prima parte - I

L’importanza del gioco

Come è possibile che, essendo i bambini così intelligenti,
la maggior parte degli adulti siano stupidi?
Questo è senz’altro dovuto all’educazione.

A. Dumas

Da bambini, tutti sappiamo giocare. Crescendo però smettiamo gradualmente di farlo per poi accorgerci, di fronte ai nostri figli, che non ne siamo più capaci.

Spesso il gioco viene sostituito da sport competitivi che, per quanto si chiamino giochi (si dice infatti “giocare” a tennis o a golf) non hanno l’aspetto libero, spontaneo e creativo del gioco nella sua accezione primaria. Smettendo di giocare per tanto tempo dimentichiamo come si fa e abbiamo poi difficoltà a connetterci con i nostri figli. Giocare non è più spontaneo. Dobbiamo decidere di giocare, impegnarci e a volte anche sforzarci.1

Questo processo viene sempre più spesso anticipato e il tempo per il gioco si riduce sensibilmente fin dalla più tenera età, e così ecco che invece di scendere a giocare in cortile il bambino va a giocare a calcio, a tennis o a lezione di musica. Tutte attività piene di significato, ma che non devono assolutamente sostituirsi al gioco. Si tenga poi a mente che il concetto di gioco educativo è un’invenzione degli esperti di marketing: il gioco è di per sé educativo. Il gioco è il modo migliore che i bambini hanno per imparare, sperimentando direttamente tutto quello che c’è da sapere nella vita.


Sostituendo il gioco libero e spontaneo con attività strutturate e mirate a uno scopo (vincere, seguire le regole, ecc) si priva il bambino del piacere di giocare e si inculca in lui una dose eccessiva (e non sana) di competitività.


Spesso sentiamo dire che i bambini esternano, attraverso il gioco, la propria aggressività. Questo è senz’altro vero, ma non è tutto. Quando giocano, i bambini esprimono una vasta gamma di emozioni che sarebbero incapaci di trasmettere verbalmente.

Nel suo libro, Donald Winnicott parla delle emozioni negative espresse attraverso il gioco:

Tutti i bambini provano rabbia e, di conseguenza, aggressività. Questi sentimenti sono classificati come “cattivi”. Il bambino che si rende conto di avere in sé qualcosa di cattivo può sentirsi “sporco”, colpevole. Sapere che tali sentimenti possono essere espressi, a certe condizioni (ad esempio attraverso il gioco) senza provocare risentimento e violenza nei suoi confronti, è rassicurante per il bambino. Sapere che certi sentimenti sono accettabili allevia il senso di colpa.Se il bambino non si sente accettato nella sua totalità, comprese le sue inevitabili zone d’ombra, si sentirà obbligato a fingere, a reprimere, a nascondere, a negare i suoi stessi sentimenti, con conseguenze disastrose sulla sua personalità e sul suo equilibrio psichico.2

Attraverso il gioco i bambini imparano anche a gestire pensieri e situazioni che sono per loro fonte di stress. Il fatto di ribaltare la situazione a loro piacimento e di assumere il controllo (cosa che non sempre è possibile nella realtà) permette loro di elaborare e di controllare l’ansia e la frustrazione legate alla sensazione di impotenza. Questo aspetto è, secondo Winnicott, molto importante perché se ci rendiamo conto che i bambini non giocano per divertimento ma per ragioni molto più importanti, più serie e profonde, comprendiamo che non è possibile privarli di questa attività senza procurare un disagio. Attraverso il gioco, il bambino scopre, sperimenta, impara. Il gioco è l’espressione palese della creatività, e la creatività è il succo della vita stessa. Il nostro compito è quello di prendere il gioco sul serio, riconoscendone l’importanza e condividendo con i nostri figli i giochi classici, cercando di non condizionarli troppo con i nostri interventi.

Possiamo stimolare le loro esperienze fornendo materiali e idee ma pare, in questo campo, che sia meglio offrire poco piuttosto che troppo in questo senso. I bambini, infatti, sono in grado di scovare oggetti interessanti e di inventare giochi con grande facilità.3

Nel suo libro Un genitore quasi perfetto4 Bruno Bettelheim sostiene che il bambino, attraverso il gioco, tenti in qualche modo di “curarsi”, di compensare ciò che gli manca. Occupandosi con tenerezza del suo bambolotto, esprime ciò che vorrebbe dai genitori. Picchiando l’orsetto di pezza, può esteriorizzare la gelosia nei confronti del fratellino che, se repressa, potrebbe diventare un peso troppo grande. Per questo è importante tentare di comprendere eventuali comportamenti aggressivi prima di etichettarli come inaccettabili. Se permettono di canalizzare un sentimento troppo forte, potrebbero invece rivelarsi benefici.

