CAPITOLO V

Che cosa dicono le madri

Nei loro interventi – sui gruppi Internet di discussione “Non solo neonati” e “Estivill? No grazie!” – sono molte le madri che mettono l’accento su temi come:

  • ogni bambino è diverso e fa a suo modo
  • ogni bambino trova da sé i suoi ritmi
  • seguirlo è essenziale alla sua tranquillità
  • lo sviluppo non è una freccia a direzione unica, ma piuttosto procede a onde, con rallentamenti, ritorni indietro e nuovi slanci in avanti non prevedibili
  • se piange c’è sempre un motivo
  • se cambia il suo comportamento c’è sempre una causa (malattia o postumi da un parto/nascita difficile, ingresso al nido, rimescolamenti del clima di casa, ritorno dalle vacanze…).

Si trovano anche commenti sul comportamento dei genitori:

  • le madri sono rese inquiete da tanti messaggi discordanti
  • gli adulti vanno a tentoni, non sono fermi e coerenti
  • hanno idee confuse su che cosa sia indipendenza
  • spesso pretendono di far dormire il figlio a ogni costo e dove capita…

Tutte le madri intervenute su Internet denunciano una componente sadica nel “metodo” del medico spagnolo e collegano la tranquillità del bambino di giorno e di notte a un buon allattamento al seno a richiesta che egli non prende minimamente in esame. Anzi, la modalità che propone fa di sicuro riferimento a orari ritmati a priori, con quantità decise dal pediatra di fiducia. L’orario rigido – ormai è assolutamente certo – non favorisce quelle frequenti suzioni spontanee, più o meno lunghe e abbondanti, che sono il segreto per un lungo allattamento senza aggiunte. Se il bambino succhia poco e a orari fissi, ben presto il latte si riduce ed è questo il motivo principale per cui tante donne hanno via via sempre meno latte!


Il tono minaccioso e sprezzante che Estivill adotta nei confronti dei piccoli indigna queste madri che, orientate sull’attenzione alle esigenze infantili e sulla naturalità dello sviluppo, ricevono grande nutrimento dalla relazione affettuosa con i loro figli: proprio di qui viene loro la lucidità necessaria per capirne le esigenze, anche minime.

Lettone sì, lettone no

Alcune di loro hanno sperimentato con successo il lettone o letto di famiglia (family bed), di cui si fanno promotori, sia pure con sfumature diverse, anche pediatri famosi come William Sears, consulente de La Leche League (Lega del latte), T. Berry Brazelton e ancor più Carlos Gonzales1. Altre invece preferiscono la soluzione “side-car”, ovvero il lettino di fianco al lettone. Entrambe le soluzioni favoriscono, ancora secondo l’OMS, l’allattamento al seno per evidenti motivi. Non c’è dubbio che la stretta vicinanza di giorno e di notte è ciò che qualsiasi bambino piccolo predilige.


Il lettino “senza una sponda e con un rialzo che lo porta al livello del nostro letto” dice Floriana, mamma di Simone, “è la soluzione migliore che consiglierei in assoluto”. Il piccolo dorme accanto ai genitori ma in un suo spazio ben definito e con maggiore tranquillità di tutti.


Lara, madre di Matteo, racconta di aver tenuto il bambino con sé e con il marito, proprio per il piacere di stare insieme il più possibile e dunque anche di notte; però quando a 2 anni e 8 mesi ha superato il metro e in tre nel lettone non ci si entrava più “abbiamo creato un letto a tre piazze. Matteo ha deciso che il suo letto aveva le lenzuola colorate, messo vicino alla parte di mamma. Adesso sono io che dormo in mezzo! È bellissimo allungare le mani e toccare contemporaneamente gli amori della mia vita. Mio marito ha detto che dorme meglio, ma gli manca il piccoletto. Matteo a volte prende la sua tartaruga di peluche e mi scavalca per tornare in mezzo “‘a fare compagnia’”.

Secondo Carolina, madre di Giosuè, “il dormire insieme rafforza la famiglia, consente di condividere non solo il giorno, ma anche la notte che è parte fondamentale della giornata; permette di conoscere meglio i ritmi e i tempi del proprio bambino e quindi di andare incontro alle sue necessità con maggiore consapevolezza”. Poco oltre aggiunge: “Diffido di chi mi propone ricette già pronte, di chi considera i bambini piccoli tiranni tutti uguali, con le stesse necessità. Ogni bambino è diverso, ogni famiglia è diversa”.

