2a tappa

L'educazione del figlio

Non puoi insegnare niente a un uomo.
Puoi solo aiutarlo a scoprire ciò che ha dentro di sé.

Galileo Galilei

Ti racconto una storia…

LA VIOLA

Un re andò nel suo giardino e trovò alcuni alberi e delle pianticelle morenti, mentre alcuni fiori erano appassiti. Cominciò a chiedere alle piante le ragioni di questo stato. La quercia disse che stava morendo perché non poteva essere alta come il pino.

Osservando il pino, il re lo trovò sofferente perché non poteva portar grappoli come la vite.

E la vite stava morendo perché non poteva fiorire come una rosa.

Infine trovò una pianta, la viola, fresca e fiorente come sempre.

Alla domanda del re, la pianta rispose: “Mi è sembrato scontato che, quando tu mi hai piantato, volevi una viola.

Se avessi desiderato una quercia, un pino, una vite o una rosa, avresti piantato quelle.

Allora ho pensato: visto che non posso essere altro che ciò che sono, cercherò di manifestarmi al meglio di me”. 1


Per riflettere…

Si apre il capitolo con il racconto di una storia perché diventi un’occasione di riflessione. Si provi singolarmente e poi in coppia a rispondere alle seguenti domande:

  • Quali sentimenti ha suscitato in te questo racconto?

  • Che cosa posso fare per valorizzare mio figlio?

Esplorando la seconda tappa

Lo scopo dell’educazione è di aiutarti fin dall’infanzia a non imitare nessuno, ma a essere te stesso in ogni momento.

Krishnamurti

Dice Balsamo: “Ma che cosa vuole l’adulto dal bambino, ce lo siamo mai chiesti? C’è un grosso fraintendimento a mio parere, sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia fin dalla nascita. Come il neonato modello è quello che dorme tutta la notte (situazione peraltro non fisiologica), che non piange mai, che fa pasti distanziati a ritmo di orologio, in una parola non disturba l’adulto e non interferisce più di tanto nei suoi programmi e nelle sue attività, così il bambino ideale è quello che dice sempre sì, che fa sempre ciò che gli viene detto, che sta fermo il più possibile che non sbaglia mai, che non esprime la sua rabbia (…) insomma un bambino congelato, finto, artificiale come un robot. Un bambino privo di desideri ed emozioni. È davvero questo che vogliamo dai nostri figli? Che adulti cresciamo in questo modo? Persone libere e dotate di spirito critico o automi da catena di montaggio?”2. L’idea che abbiamo del bambino e le aspettative e le proiezioni che riversiamo su di lui rischiano di compromettere la qualità delle relazioni che si vanno a creare e la possibilità che il bambino esprima pienamente se stesso, nel caso in cui non si senta accettato e rispettato per quello che è. Dopo aver proposto una riflessione sul ruolo del bambino nella società di oggi, andiamo ora a esplorare il ruolo educativo e i compiti del genitore nei confronti del figlio.
Addestrare, allevare, modellare, istruire e educare
Educare non è ammassare informazioni e il suo fine non è la ricerca di una carriera, è un mezzo per sviluppare una personalità pienamente integrata per permettere all’individuo di realizzare gli ideali di vita che si prefigge.
Educazione è tirar fuori da dentro di ognuno di nobile più alte e sublimi qualità, è un allenamento all’arte di vivere.

Satyananda Saraswati

Proviamo a definire i diversi termini:


Addestrare: riguarda il funzionamento del corpo, l’azione e il comportamento; impegna principalmente la volontà, la forza, l’energia, la vitalità. Spesso si confonde l’addestramento, dato dal buon comportamento, con l’educazione (per esempio, “Sta fermo!).


Allevare: con questo termine si vuol indicare il dare sostegno e nutrimento al bambino offrendogli le cure necessarie per il suo sviluppo fisico e psichico; ha quindi a che fare con la cura della persona, dando risposta a quelli che sono i bisogni primari.


Modellare: vuol dire formare, plasmare il bambino in maniera conforme a un modello, quindi in base a qualcosa che è già definito e preesistente.


Istruire (cognitivo): deriva dal latino erudio, significa “mettere dentro”, insegnare determinate nozioni che possano aumentare le sue conoscenze. Si riferisce al mondo esterno e alla trasmissione di norme, informazioni e conoscenze ed è in relazione con l’intelletto.


Educare (esistenziale): riguarda l’essere umano nella sua globalità e questo richiede la disponibilità affettiva del cuore con le sue qualità, come la sensibilità, l’umiltà, la bontà, la dolcezza. Tanto che possiamo dire che non è possibile educare senza l’amore.


