CAPITOLO I

Genitori con empatia e fiducia

“Capire” i bambini

Che cosa significa “capire” i bambini? È un concetto che uso abitualmente nel mio lavoro di psicologa e scrittrice e che pare sia una condizione del tipo “tutto o niente”: ci sono persone che capiscono, altre no. O capiscono che i bambini sono esseri umani e che meritano di essere trattati come esseri umani, o non lo capiscono. Purtroppo nella nostra società sono in tanti a non capire e stupisce come questo valga anche per molti professionisti della salute mentale.


In che senso non capiscono? Voglio dire che sono succubi del pregiudizio in base al quale i bambini sarebbero fondamentalmente diversi dagli adulti. Nel senso che agirebbero in base a differenti princìpi comportamentali. D’altra parte non potrebbero nemmeno pensarla diversamente, dato che nessun adulto migliora il proprio comportamento se viene picchiato, insultato, criticato, sgridato o punito. Gli adulti si comportano come vengono trattati, questo lo sanno tutti. Allora perché pare che non tutti sappiano che vale altrettanto per i bambini? Perché pensano che i bambini si comportino meglio se vengono puniti? Sarà anche vero che modificano il comportamento per paura, ma come ricorda lo psicologo Marshall Rosemberg, dobbiamo farci due domande prima di correggere il comportamento di un bambino:


“Due domande ci aiutano a capire perché non si può credere di ottenere ciò che vogliamo con le punizioni… La prima domanda è: Come vorrei che si comportasse questa persona? Se rispondiamo solo a questa domanda la punizione può sembrare efficace perché la minaccia o l’esercizio della forza punitiva può certamente condizionare il comportamento di una persona. Ma la seconda domanda ci svela perché le punizioni difficilmente possono funzionare: Con quale motivazione vorrei che quella persona facesse ciò che le chiedo? Affrontiamo di rado la seconda domanda, ma quando lo facciamo ci accorgiamo subito che… le punizioni danneggiano la buona volontà e l’autostima e distolgono l’attenzione dal valore intrinseco del comportamento verso conseguenze esterne. Rimproveri e punizioni falliscono nel promuovere quelle buone intenzioni che vorremmo ispirare agli altri”.1

Il dottor Rosemberg è uno psicologo che “capisce”, chiaramente e a fondo. Ma per molti non è così. Molti tendono a credere che l’esempio di Rosemberg vada bene per gli adulti ma non per i bambini. Ma se i bambini fossero così diversi dagli adulti, in quale giorno della loro vita cambierebbero improvvisamente il loro modo di agire? La mattina del loro diciottesimo compleanno? O del ventunesimo? Nessuno è in grado di rispondere a questa domanda perché in realtà non esiste una simile transizione. Gli esseri umani di ogni età agiscono in base agli stessi identici princìpi: si comportano bene se vengono trattati bene e in cambio rispondono desiderando trattare bene gli altri. Reagiscono male, invece, quando vengono feriti intenzionalmente da qualcuno, provando dolore e rabbia e desiderio di fare del male a quella persona. Non fa nessuna differenza se i maltrattamenti vengono razionalizzati nella testa dei genitori “per il bene” dei figli. Tale giustificazione è irrilevante e i bambini recepiscono solo l’azione in sé.


Se non comprendiamo questo fatto, e pensiamo invece che i bambini abbiano diversi e strani princìpi di comportamento, ecco che fare i genitori diventa un mestiere molto più complicato. Siamo sempre lì a tirare a indovinare cosa fare: dobbiamo contare fino a cinque o fino a dieci prima di dare uno scapaccione? Lo mettiamo in castigo (time-out) per due o cinque minuti? Segreghiamo in casa i figli adolescenti per un giorno o una settimana? Dobbiamo scusarci per i nostri errori oppure esibire sempre una facciata di perfezione davanti ai nostri figli? Se comprendiamo che i bambini hanno gli stessi princìpi comportamentali, la stessa natura umana di ognuno di noi, è facile prevedere come reagiranno alle nostre azioni: dobbiamo solo chiederci come reagiremmo noi se ci trovassimo nella loro stessa situazione. A quel punto fare i genitori diventa un compito relativamente semplice, come applicare la regola d’oro: tratta gli altri come vorresti essere trattato tu. Come spiega molto eloquentemente il dottor Elliott Barker, direttore della Canadian Society for the prevention of Cruelty to Children:


“I bambini i cui bisogni siano precocemente appagati da genitori amorevoli soggiacciono totalmente e inesorabilmente alla più ferrea “disciplina” possibile: non fanno ciò che non volete perché vi vogliono tanto bene! Se non soffocate i vostri figli con migliaia di stupidi ‘no’: “non toccare le porcellane, non assaggiare il dolce prima del pranzo, finisci gli spinaci, non fare questo, non fare quello…”, le poche volte in cui sarà davvero necessario dire di no, per ragioni di sicurezza o correttezza, non sarà necessario alcun metodo che abbia i connotati della “disciplina” per garantire che si comportino in modo adeguato”.2


Essere bambini non significa essere meno umani di noi adulti. I bambini meritano di essere trattati con rispetto, dignità, comprensione e compassione. Se vengono trattati in questo modo, tutti ne traiamo beneficio.

