prima parte - I

La rivoluzione copernicana

Anche noi, quando parliamo di educazione, predichiamo una rivoluzione, in quanto grazie a essa ogni cosa che noi oggi conosciamo verrà trasformata. Io considero questa l’ultima rivoluzione: una rivoluzione non violenta, e tanto meno cruenta, che esclude anzi ogni benché minima violenza, perché quando vi fosse ombra di violenza la costruzione psichica del bambino sarebbe ferita a morte.

Maria Montessori1

Oggi nell’ambito dell’educazione è necessario operare, per usare una metafora d’uso comune, una rivoluzione copernicana. Quello che si propone, anche perché da anni si è al limite dell’emergenza, è un ribaltamento di quanto viene generalmente pensato e praticato nel campo dell’educazione, intesa come mezzo per la formazione personale e sociale dell’essere umano.


A suo tempo Niccolò Copernico propose una svolta nella concezione dell’universo a favore della teoria eliocentrica contrapposta a quella geocentrica, ponendo il Sole e non la Terra, come faceva Tolomeo, al centro del sistema di orbite dei pianeti del sistema solare. Allo stesso modo oggi è necessario ridefinire la questione dell’educazione e porre al centro il mondo interiore, nel nostro caso l’interiorità del bambino e la sua essenza; questo per permettergli di essere se stesso e di realizzare il suo progetto di vita, che rappresenta il motivo per il quale è venuto al mondo. Le esigenze esteriori, costituite da aspetti oggettivi e materiali, anche se legittime, non vanno negate, ma solo assecondate, in quanto riguardano il mezzo e non il fine della vita. Anzi, per quanto possibile, esse vanno controllate e incanalate, essendo sospinte dall’istinto di sopravvivenza e sostenute dall’urgenza e dall’emergenza. Questo istinto per sua natura alimenta l’atteggiamento egoistico, sostiene il pensiero critico e ciò che divide, e orienta verso una visione interessata e ristretta della vita. Inoltre privilegia l’interesse particolare su quello globale e tende a impoverire l’insieme della persona, oltre che a ridurre le possibilità di divenire e di sperare in un futuro migliore. In termini pratici si tratta di mettere al primo posto le esigenze interiori dell’essere umano, le quali, al contrario di quelle esteriori, orientano verso una visione inclusiva e d’insieme, favoriscono le relazioni con sé e gli altri, promuovono ciò che crea intesa, unione e collaborazione, e rendono possibile una sana azione educativa. Le esigenze del mondo esteriore e dell’intelletto, tipiche dell’istruzione, alimentano invece l’attenzione verso gli interessi personali, attraverso una esasperata ricerca di potere, l’uso strumentale della conoscenza, l’insana competizione, la continua ricerca del successo e la conquista del prestigio e del riconoscimento sociale. Tutto questo opprime l’amore, mortifica l’empatia e la comprensione, necessarie per accettare se stessi, l’altro e il diverso, ed essere solidali con chi si trova in una situazione di difficoltà e di emarginazione, ma anche per andare oltre se stessi e scoprire il valore e il vero significato della vita. Nella nostra società l’amore è stato degradato, ha perso il suo appeal, il suo potere e la sua forza e non è più come diceva Dante: l’“amor che move il sole e l’altre stelle”2.