Proprio perché coinvolge la sfera dell’essere, la pratica dell’educazione si discosta e si differenzia rispetto agli altri termini appena presentati: educare è la forma più alta e nobile di formazione poiché il suo intento è quello di costruire l’uomo, come sostiene Grey: “Sviluppare la mente è importante, ma sviluppare una coscienza è il dono più prezioso che i genitori possano fare ai figli”; e come dice Hurtado: “È più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere”.

“Educare ad essere” per realizzare il progetto di vita

Non insegnate ai bambini ma coltivate voi stessi il cuore e la mente stategli sempre vicini date fiducia all’amore il resto è niente.

Giorgio Gaber

EDUCARE, dal latino educĕre, ha un doppio significato:

  • attivo: “prendersi cura” in relazione ai limiti e bisogni. L’assenza di autonomia del bambino lo rende dipendente da chi si prende cura di lui e senza il quale gli è preclusa la possibilità di esistere.

  • passivo: educĕre, “tirar fuori” (proprio della maieutica di Socrate; riguarda il mondo interno); perché questo sia possibile dobbiamo riconoscere che il bambino fin dall’inizio è un essere con delle potenzialità e non solo con dei limiti.

Educare vuol dire quindi far emergere ciò che c’è dentro di noi, la nostra essenza, le nostre qualità, per favorire la realizzazione del nostro progetto di vita: ogni essere umano è unico nel suo genere e viene al mondo con una sua missione da compiere.3


Il progetto di vita:

  • è lo strumento della realizzazione possibile dell’individuo;

  • si compone delle linee di tendenze, predisposizioni, capacità e potenzialità latenti che potranno essere sviluppate nel corso dell’esistenza;

  • rappresenta un messaggio per la famiglia, la società e l’intera umanità, perché prosegua nel suo cammino di crescita e sviluppo;

  • fornisce l’energia o meglio la motivazione a essere se stessi in modo autentico;

  • è la bussola che guida la nostra esistenza (la malattia esistenziale è un allontanarsi da se stessi e dalla propria mission).


– Sulla autoeducazione ed eteroeducazione

Partendo dal presupposto che non è il genitore che educa il figlio, ma il figlio che educa se stesso con l’aiuto del genitore inteso come coach o guida, possiamo dire che:

  • esiste il primato dell’autoeducazione sulla eteroeducazione o formazione, essendo il bambino un essere completo e dotato di una sua individualità che lo rende capace di autoregolarsi e di autoevolversi;

  • da qui la necessità di essere rispettosi verso il figlio, di considerare il suo valore e di chiedere, essendo un essere consapevole, la sua collaborazione;

  • la formazione è legata soprattutto ai bisogni e alle esigenze di crescita, di maturazione e di vita del figlio;

  • la pretesa, se impropria, rischia di generare stress e portare a reazioni contrarie. Sostituire alla pretesa la collaborazione;

  • il figlio ha bisogno di sentire che il genitore lo ama integralmente per quello è e non per quello che vorrebbe che fosse. Questa è la premessa necessaria per entrare in contatto con lui e per conoscerlo;

  • dalla fase d’impregnazione a quella d’imitazione e d’identificazione, in tutti questi processi il bambino necessita di sentire l’amore del genitore, specialmente nei momenti critici del suo sviluppo.


ESSERE deriva da es, avere esistenza, essere reperibile in realtà; s’intende “quell’atteggiamento esistenziale in cui non si ha nulla e non si aspira ad avere alcunché, ma si è in una condizione di gioia, si usano le proprie facoltà in maniera creativa, si è tutt’uno con il mondo”4.


“Educare ad essere” si pone come finalità:

  • formare e crescere il bambino in modo armonico ed equilibrato, così che possa essere se stesso in modo autentico;

  • permettere al bambino di conoscere e sviluppare le proprie capacità (si dice, anche se non è scientificamente provato, che l’essere umano in genere usa solo il 10% delle sue potenzialità)5;

  • consentire al bambino di acquisire una propria identità e autonomia;

  • attuare quel progetto di vita che ognuno porta con sé dal momento del concepimento;

Il bambino nasce “scienziato”, con il desiderio di scoprire, e nasce “progettista”, con l’idea di contribuire all’evoluzione dei genitori e della società. In genere tali propensioni di apertura verso la vita vengono bloccate e paralizzate (con gravi conseguenze) dalle incomprensioni e dai numerosi divieti e imposizioni che, seppur in buona fede, gli vengono impartiti sin dall’inizio. Sosteneva Popper: “Il principio che coloro i quali sono affidati a noi devono, prima di ogni altra cosa, non essere danneggiati, dev’essere riconosciuto altrettanto fondamentale per l’educazione quanto lo è per la medicina.”