L’importanza di essere genitori empatici

Ogni persona che maltratta i propri figli è stata a sua volta gravemente
traumatizzata nella sua infanzia…
non esiste altra ragione per i maltrattamenti dell’infanzia se non la repressione e
la confusione patita in passato dalla persona che maltratta.
Alice Miller3

Può un bambino maltrattato superare, una volta adulto, i traumi che ha subìto per dare ai suoi figli più amore di quanto non ne abbia ricevuto lui stesso? Quando questi bambini diventeranno adulti saranno condannati a ripetere un ciclo infinito di rancore, violenza e vendetta, oppure ci sono altre vie per fermare la spirale della violenza e imparare a trattare in modo più umano e sensibile i bambini?


Sebbene sia probabile che i genitori che feriscono i loro figli siano stati essi stessi feriti nella propria infanzia, la ripetizione di questo schema non è un destino ineluttabile. Ci sono persone che hanno subìto maltrattamenti da bambini, ma sono cresciute con la convinzione di voler dare ai propri figli l’infanzia che essi stessi non hanno mai avuto. Mio padre, che era stato a volte picchiato e umiliato da suo padre, esternava spesso il desiderio di “dare ai miei figli una vita migliore di quella che ho avuto io”.


La semplicità di questa affermazione tuttavia non deve illuderci. Infatti richiede due passaggi complessi: per prima cosa il genitore deve diventare consapevole di aver subìto maltrattamenti nella sua infanzia, e questo è il passaggio più difficile, perché si tratta di esperienze talmente dolorose che tendiamo a rimuoverle, e possono di conseguenza diventare inaccessibili, anche quando ci sentiamo pronti a confrontarci con i nostri limiti emozionali. Spiega Alice Miller: “Molte persone ricordano a mala pena quanto hanno sofferto da bambini, perché hanno imparato a considerare ciò che hanno subìto come una meritata punizione per la loro ‘cattiveria’, e poi perché sono state costrette a reprimere il ricordo degli avvenimenti dolorosi per sopravvivere”. Tuttavia non è un destino inevitabile che ogni bambino vittima di maltrattamenti diventi a sua volta un adulto capace di maltrattare di altri bambini: “purché da bambino abbia avuto la possibilità, anche solo una volta, di incontrare qualcuno che gli ha dato qualcosa di meglio che precetti pedagogici e crudeltà: un maestro, una zia, un vicino, un fratello o una sorella. Solo attraverso l’esperienza dell’amore e del conforto il bambino riesce a distinguere la crudeltà per quello che è, diventare consapevole e opporsi ad essa”.

La consapevolezza però non basta per rompere il cerchio dei maltrattamenti. Per compiere il secondo passo verso questa meta i genitori devono apprendere nuovi modelli di relazione con i figli, modelli che difficilmente possono aver sperimentato quando erano bambini. In che modo allora possono imparare a trattare i propri figli con dignità e rispetto?


Il dottor Elliot Barker offre quattro consigli fondamentali agli aspiranti genitori per crescere bambini emotivamente sani “a prescindere da quanto insufficiente sia stata la loro esperienza infantile”.4

  1. Una positiva esperienza della nascita. Spiega Barker: “Se entrambi i genitori sono presenti al momento della nascita, e se l’esperienza del parto è positiva, è praticamente certo che papà e mamma si innamorino del loro bambino… Il faticoso compito di accudirlo sarà percepito in modo molto meno gravoso; saranno entusiasti di quanto è meraviglioso il loro piccolo”.
  2. Allattamento al seno prolungato. “Allattare fino a quando il bambino lo richiede è un’altra di quelle cose che una madre può fare e da cui scaturiscono molti risultati positivi… quasi per magia”, scrive Elliot Barker. “L’allattamento al seno nutre l’amore tra la mamma e il bambino. L’allattamento prolungato giova alla madre e all’attaccamento del bambino che sopravviverà nei momenti più difficili della vita prevenendo il distacco emotivo e l’incomunicabilità”.
  3. Separazione minima e attenzione costante. Secondo il pediatra William Sears solo il genitore “è in perfetta sintonia con i bisogni del bambino. Stare lontani dal bambino nei momenti difficili lo priva del sostegno più importante e priva anche voi stessi della possibilità di cementare la vostra amicizia… I neonati imparano a sopportare le frustrazioni, ma al prezzo di una minore fiducia e autostima”.5
  4. Pausa prima di avere un altro bambino. Secondo il Dr. Barker “allevare nel migliore dei modi un bambino fino ai 3 anni richiede un enorme dispendio di tempo ed energia da parte di entrambi i genitori. È importante che i genitori si concedano una pausa tra un bambino e un altro per evitare lo sfinimento a cui andrebbero incontro, anche con le migliori intenzioni, affrontando il difficile compito di soddisfare i bisogni emotivi di più bambini troppo vicini nel tempo”.

