capitolo I

Ecologia delle relazioni

Rimane sempre vero, a qualsiasi età, che quando si esce nel mondo
è meglio tenersi per mano e rimanere uniti.

Robert Fulghum,

Tutto quello che mi serve sapere l'ho imparato all'asilo

Per crescere un bambino serve un intero villaggio

I neogenitori di oggi sono nati, grossomodo, negli anni Settanta e Ottanta, quando ancora si andava a scuola a piedi, a frotte o, come grande conquista, in bicicletta da soli o con fratelli o sorelle maggiori. Non è un tempo così lontano e, a ben guardare, i nostri nonni potrebbero raccontarci cose dell'altro mondo. Loro probabilmente andavano a scuola percorrendo strade non asfaltate, portando a tracolla cartelle di cuoio o di cartone.


Eppure le immagini che scorrono nella mia mente, quando penso al percorso che facevo per andare alla scuola elementare, sono incredibilmente anacronistiche: dopo aver suonato i campanelli dei vicini, io, mio fratello e i nostri amici passavamo davanti al fornaio, che aveva il cancello del cortile sempre aperto. Attraversavamo la sua corte e – se ci andava bene – rimediavamo un panino all'uvetta ancora caldo. In quindici minuti eravamo a scuola: il percorso attraversava una parte del nostro quartiere e poi quella che noi chiamavamo “la stradina”, una strada sterrata più bassa rispetto al livello della carreggiata e che ci portava dritti alla nostra meta.


Alle 12,30 finivamo e rientravamo a casa. La maggior parte delle mamme del vicinato non lavorava o lavorava part-time e aveva tempo per seguire i bambini. Nel pomeriggio, dopo i compiti, uscivamo in giardino o in strada a giocare: era una gran seccatura dover interrompere le partite di pallavolo o di calcio, quando qualche auto doveva passare. Alcuni ragazzi, poco lontano, tiravano persino la rete da tennis da un capo all'altro della strada.


Chi ci controllava? Con quale spregiudicata incoscienza i nostri genitori ci mandavano a scuola da soli, senza controllo alcuno, e ci lasciavano giocare per le strade?


In apparenza eravamo molto liberi, ma il fatto è che accanto a noi, nel nostro percorso mattutino e in tutte le attività che svolgevamo di pomeriggio, eravamo in qualche modo protetti da una rete. Lo sguardo del fornaio o del vigile per noi era come lo sguardo dei genitori. Camminando per andare a scuola, o nei lunghi pomeriggi passati al parco, eravamo tutelati dal tacito controllo di un'intera comunità: insegnanti, genitori, preti, capi scout, ma anche l'edicolante di quartiere o il fruttivendolo avevano lo stesso atteggiamento, lo stesso approccio alle cose.


Un Fiordifragola bastava, insomma. Il secondo, il barista di quartiere, non me l'avrebbe mai dato. Anche lui era un padre e aveva un ruolo, che giocava con i propri figli e con quelli altrui. E la stessa cosa valeva per il pacchetto di figurine, per le caramelle o per la partita a flipper.


Sono cresciuta in una piccola cittadina di provincia, dove questa compattezza si è gradualmente sfaldata. Forse nelle grandi città era diverso già allora e i miei coetanei, da adolescenti, avevano molto più pelo sullo stomaco.


Quel tipo di comunità, che guardava nella stessa direzione per far crescere i bambini, si è man mano polverizzata. Oggi le persone che abitano quelle stesse strade sono barricate in giardini recintati, dotati di siepi e di basculanti elettrici. Persino il fornaio ha chiuso il suo cancello.


Oggi qualunque genitore dotato di buon senso non lascerebbe il proprio bimbo giocare da solo al parco o per la strada, soprattutto in periferia: in giro si va con la mamma o il papà (o i nonni o la baby sitter) e a scuola pure. Al parco si fa amicizia mentre per strada è molto improbabile, perché le strade ormai appartengono solo alle auto. C'è più attenzione alla sicurezza e questa è una cosa saggia e positiva, ma è rivolta quasi solo alla propria famiglia. Non accettiamo che il panettiere “controlli” nostro figlio e a volte neppure l'intervento e il giudizio di chi è deputato a farlo, come gli insegnanti. Viviamo un isolamento crescente e una grande diversificazione all'interno della stessa comunità di persone.


Per questo motivo anche le scuole e le agenzie educative che accompagnano le famiglie nella crescita dei figli sono molto differenziate, al pari delle opinioni, dei redditi, delle professioni, dello stile di vita di ciascuno.


