emotiva, non di liberazione.


Esiste ancora un altro modo di stabilire la propria supremazia, ed è quello di pretendere deferenza, atteggiamento tipico del bullo. I ragazzi sentono che il bullo deve fare a modo suo e non fermarsi davanti a niente per raggiungere i suoi scopi. Cos’è che rende i bulli tanto pretenziosi? Di nuovo, è necessario far riferimento alle dinamiche di attaccamento e vulnerabilità. Sebbene non ne siano consapevoli, essi sono pieni di frustrazione a causa della perdita dei loro attaccamenti con gli adulti e degli attaccamenti impoveriti che hanno con i coetanei. Troppo difesi psicologicamente per riconoscere la ragione del loro scontento, esprimono richieste che subito vengono rimosse, allontanate dalla fonte vera della frustrazione. Sono in trappola. Non possono mai chiedere ciò di cui hanno davvero bisogno – calore, amore, relazioni. La deferenza, o i suoi segni esteriori, ne sono un misero sostituto. Così, qualunque cosa sia quella che ricevono in risposta alle loro richieste, e anche se queste vengono pienamente soddisfatte, non sazieranno mai la fame essenziale di nutrimento emotivo. I loro tentativi di appagare le proprie brame sono infruttuosi, ma poiché non possono permettersi di provare la vera futilità di tutto ciò, non riescono a lasciar andare. Le richieste dei bulli sono senza fine.


Chiedono deferenza perché è un segno davvero possente di lealtà e sottomissione, e sembra non importare il fatto che essa non provenga dal cuore ma sia elargita solo sotto minaccia o perché pretesa. I bulli non esitano a esigere ciò che non possono comandare, e a prendere ciò che non viene offerto liberamente. La futilità di un tale sforzo non penetra mai a fondo; il bullo è incapace di distinguere fra il rispetto autentico e i suoi segni esteriori, o di capire che la vicinanza e il contatto ottenuti a forza di pretese non sono genuini e non danno alcuna soddisfazione. Poiché la deferenza che egli estorce con la forza non lo sazia, sia la sua fame di attaccamento sia la sua frustrazione crescono sempre più. Ciò che egli in effetti desidera – relazioni emotivamente soddisfacenti – non potrà mai essere ottenuto in questo modo.

Cosa scatena l'aggressione del bullo

Il bullo si sente provocato all’attacco ogni volta che le sue richieste, anche se taciute, sono frustrate. Ad esempio, i bulli sono estremamente sensibili alla mancanza di deferenza. Anche guardare nel modo sbagliato può scatenare una reazione. Camminare lungo un corridoio pieno di bulli è come essere su un campo minato, cercando con la massima cautela di evitare una mossa sbagliata per paura che qualcosa esploda. Purtroppo non è sempre chiaro quale sia questa mossa, finché non è troppo tardi. Per Justine, fu il fatto di aver dato una pulita al vassoio di un bullo a mensa; per Franca, quello di aver ballato con un ragazzo che la capetta della classe considerava suo. Ad entrambe le ragazze, i loro errori costarono mesi di minacce e persecuzioni, rendendo impossibile la loro vita e influendo negativamente sui risultati scolastici, nonostante il fatto che entrambe fossero dotate di notevole buon senso e fossero di solito in grado di tenersi lontano dai guai.


Molti bambini sono letteralmente incapaci di non finire nei pasticci in un mondo dove regnano i bulli. Purtroppo, una delle conseguenze principali dell’orientamento ai coetanei è quella di provocare difese contro la vulnerabilità necessaria al riconoscimento dei segni di ostilità e rifiuto. Quando il sistema di allarme è smorzato, i bambini sono meno in grado di leggere i segnali che dovrebbero spingerli ad essere cauti. In tal modo, l’orientamento ai coetanei non solo crea dei bulli, ma prepara anche le vittime. Questi sfortunati bambini continuano senza sosta a mettersi nei guai. È la storia di Reena Virk, la ragazza massacrata e annegata a Victoria. Ella era molto orientata ai coetanei, ma difesa contro il dolore dell’essere rifiutata. Più veniva respinta, più tentava disperatamente di appartenere al gruppo. Anche vicina alla fine, si dice che supplicasse i suoi nemici di essere gentili e li scongiurava dichiarando il suo amore per loro. Invece di essere impaurita ed essere spinta alla prudenza, camminava cieca incontro alla propria morte. Questa dinamica, in forme meno gravi, si ripete centinaia di volte ogni giorno nei cortili scolastici di tutto il continente. I bambini vanno verso il pericolo perché hanno imparato a ignorare i segni sociali del rifiuto e quei messaggi, espressi o taciuti, che dovrebbero metterli in guardia.