Questi quattro punti hanno conseguenze importanti su tutta la famiglia. Non solo per il rapporto di affetto e fiducia che si instaura con i figli; servono anche ai genitori per guarire dalle sofferenze della loro stessa infanzia. Stabilendo un legame affettivo e di fiducia tra genitori e figli grazie a queste condizioni si può fermare il circolo vizioso dei maltrattamenti nell’arco di una generazione. Alice Miller assicura che “è assolutamente impossibile che una persona cresciuta in un ambiente leale, rispettoso e affettuoso si senta spinta a opprimere persone più deboli… Ha imparato molto precocemente che è giusto offrire guida e protezione alla creatura piccola e indifesa; questa consapevolezza, memorizzata precocemente nella mente e nel corpo, dura per tutta la vita”. Un bambino allevato in questo modo cresce con la profonda, incrollabile convinzione che è sbagliato fare del male a un’altra persona.


Purtroppo molti neogenitori ignorano questi punti fondamentali, specialmente se non hanno sperimentato fiducia e amore incondizionato nella loro infanzia. Si può fermare l’inesorabile spirale della violenza attraverso programmi educativi che mettano in rilievo questi punti e mediante nuove leggi in difesa dell’infanzia che garantiscano ai bambini quella protezione a cui hanno diritto e di cui hanno bisogno, oltre a un atteggiamento di maggior comprensione nei confronti dell’infanzia da parte di coloro che intervengono presso le famiglie.


In Scandinavia ci sono leggi che proibiscono i maltrattamenti sui minori, non solo aggressioni fisiche e sessuali, ma anche percosse e bullismo. Queste leggi non prevedono sanzioni ma servono a far crescere la consapevolezza della gente sui legittimi bisogni e diritti dei bambini. Saranno misure efficaci quando tutto il resto fallisce? Alice Miller ritiene che “ogni persona colta sul fatto cerca una via d’uscita. In fondo dovrebbe essere contenta e grata se le viene offerta una via d’uscita che non comporta una condanna e nel contempo non le permetta di danneggiare i suoi figli”.


Per fortuna anche la fiducia e la capacità di amare, una volta trasmesse al bambino, si tramandano di generazione in generazione con la stessa facilità di quanto si tramandano crudeltà e sfiducia. La Miller garantisce che “è assolutamente falso che gli esseri umani siano costretti a continuare a ferire compulsivamente i loro figli (…) le ferite possono guarire e non hanno più bisogno di tramandarsi, a patto che non siano ignorate. È assolutamente possibile (…) rimanere aperti ai messaggi che provengono dai nostri figli, che sanno aiutarci a non distruggere più la vita, ma piuttosto a proteggerla e aiutarla a sbocciare”.

Innato o acquisito?

Nel libro Non è colpa dei genitori6 (The Nurture Assumption), Judith Rich Harris sostiene che siano i compagni e il gruppo – non i genitori – i veri responsabili di come i bambini diventeranno da grandi.

In risposta consideriamo questo estratto da un articolo di Sidney Craig, The Relationship Between Feeling and Behavior, sull’origine della ribellione adolescenziale e la relazione tra sentimenti e comportamento:


“Se desideriamo che i figli trascorrano del tempo con noi, che ci vogliano bene e che si confidino con noi, che diano importanza a certe cose che hanno significato per noi e ci diano ascolto (per esempio, astenendosi dall’uso di sostanze pericolose) dobbiamo comportarci di fronte a loro in modo tale da suscitare affetto, invece di sentimenti di repulsione o rabbia. Non possiamo ragionevolmente aspettarci un buon comportamento dai figli se non sappiamo suscitare buoni sentimenti dentro di loro”.7


Poiché risulta molto doloroso da adulti ricordare e ammettere con noi stessi il dolore del tradimento e delle delusioni che abbiamo subìto da bambini e durante la prima infanzia, è facile ricorrere all’autoinganno. Nel suo articolo fondamentale Childhood Trauma (“I traumi infantili”) Alice Miller spiega:

“Le informazioni riguardanti i maltrattamenti subiti nell’infanzia rimangono memorizzate nel cervello sotto forma di ricordi inconsci. Per un bambino vivere consciamente tali esperienze è impossibile. Se non vuole crollare completamente sotto il peso del dolore e del panico deve rimuovere quelle esperienze. Ma i ricordi inconsci del bambino che è stato abbandonato e maltrattato, a volte addirittura prima di imparare a parlare, lo costringono da adulto a riprodurre ripetutamente quelle situazioni nel tentativo di liberarsi dalla paura che la violenza gli ha lasciato dentro”.8