La situazione che abbiamo di fronte sembra andare in un’altra direzione, infatti afferma Ron Miller: “La nostra cultura non nutre quanto c’è di migliore e più nobile nello spirito umano. Non coltiva la visione, l’immaginazione, l’estetica o la sensibilità dello spirito. Non incoraggia la gentilezza, la generosità, la cura o la compassione. Sempre più, nell’ultima parte del secolo XX secolo, la visione del mondo economica/tecnocratica/statalista è diventata un mostro che distrugge tutto ciò che nell’animo umano ama e afferma la vita”6. Anzi, nella nostra società esiste una cultura educativa sotterranea di stampo diseducativo conosciuta anche come “pedagogia nera”7, dagli effetti particolarmente negativi sul bambino, anche perché (al contrario di “Educare ad essere”) fonda le sue radici sull’avere, sul potere e sull’individualismo e nega la realtà umana e personale del bambino capace di amare ed essere amato. Essa è il prodotto di una sottocultura edificata sulla sfiducia e critica nei confronti del bambino, sull’atteggiamento distaccato e abbandonico e sull’uso dell’imposizione e dei metodi coercitivi e violenti (fisici, psichici e sociali) da parte degli adulti. L’obiettivo è quello di rendere il bambino sottomesso e obbediente alla volontà e alle aspettative dei genitori e della società (educatori e insegnati), negandogli di fatto la dignità e quindi la possibilità di essere se stesso e di vivere e realizzare la propria vita. Ritiene che l’adulto, il genitore, come il padrone, abbia sempre ragione e che vada sempre rispettato, mentre reputa inopportuno andare incontro ai bisogni del bambino e ritiene che la sua scarsa autostima lo renda più disponibile. L’amore è visto come un dovere, le tenerezze sono considerate dannose, l’obbedienza è presentata come un’opportunità per fortificare il carattere, mentre la dura severità ha il merito di preparare ad affrontare la vita. Quando invece il bambino, come dice Maria Rita Parsi, ha bisogno di radici e ali: “Radici per trarre l’energia necessaria a vivere e a crescere, per poter essere stabile, forte, integrato nell’ambiente familiare e sociale che lo circonda. Ali per essere autonomo, libero, per volare in alto, attirato dalla luce del sole, nel cielo della piena autonomia e della realizzazione personale, dell’incontro con gli altri, del confronto, della spiritualità e del futuro che donerà a se stesso e al mondo. Poiché il suo futuro è il futuro del mondo”8. Radici e ali che ritroviamo in quelli che sono i compiti fondamentali dell’educatore.

I tre compiti fondamentali del genitore/educatore
Si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, molto di più con quel che si è.

Sant’Ignazio di Antiochia

Sono tre i compiti fondamentali richiesti al genitore/educatore affinché si possano porre le basi per la costruzione di una relazione che permetta all’atro di esprimere se stesso e di potersi realizzare in pienezza e libertà:


– Accettare

Accettare significa “acconsentire a ricevere”; l’accettazione è fondamentale per essere se stessi e per potersi misurare con la realtà del figlio e permettere a quest’ultimo di crescere e maturare.


Solo se il figlio si sente totalmente accettato dal genitore si affida a lui, mette la sua anima nelle sue mani e si lascia condurre; in caso contrario si separa, si isola, si contrappone e cerca di difendersi come meglio può. Da quanto il figlio si sente accettato si può conoscere la tipologia di relazione che ha con il genitore e sapere se questa è sufficientemente buona. Il figlio ha bisogno di sentire che il genitore lo ama integralmente per quello è e non per quello che vorrebbe che fosse: “Per poter educare, bisogna amare” diceva san Giovanni Paolo II.


Questa è la premessa necessaria per entrare in contatto con lui e per conoscerlo.

Il genitore deve essere tutto per ognuno dei suoi figli.

La relazione genitore/figlio è una relazione di cuore e non di testa e per questo è totalizzante, basata sui processi primari e sul sentire dentro e non nella percezione fuori. La disponibilità del genitore diventa disponibilità del figlio a introiettare la sua figura e questo riduce la possibilità di sviluppo della gelosia o di altri impulsi primitivi.

“L’accettazione è come il terreno fertile che permette a un seme minuscolo di trasformarsi nel bel fiore che può diventare. Il terreno si limita a facilitare lo sviluppo del seme. Sprigiona la sua capacità di crescere, ma tale capacità è interamente in seno al seme.”9

Notabene: non è possibile volere un bambino diverso da quello che è, come non è possibile volere un marito o una moglie diversa da quello che è. Solo nell’accettazione è possibile il cambiamento che promuove la crescita integrale della persona e che la pone al riparo di molti disagi e difficoltà.

– Rispettare

Che cosa significa rispetto?

Rispetto indica un sentimento e atteggiamento che nasce dalla consapevolezza del valore di qualcosa o di qualcuno. Dal latino: respectus, da re-spicere, traducibile letteralmente con “guardare di nuovo”, da qui la nostra espressione “avere ri-guardo per l’altro”. Dice infatti Ben Jelloun: “Il rispetto è essenziale. D’altra parte la gente non pretende l’amore, ma di essere rispettata nella sua dignità umana. Rispettare vuol dire sapere ascoltare. Vuol dire avere riguardo e considerazione”.


