CAPITOLO V

L'adolescenza

Già da tempo mi era stato chiesto di scrivere un libro sull’adolescenza. Presumibilmente per guidare i genitori nel delicato e difficile compito di educare un adolescente o di conviverci.


All’inizio non volevo scriverlo perché non avevo ancora figli adolescenti. Preferisco parlare, quando possibile, con cognizione di causa.


E più avanti non mi decidevo a iniziare perché non sapevo cosa dire. Gli adolescenti sono così simpatici, e occuparsi di loro è talmente facile e divertente, di che avrei potuto parlare?


Certo, ogni tanto ci sono discussioni, problemi, dubbi; come sempre accade nella convivenza quotidiana tra esseri umani. Ma in genere gli adolescenti sono molto lontani da quell’aura di terrore da cui a volte vengono circondati.


E non credo di essere l’unico che se n’è accorto. Perché, adesso che ci penso, a chiedermi un libro sugli adolescenti erano per lo più genitori di neonati e bambini piccoli, un po’ preoccupati per l’ancora lontana adolescenza. Ma non ricordo che mi abbia chiesto consiglio nessun padre o madre di adolescente. Sembrerebbe che, arrivato il momento della verità, noi genitori ci rendiamo conto che non valeva la pena preoccuparsi tanto.


Nei Paesi anglosassoni l’adolescenza è spesso descritta come una tappa difficile per giovani e genitori, un periodo di tempeste emotive e tensioni, o di storm and stress, espressione coniata da G. Stanley Hall, primo presidente dell’American Psychological Association, nel suo libro Adolescence del 1904. Caratteristiche tipiche dell’adolescenza erano, secondo questo autore, il conflitto con i genitori, le alterazioni dello stato d’animo e i comportamenti a rischio. Era anche dell’opinione che bambini e preadolescenti fossero selvaggi con cui non valeva la pena parlare, e a cui si doveva semplicemente inculcare il timore di Dio e l’amore per la patria a bastonate (se davvero ha educato così suo figlio, non mi stupisco che ci siano stati conflitti nell’adolescenza). Hall, che aveva studiato in Germania, ha preso la sua espressione dal nome del movimento letterario preromantico apparso nella seconda metà del XVIII secolo, Sturm und Drang (tempesta e impeto). L’autore più importante di questo movimento è Goethe, e la sua opera più rappresentativa è I dolori del giovane Werther (1774), il cui tormentato protagonista si suicida per un amore impossibile. Il libro ha generato, all’epoca, un’ondata di suicidi tra i giovani (alcune fonti parlano di dozzine, altre di migliaia). A me sembra un libro piuttosto noioso con un protagonista piuttosto stupido, non capisco perché si suicidi, né tanto meno perché l’hanno fatto alcuni suoi lettori (né penso di essere il solo a non capire: il libro continua a essere pubblicato e letto, ma da due secoli nessuno si suicida più per colpa sua; sarà stata la novità).


Ma la paura dell’adolescente è molto più antica. Arnett cita Socrate, Aristotele, Rousseau. Quest’ultimo, che spesso viene accusato di un certo “buonismo”, del fatto di credere ciecamente nella bontà naturale dei bambini, parla invece della pubertà come ce moment de crise, e ricorre alla stessa metafora di Hall, la tormenta:


Come il mugghiare del mare precede da lontano la tempesta, così questa burrascosa rivoluzione si annuncia col mormorio delle passioni nascenti; un sordo fermento avverte l’approssimarsi del pericolo. Un cambiamento dell’umore, frequenti impeti di collera, una continua agitazione di spirito, rendono il bambino pressoché indisciplinabile. Diventa sordo alla voce che lo rendeva docile; nella sua febbre sembra un leoncello; misconosce la sua guida, non vuol più essere governato.1


Hall pensava che tempeste e tensioni adolescenziali non fossero inevitabili, ma le considerava molto probabili e dotate di una base biologica. Anna Freud (la figlia di Freud) si è spinta oltre, ritenendo tali manifestazioni assolutamente inevitabili, e per di più giudicando la loro assenza patologica e foriera di gravi problemi futuri:


Essere normali nell’adolescenza è anormale in sé [1958; citata da Arnett, 1999].


Tuttavia, studi più recenti hanno gradualmente confutato le pessimistiche opinioni del passato. Jeffrey Jensen Arnett, professore di psicologia della Clark University del Massachusetts, ha approfondito la questione nel 1999 nell’articolo Un riesame della tempesta e delle tensioni adolescenziali2: