CAPITOLO VII

Vie per prevenire i malesseri da sonno

La maggior parte di noi avrà certo sperimentato l’effetto sonnolenza che insorge dopo aver mangiato (malgrado il caffè!) o quello provocato dall’essere trasportati in treno, in tram, in auto. È un fenomeno che si osserva fin dai primi mesi di vita: dopo la poppata il piccolo si assopisce, e così quando sente movimenti cullanti. “Appena esce (in carrozzina o in auto) si addormenta subito”, dicono le mamme. Prima della nascita, nel suo straordinario contenitore uterino, quando la madre camminava di solito stava fermo, mentre quando lei riposava si lanciava in calci, rivolgimenti e altro ancora, al punto che lei di notte a volte non riusciva a dormire. Dopo la nascita, un bambino motoriamente molto attivo manterrà in parte le sue caratteristiche che i genitori dovrebbero seguire, evitando di indurre il sonno con un eccesso di movimenti ritmici.


Far dormire un bambino a forza, addormentarlo a furia di dondolamenti, tisane o, peggio di tutto, farmaci, di sicuro non è sano. Il sonno dovrebbe scaturire dal passaggio naturale dopo ogni poppata, legato alla sensazione di sazietà, come al risveglio quella di fame: una sorta di meccanismo fisiologico indipendente dalla volontà che va compreso e seguito il più possibile.

Seguire i ritmi secondo l’ora di nascita

Ecco una saggia precauzione: il primo riposo poco dopo essere nato talvolta è lungo. Se il bambino è nato di mattina, tenderà a dormire per gran parte della giornata, con piccolissimi risvegli per succhiare un poco, il giorno seguente è probabile che ripeta lo stesso andamento e così il terzo.


Se invece nasce di notte, il primo riposo durerà, forse, fino a mattina; in seconda giornata riposerà probabilmente per più ore ancora di notte e così in terza. Per lui, che non è ancora in sintonia con il ritmo esterno giorno/notte, luce/buio (ci arriverà a gradi), la cosa è indifferente, ma solo nel secondo caso la madre ne trarrà vantaggio, soprattutto se il neonato manterrà un tale ritmo. Nella prima eventualità invece gli ci vorrà un tempo più lungo per “trovare la notte”; eventualmente la mamma potrà condurvelo a poco a poco, con spostamenti minimi progressivi che non lo disturbino, aiutandolo a stare un po’ più sveglio se possibile, fino a raggiungere un risultato conveniente per entrambi. Teniamo presente che le modifiche rapide sono controproducenti, mentre quelle lente, non devastanti, richiedono almeno due settimane di tempo!


Va anche detto che differenze così nette tra giorno e nottata non sempre si verificano: ci possono essere situazioni intermedie più facilitanti.


Mantenere i ritmi nel tempo è basilare. Può accadere che in principio la mamma lo corichi non appena sembra assopirsi, ma in seguito cambi abitudine, senza rifletterci molto; qualche volta in un modo, qualche volta in un altro, con lo svantaggio che il neonato non sperimenta quella ripetitività di sensazioni che gli dà stabilità1. Sarà monotono per noi, ma per lui, nuovo a tutto, assolutamente rassicurante. Non bisogna mutare a caso ciò che al piccolo dà pace. Molte donne d’istinto seguono questa strada: anche quando si spostano in altro ambiente – per le vacanze ad esempio – cercano di non alterare le abitudini e se possibile nemmeno il luogo del sonno (portandosi dietro la cestina o il lettino), conservando con semplici accorgimenti non mutevoli – salvo segnali diversi che vengano dal bambino – i rituali che precedono il sonno lungo. L’attenzione al ritmo naturale indicato dal piccolino è assai raccomandabile almeno per tutto il primo anno, ma anche oltre, per i bambini più delicati o fragili.

Attenti agli stimoli in eccesso

Dicevamo nel capitolo precedente: “la notte riflette molto il giorno”: un’idea guida nata dall’esperienza che dovrebbe accompagnare tutta la prima infanzia. Tante volte non ci si rende conto del fatto che i piccoli, portati qua e là al ritmo frenetico degli adulti, ricevendo tanti stimoli, ma non potendo quasi mai scegliere il momento dei loro piccoli giochi ripetitivi – non fosse che guardarsi in pace la manina che si apre e si chiude – diventano a poco a poco irrequieti. Insoddisfatto il loro desiderio di scoperte in prima persona, restano come vuoti, annoiati e anche, come usa dire, “stressati”.


