5a tappa

Educazione e
Autorealizzazione

I geni dei vostri figli riflettono soltanto il loro potenziale, non il loro destino. Sta a voi creare un ambiente che consenta di svilupparsi fino al massimo del loro potenziale.

Bruce Lipton

Ti racconto una storia…

LA PARABOLA DELL’AQUILA DI JAMES AGGREY

Un giorno un uomo, attraversando la foresta, trovò un aquilotto, lo portò a casa e lo mise nel pollaio dove imparò presto a beccare il mangime delle galline e a comportarsi come loro. Un giorno un naturalista che si trovò a passare di là chiese come mai un’aquila, la regina degli uccelli, si fosse ridotta nel pollaio a vivere con le galline. “Perché l’ho nutrita con il mangime delle galline, le ho insegnato a essere una gallina, e non ha imparato a volare” replicò il proprietario; “si comporta come una gallina e dunque non è più un’aquila”.


“Tuttavia”, insistette il naturalista, “possiede ancora il cuore di un’aquila e può certamente imparare a volare”.


Dopo averne parlato a lungo, i due si trovarono d’accordo nel voler scoprire se ciò era possibile. Il naturalista prese con delicatezza l’aquila fra le braccia e le disse: “Tu appartieni al cielo, non alla terra. Spiega le ali e vola”. Ma l’aquila si sentiva piuttosto confusa. Non sapeva bene chi era e, vedendo le galline che beccavano il mangime, saltò giù e si unì a loro. Per niente scoraggiato, il naturalista tornò il giorno dopo a riprendere l’aquila, la portò sul tetto della casa e la incitò di nuovo dicendo: “Tu sei un’aquila. Apri le ali e vola”. Ma l’aquila aveva paura di questo nuovo se stesso che non conosceva il mondo; ancora una volta saltò giù e andò a beccare il mangime. Il terzo giorno il naturalista si alzò di buon’ora, andò a prendere l’aquila e la portò in cima a una montagna. Lì sollevò in alto la regina degli uccelli e cercò di incoraggiarla dicendo: “Sei un’aquila, appartieni al cielo e alla terra, apri ora le tue ali e vola”.

L’aquila si guardò intorno, guardò in giù verso il pollaio, guardò in su verso il cielo. Ma non volò ancora. Allora il naturalista la sollevò verso il sole e l’aquila incominciò a tremare e piano piano aprì le ali. Infine, con un grido trionfante, spiccò il volo verso il cielo. Può darsi che l’aquila ricordi ancora le galline con nostalgia; può darsi anche che di tanto in tanto torni a fare visita nel pollaio. Ma per quanto si sa non è più tornata a vivere come una gallina. Era un’aquila, sebbene fosse stata nutrita e allevata come una gallina.1

Per riflettere…

Si apre il capitolo con il racconto di una storia perché diventi un’occasione di riflessione. Si provi singolarmente e poi in coppia a rispondere alle seguenti domande.

  • Questa parabola quali pensieri e riflessioni ha suscitato nel tuo animo?

  • Quali azioni puoi compiere per trasmettere fiducia e accrescere l’autostima di tuo figlio?


Esplorando la quinta tappa

“Ognuno è un genio. Ma se un pesce si giudica dalla sua abilità ad arrampicarsi sugli alberi, per tutta la vita si crederà uno stupido”.
Quando diceva questo Albert Einstein non intendeva certo che tutti fossero geni come lui. Voleva dire che ognuno ha il suo talento.

Aldo Cazzullo

Il porsi di fronte al futuro attraverso un progetto di vita presuppone la condivisione del principio che il futuro non si deve semplicemente attendere e nemmeno solo prevedere, presuppone la consapevolezza del fatto che il futuro si fa. Si fa, ossia si costruisce, ma non con le cose che si dicono, si fa e si costruisce con le cose che si fanno e con i sogni, i progetti e le verifiche, le correzioni, le ridefinizioni, l’esplosione di nuovi sogni orientati nella direzione scelta e puntellati da una serie di obiettivi (personali, familiari, sociali e professionali) che se conseguiti si avvicinano a quella felicità i cui tratti scaturiscono dai valori di chi costruisce il progetto della vita da vivere. Dunque costruire un progetto non significa formulare un elenco di buoni propositi, come quello che tanti fanno a inizio anno. Costruire un progetto significa tracciare il percorso che si intende seguire per conseguire gli obiettivi desiderati, precisando le azioni che si devono porre in essere per portarlo a compimento.


Questo non vuol dire che il progetto non possa o non debba essere modificato, nel nostro caso riadattato, alla luce del susseguirsi degli eventi e della capacità di saper leggere tra le righe del cambiamento.


Il progetto di vita è quella strada che ti dai come percorso esistenziale per realizzarti, è una tua possibilità ma è anche una tua croce dettata dalle sfide che la vita continuamente ti presenta. Infatti in questo percorso passiamo dall’iniziale presa di coscienza della nostra realtà fisica (attraverso l’Io corporeo o genomico), per poi arrivare a conoscere l’ambiente e la vita sociale (attraverso l’Io personale), e infine avvicinarci e incarnare la nostra vera essenza attraverso l’Io transpersonale, ancora poco conosciuto, mettendo a frutto i nostri talenti grazie a un continuo e attento lavoro di purificazione e di perfezionamento.


Il nostro progetto di vita incontra un mix inscindibile di pensieri e sentimenti, in cui immaginario e intenzionalità programmatica si bilanciano e si completano mutando lentamente nelle loro proporzioni, nella consapevolezza che l’avvenire sarà funzione di ciò che ognuno realizza nella propria quotidianità alla ricerca della felicità nascosta nella vita a venire, di quella vita che ancora non si conosce e alla quale si guarda con trepidazione.

Il progetto di vita, strada per l’autorealizzazione di se stessi, parte con la necessità di capire come guardiamo a noi stessi (vision) e cosa ci auguriamo per il nostro futuro (mission); di individuare una serie di “valori guida”; di compilare un preciso “piano d’azione” che consideri i vincoli e gli ostacoli: una sorta di previsione aziendale. Un piano che necessita, infine, di verifiche periodiche.

Educazione e realizzazione

L’educazione alla realizzazione si fonda sull’amore e sulla fiducia dell’adulto nei confronti del bambino, e necessita di alcune particolari attenzioni:

  • primum non nocere, perché in genere nella pratica educativa corrente succede il contrario;

  • favorire lo sviluppo integrale e armonioso delle molteplici potenzialità esistenti;

  • permettere al bambino di essere se stesso e di vivere nella verità, che è in grado di cogliere in relazione alla sua maturità;

  • creare le occasioni per accrescere la sua consapevolezza personale e qualla verso la realtà che lo circonda;

  • formulare delle richieste in modo chiaro e preciso, adeguate alle capacità e necessità del bambino;

  • sostenere la realizzazione del suo progetto di vita, che è il motivo per il quale siamo venuti al mondo.

“Ogni bambino in potenza è un saggio, è un uomo, è un essere meraviglioso, ed è giusto ascoltarlo prima di rispondergli, senza imporgli cose che a un adulto non si imporrebbero.


Molti bambini, non ancora corrotti, hanno la capacità di percepire e di identificare la realtà e quando si trovano davanti a una mistificazione della realtà che si vuole imporre a loro si chiudono o reagiscono contestando.

L’applicazione delle regole richiede coerenza soprattutto da parte dei genitori, ciò che non sempre avviene, tanto da dare vita a volte a una sorta di complicità famigliare dove ognuno fa quello che vuole.”2


Educare con amore e fiducia consente di:

  • aprirsi alla vita e a tutte le sue manifestazioni e bellezze;

  • scoprire e gioire dei pregi dei figli;

  • condividere i problemi dei figli, non per giudicarli, ma per aiutarli a superare le loro difficoltà;

  • creare delle comuni occasioni di crescita;

  • favorire la collaborazione ed evitare la contrapposizione.

Solo se si sente accettato e amato il bambino può a sua volta accettare e amare, e quindi avere fiducia, apprendere, crescere, maturare e cambiare. Molti genitori d’oggi non hanno mezze misure: o trattano i figli come piccoli robot da programmare alla perfezione o li lasciano crescere allo stato brado, delegando il compito educativo alla scuola, ai nonni anziani, se ci sono, o peggio ancora a qualche baby-sitter di passaggio che li scorrazza da un’attività extrascolare all’altra.

Alimentare la speranza e la fiducia
Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere.

François Rabelais

  • Accendere la fiamma significa dare speranza e accrescere nel bambino la possibilità di imparare a sviluppare e utilizzare le sue potenzialità.

  • Dobbiamo permettere al bambino di rimanere in contatto con se stesso e con la fonte della sua vita, con la quale poter costruire il suo futuro.

  • Molto spesso il genitore favorisce precocemente nel bambino il distacco dall’essenza mettendo in discussione la sua fiducia totale e la sua apertura verso l’amore e la vita.

  • Quello che ipoteca il futuro del figlio e mortifica le tante potenzialità che il bambino ha a disposizione fin dall’inizio, stroncando ogni possibilità sul nascere, è la mancanza di fiducia.

  • Basta una frase: “Ho fiducia in te, ce la farai”. Sembra una banalità, ma il fatto di sapere che qualcuno crede il lui per il bambino è fondamentale e lo aiuta ad aver fiducia nelle proprie capacità per affrontare senza paura anche situazioni nuove. Una fiducia che si può rafforzare anche affidandogli qualche responsabilità in casa o a scuola (naturalmente adeguata alla sua età, ma senza mettere l’asticella troppo in basso: il “ti piace vincere facile” fa danni).

L’educazione è un atto continuo e costante finalizzato al graduale raggiungimento del suo obiettivo primario di rendere ogni individuo consapevole del valore della propria esistenza e della propria unicità, come dignità dell’essere che in nessun caso può essere violata, alterata, mercificata.3
Che cos’è la realizzazione interiore?
Dobbiamo evolvere voltando le spalle al nostro attuale, presuntuoso egoismo, per sviluppare armoniosamente l’intero spettro delle latenti possibilità umane.

Aurelio Peccei

La realizzazione interiore può essere definita, come: “tendenza insita in ogni individuo a realizzare compiutamente le proprie possibilità, sia dal punto di vista della maturazione psichica ed emotiva, sia dal punto di vista del comportamento esteriore4.”


– Il bisogno di autorealizzazione

A volte le nostre stesse attitudini, i nostri talenti, sono inespressi o osta-

colati da fattori esterni o interni. Non vi può essere una vera autorealizzazione, un profondo benessere e un’autentica felicità senza aver individuato e potenziato la propria unicità, le proprie potenzialità, i propri talenti.


Secondo Maslow, psicologo americano, “l’autorealizzazione è la tendenza a diventare tutto ciò che si è capaci di diventare”5.


Il bisogno di autorealizzazione viene definito da Maslow “come un’aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere, a diventare ciò che si vuole diventare, a sfruttare a pieno le nostre facoltà mentali, intellettive e fisiche in modo da percepire che le proprie aspirazioni sono congruenti e consone con i propri pensieri e con le proprie azioni (progetto di vita)”6.


