capitolo iii

Alimentazione e ambiente

L'alimentazione è la guida sovrana della vita e della salute.

Martina Grassini, Associazione Cibo e Salute

Cibo e ambiente

Il cibo è una questione intima, molto intima. Nutriamo i nostri bambini con il latte materno, li attacchiamo al seno appena vedono la luce, nell'abbraccio delle nostre membra sono rassicurati dalla suzione e dal nutrimento. L'allattamento materno è la rappresentazione dell'aderenza alla natura della specie umana: è naturale, sano, possiamo dire senza indugio che è pure biologico, senza ogm e che risponde ai criteri della filiera corta e della massima sostenibilità possibile. I neonati allattati al seno sono i primi consumatori critici, ci dimostrano che non c'è bisogno di altro per i primi mesi della loro vita se non dell'attaccamento alla loro madre.


Le cose cambiano quando inizia lo svezzamento, visti i tanti prodotti per l'alimentazione nella prima infanzia, proposti dal mercato come irrinunciabili e insostituibili. I pediatri in molti casi offrono ai genitori tabelle per lo svezzamento molto strutturate, e spesso piuttosto rigide. Si passa cioè dall'allattamento a richiesta, in cui lasciamo libero il nostro bambino di mangiare quanto e quando vuole, a pasti solidi o semisolidi, offerti a orari ben precisi, completi da un punto di vista nutrizionale, fatti di carne, carboidrati, grassi, sali minerali e vitamine, ma anche, troppo spesso, di liofilizzati e omogeneizzati prodotti industrialmente. Si cerca quindi di replicare la completezza del latte di mamma, come se questo venisse improvvisamente a mancare.


Quando ho iniziato a svezzare le mie bambine mi sono rifiutata di offrire quei papponi pieni di tutto. Ho continuato ad allattarle al seno anche dopo i sei mesi e ben oltre, e ho cercato di introdurre molto gradualmente i vari ingredienti, cercando di farglieli assaggiare uno alla volta. Non ho rinunciato del tutto alla pappa, ma è stata accompagnata da piccoli spuntini di carote, patate, riso offerti anche “da soli” per avvicinarle all'alimentazione di noi grandi senza cibi speciali, pur rispettando una corretta introduzione degli alimenti, la varietà e l'equilibrio.


In seguito mi sono resa conto che avrei potuto fare meglio e gestire in modo molto diverso, fin dallo svezzamento, la modalità di somministrazione dei pasti. I piccoli cambiamenti li ho fatti dopo, alla luce di approfondimenti personali che mi hanno portata in una direzione diversa, che reputo più sana per la mia famiglia e più sostenibile per l'ambiente. Incredibile ma vero: questi due aspetti sono in totale sintonia.


Esiste cioè un modo di alimentarsi che non rinnega la nostra tradizione culinaria, così ricca e variegata, ma punta in misura maggiore su specifici ingredienti di alta qualità: un'alimentazione più naturale, che limita sensibilmente alcuni prodotti di origine animale e quelli raffinati e industriali, che subiscono numerose lavorazioni e molto spesso costano poco.


La cosiddetta alimentazione naturale è una delle buone pratiche che cerco di adottare, non solo per il rispetto dell'ambiente e della salute ma anche per un vero e proprio riavvicinamento alla natura. Tutto ciò che è coltivato e prodotto nel rispetto dei ritmi biologici della natura, lo è anche dei ritmi dell'esistenza.

Alcuni istituti di ricerca hanno elaborato delle regole per educare a un'alimentazione sana ed equilibrata. La Piramide Alimentare1, ad esempio, può essere associata alla dieta mediterranea come modello nutrizionale di riferimento, riconosciuta da molti come una delle diete migliori per quanto riguarda il benessere fisico e la prevenzione di alcune malattie croniche che sempre più affliggono la popolazione.


Alla base della Piramide Alimentare sono indicati i cibi da assumere con maggiore frequenza e via via che si sale, fino al vertice, si visualizzano i cibi il cui consumo andrebbe limitato.


Come si può vedere dall'immagine, alla base troviamo frutta e ortaggi e man mano che si sale legumi e cereali anche trasformati in pane e pasta, poi i condimenti vegetali e i latticini e, ancora più in alto, formaggi, uova, carni bianche e pesce. Al vertice della piramide la carne rossa e i dolci2.


Nel 2010 il Barilla Center for Food and Nutrition3 ha pubblicato per la prima volta la Doppia Piramide, che mette in relazione gli aspetti nutrizionali con quelli ambientali.