Non sto dicendo che una volta non ci fossero divergenze di opinioni o di conti in banca. Anzi, forse erano più netti e manifesti, e questo era dato per scontato. Ma i valori, quelli che portano avanti il mondo, che guidano l'educazione, che rendono compatta una comunità erano sostanzialmente accettati e condivisi.


L'isolamento delle famiglie è sempre più diffuso ed evidente e le paure sono assolutamente giustificate: le strade sono più trafficate, inquinate e pericolose, ai negozi di quartiere si sono progressivamente sostituiti supermercati e centri commerciali, che si raggiungono solo in auto. Io me lo ricordo bene quando abbiamo smesso di andare da Toni a prendere il prosciutto senza conservanti per iniziare ad acquistare pacchi famiglia di qualunque genere nel primo supermercato della nostra città: era più conveniente, per noi pure più vicino, c'erano le offerte, il parcheggio grande e la cassiera veloce.


A questo si aggiunge la sempre più diffusa mobilità: sono in aumento le famiglie che per motivi di lavoro si spostano, che sono costrette a inserirsi in ambienti nei quali non hanno legami affettivi e che si trovano a dover costruire da zero le loro relazioni sociali.


Inoltre ci sono in giro un sacco di stranieri: famiglie africane, sudamericane o dell'est europeo, con due o tre bambini in fascia o per mano, che si arrangiano come possono per non rimanere completamente tagliate fuori. Chissà perché mai sono venuti qui gli africani… loro che, nei loro villaggi, crescevano i bambini assieme a tutta la comunità, e il figlio di uno era figlio di tutti.


Possiamo imparare che “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” come afferma un loro noto proverbio, uno stimolo per guardare con coraggio al futuro.


La separazione, l'isolamento… io li sento. Il fatto è che è molto difficile fare paragoni con la vita che si viveva venticinque o trent'anni fa. Viviamo qui e ora, e le stesse dinamiche non sono certo replicabili perché è cambiata la società, le opportunità sono differenti, e anche il modo di vivere delle famiglie. Il tempo a disposizione per le relazioni è davvero poco: le giornate sono piene di impegni, si corre moltissimo e si taglia sulla vita sociale: quante volte mi capita di passare settimane o addirittura mesi senza riuscire a incontrare persone amiche che desidererei vedere. Ispirarsi agli aspetti positivi di quel passato ormai sfilacciato può essere una possibilità per costruire il nostro modo di fare comunità, che abbia radici solide e che sia permeato da incontri, accoglienza, sostegno, solidarietà, ma che guardi in faccia al futuro con positività e speranza, puntando in alto, cercando di comprendere come possiamo cambiare a piccoli passi, quale strada possiamo percorrere per fare in modo che il nostro territorio non diventi sempre più anonimo e sterile, ma sia fertile e ricettivo perché lo sono le persone che lo abitano.

Fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole

Cosa c'entra questo discorso sulla società di oggi con l'ecologia in famiglia? Il nostro vivere di oggi, che si è realizzato anche con una progressiva chiusura a “riccio” delle famiglie, è proprio il figlio dei cambiamenti che noi, genitori di oggi, abbiamo vissuto in prima persona. Da bambini siamo stati spettatori di innovazioni, di un'impennata nei consumi, e di una crescita esponenziale che ci ha anche un po' travolto negli anni, abituandoci a un determinato stile, al volere-potere, al tutto subito e a un'illusoria velocità nel comprare e nel consumare.


Anche i nostri genitori hanno vissuto un cambiamento veloce e radicale, ma meno subdolo. Noi siamo passati da un'epoca di familiarità e di contatto a una di anonimato, in cui ci si fida sempre meno degli altri, in cui non si vuole disturbare, in cui si telefona persino ai vicini di casa, in cui ci si manda una mail tra colleghi per andare a bere un caffè o per dirsi delle banalità. Abbiamo virato il nostro stile di vita, il nostro modo di relazionarci con gli altri e di consumare, al punto da consolidare nuove abitudini che stanno travolgendo l'ambiente in cui viviamo e vivremo con i nostri figli.


Viviamo tuttavia anche in una meravigliosa epoca, piena di grandi libertà e possibilità: internet ci connette con il mondo e accorcia le distanze, diffonde la conoscenza e le emozioni, tiene salde le amicizie e moltiplica le relazioni. È più facile, rispetto a qualche decennio fa, viaggiare e fare esperienze o partecipare ad eventi. La tecnologia, in tutte le sue sfaccettature, se la sappiamo gestire e dominare, ci rende più liberi e organizzati, e a volte ci permette di essere persino più creativi.