Quello che passa tra i coniugi, come tra loro e il figlio o i figli è in effetti molto particolare, una finissima alchimia che esige rispetto, senso della misura, alla ricerca di un modo di stare insieme per trarne piacere e tranquillità.


“Chi mi propone un metodo per risolvere i problemi del sonno – che poi problemi non sono – mi lascia molto perplessa, soprattutto se quel metodo è lesivo della salute psichica e fisica di mio figlio”, dice ancora Carolina.


La mamma di Viola ha adottato la soluzione a tre piazze affiancando un lettino e scrive (sintetizziamo le sue parole): “Dicevano che il sonno dei bimbi segue un percorso progressivo e che i periodi di sonno ininterrotto diventano sempre più lunghi. Perché mia figlia non seguiva le regole? Mi sentivo incompetente, incapace, e poi ho capito che i bambini non seguono regole scritte sui libri e che non esistono leggi scientifiche che guidano lo sviluppo di un piccolo essere umano… Oggi quando si sveglia e brontola nel sonno, allungo una mano e quasi sempre torna a dormire tranquilla”.


Anche Giovanna, madre di tre figli, francamente “inorridita” – lei come il resto della famiglia – all’idea di lasciar piangere da sola l’ultima nata per venti minuti (come ha fatto una sua amica e come le consigliava la pediatra, entrambe seguaci di Estivill), ha risolto il problema con il lettone e scrive: “Non ho una formula magica che sostituisca quella di Estivill. I bambini la notte si svegliano, cercano conferme, cercano affetto, così come lo cercano di giorno. E allora perché di giorno sì e la notte no? Perché si fa fatica? Non è forse più faticoso andare a lavorare tutti i giorni? Pulire la casa, cucinare, lavare, stirare, portarli a scuola e andarli a prendere infinite volte in un anno? Non è fatica sopportare un capo insolente, un vicino maleducato, un mal di testa infernale? Perché sopportiamo tutto questo e non sopportiamo i risvegli di nostro figlio che pure amiamo più d’ogni altra cosa al mondo?”.


Lara sostiene che “il sonno condiviso è molto più diffuso di quello che si crede; dato che, secondo un luogo comune, non sarebbe corretto dormire tutti insieme, molte famiglie che lo fanno non lo dicono perché se ne vergognano”.


Brazelton nel suo secondo libro dice che negli Stati Uniti si riscontra un ritorno crescente al lettone di famiglia, dovuto indirettamente a fattori diversi come: aumento del costo della vita, maggior numero di madri lavoratrici, ma anche di famiglie con un solo genitore.


A proposito degli USA, negli alberghi e nei motels americani sono frequenti letti larghissimi, che arrivano a misurare tranquillamente 2 metri di larghezza per 2,30 di lunghezza. Se si ha in casa uno di questi letti è facile che alla famigliola venga l’idea di dormirci al completo: esattamente come si è fatto per secoli e come si fa ancora in regioni non urbanizzate, osserva Brazelton.


Ci sono però genitori che non riescono alla lunga a dormire con un piccolino nel letto e affermano di non avere avuto difficoltà a metterli nella stanza accanto dopo i sei/sette mesi, pronti ad accorrere al minimo segnale. Un padre mi ha detto: “Tutto dipende dalla tranquillità con cui si fanno passare le regole ai figli. È come il sole che tramonta e poi sorge. I bambini anche piccoli lo sentono e non si oppongono; se però si comincia con i dubbi, con i cambiamenti improvvisi, allora è finita!”.