Il ruolo di genitore deve partire dal rispetto per il figlio, riconoscendolo nel suo valore e nella sua dignità. Una relazione può essere considerata vera e autentica solo quando si fonda sul massimo rispetto e considerazione dell’altro, come persona che, in quanto tale, ha in ogni momento il diritto di sentirsi libero e di essere se stesso. “Rispetto significa desiderare che l’altro cresca e si sviluppi per quello che è”, diceva Erich Fromm.


Una società, come una famiglia, per funzionare deve fare proprio e praticare il rispetto. Una sana relazione si fonda sul rispetto del valore e della dignità dell’altro: in questo modo, essa risulta nell’insieme vantaggiosa e consente la realizzazione degli obiettivi comuni. Al contrario, un sistema o una famiglia risulta disfunzionale quando viene meno il rispetto reciproco fra i suoi membri e, di conseguenza, il rispetto verso i ruoli assunti e le funzioni svolte.


L’educazione ha inizio nel momento in cui cominciamo a guardare all’altro e impariamo a conoscerlo, e per conoscere è necessario osservare e ascoltare: la prima esigenza di ogni essere umano è proprio quella di essere ascoltato, compreso, di essere riconosciuto in quanto tale. Ecco perché per educare è necessario prima di tutto mettersi nei panni del bambino, per saper cogliere e rispettare le sue esigenze e i suoi bisogni.


I bambini imparano il rispetto quando vedono che i genitori si trattano l’un l’altro, o trattano le altre persone, in modo gentile, premuroso e rispettoso e crescono pensando che il modo in cui sono stati trattati è il modo in cui trattare gli altri. Lo stesso vale per l’ambiente scolastico.


Essere rispettosi è…

  • non invadere

  • non pretendere

  • non manipolare

  • non strumentalizzare

  • non imporre

  • non comandare.

Sul piano pratico, il rispetto si osserva dall’atteggiamento che si assume nella relazione e di come questa è impostata. Perciò è importante:

  • formulare al figlio le richieste chiedendo “per piacere…, per cortesia...;

  • spiegare le azioni che si fanno: ciò che si farà durante la giornata, cosa accadrà… trattare il bambino come un ospite e non come “un pacco” da scaricare da una situazione all’altra;

  • evitare ogni forma di imposizione (questa viene ammessa solo nelle situazioni di pericolo, in difesa della vita o sommo bene), perché si propone come un atteggiamento estraneo ed esteriore, quindi non condiviso, che rischia di contrastare con la volontà dell’altro e diventare, se imposto, un atto di violenza, più o meno giustificato;

  • ringraziare sempre per quanto ricevuto. Il ringraziamento è una forma di riconoscenza del valore dell’altro capace di aprire il cuore e di indurre un circolo virtuoso di dare e avere;

  • non deridere e non banalizzare le paure e più in generale il vissuto del bambino;

  • evitare le maniere brusche e le espressioni tipo: “Non capisci niente”,“Sei sempre il solito”, che vanno a minare la fiducia e il rispetto per se stessi e nelle proprie capacità. Evitare i paragoni tra i figli o tra il figlio ed altri bambini: ognuno è unico e va rispettato;

  • mettere il bambino al primo posto: rispettare i suoi bisogni, i suoi ritmi, i suoi spazi;

  • trattare l’altro come si vorrebbe che l’altro trattasse noi: l’educazione al rispetto s’impara in casa. Il bambino osserva come mamma e papà si comportano tra loro e con lui: è importante essere per primi esempio di rispetto, promuovendo azioni gentili, premurose, di cura dell’altro, dell’ambiente e degli oggetti.


– Valorizzare

Valorizzare il figlio significa riconoscerne il valore, la sua vera natura e la sua dignità e in particolare le sue infinite potenzialità interiori quali:

  • la Vita che c’è in lui, che lo rende capace di autoevolversi e autogenerarsi e quindi in grado di nascere, crescere e morire continuamente (spirito, anima e corpo);

  • l’Amore, che rappresentata le molteplici possibilità di apertura e di relazione verso tutto e tutti, dal momento che è dotato fin dall’inizio di una coscienza primaria verso sé, gli altri e l’ambiente (anima);

  • l’Intelligenza, data dalla capacità potenziale (insita nello spirito dell’uomo) di affrontare e risolvere tutti i problemi e le difficoltà dell’esistenza.

“Il bambino ha bisogno di sentirsi importante per l’ambiente in cui vive, ha bisogno di sentirsi amato, rispettato e favorito nella sua spinta a esplorare e sperimentarsi; ha bisogno che le sue figure di riferimento “parlino al suo Io”, a quell’energia immensa che è dentro di lui e che deve gradualmente assumere il comando del cervello per dar vita all’Io cosciente.”