Esso è diventato qualcosa di generico e banale, riferito all’umana ingenuità, e usato in modo contraddittorio: spesso confuso con il diritto di avere, con lo scambio di merci e doni o con la semplice attività sessuale. In sostanza l’amore non viene riconosciuto per quello che è: un modo di essere, uno stato interiore della coscienza, un mezzo di trasmissione della vita, aperto all’accoglienza, dove il bene dell’altro diventa il proprio bene. Nella stessa famiglia, fondata sull’amore tra un uomo e una donna, sembra essere avvenuta una mutazione genetica: come riferisce Gustavo Pietropolli Charmet, la famiglia da etica è diventata affettiva, in quanto soddisfa affetti e bisogni, ma non trasmette più i valori3. E questo è particolarmente grave perché, come dice Viktor Frankl, l’uomo a differenza dell’animale non ha impulsi o istinti che lo inducano in modo automatico a fare ciò che deve fare4; attualmente egli non ha neppure il punto di riferimento costituito dalle tradizioni che gli indichino almeno ciò che dovrebbe fare. Si ha l’impressione, per usare una metafora, che la famiglia attuale abbia fatto propria la filosofia degli imprenditori e, più che un focolare domestico da due cuori e una capanna, sia diventata un piccolo polo industriale, fatto di tante piccole aziende quanti sono i suoi membri, dove ognuno (protetto e sostenuto dagli altri) cerca in libertà e autonomia di perseguire la via della felicità personale attraverso quello che il mondo moderno mette a sua disposizione. Vengono così messi da parte e quasi dimenticati i bisogni più profondi, come quello di scoprire e conoscere se stessi, di sciogliere i propri nodi esistenziali, di scoprire il significato e il valore della vita e delle relazioni umane, ma anche di entrare in armonia con se stessi e con gli altri o di impegnarsi seriamente nel fare della propria vita un’opera d’arte. Non ci si accorge che la via delle facili illusioni e della felicità a buon mercato non conduce da nessuna parte; quello che si nota è che la vita, specialmente delle nuove generazioni, sta diventando sempre più arida, insoddisfacente, angosciosa e alienante. La pratica dello sballo nel fine settimana, gli effetti psichedelici delle emozioni forti prodotte da droghe o alcool, il sistematico uso di psicofarmaci per stare in piedi, il tirare avanti e continuare a vivere in una sorta di equilibrio precario non risolvono, ma al contrario rendono ancora più complicata, la vita.

La situazione attuale

I dati nel nostro Paese sono piuttosto sconfortanti. L’indice di natalità, che può essere visto come un indicatore di fiducia e di speranza verso il futuro, è da anni in costante calo, tanto che il numero dei morti nel 2016 (secondo i risultati dell’indagine Istat 2017) è stato di 608.000 persone a fronte di 458.151 nuovi nati. Il saldo naturale nel 2017 (nascite meno decessi) registra quindi un valore negativo di meno 189.420 persone. Inoltre da tempo emergono dati particolarmente preoccupanti sulla condizione minorile. La lettura di questi dati sembra essere un bollettino di guerra. La Società Italiana di Pediatria, a fine maggio 2017, ha pubblicato i risultati di un’indagine condotta su un campione di 10.000 ragazzi fra i 14 e i 18 anni5. Il dato più allarmante che rappresenta la fisiognomia di questa generazione è la vastità e multiformità del disagio emotivo: oltre il 50% degli intervistati ha dichiarato di essere stato (sempre, spesso, qualche volta) così male da non ritrovare sollievo; per di più, se a questa percentuale si aggiungono coloro che hanno sperimentato “raramente” questa situazione si arriva a circa l’80% del campione. Il 15% degli intervistati si è inflitto delle lesioni intenzionalmente, spesso per trovare sollievo (o per puro piacere). Maura Manca riferisce che il rapporto tra social network e autolesionismo è molto stretto e rischia di condizionare la vita dei più giovani, che sono anche i più vulnerabili6. Non dobbiamo dimenticare che l’autolesionismo insorge intorno agli 11-12 anni, età estremamente delicata da affrontare, e spesso i genitori non si accorgono di ciò che accade sotto i loro occhi. Questo a conferma del profondo disagio non tanto esteriore e fisico, quanto interiore, nel quale versa la popolazione giovanile.