Attraverso il gioco, i bambini interagiscono con gli altri. È così facile farsi degli amici (o dei nemici) mentre si gioca. Ben più difficile è riuscirci in un contesto diverso. Da ultimo, ma non meno importante, il gioco crea un ponte tra il corpo e la mente. Proprio come le numerose tecniche millenarie (primo fra tutti lo yoga) attraverso le quali noi adulti cerchiamo di connettere queste due entità. Il gioco è il legame tra il mondo interiore e il mondo esterno. Fa parte del bambino ma si estende anche al di fuori. Gli permette di comunicare e di connettersi con gli altri. Attraverso il gioco, il bambino raccoglie oggetti e fenomeni provenienti dal mondo esterno e li rielabora nel proprio personale mondo interiore.


Winnicott praticava già, ai suoi tempi, quella che oggi chiamiamo la gioco-terapia (play-therapy). Attraverso il gioco il terapista cerca di comunicare con il bambino. Sapendo che questi non possiede la padronanza del linguaggio necessaria ad esprimere concetti così sottili e complessi, il terapista trova nel gioco le risposte a ciò che cerca.

È opportuno tener presente come il gioco sia già in sé una terapia. Fare in modo che i bambini possano giocare è una forma di psicoterapia, che avrà effetti immediati e universalmente applicabili. A cominciare da un atteggiamento sociale positivo nei confronti del gioco.Chi accudisce i bambini dovrebbe essere presente durante il gioco. Questo non significa che debba entrarvi. Quando c’è bisogno di un organizzatore esterno che diriga il gioco, significa che il bambino o i bambini non sono in grado di giocare in modo creativo.5


Ma Winnicott non si limita ad affermare che il gioco sia una vera e propria terapia. Il paragone è valido, secondo lui, anche nell’altro senso. Anche la psicoterapia nella sua accezione più classica sarebbe, in fondo, una sorta di gioco.

Se il terapista non è in grado di giocare, allora non è adatto a questo lavoro. Se il paziente non è in grado di giocare, occorre un intervento che gli permetta di riuscirvi. Solo a quel punto la psicoterapia può iniziare. Il motivo per cui il gioco è essenziale è che attraverso il gioco il paziente riesce ad essere creativo.[…] È nel gioco e solo nel gioco che l’individuo (adulto o bambino) è in grado di essere creativo e di utilizzare la sua intera personalità. Ed è solo attraverso la creatività che l’individuo scopre il proprio sé.6

Secondo John Holt, considerato il “padre” della scuola familiare (Homeschooling) negli Stati Uniti, gioco, poesia, musica, recitazione e arte in generale sono tanti modi diversi che il bambino utilizza per esplorare il mondo. I bambini che sanno giocare in modo creativo sono quelli che riusciranno meglio a imparare e ad affrontare le sorprese e le frustrazioni della vita di tutti i giorni.

Dobbiamo resistere alla tentazione di pensare che questa parte della vita dei nostri bambini [il gioco] sia meno importante delle attività “serie” – lettura, scrittura, compiti o qualsiasi altra cosa noi vogliamo che facciano […]. Saper giocare bene è importante quanto saper leggere bene. Del resto, se li osservassimo con molta attenzione scopriremmo che i bambini che non sanno giocare, sognare, fantasticare, non sono in genere nemmeno i più bravi a leggere.7

Holt sostiene inoltre che, contrariamente a ciò che molti credono, la fantasia non porta il bambino ad allontanarsi dal mondo reale. Al contrario, nei giochi di fantasia (almeno finché il bambino è libero da condizionamenti imposti dalla tv e dai videogiochi) il bambino imita le azioni quotidiane dei suoi genitori, amici e familiari e le esperienze vissute, passando in genere dal ruolo di spettatore a quello di protagonista.


Nel suo How Children Learn Holt paragona la realtà a un puzzle, di cui i bambini posseggono solo un numero limitato di pezzi. Con così pochi pezzi, un adulto non tenterebbe nemmeno di comporre il puzzle. Il bambino invece, dotato di grande curiosità, determinazione, energia e soprattutto pazienza, tenta l’impresa impossibile. Per sostituire i pezzi mancanti, utilizza l’immaginazione. Questo fa sì che ne risulti un’immagine del mondo probabilmente poco fedele, ma si tratta di una ricerca della realtà e non di una fuga dalla stessa.