Michele Trimarchi

Valorizzare il figlio porta il genitore a:

  • trattare il bambino come una persona e non come un oggetto, pacco o altro;

  • ritenere il bambino dotato di un elevato grado di maturità interiore, e questo richiede un approccio al bambino attento e sensibile;

  • avere la convinzione che tutti gli sforzi fatti per il figlio, che rappresentano un importante investimento, saranno ampiamente ricompensati.

Tre chiavi per “educare ad essere”
L’umanità che si rivela in tutto il suo splendore intellettuale durante la dolce e tenera età dell’infanzia dovrebbe essere rispettata con una sorta di venerazione religiosa.
È come il sole che appare all’alba o un fiore appena sbocciato. L’educazione non può essere efficace se non aiuta il bambino ad aprire se stesso alla vita.

Maria Montessori

– Complementarietà

Proprio perché il bambino piccolo funziona principalmente nel mondo interiore e poco nel mondo esteriore, che ancora non conosce, opera secondo lo schema: prima agisce, poi sente e infine pensa, o meglio si rende conto di quanto avvenuto. L’adulto invece (proprio perché ancorato nel mondo esteriore) prima pensa, poi sente e solo alla fine, quando è convinto, agisce, secondo una modalità che è opposta e complementare a quella del bambino. In virtù di questa caratteristica, l’educazione del bambino si fonda soprattutto sui fatti e non sulle parole: anzi, il bambino ha bisogno dei fatti accompagnati dalle parole. L’essere umano è un essere consapevole e va trattato in quanto tale per permettergli di sviluppare la consapevolezza verso sé e il mondo. Il figlio correttamente agganciato o guidato dal genitore non entra in conflitto con lui, ma si rende disponibile alla collaborazione. La provocazione segnala invece uno scarso livello di collaborazione e la necessità del figlio di attirare l’attenzione.

– Ombre e luci

Data la sua costituzione biopsichica, ogni bambino possiede qualità e difetti, luci e ombre, che vanno conosciuti e orientati per favorire la maturazione e crescita del Sé personale. Le ombre sono collegate all’avere e ai problemi di sopravvivenza e sono presenti nell’Inconscio inferiore; esse, a loro volta, danno la forza per muoversi e acquisire gli strumenti necessari per essere e per esprimere le luci, potenzialità e risorse collocate nell’Inconscio superiore. Per questo:

  • il processo educativo si realizza nello sviluppo delle capacità e competenze e nella riduzione dei limiti e difetti personali;

  • l’essere umano per sua natura non è perfetto, ma tende verso la perfezione, rappresentata da modelli ideali;

  • non esistono figli perfetti e neanche genitori perfetti;

  • le luci sono le qualità, le capacità, le virtù e le doti personali;

  • le ombre sono rappresentate dai difetti, dai limiti, dalle difficoltà, dai problemi non risolti (figura 11 alla pagina seguente).

– Il progetto educativo

Ciò che contraddistingue l’azione educativa sono l’intenzionalità e la progettualità, che portano l’educatore o il genitore a compiere determinate scelte. Affinché il nostro agire sia efficace è necessario osservare e raccogliere più elementi possibili in merito alla realtà su cui si vuole intervenire, dopodiché è bene porsi pochi obiettivi da perseguire, andando poi a verificare, in un secondo momento, gli esiti del nostro comportamento e a ridefinire quello che possiamo chiamare “progetto educativo”.


Risulta dunque fondamentale mettersi in ascolto e osservare il bambino di cui ci si vuole prendere cura, affinché ne vengano compresi i bisogni, le caratteristiche e le reali necessità, per poterlo mettere nelle condizioni di esprimere al meglio le sue potenzialità e di realizzare se stesso. L’osservazione ci può portare alla conoscenza e alla comprensione dell’altro, oltre che di noi stessi; si parla in questo caso di educazione consapevole: “Un obiettivo realmente educativo è sempre un obiettivo consapevole, meditato, voluto, perseguito con profonda motivazione, sostenuto dall’ascolto del feedback del bambino che con i suoi comportamenti e le sue reazioni può guidare e condurre il nostro agire educativo. A volte anche stravolgendolo”10.

FOCUS

Strategie educative
Il progetto di crescita per un bambino dovrebbe essere come l’abito per il corpo: cucito su misura.
Un abito che protegge e conferisce un aspetto gradevole a chi lo indossa esprimendo le sue peculiarità.

Silvana e Silvano Brunelli11

Una volta conosciuto il bambino si procede con metodi e strategie che in primo luogo possano garantire l’affermazione di Sé e lo sviluppo delle qualità personali, e solo secondariamente è opportuno occuparsi dei limiti e dei difetti personali.