Altro segnale rilevato dalla ricerca è il “fenomeno del bullismo”. Il 12% del campione è stato vittima di cyberbullismo e al 33% è capitato di subire atti di bullismo (il 20% raramente, l’8,4% qualche volta, il 3,3% spesso e il 2,1% sempre), ma la risposta è stata quasi sempre il silenzio: il 68% delle vittime non ne ha parlato con nessuno. E altrettanto ampia (circa il 33%) è la percentuale di coloro che dichiarano di aver preso parte a episodi di bullismo verso i compagni e le compagne. Inoltre dalla ricerca è emerso che il 37% del campione fuma sigarette (abitualmente o occasionalmente), mentre circa il 40% dichiara di essere arrivato a star male in seguito all’uso di bevande alcoliche. Circa un ragazzo su due ha sentito il bisogno di avere un sostegno psicologico, ma l’84,2% non si è rivolto a un servizio di aiuto psicologico e solo il 4,8% ha utilizzato quello della scuola. Quelli che si sono rivolti allo specialista (7,4%) lo hanno fatto principalmente per problemi familiari (27,3%), seguiti da quelli sentimentali e comportamentali (entrambi al 21%), scolastici (16%) e con coetanei (13,3%). L’ampiezza e la vastità del disagio giovanile sono confermate anche dalla scuola: per il MIUR Scuola (2016) 1/3 dei giovani ha subito episodi di bullismo e per l’Istat (2016) il 20% degli 11/17enni sono vittime assidue, subendo azioni di bullismo più volte al mese. Sappiamo che questo comportamento viene praticato generalmente in gruppo, all’interno di un contesto proprio (gruppo classe, maschi, benestanti, emarginati, immigrati ecc.), secondo regole e riti diversi, spesso contrapposti a quelli della società ed è finalizzato a esaltare il potere, il narcisismo e l’orgoglio individuale e di gruppo, secondo la logica di sopravvivenza primitiva mors tua vita mea, dove il fallimento di uno costituisce il requisito indispensabile per il successo dell’altro7. In questo sono nutriti da programmi televisivi, videogiochi ecc. inneggianti la violenza. Le motivazioni di tali comportamenti si ritrovano nel senso di impotenza, inferiorità e inutilità personale e concorrono ad acquisire una propria identità e dignità, anche se formale. Quello che si evidenzia dalle indagini è che le difficoltà emotive e comportamentali stanno emergendo nelle giovani generazioni in modo sempre più precoce e questo senza che siano intraprese delle iniziative su vasta scala per rimuoverne le cause, lasciando i giovani, i genitori e le famiglie in balia di se stessi.

La natura del disagio

Le cause di questo disagio vanno ricercate anzitutto nel fatto che i processi di trasformazione della società, attraversata da una rivoluzione tecnologica, sono stati rapidi e radicali e hanno interessato essenzialmente il mondo esterno e solo marginalmente il mondo interno. Quest’ultimo è rimasto quello di sempre, se non addirittura impoverito e reso precario dalla globalizzazione, dall’interesse verso il denaro e da richieste esterne pressanti, che hanno reso i ritmi di vita più veloci e stressanti. Nell’ambito della formazione dell’essere umano il delicato rapporto fra educazione e istruzione è diventato più precario. L’educazione impegnata nella formazione della persona, attraverso un lavoro orientato alla maturazione e alla crescita interiore, è stata in parte sostituita dall’istruzione, sia all’interno della famiglia che nella società. I genitori, responsabili dell’educazione dei figli, si sono fatti sempre più da parte, lasciando il loro posto a familiari, educatori, insegnanti o altri, mettendo così in difficoltà i figli, con i loro bisogni personali; essi, per poter sopravvivere, sono costretti ad adattarsi alla situazione e a diventare dei piccoli adulti, rimuovendo le loro esigenze umane più intime e profonde, rendendo così quasi vana la possibilità di vivere in modo pieno e naturale l’esperienza dell’infanzia. Tutto questo, tra l’altro, dimenticando che il bambino ha bisogno di sentirsi da subito accolto, accettato e amato per quello che è e non per quello che si vorrebbe che fosse (fatto di tanti se e ma che nascondono solo sentimenti negativi), di sperimentare relazioni significative capaci di comprenderlo, di riconoscerlo e di rispettarlo, così da sentirsi sostenuto e non ostacolato o deviato nel suo intimo percorso intrapreso nel mondo. Quanto il bambino potrà realizzare nel futuro dipende molto dall’atteggiamento dei suoi genitori (che rappresentano il suo ambiente di vita) e delle persone a lui vicine, nella loro capacità di evitargli inutili traumi e sofferenze, nonché di favorire atteggiamenti di gioia, calore e sicurezza, poiché questi rappresentano importanti fattori di protezione che garantiscono una sana crescita e lo sviluppo di ogni essere umano.

