capitolo iii

Non solo giocattoli

Gioco e competizione

Che si tratti di una partita di calcio o di scacchi, noi genitori siamo volte combattuti. Spesso i padri, educati fin da piccoli alla competitività, vogliono insegnare ai propri figli (soprattutto maschi) a “cavarsela” anche nelle peggiori circostanze. Giocano quindi in modo “duro” e “imparziale”. Su quanto possa essere equa e imparziale una partita tra un adulto ed un bambino si potrebbe senz’altro discutere, visto che il vantaggio dato dall’età e dall’esperienza è innegabile.


Molte mamme, invece, educate a occuparsi degli altri e a fare piacere al prossimo, lasceranno vincere il piccolo in modo da farlo sentire “forte”. Il risultato è che talvolta giocare con mamma non è divertente e che il bambino la vede come una figura poco capace, di scarso valore. Questo non fa che rafforzare ancora di più gli stereotipi proposti senza sosta dalla società.


Come spesso accade, la soluzione ideale sembra stare nel mezzo. Un bambino umiliato dalle continue disfatte si sentirà incompetente, frustrato, arrabbiato e poco motivato. Al contrario, un bambino al quale venga sempre lasciata una facile vittoria si stuferà presto di questa attività, non darà il meglio di sé e magari si innervosirà di fronte al primo avversario competente e competitivo.


L’ideale è fornire al bambino una vera sfida, in modo che sia concentrato, attento e motivato. Lasciarlo vincere le prime volte è una buona idea per incrementare l’autostima e il gradimento del gioco. Poi, man mano che acquisisce dimestichezza, potete iniziare a mettervi in gioco sempre di più e a vincere qualche partita. Anche quando lasciate che vinca, opponete comunque una certa resistenza in modo che il bambino debba rimanere concentrato, escogitare soluzioni, impegnarsi nell’attività che sta svolgendo.

Bambini e TV

Sottrarre i muscoli del tutto al movimento, è forzarli contro il proprio impulso motore, quindi più che affaticarli è respingerli nel nulla della degenerazione

M. Montessori, La scoperta del bambino

I bambini, almeno finché non vengono esposti alle immagini preconfezionate proposte dalla TV, non desiderano essere onnipotenti.
Tutto ciò che vogliono è non essere impotenti. Vogliono fare ciò che fanno i grandi – leggere, scrivere, visitare luoghi, utilizzare attrezzi e macchinari.
Soprattutto desiderano poter controllare la propria vita,
proprio come fanno gli adulti:
alzarsi, sedersi, camminare, mangiare e dormire dove e quando vogliono.

John Holt, How Children Learn

Un bambino che non guarda la TV giocherà a mamma e papà, alle macchinine, a pilotare aeroplani o a vendere scarpe. Giocherà a ciò che vede fare intorno a sé. Giocherà alla vita, giocherà al mondo. Metterà in scena la realtà, la vita di tutti i giorni.

Nel suo Volevo dirti che è lei che guarda te, Paolo Landi si rivolge direttamente al bambino:

La tv ti paralizza, imponendoti l’immobilità forzata del corpo, compresi gli occhi e limita la tua estensione degli stimoli sensoriali reali che agiscono sui tuoi emisferi cerebrali, riducendoli a un surrogato di sensazioni irreali, artificiali. Esistono molti studi scientifici che mostrano come il movimento oculare e il pensiero siano strettamente legati. Gli occhi assumono un’espressione solo quando la coscienza di chi guarda è sveglia e attiva. Se i tuoi occhi restano fissi come quelli di un sonnambulo, il tuo pensiero è ridotto. Il tuo sguardo fisso e freddo sullo schermo tv dice che il tuo pensiero cosciente e il tuo discernimento hanno fatto posto a una ricezione passiva del flusso di puntini luminosi che simulano un’immagine: mentre guardi la tv sei in uno stato di trance che somiglia al sognare da sveglio. […] Se sei un bambino sano dovresti muoverti sempre, tutto il giorno. Correre, cadere, arrampicarti, saltare, spingere. Nel movimento si realizza il tuo desiderio di confronto con l’ambiente che ti circonda. Nello stesso modo impieghi i tuoi sensi: devi vedere un albero, devi assaporare una fragola, devi sentire il vento, devi odorare un fiore, devi accarezzare la tua bambola. Davanti a uno schermo, invece, sei costretto a stare immobile e anche le pupille dei tuoi occhi mostrano solo impercettibili spostamenti. Per non parlare dei sensi, azzerati, o sollecitati, nel migliore dei casi, dalla memoria. Devi ricordarti che sapore ha una fragola; devi ricordarti il vento che punge d’inverno e quello che rinfresca d’estate; devi ricordarti un albero, spoglio, con le foglie, secco, rigoglioso.1

Alcuni genitori temono che il loro bambino sia emarginato perché diverso, se non guarda la TV. In genere accade proprio il contrario: quelli che non guardano la TV sono i compagni di gioco ideali. Perché sanno giocare, sanno creare e coinvolgere gli altri. In genere riescono pure a inserirsi nel gioco dei compagni anche quando questo è basato sui programmi televisivi. Pur non conoscendo trame e personaggi, riescono a immergersi nella storia, con il vantaggio di poterla immaginare liberamente, senza condizionamenti.


I bambini abituati a stare troppe ore davanti alla televisione perdono invece la capacità di immaginare. Le immagini del piccolo schermo sono preconfezionate. È difficile liberarsene, e infatti se leggete un libro dopo aver visto il film tratto dal libro stesso, difficilmente riuscirete ad immaginare un protagonista diverso dall’attore che lo interpretava.


Secondo uno studio condotto per conto della società Adobe, i giovani informatici di età compresa tra 20 e 30 anni, che fanno parte della generazione “TV-videogiochi” sarebbero meno creativi dei loro colleghi più anziani. Per porre rimedio a questa situazione, Adobe ha dato il via a una serie di laboratori creativi rivolti ai propri dipendenti.

Secondo Neil Postman la televisione può persino “cancellare l’infanzia”, sopprimendo il mondo creativo e spontaneo del bambino:

Il bambino in età prescolare possiede capacità creative e immaginative ricchissime. La possibilità di esprimere tali capacità è fondamentale affinché egli possa crescere socialmente, emotivamente e intellettualmente. Il rapporto con i genitori, con gli altri familiari e con i coetanei permette al bambino di esprimere se stesso attraverso l’interazione e il gioco. La sua immaginazione deve correre libera, senza trovare limitazioni né blocchi dovuti a traumi psichici o ai programmi della televisione.2

Oggi i nostri bambini sono esposti in misura ancora maggiore a questa ondata di tecnologia: esistono canali televisivi per neonati e videogiochi destinati a bambini dai due anni in su. Con la scusa che si tratta di trasmissioni o di giochi etichettati come “educativi”, si tenta di fidelizzare il futuro consumatore fin dalla culla.


È bene essere molto chiari: TV e videogiochi non apportano assolutamente alcun beneficio al bambino piccolo. Al contrario, lo costringono a una immobilità innaturale in un periodo cruciale della sua crescita, durante il quale avrebbe bisogno di sviluppare le proprie capacità motorie e di esplorare il suo ambiente esercitando tutti i sensi. Essere passivamente seduto davanti a uno schermo (per quanto bombardati da lezioni di lingua o di storia dell’arte) priva il bambino delle esperienze reali, indispensabili alla formazione del suo corpo e del suo intelletto.


Dipingere su uno schermo tattile non è paragonabile all’attività svolta con carta e pennelli. Più avanti sarà forse utile imparare anche questa abilità, ma non si sarà in grado di svolgerla correttamente se non sono stati praticati i gesti fondamentali con oggetti reali.


Allo stesso modo, prendersi cura di un cucciolo virtuale non serve a nulla. Se non potete accontentare i vostri figli nel loro desiderio di accudire un animale, portateli regolarmente in fattoria, al parco o al maneggio in modo che possano interagire e familiarizzare con animali veri. Troppi bambini al giorno d’oggi non hanno mai visto una mucca.


Le ore trascorse davanti a uno schermo indeboliscono la forza di volontà, lo spirito d’iniziativa e la creatività, che verrà sostituita da una passività del tutto estranea alla natura infantile. I bambini che trascorrono troppo tempo davanti alla televisione sono iperstimolati. Hanno quindi più difficoltà a rimanere attenti e concentrati (a scuola, ad esempio).


I programmi televisivi possono inoltre provocare un profondo stato di eccitazione che il bambino, chiuso tra quattro mura, non avrà modo di scaricare. L’adrenalina accumulata non potrà essere scaricata né metabolizzata. Le conseguenze? Agitazione, insonnia, iperattività e difficoltà nell’apprendimento.

