prima parte

Introduzione

Occorre oggi più che mai una critica della pedagogia che consenta di andare oltre quei molteplici prodotti contrastanti e assortiti di pedagogie guazzabuglio di bassa qualità, di natura autoreferenziale, in modo tale da mettere in luce i limiti della pedagogia stessa: si propone frammentazione invece di fioritura, estraneazione invece di concetti chiari, povertà teorica piuttosto che crescita concettuale, molto bluff e poca sostanza.

Wolfgang Brezinka1

Una delle regole fondamentali dell’educazione è quella di dire sempre la verità, naturalmente senza arrecare offesa a nessuno e usando un linguaggio adeguato e comprensibile all’interlocutore. Ed è quello che ci accingeremo a fare per comprendere il ruolo educativo dei genitori, che non può più essere lasciato a se stesso, dovendo la famiglia affrontare un’epoca contrassegnata da profondi cambiamenti e trasformazioni di natura “cosmopolita” che ci vedrà destinati a coabitare in modo permanente con modi di vita, fedi e culture diverse.


Se oggi volgiamo uno sguardo alla realtà umana nel suo insieme, non possiamo non rilevare lo stato di abbandono e trascuratezza nel quale si trovano la stessa famiglia e il mondo dell’infanzia, tanto che possiamo dire, al di là delle dichiarazioni ufficiali, che l’educazione è diventata una sorta di “Cenerentola”, essendo stata relegata a un ruolo marginale nella vita sociale.

Alla domanda: perché tutto questo? La risposta è abbastanza scontata, in quanto da sempre l’uomo ha manifestato una certa difficoltà nel rapporto con se stesso, in particolare in quest’epoca in cui i suoi nuovi idoli sono diventati la finanza, la politica, l’economia, la produzione ecc.; dimenticando così se stesso, le sue esigenze più intime e profonde e con esse la sua storia e il suo divenire, facendo sì che la questione dell’educazione continui a essere una semplice appendice di altro. Afferma a questo proposito Thomas Verny: “Come dimostra la ricerca storica e incrociata, il modo in cui la società risponde alle esigenze umane ed educative ha ben poco a che fare con l’istinto materno, con gli ormoni o con l’assoluta e oggettiva verità di ciò che sia meglio per i figli o per il loro sviluppo. Ciò che forgia le ricette e i metodi per allevare i figli in ogni società sono le strutture economiche, politiche e culturali di quella società”2.

Attualmente stiamo vivendo un periodo di grandi trasformazioni, quali il processo di globalizzazione, il paradigma della complessità, i movimenti migratori, gli scenari multiculturali e un apparato tecnologico che si va diffondendo oltre misura. E se da un lato la nostra società ha in gran parte risolto i problemi legati alle esigenze del corpo e della sopravvivenza, dall’altro in questi anni ha contribuito ad accrescere le difficoltà e i disagi sul piano della vita psichica e personale, e questo con gravi ripercussioni nell’ambito della vita sociale, alimentando fenomeni come quelli della devianza e della marginalità, che portano verso la dipendenza e la delinquenza. I ritmi di vita stanno diventando via via più incalzanti e innaturali; i rapporti interpersonali più fragili e superficiali; la solidarietà umana è sostituita dalla competizione senza limiti; mentre sta crescendo in senso conformistico la pressione sociale a scapito dell’autonomia e della libertà di coscienza.


Il tutto sta creando un diffuso malessere sociale fatto di solitudine, insicurezza, incertezza, disadattamento, insoddisfazione, sofferenza, paura e infelicità.