Un processo simile si è riscontrato nell’ambito della medicina8, dove il modello medico dominante si è dimostrato incapace di trasformarsi da medicina d’emergenza a medicina di prospettiva: cioè una medicina più vicina ai bisogni umani e personali, volta a superare gli effetti nocivi dello stress accumulato quotidianamente, a prevenire le malattie, a promuovere lo stato di salute e un miglior benessere dell’uomo. Come il modello medico, anche il modello della formazione umana è rimasto ancorato alle logiche del passato. La trasformazione della società da autoritaria a democratica avvenuta nel secolo scorso aveva portato con sé la richiesta di una sostanziale modifica anche del modello formativo, che però è rimasta disattesa; in realtà, il tutto è rimasto ancorato alle logiche di sempre, incapaci di prevenire il disagio e di promuovere un modello formativo educativo-istruttivo rispondente alle esigenze delle nuove generazioni. Sono state riproposte delle nuove formule in chiave attuale, mascherate da modernismo ed efficientismo, disattendendo ancora una volta i numerosi e profondi bisogni umani ormai da tempo assopiti. L’attuale modello formativo non contempla la conoscenza del bambino, che è considerato un piccolo adulto alla mercé degli adulti; infatti egli è ritenuto educato, bravo e buono quando si comporta bene, cioè quando si conforma a norme, regole e indicazioni derivate dalla società e dal mondo esterno. E tutto ciò avviene senza tenere conto, o tenendo conto solo in parte, della sua struttura individuale, delle esigenze, dei bisogni e delle sue specifiche capacità; per questo quando non si sente compreso, dopo vari tentativi falliti, comincia a ribellarsi e a protestare fino a isolarsi e ad arrangiarsi per conto proprio. Di fronte a tali comportamenti che iniziano molto presto, raramente viene aperta una riflessione e vengono poste domande quali: perché questo bambino protesta? Cosa ha da lamentarsi? Anzi, il più delle volte gli adulti s’inalberano e pensano: che cosa pretende? Che cosa vuole? Che cosa gli manca? Oppure viene subito bollato come un bambino viziato, che fa i capricci e che non è mai contento di niente e in certi casi, nelle situazioni più gravi e difficili, viene considerato come diceva Freud “un polimorfo perverso”. Non ci si è ancora resi conto che l’approccio dell’adulto verso il bambino avviene tendenzialmente solo attraverso il mondo esteriore e questo porta, il più delle volte, ad assumere atteggiamenti pregiudiziali e comportamenti preconfezionati, in ogni caso lontani da richieste, bisogni e necessità primarie del bambino. Si dimentica che l’educazione ha un ruolo fondamentale nella formazione interiore dell’essere umano, nell’accompagnare lungo il cammino di crescita e maturazione, nell’aiutare a prendere gradualmente coscienza di sé, nonché a mettere ordine e a gestire la moltitudine di desideri, aspirazioni, motivazioni e intenzioni personali in continua trasformazione, affinché lo sviluppo possa avvenire in modo sano ed equilibrato. Afferma Jacques Maritain (1882-1973): “Il compito principale dell’educazione è soprattutto quello di formare l’uomo, o piuttosto di guidare lo sviluppo dinamico per mezzo del quale l’uomo forma se stesso a essere un uomo”. Inoltre l’innovazione tecnologica, con l’uso fin dalla tenera età di telefonini, computer, giochi elettronici, tablet e videogiochi, ha fatto emergere nelle nuove generazioni atteggiamenti e difficoltà sconosciuti in passato, come la passività e la rassegnazione, date dall’incapacità e dall’immaturità ad affrontare situazioni per le quali non si è stati sufficientemente preparati; lo sviluppo di rapporti sempre più fragili e superficiali associati spesso a maggiori difficoltà nella gestione delle proprie emozioni, a causa dell’impoverimento delle relazioni umane sempre meno autentiche; la progressiva trasformazione dei valori in disvalori, quali l’autocontrollo e il rispetto, interpretati come forme di debolezza e rimpiazzati dall’aggressività e dalla prepotenza, che si possono osservare anche nell’uso di un linguaggio volgare e dai toni accesi; la diffusione di un comportamento conformistico, quale desiderio di fare ciò che fanno gli altri per sentirsi più sicuri e a proprio agio. Questo non considerando le tragiche implicazioni sul piano neuropsicologico9: l’entrata nel mondo virtuale, infatti, attiva nella mente un’intelligenza di tipo reattivo, coltivata senza esperienza e vuota di impressioni sensoriali, senza la possibilità di essere confrontata e comunicata (se non con una macchina), degradando così la relazione da soggetto-soggetto a soggetto-oggetto. Se questo inganno viene praticato con assiduità nel tempo è molto probabile che mandi in cortocircuito il sistema neurosensoriale e che alimenti nuove difficoltà, squilibrando le funzioni fra i vari distretti del cervello e disturbando indifferentemente le diverse aree e funzioni, come quella dell’attenzione, della relazione e della comunicazione.

Il senso dell’educazione

Dal punto di vista educativo non si possono chiudere gli occhi e continuare a far finta di niente, oppure lanciare nuovi slogan o proclami, come quello della “crisi dell’educazione”, dell’“emergenza educativa”, del “coraggio di educare”, del “patto educativo” che vengono rispolverati di fronte a certi fatti di cronaca, per poi lasciare che tutto rimanga come prima. Il disagio è diffuso e generalizzato, in quanto interessa l’insieme delle nuove generazioni. È necessario intervenire con urgenza per mettere in sicurezza la situazione ed evitare ulteriori danni, oltre a quelli già prodotti, agendo in modo capillare sulla popolazione. E questo secondo tre linee d’azione: la prima riguarda la protezione, particolarmente necessaria nel periodo della vita prenatale, per evitare quei danni che possono condizionare l’intera esistenza; la seconda interessa l’accompagnamento, soprattutto nel corso dell’infanzia, utile per favorire la cura e la tutela e contrastare ogni forma di abbandono o di eccesso di protezione; infine la terza si riferisce alla guida, necessaria in modo particolare nella fase dell’adolescenza, affinché il giovane sia posto nella condizione di affrontare con consapevolezza la vita.

La protezione

Fin dall’inizio, a partire dal concepimento, il bambino ha bisogno di essere protetto (in particolare dalla madre e dai suoi genitori) da tutto ciò che potrebbe danneggiarlo sia sul piano fisico che su quello psichico, cercando di migliorare il suo ambiente e le sue condizioni di vita10. Sono molte le cose che si possono fare in tal senso per proteggere il bambino, come evitare di esporlo alle sostanze tossiche e inquinati; di dargli un’alimentazione povera e squilibrata e non rispondente ai suoi bisogni nutritivi; di fargli vivere relazioni instabili, precarie, insicure e disorganizzate; evitare che venga contagiato da emozioni negative e disturbanti; che venga influenzato dal pensiero unico e debole, in particolare se caotico e poco rispondente alla realtà; che viva delle esperienze stressanti o traumatiche. La ricerca ha messo in evidenza che tutto questo può avere delle conseguenze negative sulla salute e sullo sviluppo del bambino. Infatti dalla biologia sappiamo che l’organismo, costretto a impegnarsi nella sua autodifesa e autoprotezione, non è più in grado di sostenere adeguatamente la sua crescita e il suo sviluppo.