Davanti allo schermo, i bambini assistono in modo passivo alle avventure di un determinato personaggio, anziché vivere le proprie avventure che, al confronto, appaiono banali e prive di interesse. Non possiamo certo paragonare le nostre case e i nostri giardini agli scenari surreali proposti dai cartoni animati. Nemmeno il povero, tanto desiderato cagnolino potrà tenere testa a quelli, parlanti e volanti, che compaiono nei programmi televisivi destinati ai bambini. Antonella Randazzo sottolinea inoltre che:

“i programmi televisivi intralciano nel bambino il normale sviluppo del senso di responsabilità. Essi pongono spesso situazioni difficili da risolvere, ma la soluzione è posta sempre all’esterno (poteri magici, armi, aiuti da parte di amici, poteri tecnologici ecc.) L’eroe non utilizza le sue potenzialità interiori per risolvere il problema e non lavora, non fatica, non fa esperienza”.3

In questo modo non insegniamo ai nostri figli a cercare le risposte e le soluzioni dentro di sé. Non coltiviamo la loro autostima né la fiducia in se stessi.


La televisione nuoce all’immagine di sé anche per altri motivi: promuove infatti un’immagine del corpo umano (soprattutto di quello femminile) falsata e prepotente: ai nostri figli propone modelli estetici irrealistici e quindi irraggiungibili, convincendoli che per avere successo, e quindi implicitamente essere felici, devono essere così.


Il bambino ha bisogno di modelli con cui identificarsi. Se nei primi sette anni di vita ha davanti a sé genitori empatici, attivi e volenterosi, si identificherà con loro. Se ha davanti a sé le Winx con il loro fisico anoressico o Ben 10 che si toglie d’impiccio trasformandosi in alieno e combattendo aspramente i suoi nemici, saranno questi i modelli che interiorizzerà.


Che dire poi delle frequenti scene di violenza che possono traumatizzare i nostri bambini o, peggio ancora, desensibilizzarli. Abituati a vedere scene cruente, questi iniziano pian piano a considerarle normali. Scompaiono le reazioni di repulsione nei confronti dell’azione violenta e, con il passare del tempo, entra in gioco il desiderio di emulazione. La violenza viene vista non solo come normale ed accettabile, ma addirittura come mezzo necessario per ottenere giustizia.


All’opposto delle trasmissioni televisive, che offrono al bambino un prodotto preconfezionato da “subire” passivamente, la lettura di una storia permette di immaginare, stimolando la sua creatività. Nelle favole, per di più, i protagonisti risolvono i loro problemi con l’intelligenza o con la gentilezza. Si tratta in genere di personaggi positivi, degni di essere imitati.

Secondo lo studioso Hans Magnus Enzensberger

la televisione è un farmaco per sospendere l’azione del cervello. Lo si usa, anche coscientemente, per sfuggire ai problemi. Una specie di Valium.4

La televisione toglie tempo e spazio alle relazioni interpersonali, al confronto, alla conversazione, alla creatività. Sostituisce lo scambio, il dialogo, minando la relazione genitori-figli oppure tra fratelli. La TV ruba tempo e spazio ad altre attività, ai giochi condivisi, alle passeggiate all’aperto. Il risultato è un peggioramento della qualità della vita.


Altro grande problema è quello della pubblicità, che trasforma i nostri bambini in consumatori fin dai primi anni di vita. Che non lascia loro nemmeno la libertà di desiderare ciò che desiderano realmente ma li bombarda di messaggi su cosa è meglio desiderare, plagiandoli senza che se ne rendano conto.


La pubblicità opera sui processi di identificazione. Pone modelli a cui gli spettatori si identificano: bambini intelligenti, belli, felici, famiglie sempre sorridenti, donne bellissime, uomini di successo. Propone modelli irraggiungibili nella loro perfezione. Promette felicità, bellezza, eterna giovinezza, per poi lasciarci con l’amaro in bocca e la frustrazione di non valere nulla. Dopo aver ubbidito ciecamente e aver acquistato questo o quel prodotto, non saremo infatti migliori di prima. La pubblicità genera insicurezza, dipendenza e, nei casi più gravi, disturbi comportamentali.

Durante l’infanzia e l’adolescenza i nostri figli sono in fase di costruzione. Si sentono spesso incerti e insicuri, cercano risposte e modelli ai quali ispirarsi. La pubblicità propone modelli vincenti e spiega esattamente al bambino cosa deve fare (o meglio, cosa deve possedere) per far parte dei vincenti. Chi non si adegua viene ignorato o disprezzato. Ed ecco che le ragazze sviluppano problemi di disturbi alimentari per poter somigliare alle immagini proposte dai media, mentre i maschi sperimentano un senso di inadeguatezza, a meno che non adottino determinati provvedimenti e comportamenti (in genere egoistici o addirittura aggressivi).