Ma c'è un dettaglio non trascurabile di cui tenere conto: se non troviamo un modo per cambiare direzione, finiremo per consegnare alle generazioni future un pianeta sporco e privo di risorse sufficienti per vivere dignitosamente, in cui non potranno godere a pieno di tutta l'innovazione che si sta consolidando. Essere parte di una comunità è uno dei più grandi bisogni umani: non possiamo permettere che passi in secondo piano perché le necessità materiali saranno troppe.

Il nostro conto ambientale è in rosso: le risorse che consumiamo sono maggiori di quelle che abbiamo a disposizione. A dircelo è il Global Footprint Network1, l'associazione che promuove la scienza della sostenibilità lavorando sull'impronta ecologica. L'Earth Overshoot Day2, cioè il giorno di pareggio tra le risorse disponibili e i consumi, nel 2011 è stato il 27 settembre, nel 2012 il 22 Agosto. Secondo il modello di calcolo del Global Footprint Network il budget delle risorse che il nostro pianeta è in grado di generare, digerire e riprodurre, dovrebbe durare un anno, mentre nel 2011 si è raggiunto in nove mesi e in soli otto nel 2012.


Siamo cresciuti con il consumismo, espressione del progresso, delle cose belle e intelligenti, che ci facilitano la vita e bruciano tempo che altrimenti avremmo sprecato in mille faccende; siamo in grande contrasto con il futuro che si sta sbriciolando davanti a noi, mettendo in dubbio la qualità della vita di chi ci succederà. Abbiamo coscienza però del fatto che non possiamo continuare a consumare così tanto.


I problemi che si presentano davanti a noi sono grandi e difficili da decifrare. Questioni da massimi sistemi del mondo. Sui libri di geografia dei nostri figli c'è scritto che abbiamo raggiunto il picco del consumo delle risorse petrolifere e che la domanda risulta crescente. Quindi la disponibilità sta calando progressivamente, mentre il mondo ne chiede sempre di più3. Le nostre città sono sommerse dai rifiuti che poi finiscono nelle fauci degli inceneritori, drammaticamente inquinanti, o nelle discariche che strappano alla terra superfici vastissime perdute per sempre.


Severn Suzuki4, nota come “la bambina che zittì il mondo per sei minuti”, nel 1992 aveva 12 anni e partecipò al Vertice della Terra di Rio de Janeiro a nome di Eco (Environmental Children Organization), un gruppo di bambini interessato a sensibilizzare i propri coetanei verso le problematiche ambientali. Tenne un breve discorso davanti ai rappresentanti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite: parlò di ambiente e futuro come solo una bambina può farlo, con sincerità e schiettezza. In una manciata di minuti, nel breve monologo di Severn, è nascosta la chiave che ci permette di dare una svolta vera al nostro stile di vita, al nostro modo di vivere all'interno delle comunità a cui apparteniamo, come famiglie che possono avviare un cambiamento concreto e reale, partendo da piccole cose.

Qui potete esser presenti in veste di delegati del vostro governo, uomini d'affari, amministratori di organizzazioni, giornalisti o politici, ma in verità siete madri e padri, fratelli e sorelle, zie e zii e tutti voi siete anche figli. Sono solo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che conta 5 miliardi di persone, per la verità, una famiglia di 30 milioni di specie. E nessun governo, nessuna frontiera, potrà cambiare questa realtà. Sono solo una bambina ma so che dovremmo tenerci per mano e agire insieme come un solo mondo che ha un solo scopo.

La mia rabbia non mi acceca e la mia paura non mi impedisce di dire al mondo ciò che sento.[…]
A scuola, persino all'asilo, ci insegnate come ci si comporta al mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le cose, a non essere avari. Allora perché voi fate proprio quelle cose che ci dite di non fare? Non dimenticate il motivo di queste conferenze, perché le state facendo? Noi siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi dovremo crescere. I genitori dovrebbero poter consolare i loro figli dicendo: “Tutto andrà a posto. Non è la fine del mondo, stiamo facendo del nostro meglio”. Ma non credo che voi possiate dirci più queste cose.

Siamo davvero nella lista delle vostre priorità? Mio padre dice sempre che siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo. Ciò che voi state facendo mi fa piangere la notte.
Voi continuate a dire che ci amate, ma io vi lancio una sfida: per favore, fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole.

Fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole. Cioè, create interdipendenza tra pensiero e azione, fate per davvero qualcosa, insomma, agite. Magari senza piangervi addosso, con intraprendenza e positività

E chi se non noi genitori – come suggerisce Severn – possiamo per primi cambiare il corso delle cose, grazie al potere dell'educazione e della condivisione delle nostre scelte con i nostri figli? Chi più di noi, attraverso relazioni virtuose con altre famiglie, può velocizzare un processo di cambiamento, condividendo uno stile di vita più sostenibile, e quindi futuribile, con altre famiglie, creando un circolo positivo, denso di significato da un punto di vista ecologico?

Il sistema famiglia oggi e i nuovi legami leggeri5 

Io, con la mia famiglia, vivo una quotidianità fatta di ritmi piuttosto serrati, nonostante abbia la fortuna di avere un lavoro che mi lascia una certa indipendenza nella gestione del tempo. D'altro canto viviamo in un mondo dominato dalla velocità e a fatica riusciamo a tirarcene fuori. Orari, scadenze, tensione verso la realizzazione professionale e sempre tante cose da fare ci portano a trasferire questo stile anche nella relazione con i nostri bambini. Io cerco di evitarlo perché credo di avere una discreta consapevolezza rispetto alla differenza tra le mie tensioni e i miei impegni, e il loro punto di vista. Ma “dài che è tardi” mi scappa spesso e sfido qualunque genitore a fare mente locale e a considerare quante volte dice questa frase durante il giorno, magari anche solo a se stesso. Assieme a questa corsa continua, corredata da rapporti spesso anonimi e impersonali, c'è anche tanta, tantissima voglia di cambiamento.

L'idea di felicità e di realizzazione personale è sempre più spesso associata alla positività delle proprie relazioni e a una vita più semplice, meno congestionata da impegni, meno complessa. Se dunque questo è il problema, dopo aver schematizzato in modo semplice i punti critici, dovremmo anche trovare delle proposte per associare ad una vita più semplice anche degli espedienti alla portata di tutti, che impattino meno sull'ambiente e ci permettano di liberarlo dal giogo dell'insostenibilità.


Proviamo a schematizzare la vita di una famiglia degli anni Dieci del XXI secolo: nella migliore delle ipotesi (e crisi permettendo) si lavora mediamente in due, i bambini – se non ci sono nonni o baby sitter – frequentano l'asilo nido fin da piccoli e poi la scuola dell'infanzia e primaria con orari prolungati tutti i giorni o quasi, fino a metà pomeriggio. Il resto del tempo lo passano facendo i compiti, a volte con persone esterne alla famiglia o con i nonni, che contribuiscono spesso in modo sostanziale alla gestione quotidiana delle attività, oppure svolgendo qualche occupazione extrascolastica: uno sport, lo studio di uno strumento musicale, un gruppo ricreativo. La mattina presto e la sera sono gli unici momenti in cui ci si incontra in famiglia tutti insieme: in genere entrambi i genitori lavorano fuori casa e il tempo da dedicare alle faccende domestiche o alla preparazione dei pasti è estremamente limitato. I papà in genere, almeno in Italia, producono il reddito principale della famiglia, mentre le mamme, il più delle volte, hanno attività professionali più concilianti e sono più presenti, ma i ritmi sono sempre incalzanti. La variabile tempo è dunque una delle più pressanti per la quotidianità delle famiglie medie.


Mi piacerebbe essere smentita, ma quando si vanno a prendere i bambini a scuola si vedono scene assurde nel tentativo di occupare l'ultimo parcheggio libero e ogni auto porta e va a prendere un solo bambino. Spesso faccio parte del campione, ma mi piacerebbe imparare a gestire la fretta, a dominarla e a non farmi sopraffare.


La nostra è una società che non rispetta molto la famiglia e la famiglia, purtroppo, si è adeguata.

I fine settimana sono quasi per tutti dei momenti di recupero, in cui si può dedicare spazio a incontrare gli amici e ad attività di svago e tempo libero, ma al sistema famiglia di oggi mancano sempre di più quei punti di riferimento che costituiscono una valvola di sfogo positiva, uno spazio di incontro condiviso e non ideologico, che non si riconosca necessariamente in un partito o in una fede. Il bisogno di comunicazione c'è, ma deve essere un po' alleggerito perché lo stress quotidiano non ci permette di complicarci ulteriormente la vita con impegni gravosi.