Oggi è sempre più frequente vedere bambini di pochi mesi portati in pizzeria la sera in mezzo a tante persone, rumori, odori, fumi, esposti precocemente al chiasso, a ore di televisione (passaggio veloce e per loro incomprensibile di immagini e di suoni) oppure affidati a tante mani, a persone diversissime tra loro nei modi di sentire, di parlare, di trattare…


Questo avviene soprattutto quando le madri riprendono il lavoro. Se lo fanno a tre mesi dal parto, costrette dal timore di essere licenziate o per altri motivi, non solo si separano troppo presto dai loro piccoli, ma sono indotte di colpo a ritmi molto veloci, finendo per volerli addormentare in ogni modo possibile. Il bisogno di abitudini regolari viene trascurato: ad esempio si ignora il fatto che bambini nati con cesareo – oggi in ingiustificabile aumento – fanno più fatica a trovare un buon ritmo di vita: in principio sembrano più addormentati, nelle settimane seguenti più eccitati.


Si sente anche dire che“l’insonnia è ereditaria”, a proposito di bambini che dormono poco. È possibile che sia così, ma forse, senza volerlo, si chiede loro fin dai primi mesi di adeguarsi agli orari dei genitori, rinunciando di conseguenza ai propri.


Queste modalità inquiete, dettate dallo stile di vita familiare, non sempre sono indolori. Vediamo bambini che già nel primo anno guerreggiano con gli adulti, mordono, distruggono i giochi, diventano dispettosi e oppositivi: A. non vuole mangiare, B. non vuole dormire, F. non vuole fare il bagno, G. ha sempre il dito in bocca, R. è tutto un “no” che a casa non sanno come arginare. Piccolissimi, scoprono rapidamente come tenere in pugno gli adulti, e non perché siano tiranni “di nascita” – come sembra sostenere Estivill – ma perché l’affettuosità disattenta e superficiale dei genitori li induce a sprecare le loro energie in confusi meccanismi di richiesta e di difesa, diventando personaggi difficili da trattare.


È il classico circolo vizioso: il bambino che dorme male si presenta irritabile, svogliato, senza iniziative di gioco, ma anche il bambino che si annoia di giorno o che viene artificiosamente iperstimolato da troppe parole, da continue proposte, si addormenta a fatica ed esige sempre attenzione, anche di notte…

I riti della sera

La Terra gira intorno al Sole e infallibilmente porta con sé l’alternanza della luce e del buio. Gli antichi, che non avevano come noi l’uso dissennato dell’illuminazione elettrica in casa e fuori, erano molto sensibili alle sfumature celesti: l’alba “dalle dita di rosa”, il vespero con la prima stellina, le notti di luna e quelle del buio profondo. Ogni bambino che nasce tutto vuole conoscere e scoprire: guarda con meraviglia ai mutamenti di luce ma ben presto viene soverchiato dalle abitudini urbane. Se invece per la sua pace provassimo a offrirglieli con appuntamenti regolari?


Ad esempio nella luce trionfale del mezzogiorno ci sono momenti di attività, di osservazione delle cose e delle persone, mentre a sera la luminosità si ammorbidisce, i colori si smorzano: viene il momento – tra le 18 e le 20 – del bagno quotidiano, piuttosto caldo (38°) e prolungato (15-20 minuti): il piacere di stare immerso, del sentirsi dondolato nell’acqua. La mamma è seduta per non stancarsi, la vaschetta è davanti a lei su un piano stabile. Dopo l’anno nell’acqua si possono aggiungere poche gocce di olio essenziale di lavanda con effetto rilassante). L’ambiente è caldo e anche l’asciugamano è tiepido, già pronto: un’esperienza di grande piacere che, come per il bambino più grande seduto nella vasca, porta ogni giorno a nuove scoperte. È un rituale da non perdere: se nelle prime settimane lo riconduce a inconsce memorie della vita uterina, a poco a poco gli fa sperimentare uno dei grandi piaceri della vita: la confidenza con l’acqua. Occorre però tempo, calma, regolarità.