La situazione psicologica indotta dal materialismo favorisce il bisogno di cercare all’esterno un modo per superare insicurezze, paure e fragilità. Difatti alla base dell’uso di stupefacenti c’è proprio il bisogno di sentirsi forti, onnipotenti e di superare ogni limite.5

Quando non stanno al gioco, i genitori vengono presentati come noiosi e rompiscatole, incapaci di comprendere bisogni e desideri dei propri figli; bisogni e desideri che solo le aziende sembrano essere in grado di soddisfare. La pubblicità si insinua perfidamente tra genitori e figli per turbare il già difficile equilibrio familiare. L’autorità dei genitori viene messa continuamente in discussione, incoraggiando un comportamento ribelle. Le aziende investono cifre enormi per sondare le menti dei nostri figli e arrivano a conoscere le loro dinamiche mentali ancora meglio dei genitori stessi. Il fine non è però quello di accompagnarli nella crescita, ma di manipolarli e condizionarli.


Secondo Dimitri Christakis, professore di Pediatria all’Università di Washington, la televisione provoca, nei bambini piccoli, un ritardo nel linguaggio. Secondo le sue ricerche, per ogni ora trascorsa davanti alla TV, il bambino è esposto mediamente a 500-1000 parole in meno da parte degli adulti. Essendo il linguaggio un elemento cruciale per lo sviluppo cerebrale, Christakis attribuisce all’abitudine di lasciare la televisione accesa in permanenza anche altri tipi di disturbi, come ad esempio il deficit di attenzione.


La TV è ormai presente nella maggior parte delle nostre case e un uso (molto) moderato e occasionale può essere tranquillamente integrato nelle nostre vite. Se non si riesce a evitarla del tutto è importante però selezionare con cura ciò che proponiamo ai nostri figli e limitare il tempo di esposizione, evitando momenti cruciali come la mattina prima di andare a scuola: i racconti dell’insegnante, in confronto alle avventure del supereroe di turno, appariranno lenti e noiosi. Alla fine della giornata, non saranno certo quelli che rimarranno maggiormente impressi nella memoria.

I videogiochi

Premesso che questo genere di giochi non comporta nessun vantaggio nello sviluppo dei nostri figli, è inevitabile essere confrontati, prima o poi, con le richieste di questi ultimi. Mi permetto di sconsigliare vivamente l’uso dei videogiochi (sì, anche quelli cosiddetti educativi) per bambini al di sotto dei sei-sette anni e di rimandare il più possibile, anche in seguito, l’accesso a questo genere di supporto.


Con il passare degli anni, e con l’ingresso alla scuola elementare, i bambini entrano in una fase nella quale desiderano far parte del gruppo, essere accettati, essere uguali agli altri. In questa fase possiamo considerare, in base alle nostre personali convinzioni, l’eventualità di permettere ai nostri figli l’utilizzo dei videogiochi per potersi confrontare con i compagni anche su questo terreno.


È comunque necessario stabilire dei limiti (ad esempio un giorno a settimana durante il quale è permesso giocare, per un tempo prestabilito). Scegliete con cura i giochi da proporre ai vostri figli e… imparate a usarli. Leggete il manuale di istruzioni, assistete alle partite dei vostri figli o, meglio ancora, giocate con loro. In questo modo eviterete di assumere il ruolo del “poliziotto” che controlla con aria minacciosa, di cui i bambini raramente si fidano. Per alcuni potrà essere un vero supplizio ma una mezz’oretta ogni tanto trascorsa a giocare con i vostri bambini potrà rivelarsi una piacevole sorpresa.

Giochi e stereotipi

Che maschi e femmine siano diversi è innegabile. Che questi abbiano, spontaneamente e naturalmente, gusti diversi è forse altrettanto vero, fino a un certo punto. Che la differenza tra maschi e femmine venga sfruttata spudoratamente per venderci il doppio dei giocattoli è una solida realtà.


Per quanto facciamo attenzione, a livelli diversi, ci caschiamo quasi tutti. Ed ecco che se vogliamo fare un complimento a una bimba le diremo che è bella, mentre al maschietto diremo che è forte. In questo modo rafforziamo l’idea di ciò che apprezziamo in loro e li spingiamo a coltivare questa o quella qualità.