L’idea di fondo di Maslow è che debbano essere soddisfatti innanzitutto i bisogni del livello inferiore (fisiologici e di sicurezza) prima di poter soddisfare i bisogni di livello più elevato (bisogni di autorealizzazione). Questo autore è famoso per aver sviluppato una piramide con i diversi livelli di bisogno dell’essere umano.

I livelli di bisogno concepiti da Maslow sono (figura 12 alla pagina seguente):

  • bisogni biologici e fisiologici: aria, cibo, acqua, riparo, calore, sesso, sonno;

  • bisogno di sicurezza: protezione, sicurezza, ordine, legge, limiti, stabilità e libertà dalla paura;

  • bisogni sociali: appartenenza, affetto, amore, relazioni sentimentali, da parte del gruppo di lavoro, di famiglia e amici;

  • bisogni di stima: realizzazione, maestria, indipendenza, lo status, il dominio, il prestigio, il rispetto di sé e il rispetto degli altri;

  • bisogni di autorealizzazione: realizzazione del potenziale personale, realizzazione di sé, ricerca della crescita personale e di esperienze formanti;

  • bisogno di trascendenza: andare oltre se stessi e sentirsi parte di una realtà divina o di un disegno della natura.

In ogni essere umano si ritrovano tre tipi principali di motivazioni (figura 13 alla pagina seguente), ognuna delle quali corrisponde a uno degli inconsci; esse sono necessarie per affrontare i bisogni e le esigenze che si incontrano nel quotidiano, e i genitori dovrebbero tenerle a mente se vogliono favorire uno sviluppo armonico, equilibrato e completo del figlio.

  • Motivazioni di livello superiore: le ritroviamo nell’Inconscio superiore, nell’area dei valori e degli ideali comuni, orientati verso l’unità; esse riguardano i bisogni di realizzazione dell’anima e dello spirito.

  • Motivazioni secondarie: le ritroviamo nell’Inconscio medio; esse interessano il contesto di vita e sono riferite ai bisogni di appartenenza e alla vita affettiva e sociale.

  • Motivazioni primarie: le ritroviamo nell’Inconscio inferiore; esse sono in relazione alla dimensione biologica e corporea, nonché ai bisogni di sopravvivenza presenti in ogni individuo.

La realizzazione serve a essere se stessi, vuol dire realizzare il proprio progetto di vita ed esprimere le grandi potenzialità presenti dentro di noi. Questo, nell’ambito della struttura umana, riguarda il nostro inconscio, in particolare quella parte del Sé personale che perfezionandosi sempre più si identifica con il Sé transpersonale; questo avviene quando il nostro spirito si allinea perfettamente con la nostra anima e il nostro corpo. Un esempio di questo lo ritroviamo nelle grandi figure carismatiche che hanno attraversato la nostra storia: si pensi a figure come Mosè, Gesù, Budda, Gandhi, Michelangelo, Einstein. Personaggi che hanno saputo concretizzare le loro aspirazioni conciliandole con i loro bisogni, talvolta sacrificandoli per poter arrivare alla realizzazione di quel grande progetto o ideale che avevano nascosto nel loro cuore.

I Vantaggi della realizzazione secondo Maslow sono:

  • unificare le diverse componenti dell’essere;

  • percepire la realtà con maggiore efficacia;

  • accettare se stessi, gli altri e la natura;

  • essere liberi e spontanei;

  • operare a favore della vita;

  • avere capacità di distacco e bisogno di riservatezza;

  • apprezzare i diversi aspetti della vita;

  • vivere esperienze intense ed eccezionali (d’amore, mistiche);

  • sentire profonda simpatia e affetto verso gli altri;

  • costruire legami intimi e profondi;

  • essere aperti, umili e rispettosi;

  • avere un forte senso etico e morale;

  • mostrare un vivo senso dell’umorismo;

  • esprimere una buona creatività e capacità immaginativa7.

La prima e la seconda autorealizzazione

Se noi teniamo conto della realtà del bambino osserviamo che egli funziona in modo complementare all’adulto, la cui esistenza è principalmente radicata nel mondo esterno. Infatti, come ci insegna Maslow, l’adulto procede dal mondo esterno della materia, nella quale è impegnato nella soddisfazione dei suoi bisogni fisiologici primari, verso l’interno e l’alto, spinto dalle aspirazioni ai valori e alla trascendenza verso l’autorealizzazione. Il bambino a partire dal suo concepimento, momento nel quale fa propria la dimensione terrena, procede in maniera opposta all’adulto: cioè va dal polo del mondo interiore della psiche, collocato in alto (nel quale vive con le enormi potenzialità, doti, virtù e valori di cui è portatore), al polo esteriore, verso il basso, dove troviamo la dimensione dei pensieri, delle emozioni, delle azioni e della corporeità (figura 14 alla pagina seguente).

Proprio per questa sua particolare realtà egli diviene, con la sua semplice presenza, una grande opportunità e una straordinaria fonte di ricchezza interiore per la famiglia e per i genitori, utile alla loro crescita e più in generale all’evoluzione della società e dell’umanità. Non è quindi difficile capire perché il bambino, a partire dal concepimento, manifesti bisogni che potremmo definire di natura quasi esclusivamente primaria, volti sia alla costruzione del suo organismo, sia a garantirne la sopravvivenza. Se osserviamo bene, notiamo che questa prospettiva che precede la nascita rappresenta per l’essere umano la prima vera forma di autorealizzazione che consente di vivere nel mondo. Solo successivamente, dopo la crescita e lo sviluppo, con l’acquisizione di una propria autonomia, egli può cominciare ad avvicinarsi alla seconda fase di autorealizzazione ben più conosciuta, orientata non più alla costruzione del corpo, ma alla manifestazione delle proprie qualità sviluppate con l’esperienza.

Da qui l’importanza del ruolo svolto dai genitori (definiti da Bruce Lipton dei veri e propri “ingegneri genetici”) durante la gestazione e il primo periodo di vita, per il prezioso e insostituibile apporto che danno alla formazione del figlio. Infatti sappiamo che durante il periodo della vita prenatale e subito dopo la nascita l’essere umano pone le basi per lo sviluppo della sua architettura del cervello e della mente, e di quella che potrà diventare la sua personalità futura. In questa prima fase, che dura circa mille giorni, il ruolo svolto dalla madre (definita a ragione “madre dell’umanità”) è insostituibile: essa, oltre a rispondere ai bisogni di formazione dell’organismo del figlio, va anche incontro ai suoi bisogni educativi più profondi, quelli più intimi e personali, attualmente non ancora compresi e fatti propri dalla società. In questo momento storico, infatti, sono rari coloro che conoscono il ruolo dell’educazione prenatale8 nella vita dell’uomo e i vantaggi che può procurare. Essa in realtà mette in luce quanto sia importante per il concepito vivere in un ambiente di vita sano, sia esteriormente che interiormente, privo di tutto ciò che lo può danneggiare (traumi, shock, stress...) e che può comprometterne seriamente la crescita e lo sviluppo. L’educazione prenatale insegna inoltre che in questa fase è necessario offrire al concepito la possibilità di vivere delle relazioni significative, oltre che delle esperienze ricche, creative, nelle quali possa plasmare liberamente la sua umanità ed esprimere il meglio di se stesso. Per questo i genitori che sono impegnati nell’opera educativa del figlio vanno invitati da subito a non accostarsi al bambino in modo intellettualistico o esteriore, e a tenere presente che egli sente o avverte prima di tutto l’atteggiamento interiore, quello del cuore, con il quale ci si avvicina a lui, perché questo diventa il suo riferimento nella relazione che ne condiziona il comportamento e, nel nostro caso, la formazione9.


Questo per dire che in ogni fase della vita è importante avvicinarsi al bambino con animo fiducioso e aperto, in modo che egli formi un sano e robusto temperamento che in seguito gli consenta di sviluppare un buon carattere e una buona personalità, necessari per acquisire la conoscenza dello scienziato, la curiosità intellettuale del ricercatore, il potere immaginativo e fantastico dell’artista, accanto al buon senso del saggio, utili alla autorealizzazione.

Il ciclo della vita e l’autorealizzazione
Gli uomini recano in sé, non soltanto la loro individualità, ma anche l’intera umanità con tutte le sue possibilità.

Goethe

Maslow diceva che le capacità sono bisogni e pertanto sono anche valori intrinseci della persona. Così come abbiamo due braccia che “pretendono” di essere utilizzate, altrettanto dentro di noi le nostre attitudini “cesseranno di protestare” solo quando verranno davvero adoperate in maniera sufficiente!

Lo sviluppo biopsicosociale riguarda la formazione della persona umana che avviene gradualmente in otto diverse tappe progressive10, qui adattate per l’occasione; nell’ordine sono:

  1. vita prenatale (0-9 mesi)

  2. infanzia (nascita-6 anni)

  3. infanzia (7-10 anni)

  4. adolescenza (11-20 anni)

  5. giovinezza (21-25 anni)

  6. giovane adulto (26-34 anni)

  7. adulto maturo (35-54; 55-64 anni)

  8. anzianità (65-75; 76-84; 85 in poi)

L’essere umano passa attraverso una serie di fasi che gli consentono di differenziarsi e organizzarsi gerarchicamente; di accresce il grado delle relazioni globali; di acquisire nuove competenze e capacità. Le fasi passate (o le prove superate) non vengono abbandonate, ma integrate in un insieme che ha la capacità di allargare la visione della vita, quello che Jung definisce l’Io interiore. Non superare una fase implica il rimanere temporalmente fissati in essa e non riuscire ad andare oltre.


– Dal temperamento alla personalità Il temperamento si forma sotto l’influenza dominante dell’ereditarietà, sin dalla vita prenatale:

  • 1° mese: scissione e integrazione secondo la struttura psicogenetica;

  • 2°-3° mese: linee portanti della struttura psicofisica dell’organismo;

  • 4° mese: interazione con la madre (differenziazione dalla madre);

  • 6° mese: percezione dell’ambiente esterno (differenziazione tra ambiente interno e ambiente esterno);

  • 7° mese: rivolgimento interno (cambio di posizione, aumento di indipendenza dalla madre);

  • 9° mese: parto, processo caratterizzato dal distacco dalla madre.

Il genitore deve vedere il figlio che ancora non esiste materialmente e che si rivelerà nel tempo attraverso l’esperienza; questo fa sì che il suo sguardo sia pieno di fiducia, in quanto vede il figlio con quella sensibilità interiore che gli rende possibile cogliere la sua vera natura e aspetta con pazienza. Questo consente al genitore di penetrare nella realtà interiore e di conseguire una conoscenza che va oltre gli aspetti esteriori, e di non lasciarsi intimorire dai problemi e dalle difficoltà.


La conoscenza profonda e intima del figlio porta allo sviluppo di un amore profondo. Solo in uno scambio reciproco i genitori possono condividere e crescere insieme ai loro figli. Come i figli possono assorbire le qualità dei genitori, così i genitori possono assorbire le qualità dei figli.


Il carattere si sviluppa attraverso l’imitazione in famiglia e si forma sotto l’influenza dominante dell’ambiente, soprattutto durante l’infanzia:

  • nascita-0/18 mesi: fase nutritiva (fase orale)

  • prima infanzia

  • 18-36 mesi: fase oppositiva (fase anale)

    COMPITI interni/esterni: apprendere le regole
    BISOGNI (psicofisico-sociali): rispetto
    CONQUISTA/PERDITA: autonomia/dubbio

  • 36 mesi: la nascita dell’Io, fase propositiva (fase fallica)

    COMPITI interni/esterni: intraprendenza
    BISOGNI (psicofisico-sociali): supporto
    CONQUISTA/PERDITA: iniziativa/senso di colpa

Maria Montessori sottolineava quanto “L’importanza del lavoro non preoccupa i bambini: essi sono soddisfatti quando hanno dato il massimo di cui sono capaci e non si vedono esclusi dalle possibilità che offre l’ambiente per esercitarsi… Essi hanno una specie di ambizione interiore, che consiste nel far fruttare pienamente i talenti che Dio ha consegnato loro, come nella parabola del Vangelo”11.

Le abilità richieste all’educatore in questa fase sono:

  • essere semplice, tenero, umile e pieno di fiducia per entrare in sintonia con il bambino, sentirlo con il cuore e comunicare con lui;

  • osservare e scoprire la realtà del bambino e le sue caratteristiche peculiari;

  • comprendere i suoi bisogni e le sue potenzialità per favorire lo sviluppo dei talenti;

  • dare al bambino non il superfluo, ma quello di cui ha realmente bisogno;

  • proporre momenti di collaborazione per la realizzare di obiettivi comuni;

  • favorire l’esecuzione di lavori o attività di cui il bambino ha dimostrato avere sufficienti capacità;

  • dire sempre la verità al bambino: quella realtà che è in grado di comprendere e fare sua e che lo aiuta a vivere la vita;

  • al contrario, non dire la verità compromette il rapporto che il bambino ha con la sua realtà, sia interiore che esteriore, e questo lo pone in una posizione di difficoltà verso il mondo esterno e lo aliena dal se stesso e dal centro della sua coscienza, con conseguenze negative sullo sviluppo della sua salute psichica;

  • rendere consapevole il bambino attraverso la presa di coscienza di se stesso e della realtà che lo circonda.

Le richieste improprie e le pretese non corrispondenti alle capacità del figlio, sia in eccesso che in difetto, generano stress, oltre che favorire un’immagine inadeguata e negativa di sé, insicurezza, disistima e una scarsa fiducia nelle proprie capacità personali. Spesso il bambino risponde a questo con reazioni contrarie e indifferenza. Per questo si consiglia di formulare richieste adeguate, di sostituire all’atteggiamento di pretesa la collaborazione, e di fare appello e stimolare l’uso delle abilità latenti o già acquisite.


Dunque è importante non segnalare esclusivamente l’errore, perché il bambino tende a non sentirsi compreso, ma al contrario si sentirà rifiutato; piuttosto sottolineare le cose giuste, evidenziare le sbagliate e il modo per superarle, evitando i giudizi critici.


Oltre a quanto fatto comunemente si può agire a livello psichico esprimendo al bambino la convinzione che le capacità sono presenti e che queste prima o dopo emergeranno in modo abbondante. Questo permette alla mente di canalizzare le potenzialità presenti nello spirito, utilizzando appositi circuiti e schemi organizzativi, che richiedono del tempo per essere realizzati. In questo modo viene facilitato anche l’apprendimento.


Al contrario quando si agisce negando le capacità e dimostrando totale sfiducia nell’individuo, l’anima viene ferita e le capacità bloccate.


Noi contribuiamo fattivamente alla costruzione dell’autostima dei nostri figli. Se rompe un piatto apparecchiando, non bisogna aggredirlo immediatamente; invece è meglio prima complimentarsi per aver assolto al suo compito e poi dirgli che “però sarebbe stato meglio se il piatto fosse stato ancora intero”. Quando lo scoramento prende il sopravvento a causa di una caduta nella strada verso il traguardo, bisogna aiutare il bambino a rialzarsi. Facendogli capire che nella vita un fallimento può sempre capitare, ma che alla lunga gli sforzi vengono comunque ricompensati.


La personalità nasce dall’esperienza che l’individuo ha del suo vivere nella società, opera sotto l’influenza dominante dell’individualità.

Il nostro scopo rimane sempre quello di formare anzitutto l’uomo, perché diventi un buon cittadino e metta le sue capacità al servizio della collettività.

Padre Aurelio Maschio

I talenti

Galimberti definisce il talento un’abilità specifica presente a livello spiccato in un individuo12. I talenti possono interessare campi diversi come lo sport, l’arte e la scienza e la loro natura può essere genetica, individuale e ambientale.

Sul piano educativo è necessario procedere a una crescita equilibrata dei talenti in modo da favorire uno sviluppo completo della personalità.

Perché i talenti si sviluppino è necessario:

  • iniziare presto;

  • garantire l’appoggio della famiglia;

  • fare pratica e allenamento;

  • fornire le giuste opportunità nei riferimenti, nelle esperienze e nei luoghi.

Danza e sport: le predisposizioni si individuano tra i 4/5 anni. Lo sviluppo richiede capacità di controllare i propri movimenti, di conoscere la tecnica, avere delle valide motivazioni ed essere consapevoli di sé.


Arte e creatività: richiedono idee, gusto di provare, disponibilità al rischio. L’orecchio assoluto si acquisisce tra i 3/5 anni con una buona educazione musicale.


Scienza: in generale è richiesto un vocabolario ricco, spirito di osservazione, capacità di cogliere i dettagli, memorizzazione delle informazioni, concentrazione, uso dei concetti astratti, umorismo, consapevolezza di sé, idealismo, grandi aspettative, perfezionismo.


La famiglia ricopre un ruolo di prim’ordine nello sviluppo dei talenti, poiché i genitori devono:

  • cogliere le doti;

  • stimolare e accompagnare;

  • sostenere nel fallimento e nelle difficoltà;

  • evitare di proiettare le proprie aspettative e fare delle forzature;

  • non interferire con il lavoro dell’insegnante o di un allenatore;

  • rispettare l’individualità: la libertà, l’interesse, la tenacia e l’impegno del bambino;

  • fare sistema in famiglia: la difficoltà o il problema di uno diventa il problema di tutti.

Tutto questo per dire che la crescita dei figli diventa la crescita dei genitori e della famiglia.

Anche la scuola ha un ruolo nello sviluppo dei talenti attraverso la possibilità di:

  • individuare i punti deboli e forti e le passioni dei bambini;

  • proporre attività nelle quali il bambino è motivato e possa facilmente eccellere;

  • considerare le difficoltà e il fallimento come momenti importanti di crescita;

  • favorire le occasioni di collaborazione evitando inutili forzature e aspettative personali;

  • non interferire, anzi, collaborare con la famiglia e con eventuali gruppi o associazioni;

  • rispettare l’individualità: libertà, interesse, tenacia e impegno degli interessati;

  • fare sistema nella scuola: la difficoltà o il problema di uno diventa il problema di tutti;

  • crescere: la crescita degli alunni rappresenta la crescita dell’intera scuola.13

“Alleandosi con gli insegnanti, i genitori faranno in modo di rendere la scuola veramente il ‘secondo nido’ dei bambini, poiché il sapere è un patrimonio al quale i bambini non possono né devono mai rinunciare. La scuola è il luogo dove si realizzano le prime esperienze di socializzazione, le ‘prove di volo’, il confronto con il mondo degli altri. I genitori dovranno dunque allearsi con gli insegnanti per aiutare i figli in questo passaggio dal primo ‘nido’ della famiglia al ‘nido’ della scuola e lungo tutto il percorso scolastico, affinché possano acquisire e sperimentare il piacere del sapere e conservarlo per tutta la vita.”14


“L’osservazione dei fanciulli che sono completamente sicuri di essere accettati, di essere amati e rispettati dai loro genitori e insegnanti, ha mostrato che le difficoltà, le deprivazioni e le discipline o impegni possono essere sopportate con straordinaria facilità. Gli effetti delle frustrazioni sono pochi, se le deprivazioni non sono concepite dal bambino come tali da minacciare la sua personalità fondamentale, gli scopi principali della sua vita, i suoi bisogni più rilevanti.” 15


James Hillman con la “teoria della ghianda”16 ci insegna che dentro di noi, fin dalla più tenera età, c’è una ghianda, un seme, un daimon, che un giorno ha la possibilità di diventare “quercia”. Si parla quindi di tensione innata all’autorealizzazione di sé. Tutti noi abbiamo una “ghianda” dentro di noi, tutti abbiamo delle potenzialità, ma qual è il ruolo dei genitori? Fare il possibile perché il figlio dia il meglio di se stesso.

Esperienze di vita in famiglia: i genitori raccontano…

Ci sono storie di vita molto note che possono aiutarci a riflettere ulteriormente su quanto diciamo.


Si pensi, per esempio, ai grandi traguardi che la giovanissima Beatrice Vio, detta Bebe, ha raggiunto nello sport e nella vita per affrontare con forza le avversità della disabilità. Un bel tipo che non si arrende! A Bebe, dopo l’amputazione di braccia e gambe, le dissero che senza le mani non avrebbe mai potuto fare scherma. Eppure oggi Bebe è nota al mondo per la medaglia d’oro individuale di scherma alle paraolimpiadi! In un’intervista la giovane campionessa evidenzia l’importanza della famiglia come punto di riferimento, caposaldo da cui partire e sostenersi, “Potenza dell’amore di una mamma e di un papà, una sorella e un fratello complici di sorrisi e litigate come deve essere, nonni punti di riferimento”.


Desideriamo concludere ricordando un’altra storia recente che in modo esemplare è espressione di quanto detto finora su talento, progetto di vita, autorealizzazione. La storia del maestro Michela Gamba, direttore d’orchestra al Teatro alla Scala di Milano, per caso.


Era una sera di marzo del 2016, mentre stava cuocendo il sugo... alle 19.42 suona il cellulare: se a volte una telefonata ti salva la vita, a volte ti fa debuttare alla Scala. Era Francesco Meli, il tenore, con cui nel pomeriggio il giovane Gamba (32 anni) aveva mangiato un gelato. Strano chiamasse a quell’ora, visto che alle 20 doveva essere in scena alla Scala. “Ti ricordi I due Foscari?” gli chiede a bruciapelo Meli, che due anni prima l’aveva cantata al Covent Garden, direttore Tony Pappano, di cui Gamba era stretto collaboratore. E senza dargli il tempo di rispondere aggiunge: “Vieni subito in teatro, stasera dirigi tu”. Silenzio dall’altro capo del filo. Racconta Gamba: “Ho pensato subito a uno scherzo, così gli ho detto ‘Piantala... Non è divertente’”. Ma Meli insiste. Spiega che Michele Mariotti, il maestro titolare, è arrivato in teatro con le ossa rotte e in breve la febbre è salita. Non ce la fa a dirigere, la gente è già tutta in sala, la recita rischia di saltare. “Solo tu che sei a Milano e conosci l’opera puoi salvare la situazione. Corri!”. A quel punto Gamba comincia a tremare. Forse è tutto vero... “Ho agguantato la partitura, una giacca e una cravatta e sono sceso in strada com’ero, in maglione. Ho fermato un taxi: ‘alla Scala e più in fretta che può’, ho gridato. Erano le 19.55. Nel tragitto ho ripassato la partitura e mi è tornata in mente una frase di Pappano: questa è un’opera difficile... Perfetta per un debutto su due piedi alla Scala! Ma non ho fatto in tempo a spaventarmi che ero davanti al Piermarini. E con orrore mi sono accorto di essere uscito senza soldi. Per fortuna ad aspettarmi fuori c’era un’anima buona del teatro”. Da quel momento tutto è successo come in sogno. “Farò del mio meglio”, ho promesso. Così è stato. Alle 20.14 Gamba sale sul podio accolto da un applauso di simpatia del pubblico, informato della sostituzione lampo. “Tutto è filato a meraviglia. Nell’emergenza si è vista la tempra della Scala. Maestranze, orchestrali, cantanti, ciascuno ha dato il massimo e insieme abbiamo fatto squadra. L’imprevisto è diventato occasione di immediata intesa, di energia creativa”.