Anche quando cresce, l’abitudine del bagno prima di cena è un buon appuntamento, tanto più se lo si lascia giocare con l’acqua, scoprendo come lavarsi i piedini da solo e così via: al termine si mette il pigiamino, segue una cena leggera a giusta distanza dalla merenda e dal momento di andare a letto.


Dopo mangiato niente giochi o esperienze troppo vivaci, una canzone e una sola – ripetuta a voce non squillante – o un piccolo libro: potrebbe sceglierlo lui stesso fra due o tre (non di più se ha solo uno o due anni). Un’esperienza contenuta nei tempi e nei modi è fonte di tranquillità, mentre una scelta troppo vasta può risultare inquietante, anche se reagisce con entusiasmo e prontezza.

Sovraeccitare il bambino prima di andare a letto è un rituale in negativo! “Lo faccio stancare, così dormirà di più” e invece il piccolo – agitato da troppi stimoli, giochi rumorosi di movimento, suoni e luci, lunga attesa prima che il papà arrivi, felicità dell’incontro – finisce per addormentarsi a fatica, con richieste di ulteriori attenzioni cui è facile che seguano ripetuti risvegli.


La tenerezza comporta anche il contenimento, il senso del limite.


Se per caso si ammala, spesso le buone abitudini acquisite si volatilizzano e allora… temporali in vista! Si può curare teneramente un bambino senza instaurare novità che poi è difficile mantenere. Tenerselo nel letto in quella circostanza e pretendere che torni a dormire da solo quando è guarito, è per lui è un vero inganno. Se non si vuole cambiare, piuttosto mettere vicino al suo lettino una branda per stargli accanto giorno e notte finché è sofferente o fa brutti sogni (accade con la febbre alta!).


In conclusione: importante fin dal primo anno creare un breve rituale rassicurante che non cambi, si concluda poco dopo e non a notte inoltrata. Alla fine, infilatolo sotto le coperte2, gli si può restare accanto in silenzio, con una mano sul corpo, qualche lieve carezza sulla schiena o sul capo. Gesti lievi, di breve durata. Una piccola ninna-nanna. Si risveglia? Non prendiamolo subito in braccio (salvo urli del tutto insoliti che possano far pensare a un mal d’orecchi – dolorosissimo – o ad altro del genere), non riportiamolo nelle stanze illuminate dove si parla o si guarda la TV. Ripetiamo nell’oscurità naturale della casa gli stessi gesti, usiamo poche parole a voce tenue: se manteniamo abitudini calme, rassicuranti e ferme, il bambino si adeguerà senza sofferenze di sorta.


Com’è faticosa per noi adulti tanta ripetitività, eppure è il mezzo migliore per dare al piccolo quel quieto conforto che previene ogni timore di abbandono. I cambiamenti, se necessari, è sempre meglio proporli a piccole dosi!

Cibo e sonno

Un’altra prassi negativa per indurre il sonno è rimpinzare il figlio perché non si svegli in anticipo per fame, con il pregiudizio del “non-mangia-mai-abbastanza” (che rischia di rendere il bambino troppo paffuto e obeso). Al primo risveglio notturno giù un poppatoio di latte e biscotto sciolto dentro, una super-nutrizione che oltre tutto rovina i primi denti (a causa delle sostanze zuccherine che restano in bocca). Oppure gli si dà a cena un pappone ipernutriente, a digestione più lenta3.


Una delle ricerche più importanti, a tutt’oggi forse insuperata, sulla relazione tra alimentazione e sonno nei primi anni, venne condotta circa quarant’anni fa dai medici francesi Robert Debré e Alice Doumic4: per primi collegarono i disturbi del sonno nei lattanti all’allattamento a orario rigido e quindi ai risvegli forzati. “Perché – si chiedevano i due studiosi – i disturbi vanno a posto entro 24 o 48 ore dopo che il bambino ha potuto avere orario libero e risvegli spontanei?”. Studiarono i tracciati EEG evidenziando le differenze del comportamento cerebrale in bambini a risveglio spontaneo rispetto a quelli che venivano svegliati per mantenere una regolarità di orario, e ne conclusero l’assoluta superiorità di “un regime alimentare libero”, ovvero l’allattamento a richiesta.