In aggiunta alla percezione del non rispetto o della mancata sottomissione, ciò che in essenza fa scattare la reazione del bullo è la manifestazione della vulnerabilità. Un bambino non dovrebbe mai mostrare a un bullo quanto è fragile, o ne pagherà le conseguenze. Rivelare che qualcosa ci ferisce significa che il bullo girerà il coltello nella piaga. Svelare cosa ci sta a cuore significa che il bullo troverà un modo per guastarlo. Apparire bisognosi, desiderosi o entusiasti significa fare di se stessi un bersaglio. Molti dei nostri bambini lo sanno e camuffano con attenzione la propria vulnerabilità quando sono vicini a coloro che potrebbero attaccarla. Non potranno dire che hanno nostalgia dei genitori o saranno lo zimbello dei compagni. Non ammetteranno di sentirsi feriti da un commento, altrimenti saranno derisi senza pietà. Non confesseranno la propria sensibilità, o le prese in giro sarebbero interminabili. Devono imparare a nascondere la paura, a non mostrare l’agitazione, a negare il proprio dolore. Per sopravvivere in un mondo dove regnano i bulli, i nostri figli devono coprire con cura tutte le tracce della propria vulnerabilità, cancellare ogni segno di premura e interessamento. Non v’è dubbio che sia per questo motivo che molti bambini sopprimono qualsiasi sentimento di empatia verso le vittime del bullismo.


Nelle gerarchie deviate, create dall’orientamento ai coetanei, alcuni dei bambini diventano sottomessi. In questo, sono guidati dall’istinto tanto quanto coloro che vengono spinti a dominare. Di fronte a un coetaneo dominante, i bambini remissivi mostrano automaticamente deferenza. Parte della dimostrazione di sottomissione prevede di mostrarsi vulnerabili, come un lupo nel branco che si volti per mostrare la gola al maschio più forte. Il lupo espone la parte più vulnerabile del corpo per indicare la propria sottomissione. Questo comportamento è radicato a fondo nell’istinto di attaccamento. In condizioni naturali, mostrare la propria vulnerabilità dovrebbe suscitare la cura e le premure dell’altro. Dire che qualcosa ci ferisce dovrebbe indurre alla tenerezza. Agli occhi del bullo, invece, una vulnerabilità disinvolta è come una bandiera rossa per il toro, che infiamma il bisogno di attaccare. Sia le vittime sia i bulli seguono solo i loro istinti inconsci, ma con spaventose conseguenze per le vittime.

Attaccamento per vie indirette

Tra le nefaste predisposizioni dei bulli esiste un processo peculiare che chiamo “attaccamento per vie indirette”. Una persona sana emotivamente affronta l’attaccamento in modo diretto: a testa alta, per così dire. Esprime i suoi bisogni e desideri con schiettezza, rivelando la propria vulnerabilità. Per il bullo, è troppo rischioso cercare vicinanza in modo diretto; sarebbe troppo spaventoso per un bullo orientato i coetanei dire: “Mi piaci”, “Sei importante per me”, “Mi manchi quando non ci sei”, “Vorrei che fossi mio amico”. Egli non potrà mai ammettere la propria insaziabile fame di connessione, e non riuscirà neppure a sentirla consciamente per la maggior parte del tempo.