Cosa hanno fatto gli studiosi del BCFN? Hanno riclassificato gli stessi cibi analizzando il loro impatto sull'ambiente e hanno rilevato che la sequenza degli alimenti è sostanzialmente la stessa, ma invertita. Hanno quindi capovolto la piramide alimentare per far capire meglio la relazione tra questi due grandi aspetti. Il cibo che fa bene alla salute in buona parte fa bene anche alla terra, all'aria, all'acqua, pur con alcune differenze.

 

La carne rossa, alcuni prodotti di origine animale come i formaggi e il pesce, che purtroppo al giorno d'oggi è il ricettacolo dell'inquinamento marino, sono cibi da limitare, non solo per le loro conseguenze sulla nostra salute e quella dei nostri bambini, ma anche perché la loro produzione inquina e, con un circolo vizioso negativo, fa ancora più male alla nostra salute.

Alla luce di questo mi chiedo perché nei menù della mensa della scuola frequentata dalle mie bambine la carne sia proposta praticamente tutti i giorni.


La doppia piramide del BCFN non si spinge oltre, non ci dice come scegliere il cibo, non parla di aspetti legati alla qualità, e ad esempio non cita il biologico, come soluzione per evitare i rischi connessi al consumo di alimenti che contengono residui di pesticidi e di concimi chimici di sintesi.

La chimica nei nostri piatti

Antiparassitari, pesticidi, fitofarmaci, anticrittogamici, diserbanti, agrifarmaci: tutti questi termini si riferiscono a prodotti chimici che la legge ha definito “fitosanitari”, un termine forse un po' più rassicurante. Sono usati nei campi per trattare e prevenire le malattie degli ortaggi, per evitare la crescita delle malerbe, per avere in definitiva rese maggiori a costi minori.


L'agricoltura industriale ha sfamato l'Italia del dopoguerra ma non ha risolto il problema della fame nel mondo e ha un risvolto terrificante da un punto di vista ambientale. In Italia vengono utilizzati ogni anno 150.000 tonnellate di pesticidi con un aumento vertiginoso rispetto a quando si è dato il via all'agricoltura industriale. L'industrializzazione dell'agricoltura e del cibo in generale ha causato danni all'ambiente e alla natura, rendendo quella della produzione e trasformazione del cibo una delle attività umane più insostenibili4.


Il produttore da cui ci riforniamo con il nostro g.a.s. è figlio di ortolani e ha convertito l'azienda agricola di famiglia a regime biologico. Un giorno ci ha raccontato che suo padre, quando lo vedeva fare le prime sperimentazioni di colture lavorate con metodo bio, lo prendeva in giro, senza velare il suo sarcasmo. Gli diceva “Siamo andati avanti, perché ti ostini a voler tornare indietro?”.


Eppure la storia sta dando ragione al nostro amico Claudio, appassionato pioniere del bio.

Capita infatti che ogni tanto venga ritirato dal commercio qualche pesticida, magari utilizzato nei campi per decenni, perché ritenuto tossico. È già successo per l'atrazina e per il DDT5.


Io, nel dubbio che possa succedere con altri veleni, ho iniziato a evitare, quando possibile, il cibo convenzionale, pur sapendo che non si è mai completamente esenti da rischi6.

Forse ho una storia familiare un po' triste: in tanti, nella mia famiglia, si sono ammalati di tumori, diabete, ipertensione. Non abbiamo mai pensato di “mangiare male”, ma solo quando sono diventata mamma e ho iniziato in prima persona a occuparmi dell'alimentazione di famiglia con un po' di consapevolezza in più, ho compreso che l'alimentazione non è solo un fatto di abitudine e di tradizione.


Il cibo è un qualcosa di molto personale, per certi versi attraverso il cibo passano debolezze, sensazioni, appagamento. Il cibo è veicolo di sensualità e di passione (non a caso alle prime uscite in coppia… si va fuori a cena!), ed è difficile cambiare le proprie abitudini perché il come mangiamo è una sorta di eredità, è un componente della nostra esistenza intriso di passato e di futuro, è un flusso che vede trascorrere la nostra vita da quando siamo nutriti amorevolmente dalle nostre madri a quando diventiamo attivi nell'azione di alimentarci o di preparare i pasti ai nostri figli o, ancora, di diventare noi stesse nutrimento per loro, quando li allattiamo.


L'aspetto intimo del cibo è molto profondo e radicato, ma alimentarsi è anche un fatto culturale. L'alimentazione e la cultura vanno di pari passo e non mi riferisco esclusivamente ai temi antropologici, ma anche a quelli legati alle nostre conoscenze e alle nostre credenze.