La prima infanzia è il punto di partenza di tutto l’amore o la crudeltà degli anni successivi. Nella misura in cui neonati e bambini avranno ricevuto compassione, la tramanderanno agli altri. Un proverbio svedese dice: “man far den respekt man ger”, “Ognuno riceve il rispetto che ha per gli altri”. Purtroppo accade anche il contrario. Se comunichiamo disprezzo (incluse tutte le forme di punizione) a un bambino, coltiviamo in lui disprezzo, rabbia e impulsi di vendetta, che saranno fatalmente trasmessi ad altri in un secondo tempo.


Una prima infanzia trascorsa con genitori affettuosi è come una barca ben costruita che proteggerà il bambino dalle successive ondate di delusioni, tentazioni, frustrazioni e malinconie. Dare la colpa della criminalità adolescenziale alle pressioni dei coetanei o ai videogiochi, ai film, alla musica, ai vestiti, a internet, ai mass media o a qualunque altra cosa che appartiene alla cultura contemporanea, è come incolpare una tempesta per aver rovesciato la barca mal costruita di nostro figlio. Sappiamo che ci sarà sempre qualche tempesta nella vita dei nostri figli. Ci saranno sempre tentazioni, delusioni, amarezze, addirittura tragedie. Ciò che conta è la loro capacità di affrontare questi avvenimenti. Abbiamo costruito una barca abbastanza robusta o una barca piena di falle? Dispongono almeno di una barca o sono stati gettati nel mare della vita senza protezione alcuna? E se affogano, incolpiamo il vento, la pioggia, le onde dei motoscafi, le mani dei compagni anch’essi naufraghi che si avvinghiano a loro, oppure ci mettiamo a costruire barche migliori per tutti i nostri figli?


Permettetemi di fare un esempio con mio figlio Jason. Poiché ha sempre ricevuto amore, affetto e fiducia fin dalla nascita, attraversa il mare della sua vita in una barca molto solida. Trovo difficile immaginare una qualsiasi circostanza o esperienza che possa portarlo a commettere un gesto disumano. Farebbe resistenza ai tentativi dei suoi stessi coetanei di portarlo in quella direzione; si sforzerebbe invece in tutti modi di aiutare i suoi compagni perché possano soddisfare i loro bisogni emotivi in un modo più sensato e sano. L’ho già visto comportarsi così.


È una tale sofferenza riconoscere le ferite e le delusioni della nostra infanzia che incolperemmo qualunque altra cosa, pur di evitare quel dolore. Ma la verità è molto semplice: un’infanzia felice dura per sempre.

Tough Love

Un articolo di qualche tempo fa sulla stampa americana riportava la notizia di una coppia di genitori in un grande magazzino che umiliavano intenzionalmente il loro figlioletto scuotendolo e strillandogli addosso. Quando uno dei presenti è intervenuto per opporsi a quel comportamento, i genitori gli hanno risposto: “stiamo solo applicando il tough love”.


Il tough love (“amore duro”) era in origine un metodo per trattare i tossicodipendenti adulti, non certo destinato a bambini che devono ancora imparare dalla vita. L’unica illogica e perversa lezione che questa cosiddetta pratica insegna è che ferire intenzionalmente un’altra persona si possa considerare un “atto d’amore”. I bambini sanno nel loro istinto che questa definizione perversa di amore è priva di senso, ma se questa lezione si ripete abbastanza spesso, incominciano a crederci. Un bambino che impara ad associare l’amore con la sofferenza crescerà emotivamente menomato, confondendo l’amore con la violenza e l’intimità col sadismo.