Le parrocchie, i sindacati, i partiti e tutti quei luoghi che, oltre che importanti movimenti o comunità di fede, sono stati la connessione del tessuto sociale in cui si sono formati i nostri genitori, sono ancora linfa vitale per molti. Le forme di democrazia partecipata, di impegno civico o di adesione a una fede hanno influenzato anche la nostra educazione e rimangono opportunità di crescita per la cittadinanza e di conseguenza per le famiglie. Sembra però necessaria una forma di adesione e di condivisione più leggera, che si affianchi alla partecipazione tradizionale e che possa essere davvero alla portata di tutti, restituendo ossigeno alla comunità.


Quale strada percorrere allora?

Abbiamo bisogno di leggerezza, di relazioni positive e rigeneranti che facciano vibrare le corde del futuro, che diano colore ai nostri quartieri.

Avvicinarsi in punta di piedi a uno stile di vita più sobrio ed ecologico è una delle strade che siamo chiamati a percorrere da cittadini lungimiranti che pensano al futuro dei propri figli prima che a miopi vantaggi nell'immediato. Farlo assieme ad altre famiglie, creando dei gruppi informali, che si legano in modo leggero, senza troppi vincoli valoriali, è la chiave vera del cambiamento.

La follia del presente è quella di darci il superfluo per toglierci il pane e il futuro: la nostra generazione ha ora il compito di cambiare rotta, di generare abitudini virtuose e di condividerle, di preservare il desiderio di crescere attraverso piccole azioni quotidiane che hanno il sapore della decrescita, di vivere bene e di circondarsi di cose belle e di condividerle.

La relazione tra famiglie: opportunità per la svolta ecologica

Se riusciamo a conciliare i nostri bisogni di relazione e di senso con le necessità dell'ambiente, possiamo avviare un cambiamento rivoluzionario, che si realizza con una semplicità disarmante, attraverso un percorso graduale, fatto di piccoli gesti, azioni quotidiane, persone che si danno una mano. Potremo così contribuire a diffondere a macchia d'olio idee semplici per un modo nuovo di organizzare la quotidianità. Chi ci aiuta in tutto questo?


Abbiamo a disposizione il più grande potenziale comunicativo, invidiabile per qualsiasi multinazionale, denso di futuro e impregnato di positività: i nostri figli, che ogni giorno ci fanno interrogare sulle scelte più opportune, possono essere lo stimolo vero a cambiare e ad assumere comportamenti e abitudini che loro stessi faranno propri, esattamente come noi ci siamo abituati al cibo industriale e alle merendine confezionate senza fare una piega.

L'ecologia non fa notizia. Certo, va di moda, soprattutto perché molte aziende di grosso calibro o multinazionali si danno la cosiddetta “mano di verde”6, proponendo linee di prodotti ecologici che non sono male di per sé, ma che rientrano nelle stesse logiche di mercato in cui c'è tutto il resto, e rispondono al bisogno di sentirsi più ecologici più che di capire davvero cosa si sta acquistando.


La diminuzione dell'impatto ambientale attraverso l'alimentazione, la mobilità, la cura della persona può diventare l'essenza delle nostre abitudini, passando attraverso ogni azione quotidiana, incluso l'acquisto, ma è permeata di sobrietà, di essenzialità, di autoproduzione. Ed è in definitiva una via per vivere in salute, per migliorare la qualità della nostra vita, per consumare meno.

Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice sostiene che tutto ciò che ci capita di vivere si può ascrivere a questi temi:

L'ambiente è tutto. Ogni aspetto della nostra vita è riconducibile all'ambiente: salute, trasporti, edilizia, agricoltura, rifiuti. La qualità della nostra vita è ambiente. Ci vogliono convincere che la vita è merce, che vale per il numero di anni che viviamo, come merce che si valuta al peso. La qualità non è un valore in sé. Siamo l'unico essere vivente che non vive a rifiuti zero.

Ogni volta che apriamo il portafoglio, che andiamo a fare la spesa, che mangiamo, che accendiamo il riscaldamento o il condizionatore, che compriamo o buttiamo un giocattolo diciamo sì o no a un certo modo di produrre e consumare, con tutte le conseguenze del caso.


Non abbiamo scampo, per certi versi, perché siamo dentro un sistema, ma allo stesso tempo rivendichiamo anche un grande desiderio di felicità e di benessere, di relazioni soddisfacenti e gratificanti, che possano coronare il sogno di famiglie che diventano solide e piene di futuro in una terra pulita e ospitale. La strada dei legami leggeri, vivi e corroboranti, si fa sempre più concreta e lungimirante.