Purtroppo oggi a dirci cosa dobbiamo mangiare sono prevalentemente le aziende attraverso il marketing e le loro attività di comunicazione. Qualcuno ha mai visto trasmettere in televisione la pubblicità delle carote o del farro biologico? Dei legumi secchi o della farina non raffinata? È molto difficile perché quello del biologico è un comparto fatto di tanti piccoli agricoltori, allevatori e trasformatori che fanno i conti con colossi dell'industria alimentare e faticano a ritagliarsi uno spazio nel mercato7.


Ma il bio cresce silenziosamente, le persone si avvicinano sempre di più all'idea che i prodotti chimici e il cibo del discount non siano la soluzione per svezzare e crescere i propri figli, che la qualità si rifletta in maniera diretta sulla nostra salute e sull'ambiente che ci circonda. E chi mangia cibo non trattato, in fondo, fa una cortesia anche a chi non lo fa, perché i territori coltivati con metodo biologico godranno di aria e acqua meno inquinate e più salubri e in generale di un minore inquinamento.


Se penso a quante cose ho scoperto solo per aver cercato informazioni non convenzionali e prodotte da chi non ha interessi diretti, mi stupisco meno del fatto che il mondo si muova in senso opposto.


Sul sito dell'Unione Europea c'è l'indicazione dei Livelli Massimi di Residuo dei pesticidi8 nel cibo ed effettivamente è stato rilevato dal Ministero della Salute che solo lo 0,8% dei prodotti alimentari è contaminato oltre i limiti di legge, il 62,5% è completamente privo di pesticidi, mentre il 36,7% ha dei residui di pesticida, ma comunque sono rispettati i livelli di sicurezza. Ora, ricordando l'atrazina e il DDT, io non mi fido più. Chi ci assicura che tra i pesticidi tollerati oggi non ce ne siano di dannosi? E poi, come ricorda il dott. Giattanasio9, i residui ingeriti nel nostro organismo si accumulano e l'effetto tossico potrebbe emergere a lungo termine. Inoltre i nostri bambini sono più vulnerabili e le persone che hanno una capacità ridotta di eliminare le sostanze nocive rischiano più delle altre. I pesticidi sono molti e potrebbero avere un effetto sinergico.

Non mancano gli studi su questi argomenti, anche in corso d'opera ma, in attesa di capire, cerco per la mia famiglia i prodotti della terra più sani, privi di chimica e di veleni. Questo tipo di prodotti è salutare anche per chi li produce e per l'ambiente che li ospita, rendendo ecosostenibile e salutare tutto il processo.


Ho iniziato dalla frutta e dalla verdura. In qualche modo mi sembrava più scontato che gli alimenti che si consumano crudi siano nettamente migliori se biologici. Poi, un po' alla volta, mi sono detta: se deve essere bio, che bio sia! E da lì è iniziata una lenta scoperta dell'alimentazione e della cucina naturale, nella quale mi sento una neofita, ma mi rendo conto che ho cambiato così tanti ingredienti nella mia spesa e nella dieta di famiglia che non mi riconosco più in quella che faceva la spesa riempiendo il carrello al supermercato, mettendoci di tutto un po'.

Cucina naturale per tutta la famiglia: come e perché

È stato il progetto Nutrire Significa Educare a farmi cambiare rotta. Ne ho accennato nel secondo capitolo, parlando della nascita del Gruppo d'Acquisto Solidale di cui faccio parte, che è stata l'espressione concreta del cambiamento negli acquisti di famiglia e di conseguenza nel modo di cucinare e mangiare. Quel progetto, nato dall'impegno di alcune famiglie, voleva contribuire a diffondere una nuova cultura della nutrizione, che fosse sana ed educativa per le famiglie e per i bambini, salutare per l'ambiente e per chi coltiva la terra. Alcuni incontri di approfondimento sui temi del biologico e dell'alimentazione mi hanno decisamente colpita, aprendomi a nuove conoscenze e soprattutto offrendomi gli stimoli per metterle in pratica.

Quel progetto, oltre a tradursi in un nuovo modo di consumare per molte famiglie, ha introdotto gli Orti in Condotta10 nelle scuole coinvolte e ha anche aiutato ad imparare cosa e come cucinare, attraverso dei corsi di cucina che oserei definire illuminanti.


Ma cambiare non è stato facile: tutte le novità, anche se maturate, provocano un leggero smarrimento. C'è bisogno di sperimentare, di assaggiare e di consolidare qualche abitudine, soprattutto in cucina.