Valorizzare le parti positive, che rappresentano il punto di partenza fondamentale di ogni progetto educativo. Il Sé personale con il suo Centro di coscienza va promosso, sostenuto e sviluppato attraverso l’esperienza, con impegno, sacrificio e disponibilità. È necessario promuovere continuamente delle mete e dei compiti da raggiungere, così da evitare che l’acqua viva si trasformi in acqua stagnante dove pullulano gli insetti e altri animali.


Trasformare le parti negative, che necessitano di essere riconosciute (nemici interni), accettate e trasformate attraverso un rapporto di fiducia e collaborazione e di comune accordo con il figlio, fatte salve le situazioni di pericolo. La stratificazione sociale non aiuta queste possibilità.

Regole e strumenti educativi

Ogni sistema, organizzazione, società e famiglia si dà delle regole e prende degli accordi per garantire il buon funzionamento al proprio interno. Come dare al bambino regole efficaci?

  • Il bambino ha bisogno di conoscere e capire le regole, e sentire che esse sono state stabilite per il suo interesse e non contro di lui, perché esse lo aiutano ad autocontrollarsi e ad autocontenersi e sono per lui fonte di sicurezza.

  • Le caratteristiche delle regole sono: definite, chiare e comprensibili.

  • Le regole devono essere osservabili e adatte all’età del bambino.

La punizione può essere soggettiva o oggettiva e, se necessaria, deve rappresentare una grande espressione d’amore verso il figlio, come sosteneva Caburlotto in Il tesoro da scoprire giorno dopo giorno: “Se l’educatore associa fermezza e autorevolezza, non serve il castigo. Solo carità e dolcezza conquistano il cuore e persuadono al bene”12.


La trasgressione:

  • il bambino deve sentirsi libero di poter trasgredire le regole, sempre che questo non metta in discussione l’incolumità propria e altrui; però a questa libertà si deve coniugare necessariamente il senso di responsabilità verso le proprie azioni;

  • in generale “trasgredire” (inteso come andare contro le leggi della vita) è un fare del male a sé e ad altri, nonché un togliere a sé possibilità e prospettive;

  • se affrontata coraggiosamente dall’adulto, la trasgressione può diven-tare un’occasione per approfondire e conoscere il valore e il significato delle regole;

  • è sbagliato connotare l’educazione con il rispetto di comandi o regole, in quanto essa si realizza nell’ambito della relazione: in questo senso possiamo parlare di relazione educativa;

  • gli interventi educativi, quali essi siano (per esempio la bocciatura), devono sempre avere come fine il bene del bambino, della famiglia e della società; inoltre dovrebbero essere frutto di un atteggiamento impersonale;

  • i genitori, avendo interiorizzato le leggi della vita e della società, grazie alla loro competenza maturata con l’esperienza guidano e accompagnano la crescita del figlio;

  • il metro di misura del giudizio, che va sempre ponderato nelle scelte e decisioni, è rappresentato dal “bene del figlio”;

  • le buone azioni o intenzioni vanno premiate (rinforzo), quelle negative punite (inibizione) o estinte con il rinforzo positivo.

Riportiamo di seguito la tecnica dei tre passi elaborata da Franta13:


Primo passo:

  • Mostrare comprensione (“comprendo che...”)

  • Ricordare la regola (“non si può… perché…”)

  • Suggerire un comportamento alternativo (“puoi…”)

Secondo passo:

  • Descrivere il comportamento (“continui a...”)

  • Richiamare la regola (“non si può….”)

  • Annunciare le conseguenze (“se continui...”)

Terzo passo:

  • Descrivere il comportamento (“vedo che continui a…”)

  • Mettere in atto le conseguenze annunciate

Esperienze di vita in famiglia: i genitori raccontano…

Riportiamo di seguito un dialogo interiore tra una madre e la figlia che porta nel grembo. Osserviamo come sia possibile instaurare un legame profondo con i propri figli a partire dalla vita prenatale.

1° DIALOGO (22 novembre 2006)

  • – Chi sei?

    Sono la tua bambina.

  • – Come stai nella pancia della tua mamma?

    Bene, mi cullo.

  • – Da dove vieni?

    Da lontano, da un posto bellissimo, dalla luce.

  • – Dove vai?

    Dove il Signore mi porta. Vengo da te mamma, dal mio papà e dal mio fratellino.

  • – Come sei?

    Sono piccola, bella, sorridente, radiosa, speciale.

  • – Puoi farti vedere?

    Non avere fretta mamma, mi conoscerai a poco a poco.

  • – Senti il bene che ti vogliono il papà e il tuo fratellino?

    Il mio fratellino mi vuole un sacco di bene e anch’io ne voglio a lui...
    il mio papà è splendido. E anche tu mamma mi vuoi bene, ma non devi preoccuparti troppo. Ti voglio tanto bene, sei la mia mamma. Ti mando un bacio.