Considerarono anche le differenze di comportamento indotte dall’allattamento artificiale rispetto a quello materno, affermando che solo quest’ultimo appaga il bambino. “Non solo avrà una suzione più lunga e soddisfacente, ma questo tempo verrà da lui associato a scambi affettivi molto ricchi. Mai il contatto con la madre sarà altrettanto perfetto e stretto come nel corso dell’allattamento al seno” (…). Con l’allattamento artificiale il tempo di suzione è più breve e meno ricchi gli scambi affettivi. Il bambino cercherà di supplire a tale insoddisfazione con la suzione del dito [allora il ciuccio non usava], comincerà a succhiarlo quando il tempo di suzione durante la poppata è troppo breve e quindi insufficiente, soprattutto se con la crescita diminuisce il numero delle poppate, da 7 a 6, poi da 6 a 5 verso il secondo mese (…). La suzione del dito sembra indurre una sorta di rilassamento muscolare che concilierebbe il sonno. Alla lunga diventa un rito indispensabile per l’addormentamento. Non si tratta certo di impedirlo, ma si vuole insistere una volta di più sul valore dell’allattamento al seno” (… ).


Col tempo la suzione del dito si assocerà ad altri riti per potersi addormentare: stropicciare una certa stoffa, sempre la stessa e dello stesso odore, arrotolarsi i capelli, stringere l’orsacchiotto o la bambola. Alcuni piccoli chiedono una stessa frase o la stessa carezza, tutti riti che cercano di tenere lontana l’angoscia notturna e soprattutto l’angoscia di separazione dalla madre. Tentare di eliminarli drasticamente provoca stati di insonnia, né lo farebbe mai una madre affettuosa, consapevole del fatto che il bambino trova in essi una sorta di sicurezza per potersi abbandonare al sonno più facilmente”5.

Anche la Daws6 fa riferimento al rapporto fra alterazioni del sonno e alimentazione, ricordando come taluni risvegli notturni compaiano o si aggravino in concomitanza con esperienze di separazione, una delle quali è lo svezzamento.


Quanto alla durata complessiva del sonno i due ricercatori francesi sottolinearono che a loro risultava legata allo sviluppo del sistema nervoso e condizionata da fattori individuali. “Come fra gli adulti, ci sono piccoli che dormono molto e altri che dormono poco… Sembra che dormano di più bambini di peso maggiore o a maturazione neurologica più lenta, ma anche quelli che appaiono più soddisfatti sul piano affettivo”7. Tutte osservazioni confermate dalle ricerche più recenti. In altra parte di questo ampio studio8 si parla di disturbi del sonno di giorno e di notte “legati a stati di ansietà profonda originata da angosce materne vissute in gravidanza per solitudine, paure, abbandono, insicurezza”. Torniamo qui al tema della preparazione al parto/nascita che oggi non costruisce a sufficienza quella rete protettiva attorno alla madre gestante e puerpera che un tempo esisteva nelle famiglie allargate.

Quando il bambino comincia a esplorare…

Tutte queste osservazioni ci riportano a considerare un neonato o un lattante non come una sorta di macchina a gettoni che si possa comandare dall’esterno, ma un essere vivo, delicatissimo e facilmente condizionabile da fattori estranei, che possono favorire lo sviluppo naturale o viceversa ostacolarlo.


La mamma favorirà indirettamente il riposo notturno (che comunque non andrà quasi mai oltre le otto ore filate entro i 6-7 mesi) seguendolo nel suo cammino, mettendolo in condizione di vivere pienamente le ore di veglia – in principio solo con gli occhi, poi con le mani, dopo ancora con le mani e la bocca. Tra i 6 e i 10 mesi, quando comincia a star seduto da solo con sicurezza, il bambino avvia spontaneamente un nuovo tipo di esplorazioni. Afferra un oggetto, lo porta alla bocca; lo posa, poi lo riprende, lo lecca, talvolta lo succhia, lo mordicchia, tutte azioni che gli consentono di scoprire forme, superficie, rugosità, spessore, odore.