In termini più ampi potremmo dire che stiamo assistendo a quello che Erich Fromm aveva definito “il fallimento della grande promessa”3, in quanto stiamo sempre più constatando che la soddisfazione illimitata di tutti i desideri non permette necessariamente di vivere bene e di essere felici; il sogno di diventare padroni assoluti della nostra esistenza comincia a venir meno e ci stiamo rendendo conto che stiamo diventando nell’insieme ingranaggi di una grande macchina burocratica; il progresso economico rimane in mano alle classi agiate e ai paesi ricchi e il divario con le classi meno abbienti e con i paesi poveri sta crescendo; mentre il progresso tecnico manifesta gravi pericoli ecologici. Inoltre la realtà che riguarda il mondo interiore è stata sempre più oscurata e la vita dell’essere umano si è spostata quasi esclusivamente all’esterno, nel mondo esteriore; questo, fra l’altro, dimenticando che l’inizio e la fine vita sono processi che coinvolgono in modo naturale la nostra interiorità che, negata, ha prodotto il tabù della morte.


Sul piano umano siamo all’emergenza educativa, senza che questa venga affrontata; essa peraltro continua a essere confusa con l’istruzione, dimenticando che uno dei più importanti compiti di una società è quello di formare e di educare le nuove generazioni e dare loro la possibilità di potersi esprimere e di poter contribuire con la loro vita al bene comune.


Al contrario, la società occidentale sta perdendo di vista se stessa, le sue radici e i suoi valori e con essi la sua identità; sta diventando, secondo Bauman, sempre più liquida4, anche perché sta smarrendo il senso profondo della sua missione e della sua esistenza e a poco aiuta il fascino di affrontare la complessità con misure semplici e istantanee o la reazione radicale di natura fondamentalista di tipo locale, nazionalista o religiosa, se non a richiamare i pericoli e gli spettri del passato.

A tutto questo si aggiunge la continua sotterranea crescita della demagogia, del malcostume e della corruzione che fa sì che vi sia un continuo e costante logoramento degli strumenti e dei mezzi istituzionali necessari ad amministrare la vita sociale, anzi, questi si sono sempre più burocratizzati e chiusi in se stessi e nei loro interessi corporativi, hanno privilegiato l’interesse di pochi e si sono dimostrati sordi alle necessità e ai bisogni di molti. Ciò ha prodotto una frattura e uno scollamento tra il mondo delle istituzioni e quello dei cittadini, tanto che le istituzioni hanno finito per diventare estranee e in qualche modo tiranniche verso coloro che dovrebbero servire, con la conseguenza di aver reso la vita dei cittadini ancora più complicata e difficile e a questi ultimi non è rimasta altra strada che la via della contestazione e della protesta civile.


Il fatto che attualmente la questione educativa sia alla mercé della politica, delle amministrazioni, delle lobby e della cultura dominante, e che solo marginalmente coinvolga nelle scelte le famiglie e la popolazione, ha fatto sì che queste subiscano scelte e decisioni di altri estranei alle loro vicende; mentre la situazione non avanza, i nodi strutturali di fondo continuano a rimanere irrisolti, nonostante il susseguirsi delle diverse amministrazioni. Al contrario, si osserva invece un atteggiamento totalmente diverso nei confronti di quelle che possiamo chiamare “le nuove emergenze” che trovano negli amministratori di turno attenzione, interesse e disponibilità, anche perché queste emergenze permettono di avere mano libera e una immediata e ampia visibilità attraverso i mass media. Tutto ciò avviene in virtù del fatto che la programmazione non è riuscita ancora a fare quel salto di qualità da tutti auspicato, essendo costretta a seguire gli spazi e i tempi della politica e del sistema elettorale, che purtroppo cura quasi esclusivamente le questioni di breve tralasciando quelle di medio e lungo periodo.


Perciò sarebbe opportuno che chi amministra smetta di “navigare a vista” e vada oltre la “politica del tappa buchi”, i cui sforzi rischiano di diventare del tutto inconcludenti, se non addirittura dannosi, quanto meno in ambito educativo, e cerchi di documentarsi adeguatamente, avvalendosi se necessario di professionisti esperti, così da poter fare una fotografia della situazione, delle necessità e dei bisogni educativi attuali e delle risorse umane e materiali disponibili, per realizzare una programmazione aperta sul lungo e medio periodo: non possiamo dimenticare che il bambino di oggi sarà il cittadino di domani.


Che l’educazione sia una questione irrisolta è sotto l’occhio di tutti, tanto che da fenomeno acuto è diventato cronico, al quale non si dà più peso e la cui presenza comincia a essere avvertita da molti con un certo disinteresse e fastidio.


