Quando sento la parola “nanna” mi risuona nella memoria lo scricchiolio delle gambe di una robusta sedia di legno che accompagnava il dondolio di una nonna per addormentare il suo nipotino. “Nonna”: fra l’altro, leggendo qua e là, ho scoperto che nel napoletano questa parola è sinonimo di “nanna ”. Non sarà un caso!
Il problema di acquietare un piccino, di aiutarlo ad addormentarsi è legato alla storia stessa dell’infanzia, espresso in tante ninne nanne dal Nord al Sud del mondo come dall’Est all’Ovest, alcune tenere e rassicuranti, molte altre dolenti, minacciose, rabbiose – il dolore delle madri sole e affaticate, spesso sostituite in tale impegno dalle nonne o da figlie di poco più grandi del neonato.
Canti di culla: berceuse (francese), Wiegenlied (tedesco); più di frequente parole nate da ripetizione di sillabe, come può capirle un piccolino: lalla o lallum (latino), lullaby (inglese), nana (spagnolo, ma anche veneto), nanurìzo (greco), a-lò o a-vò (siciliano), anninnìa (sardo), néné (valdostano), nani nani (georgiano), bébé bébé (siberiano), ai lu lu lu lu (yddish), arrorrò (argentino), nenni (tunisino), nesini o anche giò giò (indiano) e ancora, ancora… Ninna nanna lo diciamo noi italiani ma anche gli albanesi… Chissà in quanti altri modi si nomina, tra i popoli della Terra, il tipo di canto più diffuso al pari o più dei canti d’amore e di corteggiamento. Se le madri da tempi lontani e in tanti luoghi diversi hanno cercato questa strada semplice, intessuta di ritmo, voce e dondolii per accompagnare al sonno un bambino, sarà stato perché avevano, malgrado la fatica quotidiana e le poche gioie, il senso dei tempi lunghi e sufficiente pazienza per mettersi in sintonia con i loro figli.
Oggi che si ascolta ovunque musica riprodotta ma non si sa più cantare e si ha una tale fretta da impegnarsi in più attività contemporanee, le madri di frequente dividono con i padri la cura del figlio neonato, eppure l’ascolto paziente non lo hanno più: i bambini devono dormire a lungo e senza risvegli.
“Tutto sotto controllo, per te tanta libertà”, dice alle mamme la pubblicità di un tiralatte, slogan per la presentazione di un oggetto, non certo positivo per il rapporto con un piccolino. Stiamo attenti alle nuove sirene del “pronto-cotto-e-mangiato”, affinché i toni decisi e sbrigativi non si traducano in acuta sofferenza da abbandono. Non esistono ricette buone per qualsiasi bambino e per tutte le latitudini, anche se lo afferma qualche “grande esperto” alla moda. Un nome a caso? Il dottor Estivill che pretende di insegnare al mondo intero un “metodo” valido per “far” dormire – e a lungo – qualsiasi bambino, anche di pochi mesi!
Noi qui vi proporremo un percorso diverso, ma prima di procedere nella lettura può essere utile al genitore porsi alcune domande:
* Che tipo di genitore sono? Ho bisogno di qualcuno che mi dica come fare oppure cerco da solo o con il mio compagno/compagna le soluzioni relative a nostro figlio?
* Mi oriento di solito verso soluzioni rispettose della sua sensibilità o preferisco intervenire in modo drastico?
* Quanto tempo e quanta presenza mi chiede questo bambino che ha … mesi o… anni?
* La giornata di 24 ore dovrebbe essere divisa in tre parti: 8 ore di lavoro, 8 di riposo e relazioni umane, 8 di sonno. Il mio lavoro – e i pensieri connessi – mi occupano ben oltre le 8 ore giornaliere?
* In tal caso il tempo per seguire in modo pacato e sereno il mio bambino si riduce in proporzione: quanto effettivamente gliene dò?
* Sono consapevole che il suo pianto è un segnale di malessere dai molti significati possibili (dolore, fame, stanchezza, noia, solitudine, paura di fronte al nuovo, paura di abbandono)?
* A che punto sono dello sfinimento e del risentimento verso mio figlio? Davvero nessuno può aiutarmi?
* Penso che il mio bambino sia cosciente delle proprie intenzioni, che voglia davvero – così piccolo – danneggiarmi, che sia già in grado volontariamente di creare problemi, di inventare dispettosi capricci? O forse ha solo bisogno di alcuni limiti, sia pure dati in modo gentile e fermo insieme?
* Se lui e io non ci intendiamo, non spetta forse a me, adulto, trovare una soluzione conciliante, non aggressiva?
Se queste domande hanno suscitato in voi qualche dubbio, allora forse non vi dispiacerà proseguire nella lettura.