È un formidabile momento conoscitivo9 che può venir bloccato dall’uso permanente di quel “tappo” che è il succhiotto, oggi più che mai diffuso, pratica – come si osserva in molti nidi – che addormenta le curiosità naturali. L’invenzione della catenella, che fissa il ciuccio al vestito, peggiora le cose in quanto il bambino, ormai sicuro nei movimenti, lo ha sempre a disposizione e da solo se lo rimette in bocca.


Ulteriore comodità per la madre? Sì.

Conquista di indipendenza per il bambino? No davvero, visto che diventa dipendente dal continuo succhiare.


Il risultato è che questo gli impedisce, prima dei dodici mesi, quella spontanea attività di conoscenza sensoriale descritta sopra. Con il ciuccio sempre pronto, succhiare diventa autoconsolazione predominante e questo fissa il piccolo su un piacere orale molto limitato e ripetitivo che prosegue per più anni, influenzando negativamente l’esercizio del linguaggio e rendendo monotono l’andamento delle giornate. Niente di strano che poi le notti siano inquiete, con risvegli e richieste esigenti10.


Se poi il bambino viene allenato ad addormentarsi sempre con il ciuccio, è facile che nel sonno lo perda: condizionato a succhiare di continuo, la perdita lo sveglia, ne provoca il pianto nel bel mezzo della notte e non una volta soltanto. (Ma Estivill dice che lo ritrova!).


La pace di un piccolo bambino nell’arco delle 24 ore è fatta di tante sfumature. Se si ammala, se ha lunghi pianti inconsolabili malgrado i molti tentativi, il ciuccio può essergli d’aiuto per soffrire meno, ma è il “pacificatore” (pacifier) d’emergenza, il “meno peggio”, non la risposta ad ogni minimo lamento. Passato il male, si può aiutare il bambino a farne a meno.


L’amico della nanna”: così un articolo comparso su “Insieme” definisce il succhiotto, o piuttosto “della mamma” che, non sentendo piangere il bambino, “si tranquillizza”. Ma il bambino? Gli giova questa protesi consolatoria? E quando è cresciuto, quali trucchi inventeranno gli adulti, quante bugie per eliminarla, visto che diventa una “vergogna” allo scoccare dei tre anni?


Chiediamoci con la dovuta serietà se quello che semplifica la vita a noi “grandi” sia sempre un vantaggio per i piccoli!

Riflessioni sulla mercificazione dei bambini

Com’è ovvio, il mercato risponde prontamente alle esigenze delle madri: accanto ai ciucci anatomici che hanno la pretesa di rispondere alle varie preferenze dei bambini in crescita, ci sono modelli coloratissimi che assumono di per sé aspetto di giocattoli (non diversamente dalle pantofole che diventano animali di peluche o dai vasetti per le sedute in bagno trasformati in automobili o in paperelle, oggi soppiantati dai pannolini che, di giorno e di notte ben oltre i tre anni, ritardano la consapevolezza del controllo sfinterico11).


Viene da chiedersi da dove venga la necessità di “truccare” le proposte per l’infanzia, ovvero se si tratti di varianti imposte dal mercato per aumentare i profitti. Il camuffamento tocca perfino i bambini: grassi e nudi bamberottoli, infilati in vasi di terracotta con un cactus o un cavolo in testa sono ridicolizzati dalla fotografa australiana Anne Geddes, che si è costruita un impero vendendo simili immagini in manifesti, libri, cartoline, lenzuolini per oltre 15 milioni di copie, in 77 paesi del mondo: decisamente batte Estivill!


Anche qui su Internet non poche proteste. C’è chi dice che sono “tanto carini” e chi invece protesta: “I neonati non sono oggetti: questa cosiddetta arte è in realtà una sorta di pornografia che abusa dei bambini”.


Che esagerata! – interloquisce una madre – Che cosa c’è di male? È divertente, fanno tenerezza”. Se non ci piacciono le ragazze seminude nella pubblicità, è lecita una tale mancanza di rispetto verso i più piccoli che i più sprovveduti ritengono “carina” e non quella mercificazione che in realtà è?


D’altro canto è utile protestare se tanti mettono a disposizione i loro figli come modelli e molti, molti altri ne comprano le immagini, usate perfino per abbellire nidi e scuole infantili? Chiudiamo l’argomento ponendoci un’altra domanda: una cosa diventa buona solo perché la fanno o l’approvano in tanti? È un dubbio che vale anche per Fate la nanna!