Il discorso ovviamente è diverso se il bambino, in seguito a esperienze traumatiche, si rifugia in un mondo immaginario nel quale si sente al sicuro.

Giocare è dedicarsi a un’attività per divertirsi, per ricavarne piacere. Il gioco non ha altro fine che se stesso: il bambino gioca per giocare. Se nel frattempo apprende qualcosa, si tratta di un “effetto collaterale” e non del suo scopo primario. Ciò non toglie che il gioco permetta al bambino di scoprire molte cose. Attraverso questa attività che si perpetua di generazione in generazione, il bambino acquisisce le regole, i costumi e i valori propri dell’ambiente in cui vive. Il bambino scopre se stesso e il mondo nel quale vive.8

Di più, attraverso il gioco il bambino scopre il piacere di imparare. Questa visione gli sarà utile per il resto della sua vita e gli permetterà di diventare una persona aperta e curiosa, desiderosa di scoprire, sperimentare, acquisire nuove conoscenze. Senz’altro un dono inestimabile durante gli anni della scuola. Attraverso il gioco il bambino apprende inoltre molti concetti logici che sarebbero per lui troppo complessi se affrontati in altro modo.

Quando gioca, il bambino assume il controllo della situazione. Si sente capace e competente. Questo è per lui fonte di gratificazione e contribuisce a rinforzare la sua autostima. Ma il gioco permette anche di sperimentare il fallimento in un contesto in cui le conseguenze saranno minime. Quando la torre crolla, il bambino può essere deluso e imparerà ad affrontare la frustrazione in un contesto protetto. Poi deciderà liberamente se ricominciare o passare a un’altra attività.


Il gioco è anche una forma di comunicazione. Attribuendo ai vari personaggi questa o quella emozione, il bambino esprime quelle che sono le sue. Un modo per esprimere e condividere ciò che prova. Del resto è frequente che il bambino, giocando, parli da solo. È per lui l’occasione di praticare le abilità verbali, spiegando ai suoi giocattoli ciò che sta facendo, ciò che sta succedendo. Questo esercizio linguistico favorisce l’acquisizione di nuovi termini. L’apprendimento della lingua diventa così più rapido e assume una connotazione ludica.


Il gioco è anche il primo passo verso la socializzazione. Il bambino impara a condividere, a comunicare, a rispettare le regole, ad aspettare il proprio turno. Giocare è una cosa seria. Quando interrompete il vostro bambino che sta giocando perché è ora di uscire o di mettersi a tavola, non state dando sufficiente importanza alla sua attività. È come se lui vi interrompesse mentre lavorate. È possibile mostrare rispetto per le sue attività senza per questo lasciarsi “calpestare”. Basterà prepararlo con un po’ di anticipo, perché possa organizzarsi in modo adeguato.

Gioco e ripetizione

La ripetizione rigorosa di uno stesso gioco mostra che il bambino lotta con dei problemi che hanno per lui una grande importanza e che, finché il gioco non gli fornirà una soluzione, continuerà a ripeterlo per cercarne una

B. Bettelheim

A volte il gioco ripetitivo può preoccupare i genitori, che temono che il bambino sia in qualche modo “bloccato”. In realtà, attraverso la ripetizione, il bambino cerca qualcosa (la soluzione a un suo problema, l’affinamento di una abilità, un senso di sicurezza…). Quando avrà raggiunto i suoi obiettivi, quando avrà costruito ciò a cui tendeva, passerà spontaneamente ad altro. È importante non ostacolarlo in questo processo.

Il gioco come esercizio sensoriale

Il gioco è, per il bambino una stimolazione sensoriale continua. Motricità fine, coordinazione occhi-mani, motricità globale, relazione di causa-effetto, capacità di anticipare le conseguenze dei suoi gesti. Il bambino impara tutto questo senza sforzo, attraverso l’esperienza diretta, divertendosi.

Il gioco per combattere le paure

Nel già citato Un genitore quasi perfetto, Bettelheim spiega come alcuni giochi classici abbiano funzioni profonde ben più importanti del puro divertimento, e cita alcuni esempi:

  • Mosca cieca – Riproduce un’esperienza terrificante (perdersi al buio) in maniera piacevole, permettendo al bambino di dominare la paura dell’oscurità. Il bambino che si muove nel buio o con gli occhi bendati mette anche alla prova le buone intenzioni altrui. Deve fidarsi del fatto che gli altri non approfitteranno della situazione, acquistando sicurezza e fiducia negli altri.