Essere soli nel cambiamento è difficile e forse anche controproducente: ci si sente come una mosca bianca, incompresa e tacciata di alternativismo. Ci si sente insomma un po' diversi ed è difficile, in un mondo che rema contro. Un mondo che ti dice che più latte e meno cacao è meglio per tuo figlio, che pochi salti in padella ti danno la felicità, che ti fa credere che ti servano un mucchio di cose perfettamente inutili, il cui bisogno è indotto da un marketing potente, subdolo e antiecologico.

Nicole Foss, un'economista atipica e indipendente, co-editrice di “The Automatic Earth”7, sostiene che la sclerosi del nostro sistema, ostaggio degli interessi di pochi, potrà essere trasformato solo dal basso, creando reti virtuose tra i cittadini.

 

“Dobbiamo costruire sistemi alternativi che abbiano una dimensione che consenta l'instaurarsi di rapporti di fiducia tra le persone: piccoli, non burocratici, che facciano l'uso migliore della quantità minima di risorse. […] Potremo almeno assicurarci l'essenziale: è incredibile quello che si può riuscire a fare con poco. […] Dobbiamo iniziare a lavorare con i nostri vicini, conoscerli, collegarci alla comunità, dipendere meno dai soldi: in futuro le relazioni di fiducia faranno davvero la differenza.”8

 

È ora di prenderci per mano e di provare a fare una virata: se non sappiamo da che parte cominciare, iniziamo da noi stessi, senza temere di far vacillare le nostre credenze. Cambiare idea e voltare pagina sono, a volte, delle esperienze piene di vita e di significato. Farlo con dei compagni di viaggio rende il cammino denso e profondo, divertente e leggero, ricco di imprevedibili avvenimenti che scardinano qualsiasi certezza.


Perché la famiglia e non la persona?

Perché la famiglia è il prototipo della relazione, è il grimaldello che ti mette in connessione con la società ed è ciò che genera e garantisce il futuro.

Se vivi il cambiamento assieme ad altri, condividi le scelte e le discuti, svisceri ogni aspetto fino a comprenderne, senza condizionamenti, i pro e i contro, liberandoti dalla presa dell'immagine o dalla patina del “dover essere” o “dover sembrare”. Buttare all'aria miti di ricchezza e spreco dovrebbe essere il nostro mantra.


Da un po' di tempo nutro questi pensieri, forse perché vivo ogni giorno queste dinamiche assieme ad altre famiglie che hanno stabilito, magari in maniera inconsapevole, connessioni virtuose positive e piene di valore, seminando per sé e per i propri figli.


Molte teste, molte idee, molti bambini: tutti gli ingredienti per cercare soluzioni ottimali, per vivere e diffondere stili di vita più sostenibili, per noi e per il nostro territorio, positivi per l'economia e favorevoli per la salute.

Le stesse esperienze si diffondono a macchia d'olio, grazie alle chiacchierate con mamme della scuola e dei giardinetti, o grazie alla condivisione delle esperienze sui blog e sui social network.

È da questo tessuto che nascono i gruppi d'acquisto solidale e gli orti condivisi; il piedibus e la cittadinanza attiva per la mobilità sostenibile; gli swap-party9, gli scambi e i baratti tra famiglie; la condivisione di esperienze di autoproduzione e di creatività; lo scambio di competenze e il lavoro condiviso, il cohousing10 e la solidarietà di quartiere. Opportunità che hanno il sapore dell'innovazione e che racchiudono i semi del cambiamento.

Il valore della sobrietà e del vivere semplice: un viaggio delicato, senza assolutismi

I contadini un tempo erano abituati al ritmo della vita e delle stagioni, usavano tutto, non buttavano via niente, consumavano il necessario. Possiamo noi, prodi genitori del ventunesimo secolo, che viviamo in appartamenti e in quartieri di città, recuperare almeno in parte lo spirito di sobrietà di chi ci ha preceduto? La sobrietà non è una tortura o una sadica rinuncia ai piaceri della vita. Essere sobri non significa nemmeno essere smunti e tristarelli. Probabilmente siamo abituati alla ricchezza (o al conclamato benessere) e al volere-potere come mete a cui tendere, che testimoniano successo, realizzazione personale e professionale e danno una patina di fascino. Affrancarsi da quel genere di dinamiche ci rende straordinariamente liberi.


Con il nostro vivere semplice e spregiudicato11 possiamo iniziare un viaggio delicato, pieno di opportunità, che ci fa ricominciare da noi stessi, liberandoci da mille condizionamenti.