Il Centro Nascita Montessori di Roma, con mezzo secolo di esperienze dalla parte dei neonati e delle madri, suggerisce una variante del family bed: la cestina2 ad altezza del letto matrimoniale per i primi cinque, sei mesi quando il neonato sta meglio in uno spazio raccolto. Dormire tutti insieme nel grande letto potrebbe rendere necessaria una riorganizzazione degli spazi quando arriva un secondo bambino, e il fatto che la condivisione del letto non sia culturalmente accettata nella nostra società3 induce in alcuni l’idea di fare qualcosa di scorretto, di pericoloso per il bambino4, perfino di troppo carnale (dove va a finire il moralismo di casa nostra!). Quindi la soluzione intermedia, grazie alla quale ognuno conserva il proprio spazio, potrebbe essere più incoraggiante e rassicurante per alcuni. Inoltre il piccolo, crescendo, potrebbe diventare sempre più movimentato anche quando dorme profondamente, tanto da impedire sonni tranquilli ai genitori. La scelta di condividere il letto con i propri figli scaturisce da un desiderio profondo di recuperare uno stile genitoriale più in sintonia con i bisogni profondi di ciascuno e sarebbe meglio non fosse dettata solo da considerazioni pratiche del momento. Potrebbe non essere semplice né indolore, dopo due o tre anni di dormite condivise, spostare altrove il bambino; il desiderio di andare a dormire da solo, oppure con un fratello o una sorella, scaturirà anch’esso da un bisogno imprevedibile e incoercibile5. Se la possibilità di condividere il sonno con gli altri membri della famiglia è parte integrante del modo in cui immaginiamo la nostra vita familiare, allora le soluzioni pratiche per soddisfare i desideri di ciascuno si troveranno sempre. Per questo gli adulti devono parlarsi con chiarezza, saper prevedere e scegliere in modo meditato la soluzione che sentono più consona al benessere del figlio, come al loro.


Secondo alcuni la soluzione “lettone” ostacolerebbe l’intimità tra i coniugi proprio per la presenza del neonato, anche se questi non può ancora essere testimone consapevole delle effusioni dei genitori: è piuttosto una sensazione di disagio che blocca la consueta spontaneità, forse una sorta di contrasto tra la libertà che l’amplesso richiede e la parentalità nascente.


Altre madri che hanno adottato il lettone negano, invece, che la ripresa dei rapporti sessuali abbia costituito per loro un problema: gli incontri amorosi – dicono – si possono svolgere in altre stanze e in altri momenti.


Ma nemmeno questo aspetto è così ovvio per tutti: spesso la vita di coppia richiede tranquillità e rituali complessi che non sempre si riesce a realizzare comunque e ovunque, senza contare le case sempre più piccole in cui oggi si vive. Anche in questo caso, quello che conta davvero sembra essere la sintonia e l’armonia con cui nella coppia si riesce a fare chiarezza sulle necessità del momento e i bisogni di ciascuno6.


Secondo Anna Gambacurta di Palermo (1931-2011) che al Centro Nascita Montessori (CNM) di Roma ha incontrato per oltre trent’anni coppie prima e dopo la nascita del figlio – “non tutti riescono a trovare soluzioni equilibrate. In principio la donna è come immersa nel bambino e nelle novità che questi le pone di continuo. Lo scambio serale con il compagno si assottiglia, rischia di scomparire e si fatica a ricostruirlo quando il bambino è cresciuto. La coppia a poco a poco non ha più spazio, soprattutto se tra i coniugi non c’è un rapporto vero, profondo. È come una frattura che si allarga in risposta a qualcosa di latente.


Si dice: “Il figlio unisce”, ma non è sempre vero. “Facciamo un figlio o ti lascio”. Nato il bambino, si separano dopo una gravidanza disseminata di conflitti piccoli e grandi. No, per mettere al mondo occorre una situazione affettiva stabile, con un calore e un’intesa che garantiscano la nascita della famiglia. Questa non si rafforza solo perché si segue la logica del fare “come tutti”, dello stare insieme giorno e notte, nascondendosi l’insofferenza per disagi concreti o per scelte più ideologiche che meditate sui bisogni di ciascuno.


È piuttosto un equilibrio delicato, tanto più oggi, a causa della fragilità emotiva di tanti giovani genitori: è difficile immaginarla risanata di colpo dalla presenza di un neonato.”

Domande scomode?