  • Cucù – Coprendosi e scoprendosi gli occhi, il bambino fa scomparire o riapparire la persona che gli sta di fronte. In questo modo si rende conto, con grande sollievo, che la persona è presente anche quando non può vederla. Il bambino impara a dominare l’angoscia.

  • Le filastrocche che nominano le varie parti del corpo rassicurano il bambino sul fatto che il suo corpo è a posto. Che non gli manca niente. Non solo, ma gli danno conferma del fatto che ogni parte del suo corpo è importante per i genitori.

  • Nascondino – è una versione più evoluta del gioco del cucù e ha una funzione rassicurante ancora più forte. Oltre a dominare l’angoscia dell’abbandono, il bambino può mettere alla prova le sue competenze (la sua capacità di ritrovare gli altri) acquisendo maggiore fiducia in sé.

Lasciamo che si annoino!

Le biografie di persone creative del passato abbondano di racconti di lunghe ore passate in riva ad un fiume a pensare, di passeggiate nei boschi in compagnia del cane fedele, abbandonandosi ai propri sogni.
Ma chi, al giorno d’oggi, ha l’opportunità di fare altrettanto?
Se un giovane ci provasse, i suoi genitori si preoccuperebbero nel vederlo trascorrere il proprio tempo in maniera così poco costruttiva

B. Bettelheim

Non è necessario programmare ogni istante delle giornate dei nostri figli. Al contrario, può essere utile lasciarsi ispirare da loro, accompagnandoli invece di volerli per forza guidare. In questo modo permetteremo loro di esprimersi realmente.


Non è nemmeno necessario preoccuparsi se il bambino “si annoia”. È infatti proprio dalla noia che nasce la creatività. La noia è il punto di partenza verso qualcosa di nuovo. È un momento di calma in un mondo che va troppo veloce e che ci bombarda di stimoli. È l’occasione di ascoltare la propria voce interiore. Se siamo sempre occupati in qualche attività, smetteremo di ascoltarla, fino a farla tacere definitivamente.

Giocare con i bambini

Si pensa esclusivamente al domani del fanciullo, 

alla sua futura esistenza; e mai si bada al presente, 

cioè a quanto gli occorre per vivere nella sua età.

M. Montessori

Più avanti vedremo quanto sia importante fornire al bambino un ambiente adatto e sicuro e dei giocattoli di qualità. Ci sono però due cose ancora più importanti che dovremmo dare ai nostri figli: il nostro tempo e la nostra attenzione. Questo non significa che dobbiamo essere continuamente a loro disposizione ma è senz’altro importante essere a loro completa disposizione di tanto in tanto.


Perché non inserire il gioco nella nostra agenda, proprio come tutti gli altri impegni della giornata? Questo appuntamento è certo più importante di molti tra quelli a cui diamo a volte, a torto, la precedenza. Stabilire un “appuntamento” con il gioco vi permetterà di essere più disponibili, rilassati, presenti. Concedete ai vostri bambini anche solo 10 minuti (se non siete abituati, all’inizio potranno sembrarvi lunghissimi) di disponibilità totale e state a vedere.


Non è necessario proporre attività strutturate o tentare di indovinare cosa farebbe piacere al bambino. Ciò che conta è essere semplicemente disponibili, in ascolto, e lasciare che siano loro a scegliere il gioco che preferiscono. Essere presenti, disponibili, attenti. Tutto qui.


Per molti adulti sedersi sul pavimento e giocare con i bambini richiede un grande sforzo. Abbiamo i nostri impegni, i nostri pensieri e, anche quando riusciamo a ritagliarci un po’ di tempo per giocare, non riusciamo a liberarci da obiettivi e aspettative. Non riusciamo a vivere nel momento presente e ci irritiamo se i nostri bambini non giocano come vorremmo.


Molti genitori vorrebbero invece che i propri figli giocassero tranquillamente da soli. Questo è possibile solo se si sentono amati e sicuri di sé. Attenzione alla differenza tra essere amati e sentirsi amati: nessuno mette in dubbio il nostro amore per i nostri figli ma non è detto che questi lo percepiscano e si sentano amati.


Trovare il tempo, la volontà, e anche il coraggio (per alcuni è una vera impresa) di mettere da parte i propri pensieri e occupazioni per dedicare mezz’ora al proprio bambino lo fa sentire importante. Il fatto che il genitore cerchi di avventurarsi nel suo mondo, invece di esigere che sia lui a comportarsi, esprimersi, aprirsi come un adulto, aumenta la fiducia reciproca e favorisce la comunicazione.