Credo che l'unico modo per iniziare a vivere in modo sobrio e semplice sia camminare in punta di piedi, facendo un'autocritica intima e personale alle nostre abitudini quotidiane, alle scelte che riguardano tutte le sfere dei nostri consumi. Ma non possiamo permetterci assolutismi, né sensi di colpa perché siamo dei genitori. L'equilibrio e il buon senso devono per forza animare i nostri passi, con la consapevolezza che l'eccesso di zelo non è una virtù ma un vizio. Abbiamo una famiglia e dobbiamo andare avanti con sicurezza e determinazione: il downshifting12 radicale non può fare al caso nostro.

Solo interrogandoci profondamente sul senso delle nostre azioni e delle nostre scelte possiamo valutare se c'è terreno fertile per cambiare e trovare il nostro passo. Non possiamo andare al passo di un altro, questo è certo.

Il cambiamento verrà di conseguenza, grazie a tutte le piccole e silenziose abitudini che apporteremo nella nostra famiglia, interpretando a modo nostro idee e stimoli, condividendoli con altri genitori e cercando di darne diffusione, creando un circolo virtuoso positivo fatto di buone pratiche, piccole e grandi idee e stratagemmi che faranno la differenza.

Ecologia e bellezza

La sobrietà spesso viene confusa con un ripiego, la semplicità con una soluzione discount, un compromesso per ciò che non posso avere. Il passo da fare, a mio parere, è differente. Circondarsi di cose belle deve rimanere una possibilità per tutti e l'ecologia è ricca di una bellezza singolare e unica. Il riciclo creativo, i pezzi unici che troviamo nei negozi dell'usato, gli oggetti barattati che raccontano una storia, i beni semplici fatti con materiali rinnovabili o autoprodotti, valgono molto di più di mille oggetti fatti in serie; e non insultano la miseria al pari di oggetti unici di grande lusso. Gli ambientalisti poi non sono una specie a sé: è gente che vive, lavora e mangia, gente che non rinuncia allo stile e al buon gusto e nemmeno ai piaceri della vita; è gente che spesso fa un percorso graduale e che accetta qualche compromesso. Ecologia, sobrietà e bellezza fanno parte di un'unica prospettiva che guarda al futuro con speranza e positività.

Testimonianza:

“La Casa sull'Albero” ovvero perché fare rete fa la differenza

“La Casa sull'Albero” è un'associazione che ha saputo creare una rete tra famiglie, operando nel settore dei minori in difficoltà.
Vi raccontiamo l'esperienza di una rete solidale che accompagna ragazzi e famiglie che si trovano in difficoltà, per sostenerli nel loro percorso di crescita. Tale associazione, che ha preso vita dalla storia di una comunità educativa di accoglienza, cerca di tessere legami positivi nel territorio di appartenenza, coinvolgendo i cittadini, con l'obiettivo di educare, insieme, i figli propri e quelli degli altri.

“Il mondo non lo abbiamo ereditato dai nostri genitori, ma preso in prestito dai nostri figli”13.

Quando ci si propone un cambiamento, si devono mettere in conto varie tappe attraverso le quali conseguirlo. La nostra storia ne conta più di una ed è un'emozione ripercorrerle ogni volta con chi ha voglia di ascoltarne il racconto.

Quando ormai 18 anni fa abbiamo deciso di intraprendere l'esperienza di accoglienza di ragazzi presso la Comunità educativa “Alibandus”, ci siamo fatti guidare verso una direzione. Il centro. Il centro della città innanzitutto, che doveva rappresentare il luogo per eccellenza, in cui i ragazzi che si trovavano in difficoltà nelle loro famiglie potevano trovare un loro spazio di vita e riappropriarsi del loro benessere, grazie alla cura e alla protezione dei concittadini stessi. Per questo, i ragazzi preadolescenti e adolescenti che fin dal 1994 hanno abitato la casa della Comunità hanno vissuto tra le viette del centro storico. Piccole sentinelle che non lasciavano indifferenti coloro che avevano modo di incrociare. Una Comunità con stile familiare era ben diversa dal vecchio istituto, in cui, a quei tempi, si pensava ancora che i ragazzi “più sfortunati” avrebbero dovuto stare. L'altro centro era il lavoro, con i ragazzi e le loro famiglie, in maniera individualizzata. Ci sentivamo dentro ad un cambiamento storico nei servizi di tutela, mettendo tutta l'energia affinché ogni singola storia potesse uscire dall'anonimato dell'istituzionalizzazione e ricevesse finalmente delle risposte adeguate ai bisogni personali. Già i primi passi di questa esperienza educativa venivano compiuti in compagnia di tanti volontari e amici, che entravano e uscivano dalla Comunità, dove non c'erano le sbarre alle finestre, come qualcuno si immaginava e ci ha raccontato, dopo un po' che ci aveva conosciuto. Ma tutto questo non bastava. Non era sufficiente. Le relazioni con i ragazzi e le loro famiglie erano ancora troppo difficili, strette in un rapporto ancora molto formale con il Servizio Sociale Pubblico e la Comunità, quest'ultima vista soltanto come un dolore da parte delle famiglie stesse.