L’accompagnamento

Uno dei bisogni fondamentali di ogni essere umano è quello di sentirsi accettato e amato, in particolare dai propri genitori, e di sentirsi protetto in ogni momento da sventure e calamità, oltre di poter essere concretamente aiutato e sostenuto nelle situazioni più difficili, così da poterle affrontare e superare. Ognuno di noi ha bisogno di non sentirsi solo, di sapere che c’è sempre qualcuno che si prende cura di noi e che ci accompagna nel cammino della vita, coniugando con equilibrio la severità con l’abbandono, la fiducia con il controllo e la sorveglianza con la libertà, e che all’occasione è in grado di offrirci quel supporto strumentale e personale e quella mediazione che ci serve per affrontare la complessa realtà dell’esistenza. Per questo, riferendosi al rapporto dei genitori con il figlio, Giovanni Bollea scrive: “È necessario credere in lui, trasmettergli fiducia nella sua riuscita e crescita positiva, soprattutto durante le crisi evolutive che sono punti cruciali e disarmonici dell’evoluzione cognitivo-affettiva”11. L’essere aiutati a leggere e ad affrontare le varie fasi e vicende della vita ha notevoli implicazioni positive, in quanto favorisce il processo di maturazione e sviluppo della comprensione e accresce il grado di autonomia personale.

La guida

I valori hanno un ruolo fondamentale nella vita degli esseri umani, in quanto costituiscono dei punti di riferimento importanti, dai quali scaturiscono le norme e le regole di vita. Nell’ambito della famiglia il ruolo di guida viene svolto principalmente dal padre, in genere poco considerato nella nostra società contemporanea12 e che al contrario si mostra particolarmente sensibile alla trasgressione. Le giovani generazioni, soprattutto in questa società, hanno bisogno di valori guida e di coloro che possono esserne testimoni, i quali diventano degli importanti modelli di riferimento. Attualmente, se da una parte queste giovani generazioni hanno la necessità di essere tutelate e protette dell’invasione di mass media e network (anche a difesa della privacy famigliare), dall’altra possiamo dire che hanno il diritto di essere messe nelle condizioni (compatibilmente con il grado di maturità raggiunto) di poter comprendere le cause più nascoste di quanto di grave, pericoloso e lesivo si sta muovendo nei loro confronti. Non si tratta tanto di intervenire per cancellare il dubbio, l’angoscia o il disagio13, quanto di creare le premesse per comprendere la situazione con tutte le sue ambiguità e contraddizioni nelle quali si è spinti ad assumere dei comportamenti come fossero propri, quando invece sono suggeriti da malafede, falsità e ipocrisia, derivanti da una cultura che mostra la tendenza alla semplificazione e all’ottimismo semplicistico fondato su slogan che attribuiscono un valore superficiale e approssimativo all’esistenza, non centrata su ciò che si è, ma sul dover essere come gli altri, inseriti in percorsi che attribuiscono dei precisi significati all’individuo, alla sua vita e alle esperienze riguardanti il mondo circostante. Cadere in questa trappola vuol dire oscurare la propria coscienza, sostituendola con convinzioni estranee, fino al punto di interpretare un falso ruolo e costruire un falso sé, che allontana l’individuo da se stesso fino a smarrirsi. Per questo il comportamento educativo corretto si ha quando si realizza attraverso dei rapporti genuini e profondi, che portano verso un autentico contatto con se stessi e con la propria realtà.