Per Gamba nulla sarà più come prima. “Un debutto da cardiopalma” ride felice il giovane maestro che festeggia in famiglia. “I miei non hanno niente a che fare con la musica, ma avevano affittato un pianoforte per mio fratello maggiore. Lui non l’ha mai suonato mentre io a 4 anni ci strimpellavo su motivetti pubblicitari. E a 6 mi hanno sorpreso in cucina a dirigere con una forchetta la Settima di Beethoven trasmessa alla radio”. Segni del destino che i genitori hanno saggiamente assecondato iscrivendo Michele al Conservatorio senza però esimerlo dal liceo. “E al sabato pomeriggio andavo ai concerti... I compagni mi guardavano come un alieno ma siccome ero bravino e passavo le traduzioni dal greco ero benvoluto. Con molti sono rimasto amico”17.

Letture consigliate

  • Galimberti U., Dizionario di Psicologia, UTET, Torino, 2006.

  • Hillman J., Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1997.

  • Maslow A.H., Verso una psicologia dell’essere, Ed. Astrolabio Ubaldini, Roma, 1971.

  • Montessori M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1991.

  • Paciotti I., L’amore come terapia. La crescita della coscienza, Ed. Mediterranee, Roma, 1992.

  • Parsi M.R., I percorsi del coaching creativo, Franco Angeli, Milano, 2009.

FOCUS

Le frasi che un bambino vuole sentirsi dire:

  • Mi piace stare con te e mi diverto

  • Mi sei mancato

  • Ti capisco

  • Sono certo che ci riuscirai, provaci e vada come vada

  • Ti voglio bene… sempre

Dal cuore dei genitori prende forma un grande proposito, perché:

noi ci saremo per sempre

noi ci saremo fino alla fine del mondo

noi ci saremo per capirti, per sostenerti e amarti di più

il nostro vero inizio e il nostro vero fine sei tu


Non dimenticate mai che:

“Occuparsi dei figli è un investimento che dura tutta una vita”.

I bambini sono sensibili, generosi e riconoscenti, quando si accorgono che i loro genitori li amano veramente e che sono disponibili a sacrificarsi per il loro vero bene.

Esercizi per educare ad essere

ESERCIZIO DEL FARO

Ponetevi in uno stato di rilassamento e immaginate di essere su una piccola nave in alto mare, di notte. C’è una tempesta, e la pioggia batte sul ponte. Sulla nave si balla paurosamente. Potete sentire il freddo del vento e la pioggia che vi batte in faccia, e percepite anche la stanchezza dei muscoli e la difficoltà di lottare col timone. Vi sentite persi e in balia delle onde.


Ora, in lontananza, potete vedere un punto di luce, che viene da un faro. Questa luce diventa per voi un punto di riferimento che accogliete con fiducia e sollievo; ora sapete in che direzione andare. Vi concentrate sul faro e ne visualizzate la luce che irradia in tutte le direzioni, per aiutare persone che hanno perso l’orientamento, per guidare tutti coloro che ne hanno bisogno.


La tempesta continua a imperversare, il vento ulula, cade la pioggia, la notte è molto scura. Ma il faro è solido e luminoso. Ora vi concentrate sul faro: ne percepite la stabilità e la luce. Il faro è la verità che vi dà la libertà. È la sintesi di tutti i valori che con la loro presenza e guida vi aiutano a risolvere i vostri problemi e a soddisfare i vostri bisogni.


Vedete ondate sempre più potenti abbattersi minacciosamente sullo scoglio dove si trova il faro, e sul faro stesso; ma questo non vi preoccupa, perché sapete che esso continua a rimanere immobile e luminoso nella notte. Continuando a visualizzarlo, assimilate la solidità e la forza che il faro rappresenta, sentite dentro di voi un punto di riferimento indistruttibile.


Ricordate che questo faro esiste anche dentro di voi, rappresenta la vostra coscienza alla quale voi potete sempre fare ricorso nel momento del bisogno.

Fate alcuni respiri e movimenti per favorire la ripresa e ritornare alle normali attività.

ESERCIZIO “IO SONO IO”

Sistematevi in posizione comoda, chiudete gli occhi e fate qualche respiro profondo. Mentre inspirate ed espirate, seguite lentamente l’aria che entra e che esce dal vostro corpo. Concentrate la vostra mente sul respiro e cercate di rilassare il vostro corpo nel modo che ritenete più opportuno. Una volta raggiunto un buon stato di rilassamento e lasciati andare dalla mente i pensieri e le preoccupazioni, portate l’attenzione sulle seguenti affermazioni, cercando di viverle interiormente.