Più o meno inconsciamente, incoraggiamo i nostri figli maschi a esplorare il mondo e a correre rischi mentre tendiamo a proteggere le bambine, alle quali affibbieremo un bel bambolotto da curare. Alle nostre figlie non trasmettiamo abbastanza coraggio, e nei nostri figli dimentichiamo di coltivare l’empatia.


Non è mai troppo tardi per rimediare e, se ci impegniamo in questo senso, non saranno solo i bambini a trarne beneficio. Incoraggiando i propri figli maschi a esprimere le proprie emozioni, anche i papà potranno entrare in contatto con il misterioso mondo dei sentimenti. Spronando le bambine a superare i propri limiti, anche le mamme potrebbero scoprire risorse insperate.


I nostri figli ci offrono una splendida opportunità: quella di rientrare in contatto con il nostro bambino interiore, zittito da troppo tempo. Di farlo sentire amato e rassicurato. Di permettergli di crescere e superare blocchi che ci impediscono a volte di goderci la vita o di essere pienamente noi stessi. Di essere le persone (e i genitori) che vorremmo.


I bambini (maschi) sono spesso investiti di grandi aspettative. Ci si aspetta che compiano grandi imprese e che se la cavino da soli. Se piangono, se hanno paura, se tentano di esprimere le proprie emozioni, vengono chiamati femminucce. Vista la connotazione peggiorativa di questo termine, i bambini cercano di non deluderci e di comportarsi da maschi, tenendosi dentro le proprie emozioni e puntando sempre ad eccellere, soprattutto sul piano fisico e competitivo. Le bambine, invece, vengono educate ad essere carine, sorridenti e poco assertive. Se non si conformano a questo modello vengono definite maschiacci. Di questa etichetta tenteranno di sbarazzarsi esasperando precocemente la propria femminilità.


Nei reparti giocattoli destinati alle bambine, la possibilità di scelta è decisamente limitata. L’autostima delle nostre figlie è messa a dura prova. La campagna Pink Stinks (www.pinkstinks.com) denuncia: nei reparti giocattoli destinati alle femminucce, tutti rosa e paillettes, troverete costumi da principessa, da fatina sexy (completi di scarpe con il tacco) o al massimo da infermiera. Medici, piloti e scienziati sono invece nel reparto maschile. Se vi sentite generosi potrete investire in un meraviglioso abito da sposa. Non intestarditevi però a cercare quello da sposo: non lo troverete.


Questo non incoraggia certo le ambizioni e aspirazioni delle nostre figlie. I mestieri socialmente utili, avventurosi o interessanti sembrano essere riservati al sesso maschile. Le bambine dovrebbero accontentarsi di agghindarsi per essere, al massimo, una gradevole cornice.


Di recente anche alcuni giochi classici sono stati rivisitati in versione femminile. Ed ecco che “Scrabble for girls” tutto vestito di rosa, è presentato con la parola “moda” sulla confezione.


Nella versione “rosa” di Monopoly, invece del cane, della bussola e delle scarpe troverete infradito, borsetta e asciugacapelli. Case e alberghi sono stati sostituiti da boutiques, grandi magazzini e saloni di bellezza. Per finire, la scatola può essere riutilizzata come portagioie.


Pink Stinks segnala anche il gioco “Magnetic Words”, volto ad ampliare il vocabolario dei bambini delle scuole elementari. La versione maschile contiene parole come luna, elicottero, aeroplano, ossa, pietre, stagno, erba, cane, foresta, tesoro, correre, arrampicarsi, albero, ecc. Nella versione destinata alle bambine troverete invece: vestiti, fascia per capelli, profumo, rossetto, borsetta, rosa, trucco, scarpe, capelli, gioielli, principessa, regina, tiara, diamante. Alberi, stagni, corse e arrampicate sembrerebbero quindi cose da maschi mentre alle bambine non resta che sedersi davanti allo specchio e farsi belle.


Sharon Lamb e Lyn Mikel Brown, già citate in precedenza per il loro libo Packaging Girlhood, hanno esaminato le confezioni dei principali giochi di società attualmente sul mercato e hanno notato che i bambini (maschi) sono spesso raffigurati nell’atto di saltare di gioia, con le mani o il pollice in alto in segno di vittoria. Le bambine, quando compaiono, sono in genere semplici spettatrici.


