Il perdono
Se avete avuto un’educazione religiosa, probabilmente ricorderete la parabola del figliol prodigo. “Un uomo aveva due figli…”. Era un uomo ricco: aveva servi e greggi di pecore. A volte i nuovi ricchi commettono l’errore di offrire ai figli una vita troppo agiata, viziandoli. Ma di solito le famiglie ricche da tempo, in cui il patrimonio si tramanda da generazioni, sanno inculcare ai loro fanciulli le virtù dell’impegno e del risparmio. Così che i due figli dovevano lavorare prendendosi cura delle greggi.
Forse il padre del figliol prodigo aveva preteso troppo. Il figlio maggiore (quello “buono”, obbediente) gli rimprovera con astio di non aver mai avuto un capretto per fare festa con gli amici. E il figlio minore finisce per ribellarsi: stufo di pascolare pecore, pretende la sua parte di eredità e se ne va di casa.
Il denaro lo sperpera con gli amici in vino e donne. Ma il denaro, come ben si sa, mostra la fastidiosa tendenza ad allontanarsi dal proprietario, e più viene sprecato, prima finisce. Rimanendo senza soldi, rimane anche senza vino, senza donne e (da non crederci) senza amici. Deve mettersi a lavorare, addirittura custodendo maiali. Guarda con invidia le carrube per i maiali, ma non gli permettono di mangiarle.
È in quel momento che decide di tornare dal padre. Non si aspetta di essere accettato come figlio, pensa di dirgli: “Trattami come uno dei tuoi salariati”. Il Vangelo, mi sembra, è piuttosto chiaro su un punto: non è realmente pentito. La sua motivazione principale, o meglio l’unica, per tornare è: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!”. Non si domanda quanto abbiano sofferto i genitori, non pensa neppure lontanamente di aver agito male. Non si affligge per la loro pena, ma per la propria. Ha avuto tempo per pentirsi mentre stava con gli amici, il vino e le donne, ma è chiaro che non si è pentito neppure un po’. Se decide di tornare dal padre è solo per interesse, per mangiare pane in abbondanza invece di smaniare per delle carrube marce.
Cosa fa il padre quando il figlio torna con la coda tra le gambe, a mangiare a sbafo? Cosa raccomanderebbero oggi pediatri, psicologi, educatori con un ragazzo che commette un errore, e non una piccolezza, come non mettere in ordine o prendere brutti voti, ma niente meno che dilapidare in droga e prostitute metà degli averi della famiglia?
Dovrebbe punirlo? Qualche bella frustata? Sei mesi senza uscire il sabato, sei anni senza uscire il sabato? Niente dolciumi? Venti minuti (uno per anno di età) sulla sedia per riflettere affinché pensi a ciò che ha fatto?
Dovrebbe fargli vedere le conseguenze delle sue azioni? “Va bene, férmati se vuoi, ma sia chiaro che la tua parte di eredità l’hai già sperperata e ciò che resta è per tuo fratello.”
Dovrebbe fargli un sermone? È un libro religioso, un sermone capiterebbe a fagiolo: “Figlio mio, non sai quanto hai fatto soffrire me e tua madre. Non posso credere che tu abbia potuto ripagare in questo modo tutti i sacrifici fatti per te. Francamente, non mi aspettavo questo comportamento, non è così che ti abbiamo educato, sono profondamente deluso. Ora hai visto che succede a dissipare il denaro in vizi e peccati; solo l’onesto lavoro e la disciplina portano alla felicità…”.
Dovrebbe ricorrere all’ironia? “Bene, bene! Dove sono adesso quegli amici tuoi? Di certo qualcuno ti inviterà a pranzo!”
O addirittura al sarcasmo? “Brutta la fame, eh?”
Nulla di tutto ciò:
Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». (Luca 15:20-24)
Perdono. Perdono assoluto, immediato, incondizionato, senza la minima parola di rimprovero. Si ha persino l’impressione che il figlio venga premiato per ciò che ha fatto. Questo è ciò che pensa il fratello maggiore che “si indignò, e non voleva entrare”. E ancora un volta il padre non si arrabbia con il figlio maggiore, non lo rimprovera, non gli lascia patire le conseguenze (se non vuole venire alla festa, che se ne stia senza festa). “Suo padre allora uscì a supplicarlo”. Non gli intima di entrare (e quello era il figlio obbediente!), lo supplica.
Il fatto curioso è che si tratta di una parabola. Le parabole erano semplici esempi di vita quotidiana con i quali Gesù spiegava a un pubblico ignorante complicati concetti teologici o filosofici. L’idea non è: “Io, Gesù, vi raccomando di perdonare i vostri figli”, ma piuttosto: “Non è forse vero che qualunque padre, non è forse vero che chiunque tra voi, in circostanze simili, perdonerebbe suo figlio senza il minimo rimprovero? Ebbene, così farebbe il vostro padre celeste…”
In quale libro moderno sull’educazione dei figli avete letto che si possono perdonare? Tutto quello che leggo parla di vendette,… voglio dire “punizioni”,… voglio dire conseguenze, o nel migliore dei casi, di altre tecniche per modificare il comportamento, di strategie per fare in modo che il figlio obbedisca, che non ripeta i suoi errori. Davvero modificare il comportamento di nostro figlio è più importante che amarlo immensamente?
Non sto dicendo che i bambini debbano fare ciò che vogliono. Evidentemente ci sono cose che non devono fare e cose che invece devono fare, e dobbiamo dirglielo. Ho detto fin dal principio che noi genitori abbiamo autorità e che è nostra responsabilità esercitarla. Ma non è la nostra unica responsabilità, né la nostra principale priorità; né l’unico modo di educare e guidare i nostri figli è instaurando uno stato di polizia. Non serve stare tutto il tempo a stabilire,… voglio dire concordare regole, individuando possibili infrazioni e stabilendo le relative conseguenze (che secondo i sostenitori devono essere proporzionate, immediate e senza eccezioni o possibilità di ricorso). Allo stesso modo a volte non si vuole che il coniuge, o qualche parente, vicino o collega di lavoro, faccia qualcosa. Ma di solito basta dire: “Attenzione, per favore…” e se questo non funziona, in genere si preferisce lasciar perdere. Non passiamo la giornata imponendo conseguenze sugli adulti; perché con i bambini dovrebbe essere tanto diverso?