Partire dal progetto di vita

La rivoluzione educativa diventerà tale quando da più parti della società partirà unanime la richiesta di invertire l’attuale situazione, ponendo al centro dell’attenzione della società l’essere umano, con il suo mondo interiore, la sua individualità e il suo progetto di vita. Allontanarsi da se stessi porta a perdere le proprie tracce e la propria identità e a rendere più sfumata ed evanescente la personalità, a dimenticare il proprio passato, la propria storia e le proprie radici biologiche, sociali e culturali, oltre a perdere di vista il proprio percorso di vita e le prospettive future; il distacco attira a sé nuovi ostacoli e difficoltà sul proprio cammino. Quando il pendolo si discosta dal centro impiega una grande quantità di tempo a tornare indietro; se invece si è fermi in un punto centrale, si ha la capacità di raggiungere qualsiasi luogo senza dover fare un lungo viaggio a ritroso, che per sua natura diventa sempre più pesante e difficoltoso. Tutto diventa più facile sia nel comprendere che nel fare e nel sentire perché si è in contatto con le proprie aspirazioni che alimentano la motivazione a vivere, ad andare avanti e a raggiungere la meta senza perdersi per strada. L’essere in contatto con se stessi dà forza e sicurezza interiore, perché fa sentire che si è ben radicati nella terra e nella realtà della vita e questo consente di contrastare ogni forma di disarmonia e di squilibrio, permettendo di sostituire la debolezza e l’instabilità con la solidità interiore e la stabilità. Non è possibile continuare a chiedere a un individuo di essere diverso da quello che è senza seminare disagio, dolore e sofferenza. Ma è quello che oggi continua a verificarsi! I bambini vengono degradati al progetto degli adulti e indotti a conformarsi secondo gli obiettivi prestabiliti dalla società e dai genitori, impotenti di esprimere le proprie potenzialità. Se non si può chiedere a una pianta o a un animale di essere diversi da quello che sono, perché tutto questo viene preteso da un essere umano e in particolare da un bambino? Se interrate un seme di limone, di mela o di melone, gli dite forse: “Ascoltami bene! Ti indico il tuo programma: devi diventare una pianta di pesco, di arancio o di noci, altrimenti sarai punito!”? No, il seme ha già inscritto in sé il suo progetto; una volta piantato basta innaffiarlo e proteggerlo (dal caldo, dal freddo e dagli insetti) perché possa realizzare quel programma che gli è proprio. Dapprima il seme comincia a sviluppare delle radici e non si preoccupa del tronco, dei rami, delle foglie e neppure dei fiori che svilupperà più avanti14. In questo senso, “Educare – per Simona Aragona15 – è un po’ come coltivare un germoglio per aiutarlo a sbocciare. Di certo non si potrà impedire di scuotere minaccioso i rami, né si potrà fermare la pioggia prima che ne bagni le foglie, ma si potrà essere lì presenti al suo fianco, per proteggerlo nella tempesta, per donargli calore nelle notti più fredde, per aiutarlo ad asciugare le gocce lasciate dal temporale. Solo così il piccolo fiore potrà irrobustire il suo stelo, rafforzare le sue radici ed essere pronto per sbocciare alla vita”.


Per quanto riguarda gli animali esiste un aneddoto interessante attribuito ad Albert Einstein che dice: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”. Rossella Grenci riporta nel suo libro Le aquile sono nate per volare16 la storia di tre animali diversi, l’anatra, il coniglio e lo scoiattolo, che non riuscendo a mettersi d’accordo su quale fosse la disciplina più importante da praticare, decisero che tutti avrebbero seguito lo stesso programma. Gli animali non ebbero più la possibilità di brillare nelle discipline per le quali erano esperti, perché furono tutti costretti a fare delle cose che non rispettavano la loro natura individuale. Questo per dire: quanti di noi come l’anatra che era eccellente in nuoto e andava bene in volo, o come il coniglio che primeggiava nella corsa o lo scoiattolo che era abilissimo nell’arrampicata, trascorrono una vita intera lontani da se stessi, senza divenire consapevoli del proprio progetto di vita (del quale il più delle volte non ne conoscono neanche l’esistenza), trascurando le loro doti e possibilità e si perdono per vie oscure e sconosciute, in mezzo agli affanni?


Il famoso psicologo americano James Hillman, nel suo testo Il codice dell’anima17, considerando l’uomo nel suo divenire, afferma: “Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon (destino, vocazione, chiamata, Fato) che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino”. Inoltre ci tiene a chiarire che: “Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo qualcosa lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione”.

Nell’insieme queste riflessioni ci aiutano a focalizzare e a mutare il nostro punto di vista sulla realtà del bambino e a tener conto che la sua vita si estende su un orizzonte infinito. Essa quindi non è un evento casuale e poco comprensibile, ma si inserisce in un programma ben concepito, dotato di uno scopo che possiamo conoscere solo se impariamo a leggere e interpretare il linguaggio dei segni e dei simboli di quanto avviene in noi e intorno a noi giorno dopo giorno. Per questo educare non è, come si è creduto fino a oggi, trasmettere delle regole o far rispettare delle norme, ma è “tirar fuori”, far emergere con coraggio, tatto e delicatezza le parti migliori del nostro essere che albergano nella profondità della nostra anima, affinché possiamo imparare a conoscerle e utilizzarle secondo il nostro progetto di vita; progetto che rappresenta la nostra mission, il nostro programma e la bussola della nostra esistenza, consentendoci di rimanere ancorati alla nostra essenza, senza perderci nel mare magnum della vita, così da diventare persone sempre più autentiche e orientate con determinazione verso la propria autorealizzazione, vera meta dell’esistenza.

Educare ad essere
Educare ad essere
Gino Soldera
Per diventare ciò che siamo.Una guida pratica per riconoscere e valorizzare i talenti del bambino e aiutarlo a costruire il proprio progetto personale di vita. Educare ad essere è un metodo originale che affronta la questione dell’educazione in modo radicale e globale, per rispondere alle complesse sfide poste dalla società. Riconosce al bambino un ruolo attivo e interattivo, l’esistenza di grandi potenzialità e di un proprio progetto di vita, che non può e non deve essere ignorato. Il libro di Gino Soldera offre strumenti semplici e pratici per comprendere la realtà meno conosciuta del bambino e i suoi molteplici bisogni, per costruire relazioni armoniose e un dialogo aperto e creativo, a beneficio della famiglia e dell’intera società. Educare ad esseredi Myriam Zarantonello, pediatraCredo siamo tutti coscienti che il tema dell’educazione sia un problema e un’urgenza nella nostra società.Questo testo di Soldera, Da Mar e Verticilo ci aiuta a riscoprire questo valore e a comprendere come rispondere a questa esigenza per sanare gli errori di una deriva culturale che antepone le cose delle persone. Gli autori auspicano un’altra “rivoluzione copernicana”: quella di porre al primo posto le esigenze interiori dell’essere umano fin da prima del concepimento.Chi siamo, come veniamo in questo mondo, perché, qual è il senso della nostra esistenza: è importante che queste e altre domande esistenziali guidino quando si sceglie di essere genitori, perché concepire e crescere un bambino è una grande responsabilità, alla quale ci si prepara con attenzione.Questo testo diventa particolarmente interessante per il pediatra, il quale, nei “bilanci di salute”, ha l’opportunità preziosa di incontrare più volte genitori e bambini. Spesso le domande sulle difficoltà più comuni, legate ai bisogni fisiologici come il pianto, il sonno, l’alimentazione, esprimono la difficoltà dell’adulto a dare risposte adeguate, a comprendere e vivere meglio la relazione con il bambino. Anche il pediatra può correre il rischio di limitarsi a rispondere con un farmaco, pensando di poter risolvere sbrigativamente i sintomi somatici, invece di considerarli sentinelle di disagi più profondi. È per questo che concetti importanti come struttura della psiche, progetto di vita, costruzione di valori, completano anche nel pediatra quella conoscenza del bambino che va oltre la fisicità, per coglierne l’interiorità, rispettando così l’unità e la complessità che caratterizza l’essere umano fin dall’inizio della sua vita.Buona lettura! Conosci l’autore Gino Soldera, psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia ed Educazione Prenatale all’Università IUSVE di Mestre-Venezia, Psicoantropologia all’Accademia ConSè di Brescia e svolge l’attività di supervisore presso il Consultorio Familiare del CIF di Dolo (VE).È consigliere internazionale dell’APPPAH (Associazione Americana di Psicologia Prenatale Perinatale e Salute), membro del Comitato Scientifico della Scuola Italiana per la “Care in Perinatologia” e socio onorario dell’Associazione “Genitorialità”.Dirige la rivista Il Giornale Italiano di Psicologia e di Educazione Prenatale dell’ANPEP (Associazione Nazionale di Psicologia e di Educazione Prenatale), di cui è presidente.