Le due autrici hanno anche notato che, se i giochi destinati ai maschi comprendono sfide intellettuali ed esperimenti scientifici, tra quelli destinati alle femmine esistono giochi a dir poco inquietanti. Il gioco “Are You 4 Real?”, ad esempio, consiste nell’ingannare le proprie amiche inventando una storia e rendendola credibile ai loro occhi. Sulla confezione, tre ragazzine su un tappeto, circondate da cuscini. Insieme, chiacchierano e mangiano popcorn. Si tratta, sembrerebbe, di tre amiche. Sempre che di amicizia si possa parlare, dato che lo scopo del gioco è essere la migliore bugiarda. Destinato alle bambine dai nove anni in su, questo gioco le incita al tradimento e alla menzogna.


Sempre sullo stesso genere, “Fib Finder” contiene una serie di domande alle quali ciascun concorrente dovrà rispondere. Lo scopo è di smascherare eventuali bugie. Il gioco suggerisce alle bambine quali sono gli argomenti “tabù”, sui quali sarebbe meglio mentire, per non compromettere la propria immagine di “brava bambina”. Ecco alcuni esempi di comportamento considerato “disdicevole”: “Hai mai attaccato una gomma da masticare sotto un tavolo?” oppure “Hai mai mangiato un’intera vaschetta di gelato?”. Immaginate di rivolgere questa domanda a un maschio. La risposta sarebbe probabilmente. “Sì. E allora?”. Perché le nostre figlie dovrebbero vergognarsi dello stesso comportamento?


E che dire del classico gioco “Indovina chi?”; esiste in diverse versioni destinate al pubblico afro-americano e latino-americano. Se l’azienda sembra essere attenta alle questioni razziali, nessuno sforzo è stato fatto negli anni per inserire un minimo di “quote rosa”. In tutte le differenti versioni del gioco, troverete diciotto uomini e soltanto cinque donne.


I videogiochi non sono da meno. Descrivono scenari grotteschi nei quali i personaggi femminili sono spesso offerti come trofeo al vincitore; a chi avrà massacrato il maggior numero di avversari.

Nel suo Bambini Psico-Programmati, Antonella Randazzo descrive alcuni videogiochi destinati al pubblico femminile commercializzati negli anni Ottanta.

Il vecchio Tetris in versione rosa “richiede che si faccia ordine nel caos, pulendo ed eliminando i detriti. Si richiedono cioè le abilità delle casalinghe. Nel videogioco “Mrs Pac-Man”, versione femminile di “Pac-Man”, la strategia del gioco è assai diversa rispetto alla versione maschile. Non c’è nessuno che ci prende a bersaglio, le strategie possono essere diverse e ci si può anche ritirare.6

Tra i videogiochi per ragazze più recenti Packaging Girlhood segnala invece “The Bratz Dance”, nel quale le ragazze sono invitate a provare gli abiti che indosseranno durante una gara di ballo, e “Mary-Kate and Ashley’s Sweet 16”, che permette di accumulare punti per vincere una bella auto e vestiti alla moda. “Lizzie McGuire On the Go” offre invece la possibilità di raccogliere le informazioni di contatto, le date importanti, oroscopi e bioritmi dei vostri amici.


Alle nostre bambine, insegniamo invece che possono essere medico, scienziato o astronauta se lo desiderano. Che la propria unicità si esprime con le idee, non con gli accessori. Che non è necessario somigliare a Barbie per essere felici. Che non è nemmeno possibile somigliare a Barbie.


Nate negli Stati Uniti nel 2001, le Bratz si differenziano dalla criticatissima (eppur amatissima) Barbie che, in confronto, sembra una santarella. Contrariamente alla loro principale concorrente, non sono delle maggiorate. O meglio, sono diversamente maggiorate. La loro testa sproporzionata, infatti, le fa sembrare ancora più magre ed emaciate. Gli abiti sexy, la femminilità ostentata, l’ossessione per lo shopping e per i ragazzi sono alla base delle avventure di questi personaggi. Sostituiamo un modello inverosimile e distorto per le nostre figlie con uno altrettanto fasullo e irrealistico.


