L’orientamento ai coetanei minaccia la maturazione in un altro modo cruciale: schiaccia l’individualità. Prima di capire perché, dobbiamo far notare brevemente l’importante distinzione fra individualità e individualismo. L’individualità è frutto del processo di sviluppo di un essere psicologicamente separato, che culmina nella piena fioritura della propria unicità. Gli psicologi lo chiamano processo di differenziazione o di individuazione. Essere un individuo significa possedere idee e significati propri, confini propri. Significa dare valore alle proprie preferenze, princìpi, intenzioni, prospettive e obiettivi. Vuol dire essere in un luogo dove nessun altro sta. L’individualismo è la filosofia che pone i diritti e gli interessi della singola persona al di sopra dei diritti e degli interessi della comunità. L’individualità, d’altro canto, è il fondamento della vera comunità, in quanto solo individui autenticamente maturi possono cooperare appieno in modi che rispettino e onorino l’unicità degli altri. Per ironia della sorte, l’orientamento ai coetanei può alimentare l’individualismo pur insidiando la vera individualità.
L’individualità e l’indipendenza che stanno sbocciando hanno bisogno di essere protette, sia dalle reazioni degli altri, sia dal potere della propria spinta interiore a legarsi agli altri ad ogni costo. C’è qualcosa di molto vulnerabile in tutte le manifestazioni della crescita psicologica nascente: l’interesse, la curiosità, l’unicità, la creatività, l’originalità, gli occhi spalancati di meraviglia, le nuove idee, il fare da soli, lo sperimentare, l’esplorare, e così via. Queste prime manifestazioni hanno un tratto timido e incerto, come la tartaruga che mette fuori la testa dal guscio. Avventurarsi allo scoperto in tutta la propria nuda originalità, significa esporsi interamente alle reazioni degli altri. Se la reazione è troppo critica o negativa, questo emergere della propria personalità si dissiperà in fretta. Solo una persona molto matura può affrontare le reazioni di coloro che non riconoscono o apprezzano l’indipendenza del pensiero, dell’azione e dell’essere.
Non ci si può aspettare che i bambini accolgano i segnali di maturazione in un loro compagno. Non è responsabilità loro e, in ogni caso, sono troppo spinti dall’attaccamento per rispettare l’individualità. Come potrebbero sapere che sviluppare le proprie intenzioni getta il seme per i valori futuri? Che dividere il mondo in “mio” e “non mio” non è antisociale bensì il necessario inizio dell’individuazione? Che voler essere autore del proprio lavoro e iniziatore delle proprie idee è il modo per diventare se stessi? I bambini non sono attenti a questo genere di cose. Ci vuole un adulto per riconoscere i semi della maturità, per fare spazio all’individualità, e dare valore ai primi segnali di indipendenza. Ci vuole un adulto per vedere l’individualità come una sacra custodia e offrirle la protezione di cui ha bisogno.
Tuttavia, se il solo problema fosse l’incapacità dei bambini di incoraggiare e rispettare l’individualità reciproca, l’interazione fra coetanei non sarebbe tanto deleteria sulla personalità nascente. Purtroppo, il problema è ben peggiore. Le persone immature tendono a calpestare qualsiasi individualità che voglia manifestarsi. Nel mondo del bambino, non è l’immaturità ma piuttosto il processo di maturazione a essere sospetto e fonte di scherno. Il bambino emergente – colui che ha motivazioni proprie e non è spinto dal bisogno di contatto con i coetanei – è visto come un’anomalia, un’irregolarità, un po’ fuori dalle piste battute. Le parole che gli rivolgeranno i compagni orientati ai coetanei sono fortemente critiche: strano, stupido, ritardato, fuori di testa e fissato. I bambini immaturi non capiscono come mai questi compagni che stanno emergendo e maturando si sforzino tanto di far progressi, perché a volte cerchino la solitudine anziché la compagnia, perché siano curiosi e interessati a cose che non coinvolgono gli altri, perché facciano domande in classe. Dev’esserci qualcosa di sbagliato in loro, e per questo meritano che li si faccia vergognare. Più forte è l’orientamento ai coetanei, e più intensamente l’irritante individualità degli altri verrà attaccata.