Frequentare il nido

Ecco una scelta, a volte dettata dalla necessità, che può essere causa di più frequenti risvegli notturni per compensare l’assenza della madre durante il giorno. Per cercare di rendere il distacco meno traumatico possibile la condizione è che ci sia agli inizi un tempo sufficiente di ingresso, concordato con il genitore e fondato sull’osservazione delle reazioni del piccolo e sui suoi tempi di adattamento.


Occorrono:


* molta attenzione alle reazioni del bambino – e quindi una buona strategia – perché alla separazione, di per sé dolorosa, non si aggiungano gli effetti della sua negazione. Più è piccolo, più gli è necessario un ambientamento graduale per potere accettare un luogo tanto diverso e tanto affollato rispetto alla sua casa;


* un’educatrice, sempre la stessa, che lo accolga ogni mattina, ne abbia cura nei momenti di cambio, cibo, sonno.


La forte rassicurazione che viene dalla continuità e dai cambiamenti graduali lo renderà socievole e disponibile a stare lontano dai suoi per alcune ore al giorno. È così che si realizza una separazione attiva, nei limiti del possibile partecipata e non subita dal bambino.


L’educatrice di riferimento, colei che in modo stabile lo segue, gli dà da mangiare, lo cambia, lo accompagna nel sonno, proprio perché lo conosce bene, può svolgere un adeguato sostegno ai genitori, concordando con loro i modi per risolvere – senza imposizioni – eventuali problemi nati da cambiamenti nelle abitudini.


Quando un piccolo di 18-20 mesi crolla già a metà mattina, il più delle volte ha passato una nottata turbolenta. Se invece ha solo 6 o 10 mesi il sonnellino a metà mattina è fisiologico. In ogni modo nel nido è cosa buona accompagnarlo a letto a qualunque ora, senza fare buio e senza rinvii.


Se al momento del pranzo (di solito nei nidi intorno alle 11,30) ancora dorme da almeno un’ora, non lo si disturba: si tengono in caldo i cibi e si aspetta. Allo scadere della seconda ora di sonno – il ciclo delle due ore! – si fa un po’ di rumore nella stanza e lo si sveglia con delicatezza.


La merenda la si propone intorno alle 15, in modo che, andando a casa, abbia ancora un tempo per giocare. Ovviamente tutto questo va discusso e concordato con i familiari.


A volte bastano piccoli spostamenti di orario entro una settimana o due per aiutare un bambino a ritrovare una regolarità perduta.


Si presenta ovviamente il problema del ciuccio, inseparabile consolatore. In molti nidi si è indifferenti al problema perché, si dice, le madri per prime sembrano non poterne fare a meno. Viceversa nei nidi dove non si danno per scontate e intoccabili le abitudini negative portate da casa, pur senza agire mai in modo diretto né con piccoli imbrogli, si dà fiducia alle spinte “riparative” che il bambino stesso possiede. Si favorisce al massimo l’attività spontanea via via che si mostra pronto e interessato ad agire, mettendogli a disposizione quegli oggetti verso i quali manifesta maggiore curiosità: esperienze con l’acqua o con la sabbia, questa o quella esplorazione di oggetti o nuove abilità.


Già durante la fine dell’ambientamento si nota come il piccolo, rassicurato, dimentichi in vari momenti il succhiotto. In questi casi le educatrici che seguono i singoli bambini dialogano con i genitori perché non accada che la prima cosa che fanno quando entrano per lasciare o riprendere il figlio, sia di metterglielo in bocca. Si evita di attaccarlo alla catenella perché in ogni caso l’oggetto penzolante dopo poco non è più pulito. Quando si vede che comincia a farne a meno per un certo tempo gli si può dire: “Lo mettiamo qui, nella tua scatoletta”. Molti genitori apprezzano l’aiuto delicato alla crescita. Alcuni piccoli, con questo procedere molto rispettoso delle loro insicurezze e con le tante attività a disposizione da scegliere quando vogliono, lo dimenticano del tutto; altri lo cercano ancora – per qualche tempo – quando sono stanchi a fine mattina o quando vanno a dormire. In ogni caso l’educatrice non lo dà in anticipo o, come automatismo, a fine pranzo, ma solo se lo chiedono e quando sono già a letto, perché il messaggio sia chiaro.