Allora, come farà a stabilire un legame? Bisogna ricordare che l’attaccamento ha sia aspetti positivi sia negativi; li ho descritti nel capitolo 2 quando ho parlato della natura bipolare dell’attaccamento. Ecco allora un secondo modo negativo di stabilire una connessione. Il bullo tenta di avvicinarsi a coloro di cui brama il contatto allontanando e respingendo coloro con i quali non vuole stabilire alcuna relazione. Per quanto indiretto e molto meno efficace, con questo approccio ci sono molti meno rischi di venir feriti o rifiutati. Permette al bullo di non far trasparire mai il suo interesse per gli esiti, di non tradire mai il proprio investimento emotivo nella relazione agognata. Anziché dar voce in modo diretto alla sua brama di contatto con l’individuo prescelto, il bullo si opporrà al contatto con gli altri, ignorandoli ostentatamente e scansandoli, soprattutto in presenza della persona a cui è in realtà interessato. Invece di imitare colui a cui aspira in segreto, egli deriderà e sbeffeggerà gli altri. Emotivamente troppo irrigidito per aprirsi a coloro che contano, egli avrà dei segreti con quelli che non contano – o creerà persino dei segreti su di loro.


È così che emerge la personalità del bullo: tenere qualcuno a distanza per avvicinarsi a un altro, gettare disprezzo qui per stabilire una relazione là, scansare e ostracizzare alcuni per cementare una connessione con altri. È pericoloso amare, ma non lo è avversare; è rischioso ammirare, ma non disprezzare; si è vulnerabili nel desiderare di somigliare a qualcuno, ma non nel deridere chi è diverso. I bulli prendono d’istinto, per arrivare a destinazione, la strada meno vulnerabile.


Coloro che sono oggetto di questo comportamento guidato dall’istinto, spesso sono incapaci di farsene una ragione. “Perché a me?”, “Cosa ho fatto per meritare questo trattamento?”, “Perché se la prende con me quando io penso solo ai fatti miei?”; è ovvio che sono confusi e sconcertati. La verità è che di rado si tratta di qualcosa che ha a che fare con loro. I bersagli sono solo un mezzo per raggiungere un obiettivo. Qualcuno deve servire agli scopi del bullo, e non c’è quasi mai qualcosa di personale. L’unico prerequisito per essere presi di mira è quello di non essere qualcuno con cui il bullo desidera stabilire un legame. Purtroppo, quando l’involontaria pedina di questa strategia di attaccamento prende a cuore il modo in cui viene trattata, la sua devastazione psicologica è ancora maggiore. È difficile evitare che alcuni dei bambini presi di mira credano che ci sia qualcosa di sbagliato in loro personalmente, o che siano in qualche modo responsabili per il modo in cui vengono trattati. Se non sono protetti da forti attaccamenti agli adulti, corrono enormi rischi di essere emotivamente feriti, di chiudersi in se stessi per difendersi, di andare in depressione o peggio.


Con la crescita della popolazione dei bulli, aumenterà anche la probabilità dei bambini di essere presi di mira. Ovunque si raggruppino due o più ragazzi orientati ai coetanei, è probabile che essi cerchino l’attaccamento per vie indirette attraverso la messa al bando degli altri: “Anche tu la odi, vero?”, “Ecco quello sfigato!”, “È una tale snob!”, “Quello è proprio un fesso!”. Il linguaggio spazzatura può essere incessante. Agli occhi degli adulti si tratta di un comportamento sconcertante perché, magari in altri contesti, lo stesso bambino si mostra gentile, simpatico e accattivante. Le personalità di alcuni bambini possono cambiare da un momento all’altro, a seconda delle persone con cui si trovano e di quale sia il polo, negativo o positivo, verso cui è spinto il magnete dell’attaccamento.

Lo sgretolamento del bullo

È importante ricordare che il bullismo non è intenzionale. I bambini non vogliono essere bulli, e neppure devono imparare come si fa, poiché il bullismo può sorgere spontaneamente nel contesto di qualsiasi cultura. È un errore credere che il comportamento aggressivo del bullo rifletta la sua vera personalità. I bulli non sono delle semplici uova marce quanto piuttosto uova dal guscio duro, che né genitori né insegnanti hanno saputo far schiudere in individui autonomi. Il bullismo è il risultato dell’interazione fra le due più importanti dinamiche psicologiche del cervello di attaccamento nell’essere umano: attaccamento e difesa. Queste dinamiche formidabili mascherano la personalità innata del bambino.


Se vogliamo salvare il bullo, dobbiamo prima metterlo al suo posto – non nel senso di dargli una lezione, di punirlo o umiliarlo, bensì reintegrandolo in una naturale gerarchia di attaccamenti. L’unica sua speranza è di legarsi a qualche adulto che, a sua volta, abbia voglia di assumersi la responsabilità di aver cura dei suoi bisogni emotivi. Sotto la dura corazza esteriore vi è una giovane persona assai ferita e terribilmente sola, la cui maschera di durezza si sgretola in presenza di un adulto autenticamente amorevole. “Una volta chiesi a un bullo cosa provava, visto che tutti avevano paura di lui”, mi confidò uno psicologo delle scuole medie. “‘Ho molti amici’, replicò il bullo, ‘ma in realtà non ho nessun amico’, e così dicendo scoppiò in lacrime”.


Quando non si sentirà più insoddisfatto e frustrato, il bullo non dovrà più arrangiarsi da sé per soddisfare la propria fame di attaccamento, e il suo bullismo diventerà superfluo. Nella versione cinematografica de Le Due Torri, la seconda parte della trilogia de Il Signore degli Anelli, abbiamo un esempio toccante di quanto il comportamento aggressivo sia ridondante una volta che i bisogni di attaccamento vengano soddisfatti. Gollum, una creatura viscida, perversa e denutrita affettivamente, piena di odio e amarezza, è impegnato in una conversazione interiore con se stesso dopo essersi legato all’hobbit Frodo, che lui chiama “Padrone”. “Non abbiamo più bisogno di te”, dice rivolgendosi al suo doppio interiore che è infido, manipolativo e persino omicida, “Il padrone ora ha cura di noi”.


Se dovessimo riassumere l’essenza del bullo, dovremmo parlare di un guscio duro di emozioni irrigidite a protezione di una creatura assai sensibile all’attaccamento, molto immatura e immensamente dipendente, che aspira alla posizione dominante. Sebbene un tale comportamento possa essere causato da altre circostanze, esso è tuttavia un risultato prevedibile dell’orientamento ai coetanei. Il bullismo ha la sua radice e il suo inasprimento nell’orientamento ai coetanei, che è la maggiore causa di bullismo fra i bambini di oggi. Tutti gli attributi dei bulli scaturiscono dalla combinazione di queste due formidabili dinamiche: l’attaccamento che è intenso, rovesciato, e malriposto, e una disperata fuga dalla vulnerabilità. Da questa unione nasce il bullo: un bambino duro, crudele, estremamente esigente, che prende di mira gli altri, li insulta, li prende in giro, li minaccia e li intimorisce. Oltre a ciò, è sensibile agli affronti, si sente subito provocato, è senza lacrime e senza paura, e le sue prede sono la debolezza e la vulnerabilità.


L’orientamento ai coetanei alimenta sia i bulli, sia le loro vittime. Siamo stati pericolosamente ingenui nel pensare che facendo stare insieme i bambini avremmo favorito i valori egualitari e di relazione. Invece, abbiamo lastricato la strada che conduce alla formazione di nuove e dannose gerarchie di attaccamento. Stiamo creando una comunità che prepara il terreno per una situazione da Signore delle mosche. L’orientamento ai coetanei rende orfani i nostri figli e trasforma le scuole in orfanotrofi diurni, per così dire. La scuola è oggi un luogo dove i ragazzi orientati ai coetanei stanno insieme, relativamente liberi dalla supervisione degli adulti, nelle mense, nei corridoi e nei cortili. A causa della straordinaria riorganizzazione degli attaccamenti che ha luogo sulla scia dell’orientamento ai coetanei, le scuole sono diventate anche delle fabbriche di bulli – certo in maniera involontaria e inconsapevole, ma pur sempre tragica.