Proprio come l’individuazione è minacciata all’esterno dalle reazioni dei coetanei, essa è anche insidiata dalle dinamiche interne del bambino orientato ai compagni. L’individualità non rende la vita facile agli attaccamenti fra coetanei. Fra queste relazioni, sono poche quelle che riescono a sopportare il peso di un bambino che sta diventando se stesso, che ha preferenze proprie, che dice ciò che pensa, che esprime i propri giudizi, che prende le sue decisioni. Quando l’attaccamento ai coetanei diventa la prima preoccupazione, l’individualità deve essere sacrificata. Al bambino immaturo un tale sacrificio non può che apparire giusto. Modificare la propria personalità, svilire l’espressione di sé, sopprimere tutte le opinioni o i valori contrastanti sembra il modo naturale di procedere. Non si può permettere alla propria individualità di frapporsi fra se stessi e i compagni. Per gli esseri immaturi, l’amicizia – con la quale intendono l’attaccamento ai coetanei – deve venire sempre prima di se stessi. Le creature di attaccamento ben volentieri venderebbero il proprio diritto inalienabile all’individualità per qualche dimostrazione di accettazione da parte dei compagni, senza sospettare affatto il sacrilegio che questo comporterebbe dal punto di vista evolutivo. L’istinto di autoconservazione, del resto, non si forma fin tanto che non esista la capacità di essere individui separati.
Kate è la mamma di Claire, una bambina di sette anni che riceve la sua istruzione in famiglia. “Una ragazzina straordinaria e unica per la sua età, con una sua indipendenza di spirito” dice Kate della figlia, “eppure, dopo poco più di due ore trascorse insieme ai coetanei, non è più la stessa. Il modo di parlare non è più il suo e prende le pose degli amici. Ci vogliono altre due ore perché il vero sé di Claire riemerga. Però, man mano che cresce, è sempre più in grado di non perdere se stessa.”
Durante gli anni in cui mia figlia Tamara era orientata ai coetanei, non era in grado di esprimere le proprie opinioni o persino di avere pensieri che l’avrebbero messa in conflitto con gli amici. Riuscivo quasi a vedere il suo contrarsi per poter rientrare nei parametri di qualsiasi relazione volesse preservare. Quando la incoraggiavo a essere se stessa con Shannon – la ragazza che era diventata il suo orientamento primario – aveva grosse difficoltà anche solo a capire cosa intendevo. Sebbene Tamara eccellesse dal punto di vista scolastico, era imbarazzata dai propri risultati e si dava gran pena nel nascondere i suoi voti ai compagni. Ogni ragazzo orientato ai coetanei conosce le regole del gioco: non dire né fare nulla che possa riflettersi negativamente sugli altri rischiando di farli allontanare. Ella sapeva per intuito che queste relazioni non avrebbero sopportato il suo peso, e così, invece di permettere al proprio sviluppo di fare il suo corso, tentava di adattarsi ad esse facendosi abbastanza piccola.
Il mondo in cui vivono i nostri figli sta diventando sempre più ostile al naturale processo di maturazione. Nell’universo dell’orientamento ai coetanei, la maturazione e l’individuazione sono viste come nemici dell’attaccamento e l’unicità e l’individualità impediscono di avere successo in questa cultura.
Il nostro compito di genitori è quello di coltivare attaccamenti con i figli che lascino spazio all’individuazione. L’individualità di un figlio non dovrebbe mai essere il prezzo da pagare per avere intimità e calore. Dobbiamo offrire loro ciò che non possono darsi l’un l’altro: la libertà di essere se stessi nel contesto di un’accettazione amorevole: è un’accettazione che i coetanei immaturi non sono in grado di offrire, ma che noi adulti possiamo e dobbiamo dare.