Intorno ai tre, quattro anni il bambino, che magari ha dormito senza problemi nel suo lettino, ma che quasi certamente si è ingelosito per un fratellino o una sorellina appena nata, facilmente pone la domanda: ”Perché voi dormite insieme e io da solo?” e le inventa tutte pur di infilarsi nel lettone. La richiesta può essere drammatica per gli adulti, ma è del tutto legittima: esige risposte oneste e, ovviamente, delicate. Per i primi mesi la nuova arrivata dormirà nella sua cestina accanto alla madre e non nel lettone, mentre lui, malgrado sia a questo già abituato da tempo, viene trasferito in altra stanza. Dato che la piccola attira al massimo le attenzioni un tempo riservate a lui figlio maggiore, ora sarà importante trascorrere con lui momenti speciali, ricorrenti, adatti alla sua età e ai suoi desideri.


Una madre racconta di aver spiegato alla figlia di cinque anni che durante la settimana si deve andare a scuola e al lavoro ben riposati e “tutti e quattro” in quel poco spazio non dormirebbero bene. “Però sabato e domenica ci possiamo ritrovare insieme al mattino per la gran festa a letto di fine settimana, per raccontarci tante cose e mangiare qualcosa di speciale”. Farà dunque seguito una colazione con insolite attenzioni ma condita specialmente di ascolto, di lentezza. La bambina aveva accettato la spiegazione, pregustando il piacere del rituale, come un appuntamento atteso. “Provare, perché funziona!” dice questa mamma.


In realtà “copiare” serve poco: ciascuno deve trovare le parole e le soluzioni che aiutino tutti a sentirsi a proprio agio, senza esclusioni penose, vere o immaginarie che siano.


Le soluzioni dei genitori che decidono di adottare un grande letto di famiglia sono spesso molto creative e funzionali; ognuno trova poi quella che gli è più consona. Naturalmente, questo è possibile solo se si tratta di una scelta condivisa. Non è rara la situazione in cui la donna, spinta dal proprio istinto di protezione e di cura, insista per il lettone familiare e il marito opponga invece una resistenza, rischiando di finire più tardi sul divano di casa o magari nel “lettino singolo” lasciato vuoto dai figli. L’amore è soprattutto inclusione, abbraccio che unisce, dal quale nessuno vuole essere escluso, quasi osservando al freddo fuori dalla finestra il banchetto festoso che altri si godono accanto a un focolare. Se per il neonato e i bambini piccoli l’esclusione non può che venire da un gesto voluto e agito dagli adulti (sia pure inconsapevole), nel caso di questi, del padre in particolare, è spesso un’autoesclusione. Quando una madre è appagata e felice perché sente di poter adempiere appieno ai propri istinti di cura con l’approvazione amorevole del marito o compagno, di sicuro anche il padre avrà la sua parte di soddisfazione, di felicità tutta intera e non si sentirà messo da parte. Se invece, in nome di pressioni sociali e culturali, per un malinteso senso del proprio “dovere” e del proprio “ruolo” la donna è portata ad accettare compromessi dolorosi sul proprio modo di essere madre, il danno psicologico che ne deriva potrebbe essere sottovalutato e restare celato, con ripercussioni sul benessere di tutta la famiglia. Ci si interroga spesso sulle origini della depressione materna e paterna dopo la nascita di un figlio e su altre difficoltà che la coppia spesso vive. Sarebbe forse più utile esplorare le varianti del concetto di amore per comprendere come in ogni fase della vita questo possa mutare, trasformarsi, assumendo forme diverse, pur restando sempre intatto e indivisibile. L’amore può moltiplicarsi, mai dividersi, a mano a mano che la famiglia si allarga.

Due mamme… dalla parte di Estivill

Testimonianze raccolte dall’Autrice: è possibile un Estivill addomesticato?

Bernadette, madre di tre bambini.


Premesso che siamo in molte sorelle con tanti piccoli intorno e quindi nessuna di noi si è mai sentita disarmata con un neonato, con la prima figlia non ho avuto problemi di sorta, mentre il secondo aveva frequenti risvegli. Io ero stanchissima e così leggendo Estivill ho trovato la via d’uscita. È un libretto che dà sicurezza se letto bene”.


Chiedo se non le desse fastidio il tono con cui è scritto.