Dal rosa confetto al rosa sexy il passo è breve. Bambole dalle forme sinuose e dalle tenute ammiccanti forniscono alle bambine una visione distorta della realtà. Le proporzioni di Barbie (per non parlare di quelle di altre bambole come le Bratz) sono decisamente irrealistiche. Le bambine però si identificano in queste figure. Immaginano se stesse come future donne sexy e alla moda, con gambe chilometriche, vitino da vespa e seno molto più che prosperoso. Oppure come esili fatine ammiccanti. Nelle scuole, le nuove dodicenni hanno il reggiseno imbottito e il diario di Playboy. Il loro obiettivo? Essere trendy. Che sempre più spesso fa rima con essere sexy.


Negli ultimi dieci anni il numero di preadolescenti affette da anoressia è triplicato. L’età è sempre più giovane. Si tratta di ragazzine di dieci-dodici, a volte anche di otto anni. Spaventate dal giudizio degli altri, stroncate dalle proprie inflessibili autocritiche, umiliate dal confronto con modelli improponibili, centinaia di ragazzine si ammalano ogni giorno.


Sono sempre più numerose le ragazzine che sognano una versione moderna del principe azzurro: calciatore, imprenditore o PR, purché possa offrire una vita all’insegna dello shopping sfrenato. Altre invece puntano a diventare famose. Non prima ballerina o cantante: semplicemente famosa. I reality puntano i loro riflettori su persone (generalmente prive di talento) completamente sconosciute fino a qualche ora prima, per proiettarle in un mondo dorato quanto falso e crudele. Nella prossima stagione la gloriosa meteora sarà dimenticata.


Anche i cartoni animati promuovono questo genere di messaggio: sono numerose le eroine che, bambine nella vita di tutti i giorni, si trasformano in donne super-sexy per far fronte alle sfide della vita. Le piccole telespettatrici si identificano con questi personaggi e desiderano sentirsi grandi e seduttive. Sono convinte che solo così potranno affrontare il mondo.


Come conseguenza, sono sempre più numerose (e sempre più giovani) le ragazzine che pubblicano foto sexy in rete. Abituate a essere giudicate in base al loro aspetto fisico, sono in cerca di conferme.


Un articolo pubblicato su “The Guardian” prende spunto dalla vicenda di Susan Boyle, cantante scozzese di mezza età che ha lasciato pubblico e giuria a bocca aperta durante una puntata della trasmissione “Britain’s got talent”. Appena salita sul palco, Susan fu accolta da risatine e persino fischi a causa del suo aspetto fisico. Nel giro di pochi secondi la sua voce portentosa zittì l’intera platea suscitando applausi, lacrime e ammirazione.


La giornalista Tanya Gold si chiede perché rimaniamo spesso stupiti, se non addirittura sconvolti, quando persone poco attraenti compiono grandi cose. Da una signora, anche bruttina, di mezza età ci si aspetta che stia a casa a lavare i piatti e a desiderare di essere qualcun altro. Non certo che abbia il coraggio di presentarsi davanti a milioni di telespettatori con la presunzione di saper cantare.


Per contrastare questa pericolosa tendenza (pericolosa non solo per l’autostima ma anche per la salute fisica e mentale delle donne di domani) è necessario proporre modelli diversi. Modelli di donne che hanno avuto successo grazie alle loro idee, alla loro intelligenza, alla loro determinazione. Di donne che hanno osato andare controcorrente. Di donne che hanno fallito mille volte, senza mai scoraggiarsi, prima di raggiungere i propri obiettivi. Di donne normali, alle prese con le sfide di tutti i giorni, e di donne speciali, che hanno cambiato il mondo.


Il gioco è il principale canale di espressione per i nostri bambini. In quanto tale dovrebbe essere libero da forzature e condizionamenti. Purtroppo, anche quando i genitori sono aperti e neutrali, le bambine sono bersaglio di un vero e proprio bombardamento mediatico: TV, riviste e persino i testi delle canzoni che ascoltano, insegnano loro che per essere soddisfatte di se stesse dovranno conformarsi a una certa immagine femminile.


Una pubblicità della Fisher Price, citata da Packaging Girlhood, spiega nel dettaglio alle nostre figlie che cosa significhi essere una bambina. Stando a questa pubblicità, essere una bambina è fantastico. Le bambine adorano giocare con le case di bambole. Questo gioco permetterà loro di scoprire il proprio ruolo e di capire chi diventeranno un giorno. Già, ma chi diventeranno? Se l’azienda promette di dare alle vostre figlie “il controllo”, di incoraggiarle a prendere delle decisioni, il campo d’azione è decisamente limitato. Le decisioni riguardano infatti la lista della spesa e la decorazione della casa.

