Come parlare ai bambini per essere ascoltati
“Hai notato, dice Angela Paulon che coordina il Nido di Germignaga presso Luino, come si rivolgono oggi i genitori ai bambini? Pongono domande invece che semplici proposizioni, come a schivare a priori la protesta del figlio. “Andiamo a letto?” dice la madre: la risposta pronta è “No”. “Vuoi mangiare?”, “No”. La gentilezza viene confusa con una sorta di richiesta di permesso rivolta al bambino. Abbiamo perso il senso del limite”.
In effetti, un piccolino a uno o a due anni dovrebbe dichiararsi d’accordo su ciò che è necessario per il suo benessere? Quali strumenti ha per dire sì o no? L’adulto, per evitare il conflitto, lo carica di una scelta che non è in grado di compiere; in realtà lo rende in qualche modo “potente” e il conflitto arriva ugualmente. La risposta del figlio finisce per condizionare l’adulto e il bambino fa presto a rendersene conto. Alla fine nel tira-e-molla che si osserva in tante famiglie, proprio lui finisce per vincere.
– Non mi piace il riso!
– Allora ti preparo la pastasciuttina.
Quando è pronta: – Non la voglio.
– Ma allora che cosa vuoi?
– Voglio il prosciutto!
E così via fino all’esasperazione. “Purché mangi!!”. Ma no! E poi chi è responsabile: l’adulto che non sa dare una norma di vita o il bambino che, per assenza di regole chiare e stabili, è costretto a sprecare le proprie energie in questo gioco malato?
Chi dei due dovrebbe avere la saggezza per indicare la strada necessaria?
“Nell’atteggiamento del genitore, osserva ancora la nostra amica, pare esserci una richiesta rivolta al figlio: quella di venire da lui autorizzato a prendere una decisione al suo posto, quasi temesse di sbagliare, rivelando un’insicurezza di fondo nel suo ruolo. Lo si vede al mattino durante il tempo dell’accoglienza: genitori che faticano a separarsi dal bambino e gli chiedono ‘La mamma può andare?’. Il 90 percento delle risposte è un ‘no’ deciso, cui il genitore replica con una supplica, con un tentativo di distrazione o con un’altra domanda: ‘Vuoi stare qui o andare di là?’ (indicando la sala oltre la stanza dell’accoglienza) e il bambino si incolla alla mamma, esprimendo senza parole, ma con chiarezza: ‘Voglio stare con te’.
È una modalità da cui si esce a fatica. La soluzione è nel parlare in modo gentile ma affermativo quando ci si rivolge ai figli, soprattutto dopo i due anni…”.
Dunque niente domande (“Vuoi…?”). Né funziona mettere il bambino piccolo di fronte a continue scelte verbali che ancora non può sostenere. “Vuoi stare a casa o andare dalla nonna?”. “Vuoi il riso giallo o il riso rosso?”. Si arriva perfino a chiedere: “Quest’estate vuoi andare al mare o in montagna?”. È una modalità che alleva nell’insicurezza e nella saccenteria.
In effetti il piccolo con la sua vocetta risponde, ma senza alcuna consapevolezza delle proprie parole, date lì sul momento. Quando si trova a dover uscire o ad affrontare il piatto con il riso giallo, si oppone con tutte le forze. “Ma perché fa così se gliel’ho chiesto prima?”. Semplicemente perché la richiesta è prematura, è astratta. Forse nemmeno la ricorda! Questo si può fare con il ragazzino dei nove/dieci anni; anzi, si dovrebbero sempre discutere insieme le decisioni di famiglia a partire dalla seconda infanzia (e invece spesso non lo si fa, perché ormai si è esausti), ma quando i bambini sono piccoli, il loro bisogno fondamentale è la sicurezza, data anche dal tono calmo e sicuro con cui la madre dice: “Adesso andiamo dalla nonna” o con la quale mette in tavola il cibo che ha preparato.
Avere modi garbati ma fermi e senza via d’uscita, dà pace al bambino. Che dire allora della “scelta”? Questa deve avvenire – e non di continuo – in modo concreto: tra i giochi (pochi) a disposizione, tra i calzoni verdi e quelli blu, lì davanti agli occhi e solo quelli (e non l’intera provvista di tute, calzoncini, golfini di mille colori, come usa oggi).
La scelta per ora deve essere contenuta, accessibile ma ragionevole, per non scatenare insaziabilità e scontento.
Ancora una volta, evitiamo di anticipare.
Immaginiamo una situazione di continuo conflitto sui cibi.
Come superarla? Intanto non porre domande a priori. All’ora prevista il genitore dice: “Ora si mangia” (e magari il bambino ha collaborato nel preparare qualcosa: spalmare il burro sulle fette di pane, mescolare la crema, apparecchiare…). Ci si mette a tavola di buon umore. Al primo “Non mi piace”, si risponde tranquilli: “Va bene, si vede che non hai appetito”. (La fame è tutt’altra cosa!). Si toglie il piatto e non si dà altro, senza farsi prendere dall’ansia di un ipotetico danno, inesistente per i nostri bambini supernutriti.
Non si insiste, non si contratta. “Voglio la banana!”. “No, prima non hai mangiato il riso, vuol dire che non hai appetito” (ripetere sempre la stessa frase con tranquillità senza accontentarlo). Tutt’al più: “Ora puoi andare a giocare e farai merenda alle quattro”; e sulle quattro non si fanno anticipi! Provate: le sceneggiate finiscono nel giro di pochi giorni. Tale atteggiamento tranquillo, distaccato spiega perché al nido non c’è bambino che, prima o poi, non mangi di gusto perfino cibi per lui insoliti, che a casa rifiuterebbe.
La stessa cosa per il sonno. La soluzione sta nella fermezza dei familiari, ben coerenti fra loro, e questo non significa violenza, imposizione, punizioni, lasciarlo urlare perché si pieghi, ma essere vigili sui segnali di sonno per non trascurarli. Se sorge la protesta, si dice tranquillamente “Ora è il momento della nanna”, così come si insegna a lavarsi le mani prima di toccare un biscotto o come si cambia un abito sporco: occorre la tranquilla ineluttabilità delle cose che vanno fatte e senza modificare o prolungare il rituale stabilito.
Se si agisce così fin dal principio, tutto è più semplice. E invece gli adulti, temendo urli e strepiti, cedono, cominciano a far prediche a priori, proibiscono, sgridano: parole inutili, noiose, sgradevoli. Il bambino le capisce, eccome. Siamo noi che ci mettiamo in lotta con lui perché non ci fidiamo e non il contrario: abbiamo sempre nella testa la vecchia idea del bambino-legno-storto dalla nascita: i Greci assolutamente geniali in tante cose, questa proprio non l’avevano capita. Che si fa per raddrizzare un tronchetto o una tavola? Si pialla, si batte, si tratta con l’acqua o con il fuoco per dare la forma voluta: tutti i mezzi sono validi e leciti per “modellare” il legno.
Ma un bambino?