Sì, un po’, ma con i problemi tragici del non dormire non stai a guardare tanto per il sottile, questo aspetto diventa secondario. In ogni modo fa capire bene che non si deve fare nulla nei primi sei mesi, ma che dopo è importante per il bambino avere ogni notte un sonno lungo. Non l’ho preso alla lettera, né ho fatto nulla di drastico, però ho deciso di provare: metterlo giù tranquillamente, lo lasciavo piangere per un minuto, rientravo, lo rimettevo giù con una carezzina e il ciuccio in bocca, così con tempi molto brevi e senza dire nulla7. Ho coinvolto anche mio marito in questo.


Sono bastati tre giorni: come se si fosse riassestato l’orologio biologico del sonno e dopo non ci sono stati più problemi.


Certo che non si deve fare assolutamente prima dei sei mesi: con l’allattamento libero il bambino si sveglia verso le 4 ed è il momento di massima produzione di prolattina; sarebbe un guaio interrompere un tale ritmo, ma qualche mese dopo la situazione cambia, i tempi si allungano anche per il sonno notturno8. Certo io non l’ho mai lasciato piangere oltre il minuto, per me non deve essere una punizione. Del resto anche Estivill dice non più di sette minuti. Veramente, a guardare la tabella di p. 66, non è così perché i tempi di attesa aumentano progressivamente fino ai 5 minuti già nel primo giorno e ai 17 nel settimo, evidentemente per i più… ostinati!


Ho letto anche I No che aiutano a crescere9: è un bel testo, molto più morbido di Estivill: fa capire l’importanza di mettere limiti. Anche se è piccolo, il bambino può sentire che c’è un confine e che può farcela da solo, certo bisogna stargli vicino, con amore e senso di protezione. Allora non soffre e trova forza dentro di sé”.

Lorella al suo primo neonato: “Un bambino che si sveglia tante volte per notte fa impazzire. Anche se avevo un lungo permesso di maternità e tempo a disposizione, mi sentivo davvero male; non riuscivo più a capire come uscirne fuori senza prendermela con il piccolo e aiutare me e mio marito. Poi ho trovato Estivill; non mi piaceva il suo tono un po’ da presa in giro, il tono di uno che fa tutto facile e poi mi pareva durissimo; aspettai un po’, alla fine decisi di provare, ma non con una modalità così rigida. Quello che facevo era rientrare dopo mezzo minuto o un minuto al massimo, lo rimettevo giù, gli sussurravo qualche parola, qualche carezza sulla schiena, gli promettevo che sarei tornata, ma che ora doveva dormire da solo. Aveva quasi un anno e capiva bene quello che gli dicevo. La prima notte fu davvero difficile (ma ormai ero abituata!): si risvegliò almeno sette, otto volte. Mi sentivo male, con molti sensi di colpa, però decisi di provare ancora per qualche giorno, sempre con la stessa identica modalità. Già la seconda notte si svegliò solo quattro volte: malgrado quello che dice il libro, non lo facevo aspettare mai più di un minuto. La terza notte si svegliò solo due volte. Alla quarta fece dopo mesi il primo sonno intero dalle 22 alle 6; la quinta si svegliò una volta verso le 3 (forse perché faceva caldo); in seguito non ci furono più problemi. Certo non è mai arrivato alle 12 ore, questo mi pare proprio esagerato! Altre due mie amiche hanno adottato questo Estivill ammorbidito: funziona se si guarda al piccolino piuttosto che seguire in modo drastico la sua tabella di marcia, altrimenti il senso di colpa per farlo soffrire è insopportabile quanto l’insonnia!”.

Chi è competente?

Un ulteriore punto di vista da affrontare è quello di madri che, affidandosi per abitudine all’esperto di turno, rinunciano ad ascoltarsi, perdono la propria autostima e la capacità di giudizio autonomo senza nemmeno rendersene conto, tema cui si è già accennato in principio.


Molte giovani donne appaiono spaventate dalla non prevedibilità del futuro, mentre la società attuale pretende e illude di poter garantire il massimo di certezze. Ma quando si ha a che fare con un evento naturale, la piena sicurezza non esiste: non a caso tante di loro si sentono ingannate. Del tutto digiune rispetto alla cura di un neonato che appare loro di estrema fragilità, abituate alla supremazia della medicina in tanti settori del sapere, con la paura di malattie e di sofferenze che oggi si tollerano sempre meno (“Una pillola e tutto passa”), si affidano a occhi chiusi, come un bambino spaventato si rivolge a suo padre, alla figura che sembra assicurare la protezione totale: il medico, persona autorevole, abile, in qualche modo onnipotente. Ma lo è davvero?