  • – Grazie. [L’abbraccio]

    Ciao.

2° DIALOGO (13a settimana di gravidanza)

  • – Ciao, come stai? Sai, mi sembra di sentirti muovere.

    Ciao mamma, sì mi sto muovendo, è bellissimo!

  • – Sei tutta formata ora? I tuoi organi, il tuo corpo.

    È tutto a posto.

  • – Sai, volevo parlarti per farti alcune domande che G., un mio carissimo amico, vuole che ti faccia. È interessato a conoscere il mondo e il vissuto dei nascituri.

    G. è una persona splendida. Vuole molto bene ai bambini.

  • – G. vuole bene alla persona, all’umanità.

    Hai ragione, è vero.

  • – Lui ha letto con molta soddisfazione le risposte alle domande che ti ho fatto il 22 novembre; mi dice che sei una bambina evoluta e vorrebbe sapere se ci sono altri bambini, altri nascituri che vivono la tua stessa situazione, se vengono come te dalla Luce per calarsi in una famiglia... ecc.

    Ce ne sono tanti! Ci sono tanti bambini che stanno entrando nelle famiglie e tante famiglie che vogliono bene ai bambini. Tanti bambini vengono dalla Luce.

  • – Spiegati meglio.

    Dio vuole che i bambini entrino nelle famiglie, vuole molto bene all’uomo, vuole rinnovare la sua vita attraverso i bambini.

  • – Ma le famiglie, l’uomo adulto, riescono a riconoscere tutto questo? In fondo i bambini non vengono molto ascoltati.

    La nostra voce sarà così forte, urleremo, che l’uomo sarà costretto a piegarsi, a inginocchiarsi, a cambiare. Dio vuole che il mondo cambi, vuole troppo bene all’uomo per lasciare che continui a rovinare il mondo.

  • – Quello che mi stai dicendo è un messaggio di grande speranza.

    Certo, Dio vuole che l’uomo abbia speranza.

  • – Sai, mentre ti parlo mi sembra di pregare, mi sembra di parlare con Dio.

    La mia voce viene da Dio, non è ancora stata contaminata dal mondo.

  • – Devo chiederti un’altra cosa: hai una missione in questo mondo, qual è la tua missione?

    Io porto luce, infatti mi chiamerò Lucia [questo è uno dei nomi preferiti finora, anche se non ci abbiamo ancora pensato molto...].

  • – Scusa, non capisco, cosa significa che porterai luce?

    Luce è sorriso, Luce è gioia, Luce è amore.

  • – Spiegati meglio.

    La mia vita ti farà capire.

  • – E di tuo fratello: conosci la sua missione?

    R. è una persona splendida, vedrai. Io e lui insieme saremo forti.

  • – Bene, io ti ringrazio e ti saluto anche a nome del tuo papà, che in questi giorni sembra avere poco tempo per stare con te, e di R.

    Il papà deve stare vicino a te, così lo sentirò vicino a me. Il papà comunque ti vuole tanto bene anche se è molto impegnato in questi giorni.

  • – Sai, oggi ti vedrò, ho la seconda ecografia, sarà bellissimo.

    Continua a vedermi con gli occhi del cuore, questa è la cosa più bella per me, la cosa più importante che devi fare.

  • – Adesso vorrei riportare tutto ciò che mi hai detto, perché mi hai detto tante belle cose. Non so se riuscirò a ricordarmi tutto. Mi aiuterai in questo?

    Sì, ti aiuterò.

  • – Grazie, ciao.

    Ciao.

[All’inizio e alla fine di questa conversazione mi sembra di avvertire piccoli movimenti nel ventre. Mi sembra incredibile: un dialogo così profondo non me l’aspettavo! È stupendo!]

Letture consigliate

  • Brunelli S., Brunelli S.T., L’arte di educare, Podresca Edizioni, Udine, 2002.

  • Chapman G., Campbell R., I cinque linguaggi dell’amore dei bambini, Elledici, Leumann (TO), 2005.

  • Gordon T., Genitori efficaci, La meridiana, Molfetta (BA), 1997.

  • Roberti A., Le parole per crescere tuo figlio, Macro Edizioni, Città di Castello (PG), 2014.

Esercizi per educare ad essere

ESERCIZI MEDITATIVI

  1. Ascoltare il proprio respiro (4/5 minuti, 3 volte al giorno) Ascoltare per alcuni minuti il flusso del respiro per imparare a osservarlo e viverlo senza volerlo modificare, per sviluppare le proprie capacità di sentire, la propria sensibilità e quindi la propria consapevolezza.14Ascoltare il ritmo del respiro permette una conoscenza più intima e profonda di se stessi, favorendo così anche l’ascolto e la comprensione del figlio, nel suo essere, nella presa di coscienza delle sue qualità da valorizzare, dei suoi limiti e delle sue necessità.

