Tuttavia, per il momento, il diamante dovette aspettare perché eravamo nel mezzo della realizzazione di un film sull’abuso dei diritti umani alla nascita. Mandiamo avanti veloce fino all’autunno del 2012.
Era appena uscito il nostro Freedom For Birth e bruciavamo dal desiderio di tornare al nostro diamante. Volevamo fare un film che accendesse la nostra passione, che fosse importante su scala globale e che potessimo realizzare con un budget modesto.
Ricordavamo quell’intervista con la professoressa Soo Downe e iniziammo a pensare di fare un film sull’incredibile tema emergente dell’epigenetica. La professoressa Downe ci mise in contatto con altri accademici che facevano parte del neoformato gruppo internazionale di ricerca sull’Impatto dell’Epigenetica alla Nascita (EPIIC). Eravamo entusiasti, pensavamo di aver trovato qualcosa di importante.
Concordammo interviste con i professori statunitensi Sue Carter e Aleeca Bell, entrambi nel Regno Unito per una conferenza sulla vasopressina (uno degli ormoni della nascita insieme all’ossitocina). Chiedemmo loro: “Qual è oggi la cosa più entusiasmante a proposito della relazione fra nascita ed epigenetica?”; con gli occhi che brillavano risposero: “La cosa più eccitante a proposito della relazione fra nascita ed epigenetica è…
“Che non ne sappiamo ancora nulla!”
Abbiamo capito, così, che per un ricercatore scientifico “non saperne nulla” è una cosa entusiasmante. Significa che ci sono nuove risposte da scoprire. Più domande da fare. Più strade per finanziare la ricerca.
Per noi, in qualità di registi, “non ne sappiamo ancora nulla” significa niente film, o quantomeno che quella particolare area della ricerca è talmente nuova che non se ne può fare un film – per il momento. Per nascita ed epigenetica era dunque troppo presto, dovevamo trovare un nuovo diamante e nuove domande. Se ti imbatti nella domanda giusta, puoi dare la stura ad altre domande e ritrovarti in una caccia epica a nuovi perché.
Nel frattempo, uno dei fondatori del progetto EPIIC, la professoressa Hannah Dahlen della Western Sydney University, in Australia, ci suggerì di dare uno sguardo alle ultime ricerche che mettevano in relazione la nascita con il microbioma. Era la prima volta che sentivamo la parola “microbioma”, la digitammo su Google e iniziammo a cercare dei video.
Trovammo un video su YouTube che presentava un certo dottor Martin Blaser, autore di Missing Microbes e direttore dello Human Microbiome Project alla New York University. Quel video ci colpì moltissimo. La domanda allora divenne “Cosa ha a che fare il microbioma con la nascita?”
Ci imbattemmo in uno straordinario articolo del dottor Rodney R. Dietert, autore del libro The Human Superorganism e professore di immunotossicologia alla Cornell University. In questo articolo, dal titolo The Completed Self, il dottor Dietert collegava la modalità della nascita a un aumentato rischio di sviluppare certe patologie nel corso della vita. Fu un momento illuminante per noi!
Una decisione chiave che prendemmo quasi subito fu quella di andare direttamente dagli scienziati. Volevamo ascoltare dalla loro viva voce le scoperte che avevano fatto. Volevamo che la scienza fosse a prova di esame, che nessuno potesse mettere in discussione la formazione, l’esperienza, l’integrità e i risultati accademici degli intervistati.
Inviammo una mail al professor Dietert chiedendogli un’intervista. Ci rispose subito e accettò. È stato quello il momento in cui ci siamo dedicati anima e corpo a questo progetto, investendo i nostri soldi e dedicando ad esso alcuni anni della nostra vita.
Diversi mesi più tardi, quando il dottor Dietert disegnò il suo “Albero delle malattie scaturite dal taglio cesareo” sulla lavagna di una sala per conferenze deserta (si veda pag. 134), avevamo la pelle d’oca. Comprendemmo che quello che stavamo facendo era molto più importante di quanto avessimo immaginato all’inizio. Non stavamo solo parlando di nascita, ma dell’intera parabola della salute umana.
Altri due membri chiave della squadra di esperti di prima grandezza che stavamo radunando erano microbiologi: il summenzionato dottor Martin Blaser, e la dottoressa Gloria Dominguez Bello, entrambi della New York University.
I loro laboratori, a Manhattan, erano fianco a fianco al piano superiore di un ospedale militare per veterani. Entrando nell’edificio ci perquisirono per vedere se avevamo armi e ci tempestarono di domande per ragioni di sicurezza finché, alla fine, ci venne accordato il permesso di entrare nel sancta sanctorum. Mentre ci scortavano attraverso un dedalo di corridoi e porte allarmate, lanciavamo occhiate, con un certo disagio, alle numerose avvertenze di rischi biologici. Era come entrare in una struttura segreta il cui accesso sia di norma vietato al pubblico. Ricordando i nostri giorni alla scuola di cinematografia, quando volevamo realizzare insieme dei thriller, ci sentivamo come se fossimo davvero sul set di un thriller di fantascienza ispirato alla vita vera. Sentivamo il privilegio di trovarci in una simile situazione, e questo riconfermava il fatto che ciò che stava per esserci rivelato avrebbe avuto, con ogni probabilità, un impatto globale.