Forse no, se prima, da ostetrico, ha bisogno di tanti macchinari e strumenti ed esami diagnostici nel corso della gravidanza e del parto, al punto che quasi non guarda più la gestante, il suo viso, né coglie le domande mute che lei non osa rivolgergli.


E dopo, nelle vesti di un pediatra? Non sempre dal suo punto di vista riesce a considerare un bambino nella sua complessità e in ogni caso sa ben poco di suo figlio e del suo essere madre. Li vede come “pazienti” e la sua “impazienza” operativa lo porta a dare soluzioni sbrigative piuttosto che a districare la matassa di emozioni e di difficoltà che – pensa ma non dice – non sono di sua competenza. Alla peggio finisce per prescrivere un farmaco (è la cosa che sa fare meglio).


Espropriate dagli odierni modi di vivere delle semplici eppur basilari conoscenze sulla cura di un bambino, le madri, se si mostrano preoccupate appena tornate a casa, vengono ridicolizzate come “ansiose”: “Va là che tutte abbiamo avuto figli!”. È vero, ma mai in tanto minaccioso isolamento che annienta la fiducia nella propria capacità di comprensione e di identificazione nei bisogni di un neonato.


Donne prima sempre molto curate nell’aspetto, dopo qualche mese dal parto appaiono trasandate, disorientate tra il figlio e la casa, sole per molte ore al giorno, in difficoltà a parlare con il loro compagno della terribile delusione che stanno provando. Il bambino piange, non dorme, ha le coliche e intanto i modelli irraggiungibili della pubblicità mostrano bambini bellissimi e sorridenti con mamme fascinose, appena uscite dal parrucchiere: alla fine non c’è che il medico a soccorrerle.


Quanto all’esperto che sa tutto sul sonno, quale aiuto sa dare? Le prende un po’ in giro, le tratta da incompetenti insieme ai loro uomini. Non offre loro strumenti per riattivare la sapienza originaria, piuttosto le mette contro il loro bambino che sarebbe solo un “tiranno”, piagnucoloso e insopportabile.


È qui che dovrebbe entrare in funzione una solida capillare rete di sostegno alle madri, alle famiglie, come esiste in qualche regione del nostro Paese grazie a consultori che, convinti del proprio impegno sociale e preventivo, con intelligenza offrono aiuti concreti alla coppia parentale e ai già nati.


Mamme e papà, se dove vivete non vi sono strutture di questo tipo, trovatevi con altri neo-genitori per parlare e condividere le difficoltà, per aiutarvi gli uni con gli altri, evitando di considerare i figli “un problema”.


Per favore, non cadete nella trappola: nessuno meglio di voi può dissolvere i dubbi che la presenza di un piccolo bambino pone e se trovate un medico sensibile e abile, che vi aiuti a interpretare al meglio il linguaggio muto di vostro figlio, tenetevelo ben stretto perché, purtroppo, è una perla rara.

Facciamo la nanna - Seconda edizione
Facciamo la nanna - Seconda edizione
Grazia Honegger Fresco
Quel che conviene sapere sui metodi per far dormire il vostro bambino.Consigli, idee e suggerimenti per affrontare i problemi di sonno dei neonati, con un approccio dolce e rispettoso del bambino. Siamo sicuri che il bambino debba dormire quando lo decidiamo noi?Siamo certi che il suo pianto notturno sia un lamento?Dorme troppo? Dorme poco?A volte vorremmo la bacchetta magica per farlo addormentare?Ancora peggio, c’è chi ricorre a medicinali.Siamo fuori strada!Grazia Honegger Fresco, nel suo Facciamo la nanna, chiarisce le motivazioni che dovrebbero spingere a rigettare tutti i metodi “facili e veloci” per far dormire i bambini piccoli (come quello tristemente famoso di Eduard Estivill, noto agli specialisti per la violenza dell’impostazione e la potenziale dannosità nei confronti del bambino) e delinea al contrario quali siano gli approcci più dolci e rispettosi per affrontare i problemi del sonno. Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.