Io ho un corpo, ma non sono il mio corpo

Io ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni

Io ho dei pensieri, ma non sono i miei pensieri

Io sono io

Io sono un centro di coscienza e di pura consapevolezza

Io sono sapienza e verità

Io sono amore

Io sono essenza e potenza creativa

Io sono Io

Attività 5a tappa – Compilare il progetto educativo della famiglia

Spesso diamo per scontate le cose che più meriterebbero la nostra attenzione: quando dobbiamo costruire una casa, per esempio, progettiamo tutto nei minimi dettagli, informandoci e scegliendo con cura a chi affidarci, come suddividere gli spazi, che materiali utilizzare ecc. Ma facciamo altrettanto quando pensiamo allo sviluppo e alla costruzione dell’identità di nostro figlio?

“Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino.”

Maria Montessori

Educare in famiglia: il nostro progetto educativo

Affinché l’azione educativa sia efficace è necessario osservare e raccogliere più elementi possibili in merito alla realtà su cui si vuole intervenire, dopodiché è bene porsi pochi obiettivi e decidere come agire per perseguirli. In un secondo momento si andranno a verificare gli esiti del nostro comportamento e a ridefinire gli obiettivi.


Noi genitori scegliamo di adottare uno stile educativo autorevole e ci impegniamo a mettere il bene di nostro figlio al primo posto: rispettando, accettando e valorizzando la sua persona.


Questi sono i tre valori fondamentali per la nostra famiglia:

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2. .................................................

3. .................................................


Queste sono le regole su cui si basa la nostra vita famigliare:

1. .......................................................................................................

2. .......................................................................................................

3. .......................................................................................................

4. .......................................................................................................

5. .......................................................................................................


Dopo aver osservato attentamente nostro figlio, grazie all’utilizzo del diario giornaliero, ci focalizziamo sulle sue potenzialità, che intendiamo favorire e sostenere con queste azioni:


Quali limiti e difficoltà sta incontrando nostro figlio in questo periodo? Come possiamo aiutarlo a migliorarsi? In che modo possiamo agire per sostenerlo? Quali sono i bisogni di nostro figlio in questo momento della sua crescita? Come possiamo rispondere alle sue richieste?


Quale potrebbe essere il progetto di vita di nostro figlio? Come possiamo aiutarlo a realizzare se stesso?

Educare ad essere
Educare ad essere
Gino Soldera
Per diventare ciò che siamo.Una guida pratica per riconoscere e valorizzare i talenti del bambino e aiutarlo a costruire il proprio progetto personale di vita. Educare ad essere è un metodo originale che affronta la questione dell’educazione in modo radicale e globale, per rispondere alle complesse sfide poste dalla società. Riconosce al bambino un ruolo attivo e interattivo, l’esistenza di grandi potenzialità e di un proprio progetto di vita, che non può e non deve essere ignorato. Il libro di Gino Soldera offre strumenti semplici e pratici per comprendere la realtà meno conosciuta del bambino e i suoi molteplici bisogni, per costruire relazioni armoniose e un dialogo aperto e creativo, a beneficio della famiglia e dell’intera società. Educare ad esseredi Myriam Zarantonello, pediatraCredo siamo tutti coscienti che il tema dell’educazione sia un problema e un’urgenza nella nostra società.Questo testo di Soldera, Da Mar e Verticilo ci aiuta a riscoprire questo valore e a comprendere come rispondere a questa esigenza per sanare gli errori di una deriva culturale che antepone le cose delle persone. Gli autori auspicano un’altra “rivoluzione copernicana”: quella di porre al primo posto le esigenze interiori dell’essere umano fin da prima del concepimento.Chi siamo, come veniamo in questo mondo, perché, qual è il senso della nostra esistenza: è importante che queste e altre domande esistenziali guidino quando si sceglie di essere genitori, perché concepire e crescere un bambino è una grande responsabilità, alla quale ci si prepara con attenzione.Questo testo diventa particolarmente interessante per il pediatra, il quale, nei “bilanci di salute”, ha l’opportunità preziosa di incontrare più volte genitori e bambini. Spesso le domande sulle difficoltà più comuni, legate ai bisogni fisiologici come il pianto, il sonno, l’alimentazione, esprimono la difficoltà dell’adulto a dare risposte adeguate, a comprendere e vivere meglio la relazione con il bambino. Anche il pediatra può correre il rischio di limitarsi a rispondere con un farmaco, pensando di poter risolvere sbrigativamente i sintomi somatici, invece di considerarli sentinelle di disagi più profondi. È per questo che concetti importanti come struttura della psiche, progetto di vita, costruzione di valori, completano anche nel pediatra quella conoscenza del bambino che va oltre la fisicità, per coglierne l’interiorità, rispettando così l’unità e la complessità che caratterizza l’essere umano fin dall’inizio della sua vita.Buona lettura! Conosci l’autore Gino Soldera, psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia ed Educazione Prenatale all’Università IUSVE di Mestre-Venezia, Psicoantropologia all’Accademia ConSè di Brescia e svolge l’attività di supervisore presso il Consultorio Familiare del CIF di Dolo (VE).È consigliere internazionale dell’APPPAH (Associazione Americana di Psicologia Prenatale Perinatale e Salute), membro del Comitato Scientifico della Scuola Italiana per la “Care in Perinatologia” e socio onorario dell’Associazione “Genitorialità”.Dirige la rivista Il Giornale Italiano di Psicologia e di Educazione Prenatale dell’ANPEP (Associazione Nazionale di Psicologia e di Educazione Prenatale), di cui è presidente.