Il pisolino al nido

“Quando li accompagno a dormire al termine del periodo di ambientamento – racconta un’educatrice – ce ne sono alcuni che fanno fatica perfino a distendersi, ma che poi un giorno dopo l’altro si rilassano, contenti di avere la copertina portata da casa o il cagnolino di pezza. Alcuni sembrano come meravigliati di poter dormire lì, vicino all’amico. Bisogna accompagnarli in un gruppo molto piccolo per poter dare a ciascuno l’attenzione che gli spetta, tenendo conto del tempo e del modo individuali di abbandonarsi al sonno. I più eccitati e irruenti sono in difficoltà, ma in ogni caso nessuno viene obbligato a prendere sonno. Chi di noi “grandi” potrebbe addormentarsi per ordine e sotto il controllo severo di qualcuno?


Occorre un clima affettuoso, non invasivo. Le sorprese i piccolini non le apprezzano per niente. Ogni volta li avverto che quando si sveglieranno io non ci sarò, ma che troveranno la mia collega che ormai conoscono bene. Poi qualcuno che non vuole dormire capita sempre. C’è il bambino che in principio, con un po’ di diffidenza, dice: ‘Io non ci vengo’, ma io non mi faccio smontare, non dò peso alle sue parole: ‘Adesso andiamo di là tutti insieme’ dico con tono fermo.


Quando siamo nella stanza da letto, comincio a preparare i letti, tiro la tenda per attutire la luce quando il sole è forte; aiuto prima quelli che mi sembrano più stanchi e sonnolenti. Del protestatario mi occupo per ultimo: parlo poco e a voce bassa. Del resto ho imparato che, se un bambino mi provoca, non devo raccogliere quello che mi dice. Lo ignoro, pur senza perderlo d’occhio, e un minuto dopo ha smesso di contestare. Invece in casa, con un figlio solo o due, si è subito tentati di rispondere, innescando la discussione. Davvero non conviene: meglio il silenzio e un sorriso.


Tengo sempre conto se un bambino dorme meno di altri. Lo lascio riposare una quindicina di minuti; se non si è addormentato, lo chiamo a voce bassa, gli chiedo se vuole alzarsi, gli offro un gioco che possa fare da solo senza far rumore, perché io in ogni caso devo vigilare sugli altri. Glielo dico che non posso occuparmi di lui, tanto per non cadere in altri tranelli. I bambini non li lascio dormire più delle due ore previste, dopo le quali li vedo sempre riposati e disponibili.


Sconsigliamo alle mamme di tenere in piedi il piccolino perché il papà che rientra a notte tarda lo veda. Che padre e figlio si incontrino solo a fine settimana è penoso, ma non conviene adattare un bambino ai tempi degli adulti: lui deve seguire il suo orario e andare a letto con regolarità, in ogni caso non oltre le 20,30: è una questione di salute e poi nei primi anni ha bisogno di dormire un numero maggiore di ore rispetto all’adulto e non deve esserne privato.”

Facciamo la nanna - 2ª edizione
Facciamo la nanna - 2ª edizione
Grazia Honegger Fresco
Quel che conviene sapere sui metodi per far dormire il vostro bambino.Consigli, idee e suggerimenti per affrontare i problemi di sonno dei neonati, con un approccio dolce e rispettoso del bambino. Siamo sicuri che il bambino debba dormire quando lo decidiamo noi?Siamo certi che il suo pianto notturno sia un lamento?Dorme troppo? Dorme poco?A volte vorremmo la bacchetta magica per farlo addormentare?Ancora peggio, c’è chi ricorre a medicinali.Siamo fuori strada!Grazia Honegger Fresco, nel suo Facciamo la nanna, chiarisce le motivazioni che dovrebbero spingere a rigettare tutti i metodi “facili e veloci” per far dormire i bambini piccoli (come quello tristemente famoso di Eduard Estivill, noto agli specialisti per la violenza dell’impostazione e la potenziale dannosità nei confronti del bambino) e delinea al contrario quali siano gli approcci più dolci e rispettosi per affrontare i problemi del sonno. Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.