I genitori che educano i figli con metodi simili ricordino che “la prova del tegame è la torta”. Adolf Hitler veniva spesso umiliato e sottoposto a una severa disciplina, mentre il giovane Albert Einstein era sempre trattato con dolcezza, benevolenza e pazienza, al punto che molti accusavano sua madre di “viziarlo”. Per fortuna lei ignorò quei moniti. Una volta adulto Adolf Hitler manifestò tutta l’angoscia e la sofferenza di quegli anni nei modi che tutti ben sappiamo, riversando angoscia e sofferenza su milioni di persone. Al contrario Einstein non solo divenne uno dei più grandi scienziati dell’umanità, ma fu anche un uomo molto gentile e premuroso, profondamente interessato alle questioni sociali. Certo questi sono due esempi estremi, ma non ho dubbi che ci sia una stretta correlazione tra il grado delle punizioni subite nell’infanzia e i successivi problemi nella vita adulta, tanto quanto sono correlate un’educazione affettuosa e la felicità e la salute che ne conseguono. Con i castighi, le minacce e le umiliazioni non si ottiene nulla a lungo termine perché suscitano odio e risentimento e sviliscono il legame tra genitori e figli. Le punizioni interferiscono con la possibilità dei bambini di imparare dalle esperienze dirette, che idealmente non dovrebbero essere gravate da paura e dolore. Il pedagogista John Holt avverte: “Se spaventiamo un bambino blocchiamo di colpo il suo apprendimento”. La madre in quell’articolo puniva il figlio perché si era dimenticato di tirare l’acqua nel bagno pubblico; ma quello che avrà imparato il bambino da una tale scenata subita dai genitori, e dai presenti che non sono intervenuti a difenderlo, non ha nulla a che fare con l’igiene del bagno. Avrà imparato che è cosa buona e giusta far soffrire e poi ignorare una persona “cara”. Avrà imparato che anche coloro che dicono di volerci bene ci possono ferire. In effetti è probabile che abbia imparato quanto sia stupido fidarsi delle persone che dichiarano di amarci e che è pericoloso permettere a noi stessi di avvicinarci agli altri. La severità e l’insensibilità dimostrata da quei genitori e dal loro trattamento, gli avrà insegnato che il mondo è un posto cattivo e pericoloso. Queste convinzioni sono le peggiori fondamenta possibili per la vita. Sono quegli atteggiamenti che più facilmente inducono a un comportamento aggressivo da bambini e portano a una vita emotivamente povera, egocentrica e infine costellata di inutili tentativi di soddisfare quei bisogni fondamentali che avrebbero dovuto essere soddisfatti nei primi anni di vita. I genitori del nostro esempio sono con ogni probabilità benintenzionati e forse hanno appreso quei metodi educativi dai loro stessi genitori. Sono convinti di insegnare al figlio a comportarsi in modo giusto per crescere e diventare un adulto responsabile. Per ironia della sorte è facile che il loro comportamento produca l’esatto opposto: una ricerca dell’esercito americano ha scoperto che sono le esperienze positive, non quelle dolorose, a predisporre i bambini alle responsabilità di adulti.9

I genitori di quel bimbo stavano obiettivamente maltrattando il figlio. Purtroppo le leggi nordamericane, contrariamente alle leggi di molti altri Paesi, non sono chiare nello stabilire che cosa costituisca una violenza emozionale o psicologica.

Una lettera seguita a quell’articolo suggeriva che i genitori dovevano essere obbligati a indossare un cartello con su scritto: “Io maltratto i bambini”. Purtroppo si potrebbe anche tradurre con: “Io sono stato maltrattato da piccolo”. E così via di generazione in generazione, fino a quando le scuole non insegneranno metodi più illuminati, e finché non saranno formulate leggi nuove e inequivocabili contro la violenza sui minori, per promuovere un trattamento rispettoso dei bambini. L’autore di quella lettera suggeriva inoltre che le persone presenti all’episodio avrebbero dovuto chiamare la polizia. Può darsi, ma bisognerebbe fare anche altre telefonate: chiamare i politici perché rendano più restrittive le leggi contro la violenza psicologica sui piccoli; chiamare i presidi delle scuole perché si ricordino che insegnare metodi educativi positivi conta molto di più che imparare a memoria le date delle battaglie storiche; chiamare i giudici, che devono comprendere la relazione tra le punizioni infantili e i crimini in età adulta, perché smettano di raccomandare “più disciplina” e incomincino a prescrivere percorsi di recupero ai genitori che maltrattano i figli; chiamare i futuri genitori per ricordare loro i princìpi fondamentali del comportamento, ossia che i bambini rispecchiano il trattamento che ricevono e che sono esseri umani meritevoli di essere trattati con dignità e rispetto; chiamare i direttori dei giornali e dire loro che gli articoli che spiegano ai genitori come educare con affetto i propri figli sono infinitamente più importanti delle storie di tizi che tirano una palla in una rete, anche se le notizie sportive vendono di più; chiamare quegli adulti che hanno sì la fortuna di essere genitori ma che hanno difficoltà di adattamento al ruolo, suggerendo loro, con delicatezza, che se hanno avuto un’infanzia difficile potrebbero prendere in considerazione un consulto psicologico per interrompere, fin da ora, il cerchio della violenza. Non c’è da stupirsi che un bambino che ha genitori “duri” soffra e sia talmente ansioso da dimenticarsi di tirare l’acqua. Probabilmente in seguito dimenticherà molte cose, ma si ricorderà che è pericoloso fidarsi degli altri, che è accettabile ignorare la sofferenza dei bambini e che è meno doloroso vivere una vita in solitudine e isolamento piuttosto che rischiare di essere ancora feriti. Amare i bambini significa trattarli con rispetto, pazienza, gentilezza e comprensione, in modo coerente alla regola d’oro: non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Il tough love è duro, questo è sicuro, ma non ha niente a che fare con l’amore.