Allora possiamo chiederci: quali sono le ragioni? La prima, forse la più importante, è che nella nostra società i bambini non hanno ancora un autentico diritto di cittadinanza e tanto meno diritto di voto, di conseguenza non c’è chi cura i loro interessi e i loro bisogni, come per esempio avviene per gli anziani o per altre categorie sociali deboli. Quello che possono fare i genitori o i nonni con le loro fatiche è già molto, in quanto le risorse assegnate dalla società alle agenzie che si occupano di educazione sono piuttosto scarne e insufficienti: si parla che per l’età che va dagli zero ai tre anni venga impiegato solo lo 0,5% delle risorse dell’intero welfare disponibile.


Senza dubbio l’introduzione del diritto di voto ai bambini, mediato ovviamente dai genitori, nel nostro ordinamento, in un paese come il nostro dove nascono in media meno di 500.000 bambini all’anno, sposterebbe l’ago degli equilibri politici e probabilmente creerebbe una sana discontinuità politica amministrativa. Questo farebbe sì che l’infanzia non continui a rimanere una questione marginale e relegata alla famiglia, ma costringerebbe finalmente l’intera società a rendersi conto che la questione educativa ha un ruolo strategico fondamentale rispetto al futuro, se si vuole realizzare una società a misura d’uomo.

Per pensare seriamente a se stessa, al suo vero bene e al suo futuro, la società non può continuare a esimersi di interrogarsi sul valore della famiglia, sul ruolo della coppia e dei genitori, sulla loro funzione relazionale e educativa, sulla condizione dell’infanzia e sulla vita del bambino fin dall’inizio della sua esistenza: è necessario che si cominci ad affrontare e a prevenire ciò che non funziona. Tutto questo diventa possibile se si comincia a comprendere che le risorse del mondo esterno, come quelle della terra, sono ridotte, mentre quelle interiori che riguardano la psiche dell’essere umano sono illimitate e sono lì che attendono solo di essere conosciute e sviluppate. Quello che si è cercato di fare con il metodo educativo “Educare ad essere”5 è stato di invertire la modalità di approccio al bambino, non più fondata solo sulla sua realtà esteriore che considera solo i suoi limiti, le sue debolezze e incapacità, ma soprattutto sulla sua realtà interiore, fatta di grandi potenzialità, il cui sviluppo viene orientato in maniera determinante proprio nelle prime fasi della vita. Se è vero che sul piano esteriore il bambino è figlio dei suoi genitori, è anche altrettanto vero che sul piano interiore la situazione si inverte in quanto il bambino è, come dice la Montessori, “il padre dell’uomo”6, essendo per sua natura portatore degli insegnamenti dell’intera evoluzione biologica e umana, dalla quale nessuno può prescindere, se vuole rigenerare e dare un impulso evolutivo alla propria e all’altrui esistenza.


Perché questo cambio di rotta possa avvenire è necessario cominciare a superare anche il grave pregiudizio relativo alle componenti strutturali e allo sviluppo del bambino, in quanto questo è ancora ritenuto collegato alla formazione del cervello, quando invece alcuni studi hanno messo in evidenza come la realtà della psiche, con i suoi aspetti inferiori, medi e superiori, preceda e faccia da sfondo allo sviluppo della mente e del cervello del bambino. Questo perché, come afferma Peter Fedor-Freybergh, l’attività funzionale, data dagli stimoli, precede lo sviluppo della struttura e degli organi7 e, come sostiene Mark Solms, i processi psichici interiori, di natura soggettiva, precedono quelli secondari esteriori a valenza oggettiva8. È evidente che il bambino ha bisogno di vivere in un ambiente favorevole e di avere degli adulti che sappiano comprendere la sua realtà e che lo aiutino a esprimere fin da piccolo tutte le sue risorse e potenzialità che, se non adeguatamente coltivate, rischiano con il tempo di scomparire, ma necessita anche di educatori che gli permettano di imparare ad essere se stesso, in modo autentico e in ogni circostanza della vita, così da poter crescere e formarsi nel modo più armonioso ed equilibrato possibile.