Tutti i genitori vorrebbero instaurare un dialogo profondo, aperto e sincero con i propri figli; e in un mondo perfetto, i nostri figli verrebbero da noi spontaneamente a discutere dei pensieri che li affliggono o delle tematiche che hanno a cuore.


Nella realtà, questo accade molto di rado. Del resto anche noi, dopo una giornata difficile, siamo spesso intrattabili e poco inclini al dialogo. Per alleviare la tensione, scegliamo di andare a correre o di dare pugni al cuscino. I bambini ricorrono invece al gioco. Se prestiamo attenzione al loro modo di giocare, potremo capire molto meglio ciò di cui hanno bisogno. In questo modo potremo riuscire a comunicare con efficacia, a sostenerli in caso di bisogno, ad accompagnarli con dolcezza nell’attraversare eventuali difficoltà o anche soltanto a essere presenti in caso di necessità.


Sforziamoci di parlare la loro lingua se vogliamo che, più tardi, loro si sforzino di parlare la nostra. Se non siamo presenti per condividere un momento piacevole, come possiamo pretendere di essere coinvolti nella loro vita quando avranno dei problemi da risolvere? Giocare insieme aiuta a creare un legame profondo, rafforzare la fiducia reciproca e a sdrammatizzare momenti difficili.


Il gioco serve anche per elaborare emozioni intense ed esperienze difficili. Il bambino che va dal dottore al ritorno a casa vorrà visitare le bambole, i fratelli e sorelle, probabilmente anche i genitori. Dal dottore si è sentito fragile e impotente: ora è il momento per lui di assumere un ruolo diverso, quello della persona forte, di quella che decide, che ha il controllo della situazione. In questo modo bilancia il sentimento di inferiorità provato in precedenza. Invertendo i ruoli il bambino prende la sua “rivincita”. Si sente forte e competente.


Giocando con il vostro bambino farete un meraviglioso regalo non solo a lui ma anche a voi stessi: il gioco è un potente antistress. Proprio come lo yoga e come la meditazione, discipline millenarie che mirano alla connessione tra corpo e spirito, il gioco permette (a condizione di giocare “sul serio”) di vivere pienamente il momento presente, mettendo da parte tutti i problemi e le preoccupazioni. Quando i vostri figli saranno grandi, ricorderete con tenerezza le ore trascorse insieme sul pavimento.


Lasciatevi guidare dai vostri figli e vedrete cose che a molti adulti sfuggono. Seguite i vostri bambini e imparerete cose che noi adulti non possiamo capire. Ascoltateli e lasciate che parlino al bambino che è in voi: potrebbe essere l’occasione di riscattarvi dai blocchi o dalle sofferenze sperimentate durante l’infanzia, che spesso ancora influiscono negativamente sulle nostre vite. Seguite il ritmo dei vostri bambini e imparate (o meglio re-imparate) a lasciarvi andare. Non abbiate paura di sembrare stupidi o ridicoli: questo a volte è il prezzo da pagare per qualche momento di pura felicità.


Passeggiate sotto la pioggia, picnic in salotto, corse sfrenate: i vostri bambini vi offriranno la scusa perfetta per mettere da parte quell’aria seria e lasciarvi finalmente andare!

Giocare con mamma, giocare con papà

Mamma e papà hanno in genere un approccio diverso riguardo al gioco. I giochi con il papà sono spesso più fisici e spericolati; quelli con la mamma sono più incentrati sulla tenerezza, sulla cooperazione e sulla comunicazione verbale (o viceversa). Spesso le mamme temono che i papà siano troppo bruschi ma in realtà il bambino ha bisogno di entrambi i modi di giocare.

L’amico immaginario

Non preoccupatevi se il vostro bambino ha un amico immaginario. Non è segno di un disagio né di un problema di comportamento o di percezione della realtà. È soltanto un gioco, e addirittura un indice di creatività. Non solo, ma l’amico immaginario potrà esservi utile in più di un’occasione per comunicare con i vostri figli attraverso la sua mediazione. Potrete chiedergli di spiegare a vostro figlio (in presenza dello stesso) che è importante mangiare la frutta o lavarsi i denti, ad esempio. Accogliete l’amico immaginario nella vostra famiglia senza bandirlo o ridicolizzarlo, ma senza neanche cadere nell’eccesso opposto. Scomparirà quando il bambino non avrà più bisogno di lui.