Rivelazioni di una mamma orgogliosa

Mio figlio di 15 anni mi ha dato solo…

Problemi?


Ero sicura che l’avresti detto! No, mio figlio mi ha dato solamente gioia.

Vuoi scherzare? E come hai fatto?


Sono orgogliosa di mio figlio, ma non è merito mio. Suo padre e io siamo solo stati fortunati perché, dopo qualche errore iniziale, abbiamo letto dei libri e riviste per genitori e abbiamo iniziato ad approfondire le problematiche familiari grazie all’aiuto di amici comprensivi e ben informati. E così oggi nostro figlio è la persona più premurosa, gentile e generosa che io conosca.

Dimmi, per favore! Cosa avete fatto?


Be’, abbiamo fatto l’esatto contrario di quello che la società diceva di fare. Ha dormito con noi, è stato allattato al seno per più anni, non è mai stato punito, minacciato o umiliato, gli abbiamo permesso di esprimere la sua felicità e la sua rabbia…

Ah, l’avete viziato?


Bene, esaminiamo questa parola. Alla voce “viziare”, il dizionario riporta: “generare richieste o aspettative eccessive per eccesso di indulgenza”. Nel mio dizionario questa è la terza definizione, rispecchia il senso comune di questa parola nella nostra società e stabilisce una causa e un effetto: l’eccesso di indulgenza, si dice, è la causa dei vizi. Ma è giusta questa credenza? O è una definizione che esprime solo una diffusa incomprensione della vera natura del bambino? La definizione più corretta di come i bambini imparano e reagiscono davvero corrisponde alla prima della lista: “danneggiare o ferire, distruggere”. Quello che veramente vizia un bambino, quello che lo danneggia e lo ferisce sul serio e che distrugge le qualità umane vitali dentro di lui, sono gli altri metodi educativi: le punizioni, la separazione e il rifiuto. Queste esperienze viziano il senso innato che il bambino ha della fiducia, della capacità di amare, di creare e di poter essere felice. Derubare un bambino di questi doni preziosi è sicuramente uno degli atti più gravi che un essere umano possa commettere.

Dove posso trovare le informazioni che ti hanno aiutato?


Puoi leggere Mothering, The Compleat Mother, Kindred. Incontrare le madri della Leche League e altri gruppi di sostegno per l’allattamento al seno. Parlare con le levatrici. Leggere i libri di Alice Miller, Joseph Chilton Pearce, Tine Thevenin e John Holt. Ascoltare quello che vi dice il vostro cuore. Credere fermamente che il bambino vi farà capire che cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Come fa un bambino a dirmelo?


I bambini vengono al mondo con fiducia e perfetto amore. Non sospettano, non diffidano, non fanno “giochi mentali”, non hanno dubbie motivazioni o oscuri argomenti di qualsiasi genere a meno che, o finché, la loro fiducia non venga tradita da esperienze dolorose, come punizioni, il rifiuto o la separazione dai genitori. I sorrisi e le lacrime di un bambino sono la più potente forma di comunicazione di questo pianeta.

E se ho già sbagliato, cosa posso fare?


Non esistono genitori perfetti. Anche se abbiamo fatto degli errori, punire noi stessi non serve e non ha più senso che punire i bambini. Volerci bene e capire che abbiamo fatto tutto quello che potevamo in base alle informazioni e la forza interiore che avevamo in quel momento è importante tanto quanto amare e capire i nostri figli. Possiamo manifestare l’amore che sentiamo, riconoscere l’importanza del modo di essere genitori e continuare a scoprire modi comprensivi di metterci in relazione con i figli, che sono il nostro dono più prezioso.

Quali sono le cose più importanti che un genitore dovrebbe conoscere?


Due cose. Primo: nella nostra società si pensa che adulti e bambini si comportino secondo due diversi e distinti codici di comportamento. Come adulti sappiamo che ci comportiamo meglio se veniamo trattati con gentilezza, pazienza e comprensione. Invece si pensa che i bambini si comportino meglio se vengono minacciati, puniti e umiliati. Se proviamo a capire in quale età avvenga questa misteriosa trasformazione dai “princìpi infantili di comportamento” ai “princìpi di comportamento dei grandi”, non sappiamo rispondere, perché in realtà non esiste. Non c’è nessuna differenza nel modo in cui si comportano adulti e bambini: tutti ci comportiamo così come veniamo trattati.