A questo punto possiamo anche chiederci: in quale contesto sociale sono educati oggi i bambini, visto che l’ambiente nel quale vivono gioca un ruolo fondamentale per la loro formazione? La nostra società, fondata sul senso delle giustizia sociale, sa essere egualmente giusta con i deboli e con i forti? Ha nel suo DNA la coerenza tra ciò che dice e fa? Pone sullo stesso piano la ricchezza interiore dei bambini e la ricchezza esteriore degli adulti? Ritiene che l’interesse personale abbia un carattere secondario rispetto all’interesse collettivo?


Ciò che si rileva è che questa società fa continuo riferimento all’equiparazione e all’uguaglianza, mentre in realtà introduce direttamente o indirettamente continui elementi di discriminazione e di divisione, secondo la logica del divide et impera. I diversi tentativi di recupero imposti dall’esterno, per legge o altro, non fanno che rendere ancora più difficile e complessa la situazione, e questo, per esempio, nei confronti delle frequenti disparità che esistono tra uomo e donna, tra adulto e bambino, tra sano e malato o tra povero e ricco.


Per quanto ci si dia da fare, la comprensione non può essere imposta dall’esterno: avendo la sua sede nel cuore dell’uomo, questa può crescere e svilupparsi solo all’interno della coscienza personale e collettiva. In realtà, al di là di qualche episodio che viene subito fatto conoscere al largo pubblico, la nostra società è ancora molto lontana dall’aver fatto propri i valori dell’amore, della solidarietà e della fratellanza, a scapito del potere, del prestigio e della furbizia e dell’egoismo personale. Per quanto riguarda l’amore è necessario essere molto chiari: esso non può essere lasciato alla libera interpretazione di ognuno, dove tutto può diventare amore, sia esso possesso, attaccamento o altro, perché spesso queste non sono altro che espressioni di un amore malato che va diagnosticato e curato. L’amore ha un ruolo primario nell’educazione, in quanto l’amore anima, sostiene e orienta l’azione educativa che è anche rispetto della propria e altrui dignità, accettazione di se stessi e dell’altro, così da permettere a questa energia di esprimere al meglio la sua creatività nel cambiamento, nella trasformazione e nella trasmutazione che porta verso la crescita e la maturazione.


Ciò di cui hanno bisogno veramente i bambini, accanto alla soddisfazione dei bisogni primari, è di essere aiutati a essere se stessi e a esprimere quanto di meglio c’è in loro, in sintonia con il loro progetto di vita, che rappresenta il motivo della loro esistenza nel mondo. Per questo i nostri figli per crescere sani hanno bisogno di genitori accoglienti e preparati, ed è quello che avviene con il metodo “Educare ad essere”, dove la loro formazione teorica e pratica (anche attraverso appositi esercizi ed esperienze individuali e di gruppo) non viene lasciata al caso. Infatti i genitori vengono guidati all’osservazione, all’ascolto, al dialogo; a conoscere la realtà interna ed esterna del bambino; ad avere un’idea di quelli che sono i principi e gli strumenti educativi; a comprendere a fondo i ruoli del padre e della madre e di entrambi i genitori; ad approfondire le relazioni e le dinamiche familiari; a conoscere i maggiori difetti educativi, i valori della vita e le condizioni necessarie per permettere al bambino di dare il meglio di sé e di avanzare sulla via dell’autorealizzazione. Inoltre i genitori vengono accompagnati a comprendere che i bambini hanno bisogno di essere tutelati e difesi da tutta la negatività che li circonda, anche perché, rispetto al passato, oggi la casa, grazie ai network e mass media, non ha più confini e i genitori non sono più il loro unico ed esclusivo riferimento.