  2. Il progetto di vita: per quale motivo pensi che tuo figlio sia venuto al mondo? Pensi abbia un suo progetto? Se sì, quale? Quale messaggio e quali doni è venuto a portare a te e alla famiglia?

  3. Studiare insieme la strategia per affrontare e risolvere un problema presentato dal figlio. Dopo aver osservato vostro figlio e aver rilevato un problema o un atteggiamento da migliorare, studiate assieme, madre e padre, quali azioni concrete potreste mettere in atto al fine di correggerne il comportamento. Osservate e annotate in seguito quali effetti produce la vostra strategia nella relazione con il figlio.

DIARIO EDUCATIVO

Compilate il diario giornaliero della relazione educativa con vostro figlio.

Attività 2a tappa – Il contratto educativo

Quel che complica tutto è che la maggior parte dei bambini fanno i bambini, e quasi tutti gli adulti giocano agli adulti.

Daniel Pennac

Il diventare e l’essere genitori non è solo un dono, è anche una grande responsabilità, perciò ti viene richiesto di affermare e sottoscrivere in modo esplicito il contratto educativo:


Io desidero educare mio figlio …….........….....…....………… in modo positivo, completo, globale, anche se questo può portarmi a sacrificare me stesso e i miei interessi personali per il suo e mio bene. Desidero accrescere la sua consapevolezza, favorire lo sviluppo equilibrato della sua personalità e aiutarlo a conoscere, scoprire e rispettare le leggi della vita.


Firma ……...................................................

Educare ad essere
Educare ad essere
Gino Soldera
Per diventare ciò che siamo.Una guida pratica per riconoscere e valorizzare i talenti del bambino e aiutarlo a costruire il proprio progetto personale di vita. Educare ad essere è un metodo originale che affronta la questione dell’educazione in modo radicale e globale, per rispondere alle complesse sfide poste dalla società. Riconosce al bambino un ruolo attivo e interattivo, l’esistenza di grandi potenzialità e di un proprio progetto di vita, che non può e non deve essere ignorato. Il libro di Gino Soldera offre strumenti semplici e pratici per comprendere la realtà meno conosciuta del bambino e i suoi molteplici bisogni, per costruire relazioni armoniose e un dialogo aperto e creativo, a beneficio della famiglia e dell’intera società. Educare ad esseredi Myriam Zarantonello, pediatraCredo siamo tutti coscienti che il tema dell’educazione sia un problema e un’urgenza nella nostra società.Questo testo di Soldera, Da Mar e Verticilo ci aiuta a riscoprire questo valore e a comprendere come rispondere a questa esigenza per sanare gli errori di una deriva culturale che antepone le cose delle persone. Gli autori auspicano un’altra “rivoluzione copernicana”: quella di porre al primo posto le esigenze interiori dell’essere umano fin da prima del concepimento.Chi siamo, come veniamo in questo mondo, perché, qual è il senso della nostra esistenza: è importante che queste e altre domande esistenziali guidino quando si sceglie di essere genitori, perché concepire e crescere un bambino è una grande responsabilità, alla quale ci si prepara con attenzione.Questo testo diventa particolarmente interessante per il pediatra, il quale, nei “bilanci di salute”, ha l’opportunità preziosa di incontrare più volte genitori e bambini. Spesso le domande sulle difficoltà più comuni, legate ai bisogni fisiologici come il pianto, il sonno, l’alimentazione, esprimono la difficoltà dell’adulto a dare risposte adeguate, a comprendere e vivere meglio la relazione con il bambino. Anche il pediatra può correre il rischio di limitarsi a rispondere con un farmaco, pensando di poter risolvere sbrigativamente i sintomi somatici, invece di considerarli sentinelle di disagi più profondi. È per questo che concetti importanti come struttura della psiche, progetto di vita, costruzione di valori, completano anche nel pediatra quella conoscenza del bambino che va oltre la fisicità, per coglierne l’interiorità, rispettando così l’unità e la complessità che caratterizza l’essere umano fin dall’inizio della sua vita.Buona lettura! Conosci l’autore Gino Soldera, psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia ed Educazione Prenatale all’Università IUSVE di Mestre-Venezia, Psicoantropologia all’Accademia ConSè di Brescia e svolge l’attività di supervisore presso il Consultorio Familiare del CIF di Dolo (VE).È consigliere internazionale dell’APPPAH (Associazione Americana di Psicologia Prenatale Perinatale e Salute), membro del Comitato Scientifico della Scuola Italiana per la “Care in Perinatologia” e socio onorario dell’Associazione “Genitorialità”.Dirige la rivista Il Giornale Italiano di Psicologia e di Educazione Prenatale dell’ANPEP (Associazione Nazionale di Psicologia e di Educazione Prenatale), di cui è presidente.