di Marida Lombardo Pijola

Prefazione all'edizione italiana

Il linguaggio della cronaca, nel descriverne le imprese più inquietanti, lo definisce fulminandolo con un giudizio subliminale: “il branco”. Luogo comune e semplificazione di un fenomeno nel quale, legati dal filo rosso di un roccioso conformismo, convivono e si mescolano tutti gli elementi della deriva che sta travolgendo una generazione: rabbie sepolte, solitudini dissimulate, disincanto feroce, analfabetismo emotivo. E, ancora, bullismi, sessualità precoce e performante e predatoria e mercificata, esibizionismi, consumismi compulsivi e ambizioni scadenti, uno smisurato deficit di autocontrollo, disturbi alimentari, ricerca del pericolo, disaffezione alla vita, alla salute, alla cultura, l’ossessione informatica, la mancanza di progettualità su futuro, lo sperdimento in un vuoto, la fuga nello sballo. Un’emergenza collettiva, sempre più precoce, ordinaria, generalizzata, trasversale, che sembra sfuggire al controllo e talvolta alla stessa consapevolezza degli educatori, mentre espropria questi ultimi di funzioni, carisma, autorità, autorevolezze, e aggrega i più piccoli in modo integralista attorno a una specie di goffa e inconsapevole ideologia del male. Trasgressione. Un totem. Parametri “educativi” auto-prodotti, dunque, che inducono a elevare la capacità di sfregiare il sistema delle regole a misura di valore, discrimine tra vincenti e perdenti, fonte di carisma e di potere, reintepretando i messaggi coerenti ricevuti in tal senso, in modo diretto o subliminale, dal consorzio degli adulti.


La dittatura del branco è la chiave principale di questa mutazione, che sta trasfigurando in modo radicale i sogni, gli interessi, i comportamenti dei bambini e degli adolescenti, compromettendo la possibilità di una buona formazione umana e di uno sviluppo armonioso di personalità, inducendoli in massa a un gioco devastante: un’adultizzazione precoce, grottesca e fuorviante. Il gruppo dei pari esercita una giurisdizione totalitaria, che ottunde le volontà, le scelte e le memorie individuali, e le disperde in una consistenza liquida nel quale il singolo non “è”: “fa parte”. Codice di comportamento essenziale, rigoroso, obbligatorio, pena il discredito, l’esclusione sociale, l’emarginazione. Osservanza indiscriminata, talebana, per l’urgenza di sancire un’appartenenza che esorcizzi solitudini profonde, disagi famigliari lancinanti. E allora il singolo non si somma ma si fonde in un’identità collettiva. Si perde in una specie di reazione chimica capace di esorcizzare con sortilegi grossolani le insicurezze e le fragilità, di omologare tutti in modo radicale, di sdoppiare ognuno dalla storia e dalle emozioni personali, di emanciparlo dal proprio vissuto e dal proprio pensiero, di istigare alla trasgressione più brutale e all’autolesionismo più dissennato, annullando lo spirito critico e la capacità di scelta, e rimpiazzando l’educazione verticale con un’altra orizzontale. Nasce così il sistema educativo “fai-da-te”. Parametri capovolti tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Concetto di futuro ininfluente e irrintracciabile. “Life is now”. Una pubblicità, uno slogan. Filosofia di una generazione.