Si dice ad esempio che è opportuno consumare cereali integrali o poco raffinati, ma se provi ad assaggiare un piatto di pasta integrale condita con il sugo di pomodoro ti sembra di mangiare cartone condito. Per non parlare delle verdure: mia mamma e mia nonna facevano grandi minestroni di verdure che lasciavano cuocere molto a lungo. Ma poi le verdure diventavano tutte dello stesso colore, perdendo buona parte dei princìpi nutritivi per i quali le mangiavamo. Vitamine e sali minerali con una cottura prolungata si volatilizzano. Ho scoperto che le cotture un po' più brevi per le verdure sono le migliori: lasciano il colore e un po' di croccantezza.


E le bimbe? Temevo che cambiare le abitudini familiari le disorientasse, che in qualche modo si opponessero, che rifiutassero le novità.

Non è stato così, il cambiamento è avvenuto gradualmente e loro si sono adattate: come tutti i bambini hanno le loro preferenze, fanno i capricci e amano la pasta in bianco. Ma con qualche trucco e un po' di buona volontà la cucina naturale è diventata una consuetudine.


Cosa mangiamo? Niente di così speciale o strano. L'alimentazione naturale e biologica rientra nei dettami proposti dall'OMS, è vicina agli standard offerti dai nutrizionisti, ha un impatto ambientale basso e, con qualche accortezza, permette di limitare notevolmente i rifiuti prodotti. Inoltre è decisamente preventiva rispetto a molte malattie degenerative. È una cucina semplice, oserei dire povera e sobria, ma anche molto varia, gustosa e saporita. Mangiamo bene insomma!

Abbiamo aumentato notevolmente il consumo di ortaggi e di frutta, rigorosamente biologici, locali e di stagione. Abbiamo imparato a consumare molti tipi di cereali in chicchi, la pasta integrale o semintegrale, di grano e di farro, condita nel modo giusto. Abbiamo imparato a cucinare altri cereali, come l'orzo, il farro, il miglio, il grano saraceno, l'avena, il bulgur, il cous-cous e altri ancora e spesso li abbiniamo ai legumi, per rendere più proteici i nostri piatti. C'è una tale quantità di legumi a disposizione che la varietà delle pietanze è davvero notevole: borlotti, cannellini, azuki, fagioli bianchi, ceci, fave, piselli e molti altri hanno trovato uno spazio maggiore sulla nostra tavola. Cucinarli con l'uso delle alghe ci ha permesso di azzerare i piccoli fastidi intestinali e di renderli digeribili, oltre che di velocizzarne la cottura. I bambini li apprezzano soprattutto sotto forma di hummus11.


Abbiamo poi limitato in modo considerevole il consumo di carne: mangiamo, abbastanza di rado, carni bianche provenienti da allevamenti biologici della zona. Continuiamo a consumare latticini e formaggi in modo moderato ma abbiamo introdotto le proteine derivanti da fonti vegetali, anziché animali: consumiamo quindi tofu e seitan, che alle nostre bimbe piacciono molto.


I condimenti che utilizziamo sono di alta qualità: olio extravergine di oliva e altri olii, come quelli di mais, di girasole, di sesamo, di lino, spremuti a freddo.

Abbiamo imparato anche a gustare i semi oleaginosi, di lino, sesamo, girasole e zucca, perché sono fonti di proteine, di grassi buoni e di vitamine: li utilizziamo per condire zuppe e insalate, e a volte li mettiamo nel nostro pane fatto in casa con la pasta madre.


I semi di lino sono una grande fonte di omega-3 e sostituiscono degnamente il pesce, che ne contiene molti meno e che, cosa poco nota, si perdono in gran parte con la cottura. Li polverizziamo sull'insalata oppure li mettiamo sulla crema di Budwig12 che prepariamo qualche volta al mattino come colazione. Anche il sesamo lo usiamo polverizzato, per condire le verdure crude o le zuppe, sotto forma di gomasio, oppure in crema da aggiungere alle nostre nuove portate, sotto forma di tahin.


Nei dolcificanti cerchiamo la qualità, utilizzando quelli naturali per le torte (come il malto, il succo d'agave, il succo d'acero, o il concentrato di mele), il miele o lo zucchero di canna grezzo.


In generale quello che abbiamo cercato di eliminare è il prodotto industriale, recuperando in cucina il legame con la terra. Comporre per la propria famiglia dei menù equilibrati e nutrizionalmente corretti, che siano anche a basso impatto ambientale, è alla portata di tutti i genitori.