Secondo: se un bambino si comporta male i genitori hanno la possibilità straordinaria di confermare i suoi sentimenti e dare un gentile insegnamento di vita. Per esempio, a un bambino che ha appena colpito un amico si può dire: “Capisco che sei molto arrabbiato. Volevi il giocattolo tutto per te, ma adesso tocca a Joey. Va bene essere arrabbiati ma non va bene colpirlo. Cosa vorresti fare mentre aspetti il tuo turno?” Parlando in questo modo il bambino riceve una risposta corretta sull’amicizia e impara dall’esempio reale come si può rispondere a una persona arrabbiata in modo paziente e sensibile. Se invece il genitore ricorre a un castigo, l’opportunità di imparare qualcosa da quella situazione va persa, perché l’attenzione del bambino è distolta dalla situazione presente e sprofondata invece in sentimenti di rabbia, umiliazione e fantasie di vendetta. Pochissimo viene appreso sul modo di comportarsi la volta successiva che si presenta una situazione simile.


Concludendo, un “buon comportamento” superficiale, ottenuto attraverso minacce e sanzioni, può durare solo fino al giorno in cui il bambino sarà abbastanza cresciuto per ribellarsi. Se invece rispettiamo la sua integrità, la sua innata fiducia, gentilezza e comprensione fin dalla nascita, rinforzate da esempi coerenti da parte degli adulti, quelle qualità umane dureranno tutta la vita.

Capisco, si tratta solo di aver fiducia nei bambini, riconoscere che hanno meno esperienza e sono più piccoli di noi, ma meritano di essere trattati con uguale dignità e rispetto degli adulti. Dai neonati ai centenari tutti gli esseri umani si comportano nello stesso modo in cui sono trattati.

In memoria di un padre affettuoso

Questo articolo è dedicato con affetto e gratitudine a Nathan Baron (1903 – 1990)


Mio padre è cresciuto in una famiglia di immigrati russi del nord Ohio. Erano undici figli in famiglia, più numerosi parenti nel vicinato.


Papà ricordava spesso i primi anni vissuti nella sua famiglia. Un giorno ci descrisse una tipica giornata in casa: sua madre aveva l’abitudine di compilare la lista delle trasgressioni: tornato a casa dal lavoro, suo padre avrebbe usato la cinghia sui colpevoli. La mamma interveniva solo per implorare: “Non sulla testa! Non sulla testa!” Mio padre non lo avrebbe mai chiamato “maltrattamento sui minori”, eppure sapeva ugualmente che era sbagliato trattare i bambini in quel modo.


Per aiutare a mantenere la famiglia, all’età di otto anni papà andò a vendere i giornali in strada; non gli era permesso tornare a casa fino a quando non aveva venduto tutte le copie. Anche questo, forse, non l’avrebbe chiamato “maltrattamento sui minori”…


Mio padre confidava spesso il suo profondo desiderio di dare ai suoi figli l’infanzia che lui aveva perduto. Non ha mai picchiato i suoi bambini e, sebbene qualche volta fraintendesse le nostre intenzioni, cercava sempre di fare quello che pensava fosse nel nostro interesse. Quando una volta gli chiesi come fosse riuscito a trattare me e mio fratello meglio di quanto era stato trattato lui da suo padre, mi rispose: “Volevo che i miei figli avessero una vita migliore di quella che ho avuto io”. È stato un buon esempio per me, l’esempio di un uomo che ha trovato nel suo cuore il modo di trattare i suoi figli con più sensibilità di quanta ne avesse ricevuta lui da bambino.


Una volta chiesi a mia madre come mai papà riuscisse a essere così affettuoso malgrado le tante punizioni che aveva subìto da parte di suo padre. Mamma mi rispose subito: “Grazie a sua sorella Sarah, che lo proteggeva”. Trovai interessante che mia madre, che non aveva mai studiato le radici emozionali del comportamento umano, avesse questa percezione interiore. Devo molto a Sarah; lei stessa deve essere stata protetta da qualcuno. Questo è quello che mi fa sperare: l’amore si tramanda attraverso le generazioni altrettanto facilmente quanto la sofferenza.


Papà è mancato nel 1990, all’età di 87 anni. Negli gli ultimi anni della sua vita ha sofferto di cancro alla prostata e calo della vista, ed era diventato molto fragile. Era quasi cieco, un po’ sordo e per spostarsi aveva bisogno di un girello. Era sempre stato magro ma alla fine era proprio pelle e ossa. L’uomo che aveva goduto di più di ottant’anni anni di vita attiva e in buona salute era sconfitto. Ma lui non l’avrebbe mai ammesso. Solo pochi mesi prima di morire si eccitava ancora come un bambino quando andavamo fuori a cena. Un giorno, durante quella che sarebbe stata la mia ultima visita, usò il girello per la prima volta in mia presenza. Doveva aver notato la mia sorpresa, perché mi cinse la schiena e sussurrò: “Non ne ho bisogno, lo uso solo per far contenta la mamma”. Dopo la sua morte confidai questo ricordo a mia mamma. Ci stupivamo per la sua fierezza e forza di volontà, che nemmeno il cancro era riuscito a spezzare. Anche se papà è vissuto fino quasi a novant’anni, per me sarà sempre com’era nei suoi quaranta, talmente vividi e speciali sono i miei ricordi degli anni trascorsi insieme a lui quando ero piccola. Sebbene lavorasse molto e fosse sempre impegnato, prima viaggiando come rappresentante di commercio e poi come dettagliante, trovava il modo di passare abbastanza tempo con me, tanto che lo ricordo sempre a casa.