Questo avviene in un momento ancora particolarmente delicato in cui il bambino, specialmente piccolo, non ha ancora sviluppato a pieno la capacità di comprendere, di elaborare e di scegliere e quindi di affrontare la realtà che lo circonda. La sfida che abbiamo di fronte è quella di riuscire, senza se e senza ma, a diventare capaci di entrare in empatia con il bambino e di sentire fino in fondo la sua interiorità. In questo modo possiamo far sorgere in noi la capacità di sintonizzarci con la sua essenza, per coglierla nel suo insieme, così da evitare di indurre nuovi ostacoli o inutili complicazioni nella sua esistenza (spesso dati da desideri impropri, bisogni e aspettative degli adulti), per poterlo al contrario aiutare a ritrovare se stesso, ad affrontare e a sciogliere gli ostacoli che ha di fronte e a esprimere a pieno le sue doti e possibilità, all’interno di un cammino personale sempre più libero e creativo, rendendo operativo il ruolo indispensabile di ogni vita all’evoluzione dell’intera umanità.

Educare ad essere
Educare ad essere
Gino Soldera
Per diventare ciò che siamo.Una guida pratica per riconoscere e valorizzare i talenti del bambino e aiutarlo a costruire il proprio progetto personale di vita. Educare ad essere è un metodo originale che affronta la questione dell’educazione in modo radicale e globale, per rispondere alle complesse sfide poste dalla società. Riconosce al bambino un ruolo attivo e interattivo, l’esistenza di grandi potenzialità e di un proprio progetto di vita, che non può e non deve essere ignorato. Il libro di Gino Soldera offre strumenti semplici e pratici per comprendere la realtà meno conosciuta del bambino e i suoi molteplici bisogni, per costruire relazioni armoniose e un dialogo aperto e creativo, a beneficio della famiglia e dell’intera società. Educare ad esseredi Myriam Zarantonello, pediatraCredo siamo tutti coscienti che il tema dell’educazione sia un problema e un’urgenza nella nostra società.Questo testo di Soldera, Da Mar e Verticilo ci aiuta a riscoprire questo valore e a comprendere come rispondere a questa esigenza per sanare gli errori di una deriva culturale che antepone le cose delle persone. Gli autori auspicano un’altra “rivoluzione copernicana”: quella di porre al primo posto le esigenze interiori dell’essere umano fin da prima del concepimento.Chi siamo, come veniamo in questo mondo, perché, qual è il senso della nostra esistenza: è importante che queste e altre domande esistenziali guidino quando si sceglie di essere genitori, perché concepire e crescere un bambino è una grande responsabilità, alla quale ci si prepara con attenzione.Questo testo diventa particolarmente interessante per il pediatra, il quale, nei “bilanci di salute”, ha l’opportunità preziosa di incontrare più volte genitori e bambini. Spesso le domande sulle difficoltà più comuni, legate ai bisogni fisiologici come il pianto, il sonno, l’alimentazione, esprimono la difficoltà dell’adulto a dare risposte adeguate, a comprendere e vivere meglio la relazione con il bambino. Anche il pediatra può correre il rischio di limitarsi a rispondere con un farmaco, pensando di poter risolvere sbrigativamente i sintomi somatici, invece di considerarli sentinelle di disagi più profondi. È per questo che concetti importanti come struttura della psiche, progetto di vita, costruzione di valori, completano anche nel pediatra quella conoscenza del bambino che va oltre la fisicità, per coglierne l’interiorità, rispettando così l’unità e la complessità che caratterizza l’essere umano fin dall’inizio della sua vita.Buona lettura! Conosci l’autore Gino Soldera, psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia ed Educazione Prenatale all’Università IUSVE di Mestre-Venezia, Psicoantropologia all’Accademia ConSè di Brescia e svolge l’attività di supervisore presso il Consultorio Familiare del CIF di Dolo (VE).È consigliere internazionale dell’APPPAH (Associazione Americana di Psicologia Prenatale Perinatale e Salute), membro del Comitato Scientifico della Scuola Italiana per la “Care in Perinatologia” e socio onorario dell’Associazione “Genitorialità”.Dirige la rivista Il Giornale Italiano di Psicologia e di Educazione Prenatale dell’ANPEP (Associazione Nazionale di Psicologia e di Educazione Prenatale), di cui è presidente.