Dare l’esempio

Come abbiamo detto in precedenza, i bambini compongono il puzzle della vita partendo dai pochi pezzi che hanno a disposizione. Noi siamo alcuni di quei pezzi. La nostra visione della realtà si riflette inevitabilmente sull’interpretazione che ne avranno i nostri figli.


È quindi importante essere modelli degni di essere imitati. Quando ci lamentiamo, davanti ai nostri figli, di una giornata improduttiva, delle condizioni meteorologiche sfavorevoli, o del traffico che abbiamo incontrato rientrando dal lavoro, non facciamo che crogiolarci nella nostra insoddisfazione. In questo modo, non solo rischiamo di non notare le eventuali alternative che si dovessero presentare, ma trasmettiamo inevitabilmente il nostro stato d’animo anche ai nostri familiari. Bambini compresi.


È curioso come tendiamo a esprimere apertamente la frustrazione, e a dare invece per scontato ciò che ci fa stare bene. Dovremmo invece sforzarci di sottolineare quanto sia piacevole una bella giornata di sole, una buona lettura o una passeggiata all’aperto ed esprimere la nostra soddisfazione ad alta voce. In questo modo i nostri figli impareranno che la vita è bella e che il mondo è un posto meraviglioso. Avranno fiducia nell’avvenire e andranno incontro alla vita a braccia aperte.


Un esercizio utile (non solo per i bambini ma anche per i genitori) è quello di concludere ogni giornata con un pensiero positivo. Al momento di andare a dormire, ripercorriamo la giornata appena trascorsa. Parliamo dei momenti più belli delle ultime 24 ore e chiediamo ai nostri figli quali sono stati, per loro, gli attimi più significativi. Questo li aiuterà a concentrarsi sulle esperienze positive e a comprendere i differenti punti di vista (il miglior momento della giornata non è necessariamente lo stesso per tutti i membri della famiglia). In questo modo insegniamo ai nostri figli ad apprezzare le piccole gioie di ogni giorno, coltivando nel contempo l’ottimismo e l’empatia. Un piccolo rituale che può durare anche solo un paio di minuti.


I ricordi d’infanzia sono la base della felicità da adulti. Fornendo loro un modello positivo aiutiamo i nostri figli a gettare le basi per una vita serena.


Essere modelli degni di essere imitati non significa essere perfetti; nessuno lo è, nessuno lo sarà mai e non è certo questo lo scopo della vita. Non sempre conosciamo la risposta alle domande che i nostri figli ci pongono, e quando questo accade, non dovremmo avere paura di dire “non lo so”. Non vogliamo essere modelli inarrivabili. Non abbiamo paura di mostrare ai nostri figli anche i nostri limiti. È importante che loro capiscano che non si finisce mai di imparare e che l’importante non è sapere tante cose ma avere voglia di scoprirle. Quando non sappiamo rispondere a una delle domande dei nostri figli, prendiamola come uno spunto per imparare, noi stessi, qualcosa di nuovo. Accompagnandoli e permettendo loro di approfondire argomenti che sono di loro interesse amplieremo a nostra volta le nostre conoscenze.

Giochi con me?
Giochi con me?
Claudia Porta
Tanti modi creativi per accompagnare i nostri figli nella crescita.Tante idee per imparare a giocare con i bambini, creare giochi fai da te e divertirsi nella natura, stimolando la creatività e la fantasia dei nostri figli. Da bambini, tutti sappiamo giocare. Crescendo però smettiamo gradualmente di farlo, per poi accorgerci che non ne siamo più capaci. Ed è qui che ci vengono in aiuto i nostri figli: attraverso il gioco è possibile infatti creare un legame profondo con i bambini e, se restiamo in ascolto, potremo capire molto di più di ciò che riescono a esprimere a parole. Claudia Porta presenta, oltre ad alcune riflessioni sull’importanza del gioco nei suoi diversi aspetti, molti progetti creativi alla portata di tutti, da realizzare con e per i bambini.Giochi con me? diventa, così, anche un libro per trasmettere ai più piccoli il valore del lavoro e il rispetto per ciò che ne risulta, perché comprendano che ciò che non esiste si può sempre inventare. Conosci l’autore Claudia Porta è autrice, blogger e insegnante di yoga e di meditazione. Dal 2007 vive in Provenza e cura il blog lacasanellaprateria.com. Organizza anche corsi di yoga e meditazione guidate.