I miei ricordi più preziosi sono quelli delle nostre passeggiate nel quartiere. Papà camminava e io pedalavo sul mio triciclo. Avrò avuto tre o quattro anni. Superati due isolati, vedevamo le case dietro a quelle della nostra via e io mi eccitavo. La maggior parte di quelle case erano in stile inglese Tudor, mentre quelle del nostro caseggiato erano tipiche case americane degli anni ’40, in mattoni e legno. Non era il diverso stile architettonico a suscitare il mio entusiasmo, ma mio padre che faceva finta che ci trovassimo a Londra: non solo circondati da case inglesi, ma proprio in Inghilterra! È lì che sono diventata, all’età di tre anni, una viaggiatrice del mondo, che andava in Inghilterra tutti i giorni. A papà piaceva molto viaggiare, e aveva sempre creduto nei sogni…


Papà viaggiava spesso quando io ero piccola, ma ci spiegava sempre quanto profondamente sentisse la mancanza di tutti noi mentre si trovava lontano da casa. Avevo una collezione internazionale di bambole, tutte vestite con i loro costumi tipici. Quando papà tornava da un viaggio di lavoro mi veniva incontro con grande gioia ed entusiasmo e mi portava una bambola in regalo. Ma non erano le bambole che mi importavano, e non ho mai avuto l’impressione che le usasse come sostituto della sua presenza. Le bambole erano il suo modo per dirmi che gli ero mancata e mi pensava mentre eravamo lontani l’uno dall’altra: un messaggio sottile per una bambina piccola, ma lui trovava il modo di comunicarmelo. Mi descriveva in tutti i dettagli il suo percorso verso il negozio e poi mi diceva le ragioni per cui aveva scelto proprio quella bambola e mi spiegava qualcosa del paese che rappresentava. Il suo piacere e la sua contentezza per la mia felicità erano evidenti.


Papà aveva un fantastico senso dell’umorismo; qualunque cosa stesse facendo, si fermava improvvisamente se qualcuno aveva una barzelletta da raccontare. Si rideva molto nella nostra famiglia. L’attore preferito di Papà era Jack Benny. Come Jack, tutti gli anni il giorno del suo compleanno papà ne compiva 39. Quando io compii davvero 39 anni, lui scherzò sul fatto che ora avevamo la stessa età. Mi ha donato il regalo prezioso di saper cogliere il lato umoristico nelle situazioni più difficili.


Poco prima che morisse ho sognato la sua morte. Nel sogno mi sentivo profondamente triste e mi sfogavo con un amico dicendo: “Adesso non potrò più raccontargli le barzellette”.

Raramente si dice quando un uomo di quell’età muore, ma è vero per mio papà: “Era così giovane”.

Genitori con il cuore
Genitori con il cuore
Jan Hunt
I bambini si comportano così come vengono trattati.L’amore senza condizioni, la gentilezza affettuosa, l’assenza di minacce e castighi, così come di ogni modalità manipolatoria nella relazione con i figli. Non esistono genitori perfetti, ma possiamo riconoscere l’importanza cruciale di come ci comportiamo nei confronti dei nostri figli.La propensione all’aggressività è legata, infatti, ai bisogni non corrisposti; dobbiamo, quindi, scegliere di accettare i bisogni umani dei nostri figli aprendoci a loro con il cuore.I bambini trattati con amore risponderanno con amore: per fare questo dobbiamo avere fiducia in loro e in noi stessi.Genitori con il cuore può indicarci la strada giusta per un’educazione più equilibrata: una guida tenera e illuminante in cui Jan Hunt, psicologa e terapeuta specializzata nel rapporto tra genitori e figli, coniuga i princìpi dell’attaccamento parentale ai diritti del bambino e alla filosofia dell’homeschooling, seguendo un approccio moderato e coerente per educare un bambino affettuoso, sicuro di sé, altruista e determinato. Conosci l’autore Jan Hunt, B.A. Psychology, M.Sc. Counseling Psychology, è direttrice del Natural Child Project e consulente editoriale del trimestrale “Empathic Parenting”, pubblicato dalla Canadian Society for the Prevention of Cruelty to Children (CSPCC).È membro della direzione del CSPCC e dell’Alliance for Transforming the Lives of Children, è presente sull’Advisory Board del The Child-Friendly Initiative and Attachment Parenting International e consulente per il Northwest Attachment Parenting.