Per chi è interessato a comprendere questo fenomeno ancora in buona parte sommerso nelle sue dimensioni e nei suoi effetti, e vuole misurarne i danni collaterali devastanti, il saggio di Gordon Neufeld e Gabor Matè rappresenta una rivelazione straordinaria, e scuote come un sisma quel sistema di certezze immobili, di messaggi fuorvianti e di omissioni perniciose nel quale sembra si sia perduta l’essenza della funzione formativa famigliare: pigrizie, sciatterie affettive, assenze, apatie interiori, cattivi esempi, contaminazione negative, ostinate tendenze alla rimozione e all’auto-assoluzione. Uno psicologo e un medico mettono assieme saperi, sensibilità, esperienze, competenze per togliere ogni dubbio su un dato di fatto: il corto circuito, nella formazione dei bambini e dei ragazzi comincia in famiglia. Smascherando la “mancanza di attaccamento” che ha sfarinato le relazioni affettive ed educative tra una generazione intera di genitori e una generazione intera di figli, gli autori ci buttano in faccia una drammatica realtà: la fonte primaria del degrado è nell’incapacità di esercitare in maniera adeguata le funzioni di padre e di madre, che ha aperto distanze siderali nella comunicazione, sfibrato istinto e competenze genitoriali, reso inagibile lo scambio affettivo, neutralizzato la funzione formativa, svuotato di efficacia le strategie dell’esempio, dirottato bambini e adolescenti in una dimensione parallela ignota e inarrivabile da parte degli adulti.


E allora eccoli senza guida, questi figli, smarriti in una doppia vita nella quale dissociano la personalità sociale da quella familiare, e colmano con l’emulazione delle leadership negative il vuoto di quelle positive, e si muovono in massa, simmetricamente, alla stregua di piccoli automi ubriachi di informazioni, frastornati, armati di formidabili kit tecnologici, eppure immaturi, fragili, incapaci di discernimento, di autotutela e autocontrollo. Ed ecco, sull’altro fronte, i loro genitori incapaci di erogare quell’educazione emotiva che sviluppa nell’individuo, sin dalla più tenera età, i talenti che si chiamano sentimenti, saggezza, etica, intelligenza, empatia. Genitori immaturi, disorientati, confusi, col passo sospeso in mezzo ai loro guadi. Tra l’“overparenting” (la tendenza a ossessionare i figli con pretese e aspettative), e una sostanziale incapacità di accoglienza e di attenzione competente. Tra le loro assenze e le loro distrazioni imperdonabili, e la tendenza ad appagare ogni richiesta materiale. Tra i permissivismi e gli atteggiamenti normativi, in un’ondivaga incoerenza che genera confusione e perdita di credibilità genitoriale. Perduti nei loro conflitti familiari e personali, nel pernicioso gioco delle parti tra madre stressata e dominante, e padre-ombra debole e intimidito. Incapaci di erogare, attraverso il viatico dell’’affettività, attraverso il carisma della coerenza e degli esempi, una vera educazione alla sessualità, alla vita, alla disciplina, alle passioni, alla legalità, alla solidarietà, al rispetto dell’altro e di se stessi. Incapaci di diffondere energie che trattengano il passo dei propri figli lungo un percorso di caccia. Predatori compulsivi di qualcosa che chiamano emozione, senza sapere un’emozione cosa sia davvero, e quando profondamente abbia a che fare con i sentimenti.


E con quale formidabile capacità di analisi ci spiegano, gli autori, fino a che punto, in tema di emozioni e sentimenti, gli adulti siano insegnanti distratti, superficiali, impreparati. E quanto sarebbe facile proteggerli, invece, usando il linguaggio didascalico e spendendo i piccoli gesti dell’amore. Gli autori ci insegnano a riconquistarli e a sedurli con la “danza del richiamo”, per rilanciare il linguaggio intenso e primitivo del corpo, che intreccia segnali irresistibili, che è fatto di sguardi, di sorrisi, di carezze. E allora la lezione più importante è sempre la stessa, facile come una tabellina o la declinazione di un verbo elementare. Lasciarsi guidare dalla saggezza, dal buon senso, dall’istinto.