Molti degli approcci al bullismo sono inadeguati perché mancano del discernimento relativo alle dinamiche sottostanti. Coloro che percepiscono il bullismo come un problema comportamentale, pensano di poterlo eliminare imponendo sanzioni e conseguenze. Non soltanto le conseguenze negative non riusciranno a far breccia, ma anzi alimenteranno la frustrazione e alieneranno il bullo ancora di più. Non è il bullo ad essere forte, lo sono invece le dinamiche che lo creano. Nella cultura dei pari, anche l’offerta di vittime è inesauribile.


Il solo modo di distruggere un bullo è quello di rovesciare le dinamiche che lo hanno originato: reintegrare il bambino in una gerarchia appropriata di attaccamenti, e poi procedere all’addolcimento delle sue difese e al soddisfacimento della sua fame di attaccamento. Per quanto possa rivelarsi un compito sconfortante, è l’unica soluzione che offra possibilità di successo. I metodi correnti, che si concentrano sullo scoraggiare i comportamenti del bullismo o, in alternativa, sull’esortare i bambini a comportarsi civilmente gli uni verso gli altri, non colgono le radici del problema: l’assenza di una dipendenza vulnerabile da un adulto che si prenda cura del bambino. Finché non vedremo il bullismo come un disturbo dell’attaccamento, quale esso è in realtà, è improbabile che i nostri rimedi facciano la differenza.


In modo analogo, il miglior modo per proteggere le vittime è anche quello di reintegrarle in una dipendenza dagli adulti che ne sono responsabili, così che possano sentire la propria vulnerabilità e piangere ciò che non funziona per loro. Molto spesso, sono proprio i bambini troppo orientati ai coetanei per potersi affidare a un adulto, che corrono i rischi maggiori.


Ho partecipato di recente a uno speciale della TV nazionale canadese dedicato al bullismo, dove c’era un certo numero di genitori i cui bambini si erano suicidati dopo aver subìto atti di bullismo. Vi era anche una ragazza, la cui vita era stata resa un inferno dal bullismo. La madre della ragazza raccontò che la figlia scoppiava in lacrime quasi ogni giorno dopo la scuola e parlava delle sue dolorose esperienze. Dopo la trasmissione, parlando con me la presentatrice espresse la sua preoccupazione che anche questa ragazza potesse togliersi la vita. Al contrario, risposi, la sua dipendenza dalla madre e le parole e le lacrime versate nel seno sicuro della loro relazione erano state la sua salvezza. I bambini che si erano tolti la vita erano degli enigmi per i loro genitori. I loro suicidi li avevano colti di sorpresa. Queste vittime infelici si erano troppo orientate ai coetanei per parlare con i genitori di ciò che stava succedendo, ed erano troppo barricati contro la vulnerabilità per versare lacrime sui traumi che stavano subendo; la loro frustrazione crebbe finché non poté essere contenuta più a lungo. In questi casi particolari, i bambini avevano attaccato se stessi anziché gli altri. Anche da questo punto di vista, i bulli e le loro vittime sono fatti della stessa pasta – mancano entrambi di attaccamenti adeguati con adulti amorevoli. Per quanta infelicità possano talvolta provare, i bambini non rischiano di aggredire se stessi o gli altri finché possono appoggiarsi ai genitori, affrontare ciò che li addolora, e rispondere con sentimenti adeguati di futilità.


Alcuni, compresi coloro che vengono considerati degli esperti, interpretano il problema del bullismo come un fallimento nella trasmissione dei valori morali. La percezione è senz’altro giusta, ma in un senso del tutto diverso da quello inteso di solito. Non si tratta di un fallimento nell’insegnare ai nostri figli i valori dell’altruismo e della considerazione: questi sono valori che emergono in modo naturale nei bambini che sentono abbastanza profondamente e con sufficiente vulnerabilità. Non è l’insuccesso nell’educazione morale del bullo che costituisce un problema, bensì il crollo dei valori fondamentali dell’attaccamento e della vulnerabilità nella società contemporanea. Se questi valori essenziali ci stessero a cuore, l’orientamento ai coetanei non avrebbe proliferato, né generato il bullismo e le sue vittime.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.