Di qui la necessità di cambiare. Di lanciare una sfida. Mettere in pratica ciò che l'appartenenza al CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) ci aveva offerto e permesso di maturare in più occasioni formative. Prendere in prestito e adattare alle nostre città lo slogan, tratto dal proverbio africano, “Ci vuole tutta una città per far crescere un bambino”. Questo motto ci ha accompagnato in un sogno. La realizzazione di una nuova Comunità, più bella, spaziosa e dignitosa con l'aiuto di tutti. Nasceva così “La Casa sull'Albero”, in un vecchio rustico che abbiamo ristrutturato grazie alla raccolta fondi sostenuta da tantissimi cittadini. Grazie ad un semplice passaparola in molti hanno colto l'importanza di questa impresa e ne hanno voluto fare parte. L'accoglienza trovava in questo modo una casa condivisa.


A questo punto si sono aperte molteplici direzioni, così numerose come mai le avevamo percorse prima, verso famiglie fuori e dentro la città, verso vicini di comunità della stessa via o di quella più in là. Verso Servizi Sociali vecchi e nuovi. Verso gruppi, altre associazioni, parrocchie, scuole, fino a creare una rete il più solidale possibile, dove professionalità, accoglienza e passione convivono. Ci siamo messi in gioco per una guerra alla solitudine che crea isolamento ed esclusione sociale, che impedisce alle persone di interagire e di sentirsi sostenute da una parola amica, confortevole, nei contesti difficili che la vita prima o poi ci mette davanti. Ci siamo costituiti come associazione di “cittadini in crescita”, sperimentando attività di volontariato e di vicinanza solidale, in particolare verso i ragazzi che accompagniamo nei progetti educativi con le loro famiglie, così da offrire loro valide opportunità di sviluppo e di crescita fiduciosa nelle proprie possibilità. La Comunità e gli altri servizi educativi della Cooperativa di cui la Comunità fa parte, che si sono sviluppati nel tempo, sono le radici solide di questa associazione. Perché è proprio in chi fa più fatica, ma che più di tutti affronta a maggior ragione con coraggio le proprie giornate, che crediamo stiano la bellezza di relazioni mai scontate e sempre capaci di provocare nuove domande. La rete solidale di famiglie e cittadini che cresce intorno a loro è come un giardino per una casa. È vitale e dà luce a ciò che si è, e che per nessun motivo deve restare oscurato e nascosto in una società civile e accogliente.

Eco-famiglie
Eco-famiglie
Elisa Artuso
Riflessioni, esperienze, idee per una maggiore consapevolezza e un orientamento più sostenibile.Suggerimenti e proposte concrete per essere più ecologici e per insegnare ai nostri figli il valore dell’eco-sostenibilità. Eco-famiglie di Elisa Artuso raccoglie proposte concrete per essere più ecologici senza spendere una follia, per ridurre i consumi inutili e per insegnare ai bambini il valore dell’eco-sostenibilità, consigli pratici per organizzare gli acquisti, ricette di autoproduzione, proposte creative per giocare, andare in vacanza e gestire i rifiuti. Ogni capitolo è corredato da testimonianze di chi sta sperimentando un’ecologia nuova e concreta, senza estremismi: il vero cambiamento parte dalle piccole cose, se si pensa solo in grande si rischia di non iniziare mai.Un cambiamento concreto che ci consenta di consegnare alle generazioni future un ambiente salutare e pulito non è solo necessario, ma improcrastinabile, e può avvenire solo se le famiglie imparano a costruire relazioni virtuose tra di loro, che aiutino a modificare gradualmente le abitudini all’insegna del consumo critico e responsabile, della mobilità sostenibile, di un nuovo modo di vedere la pulizia e la propria cura personale, di costruire le nostre case e di gestire il nostro denaro. Conosci l’autore Elisa Artuso, libera professionista e blogger, si occupa di comunicazione digitale e scrive di ambiente ed infanzia.È socia fondatrice di un gruppo d’acquisto solidale e autrice di Mestiere di mamma, un blog-magazine per famiglie amiche dell’ambiente. Vive a Bassano del Grappa.