Tra le sei “modalità di attaccamento” che Neufled e Matè ci enumerano, come in un libretto di istruzioni, la più importante riguarda i sentimenti. Gli autori la definiscono “intimità emotiva”. Perché è proprio lì, in quel vuoto di calore, in quel gelo che può diventare ordinario come un’abitudine, che si dilata una distanza. È proprio lì, dal non-amore, che un po’ alla volta germoglia la parola “odio”. È quella che gli adolescenti spalmano continuamente sui blog o nelle chat come se fosse una locuzione banale e inoffensiva, per quel gusto che hanno dell’estremo, o forse solo per la povertà del linguaggio, niente sinonimi, niente sfumature. Se uno parla, come parlano loro, di un padre o di una madre, potrebbe scrivere “insofferenza”, o “diffidenza”, o “incomprensione”, oppure semplicemente “non mi capiscono”, “litigano sempre”, “non mi ascoltano”, “non mi guardano”, “non mi accarezzano”, “urlano”, “non ci sono”, “sono sempre di cattivo umore”, “non parliamo mai”. Non è questo che accade? E infine tutto rifluisce in quella sintesi feroce, “odio”, perché i ragazzini economizzano sulle parole, come sui sentimenti o sui pensieri, scavalcando i concetti, a volte le persone, soprattutto se dalle persone si sono sentiti scavalcati. Usano le parole come coltellate, per regolare i conti.


D’altronde è questo il linguaggio arido e compulsivo degli sms, o della Rete, del mondo che noi non conosciamo, al quale non abbiamo accesso, esclusi o auto-esclusi. Il mondo dove sono emigrati in massa, da soli, senza controcanto, accompagnamento, mediazioni, a scriversi da soli il gergo e le regole di vita fino a precipitare nell’autismo familiare, ad acquisire informazioni, saperi, cognizioni, riti, esperienze di cui non misuriamo né il merito né la portata dell’impatto, a sostituire lo sguardo, l’udito e la parola con la pressione rapida di un polpastrello, la lingua con un insieme di monosillabi che divorano vocali e riflessioni. Riflettere non è sempre una buona cosa. Se sei un ragazzino, puoi inciampare nella tua solitudine. O nell’odio.


Quella parola ricorrente contiene la misura di una distanza che non è mai stata grande come ora. Definisce il perimetro di un territorio desertificato. Chissà se si tratta di una moda, odiare i genitori, oppure di un’inquietante mutazione antropologica, che sta scardinando la famiglia. La concorrenza è spietata. Ha troppi predicatori, il Verbo del degrado, la televisione scadente, la moda, la pubblicità, la Rete usata male, il mercato, il branco, e tutte le trappole che fanno sentire accerchiato un genitore, e solo, mentre combatte la sua guerra contro un nemico che ha più voce, più seduzioni, più argomenti, più tempo, più energie.


Così nascono la solitudine e la rabbia. La rabbia è l’esternazione di un dolore. Nelle azioni dissennate è un complice perfetto, un movente, un perverso istigatore. Nella vita interiore è un rampicante, ha una crescita lenta, ma poi esplode, avvolge, intrappola, si estende, si riproduce continuamente, si aggrega e si intreccia in una massa informe e indistricabile. E allora, quando arrivi al punto di non ritorno, diventa inutile chiedersi perché. Perché non hai saputo esercitare l’ascolto, che richiede pazienza e allenamento. Perché sei stato parsimonioso nell’elargizione della tenerezza. Perché non hai saputo appassionare alle passioni. Perché non hai saputo insegnare che un tessuto senza l’intelaiatura dei valori e delle regole si sfibra. Perché hai diffuso invece il contagio della frustrazione, degli umori cupi, piuttosto che quello dei progetti e della gioia. Perché hai mostrato la tua urgenza di consumare, o di apparire, o di arrivare, di arricchirti, o di non essere diverso dalla massa. Perché ti sei mostrato così visceralmente conformista, diffondendo l’esempio come un virus.


Perché hai fatto o non hai fatto tutto questo, se è andata così?

Se sei un genitore, sei sicuro di essere stato all’altezza?

Di averle date tutte, le istruzioni?


Marida Lombardo Pijola

autrice di “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano Principessa” e “L’età indecente”

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.