Anche Françoise Dolto7 ci fa notare che ai maschi regaliamo trenini e macchinine, incoraggiandoli ad andare lontano, a esplorare il mondo. Alle bambine invece regaliamo cucine giocattolo, seggioloni e bambolotti. Il messaggio è: “il tuo posto è a casa”.


Ma è davvero utile formare esseri umani destinati a vivere insieme e a non capirsi? Davvero vogliamo educare dei futuri bulletti privi di empatia, incapaci di comprendere le proprie mogli e di accudire i propri bambini? Davvero è così spaventosa l’immagine di un uomo capace di comprendere, di sostenere, di coccolare? Non è quello che tutte vorremmo? Prendersi cura degli altri, e in particolare dei neonati, non fa parte del bagaglio che tutti, uomini e donne, dovrebbero apprendere?

La questione non riguarda soltanto i giocattoli ma si estende a diversi aspetti del nostro quotidiano. Consideriamo, ad esempio, l’abbigliamento. Sempre più spesso vestiamo le nostre figlie con abiti alla moda a scapito della comodità e della libertà di movimento. Bisognerebbe privilegiare, per i bambini, capi ampi e comodi, in fibre naturali, che lascino respirare la pelle e che possano essere sporcati senza che questo diventi un dramma.


Secondo una ricerca citata su Packaging Girlhood, le bambine al giorno d’oggi passano meno tempo a giocare che nei decenni precedenti. Uno dei motivi sarebbe l’abbigliamento inadeguato o l’eccessiva attenzione a non sporcare o sgualcire i propri abiti. I bambini hanno bisogno di giocare, di correre, di saltare, di respirare a pieni polmoni, di essere attivi, di superare i propri limiti. Le femmine in particolar modo hanno bisogno di sentirsi forti, attive, coraggiose (contrariamente a ciò che viene loro inculcato dai media). Indossare abiti che inibiscono i movimenti non fa che rafforzare l’idea che il loro aspetto è più importante di ciò che possono fare. Saranno anche carine, tutte infiocchettate, ma la corsa che non hanno fatto o la collina che non hanno scalato sarà un pezzo in meno nel mosaico della loro vita. Le bambine di oggi rinunciano al gioco in cambio della moda.


La differenza tra i prodotti destinati alle bambine e quelli rivolti alle adolescenti si fa sempre più impercettibile. Esistono rossetti, reggiseni e borsette per bambine dai cinque anni in su. “Ma cosa mette una bambina di cinque anni nella borsetta?”si chiedono Sharon Lamb e Lyn M. Brown “Probabilmente biglie, caramelle e animaletti di plastica. A meno che non sia stata da Toys “R” Us e abbia acquistato l’Imaginarium Purse Play Set, completo di portafogli, carta di credito e makeup”.


Esiste tutta una serie di prodotti transizionali che fanno da ponte tra il bambolotto e il reggiseno: dal peluche griffato Victoria’s Secret al lucidalabbra al gusto di caramella, fatto apposta per “accalappiare” le giovanissime, magari mentre fanno shopping con la mamma. Sempre più spesso la pubblicità promuove questo tipo di immagine. Mamma e figlia che fanno shopping insieme: un modo per sentirsi vicine, legato indissolubilmente al consumo.

Giochi con me?
Giochi con me?
Claudia Porta
Tanti modi creativi per accompagnare i nostri figli nella crescita.Tante idee per imparare a giocare con i bambini, creare giochi fai da te e divertirsi nella natura, stimolando la creatività e la fantasia dei nostri figli. Da bambini, tutti sappiamo giocare. Crescendo però smettiamo gradualmente di farlo, per poi accorgerci che non ne siamo più capaci. Ed è qui che ci vengono in aiuto i nostri figli: attraverso il gioco è possibile infatti creare un legame profondo con i bambini e, se restiamo in ascolto, potremo capire molto di più di ciò che riescono a esprimere a parole. Claudia Porta presenta, oltre ad alcune riflessioni sull’importanza del gioco nei suoi diversi aspetti, molti progetti creativi alla portata di tutti, da realizzare con e per i bambini.Giochi con me? diventa, così, anche un libro per trasmettere ai più piccoli il valore del lavoro e il rispetto per ciò che ne risulta, perché comprendano che ciò che non esiste si può sempre inventare. Conosci l’autore Claudia Porta è autrice, blogger e insegnante di yoga e di meditazione. Dal 2007 vive in Provenza e cura il blog lacasanellaprateria.com. Organizza anche corsi di yoga e meditazione guidate.