Ovviamente noi per primi abbiamo notevoli margini di miglioramento: ogni giorno proviamo nuove ricette, cerchiamo nuovi modi per proporre alle bimbe le verdure crude e cotte perché non sempre le mangiano, come tanti altri bambini. Qualche volta ci riusciamo, altre volte no.


Cerchiamo di evitare che mangino il cosiddetto “junkie food13: la nostra dispensa è essenziale.

Non riusciamo ad acquistare sempre e tutto come vorremmo: a volte il tempo manca, a volte ci si trova in situazioni in cui risulta difficile essere coerenti con i nostri prìncipi, ma il nostro orientamento è questo, cerchiamo di cucinare piatti di qualità, sani e sostenibili e di raccontare il perché, quando si presenta l'occasione.


I cereali e i legumi possono essere cotti in qualunque momento della giornata (anche durante il pranzo o la cena!) e conservati in frigorifero per circa quattro giorni. Sono la base dell'alimentazione umana, digeribili e, quando abbinati, proteici.


La cottura dei cereali in chicchi

I cereali possono essere messi in pentola, ad esempio in una zuppa di verdura, ma la cosa migliore per preservare qualità nutrizionali e sapore non è la bollitura.


Il procedimento qui descritto è molto comodo ed efficace, e ci permette poi di aggiungerli già cotti ai nostri piatti (possiamo metterli nel passato di verdura, saltarli in padella con ortaggi e legumi, ecc.)


Innanzitutto i chicchi vanno lavati sotto acqua corrente, verificando che non ci siano impurità, sgocciolati e asciugati sommariamente.

Successivamente vanno tostati: si mette un filo d'olio in una casseruola (i migliori sono l'olio extravergine di oliva e l'olio di sesamo che hanno il punto di fumo ad alta temperatura), si versano i chicchi e si lasciano tostare per un paio di minuti a fuoco vivace.


Va aggiunta poi dell'acqua o del brodo vegetale bollente, nelle proporzioni indicate qui sotto. A cottura ultimata, quando cereali sono cotti, l'acqua è completamente assorbita. Se dovessero essere troppo al dente si possono aggiungere piccole quantità di acqua o brodo bollente. Prima di gustarli con zuppe o ortaggi, coprire e far riposare per qualche minuto.


Questo procedimento è molto comodo perchè non serve mescolare (fatelo al massimo qualche volta) e i chicchi non si rompono.



Proporzioni acqua : cereale e tempo di cottura
(dopo tostatura)
  • Miglio 1 : 2 cottura: 25'

  • Riso integrale 1 : 2 cottura: 45-50'

  • Riso semintegrale 1 : 2 cottura: 20'

  • Orzo perlato 1 : 2 e 1/2 cottura: 30-35'

  • Orzo decorticato 1 : 3 cottura: 60'

  • Farro perlato 1 : 2 cottura: 20'

  • Farro decorticato 1 : 2 e 1/2 cottura: 50'

  • Grano saraceno 1 : 2 cottura: 20-25'

  • Quinoa 1 : 2 cottura: 12-15'

  • Amaranto 1 : 2 e mezzo cottura: 25'

  • Cous Cous 1 : 1 cottura 10' (a fuoco spento)

  • Bulgur 1 : 2 cottura 15-20'



La cottura dei legumi

I legumi secchi vanno lasciati in ammollo una notte, 12-14 ore, poi vanno lavati accuratamente. In una pentola con il fondo spesso va adagiato un pezzo di alga kombu. Poi vanno versati i legumi e l'acqua, in modo che siano coperti per almeno tre dita.

L'alga kombu sostituisce l'uso del bicarbonato che alcuni mettono nel recipiente d'ammollo: oltre a velocizzarne la cottura li rende più digeribili, evitando fastidi al transito intestinale. A risolvere questo problema è anche l'abitudine a consumare i legumi spesso: anche 4-5 volte a settimana. Accendere poi il fornello a fuoco vivo fino al bollore, poi abbassare la fiamma al minimo e lasciare sobbollire. La cottura lenta è la migliore, in questo caso.

Questo metodo fa sì che i legumi non si rompano e che le bucce rimangano salde, senza indurirsi. Il tempo di cottura è molto variabile, dipende dal tipo di legume e soprattutto dalla sua 'età'. Vanno quindi assaggiati, per valutare il momento in cui scolarli.

Si consiglia di cuocere in pentola a pressione solo i ceci: dopo ammollo e lavaggio, mettere l'alga, i ceci, l'acqua e accendere il fuoco; poco dopo si forma un po' di schiuma che va tolta accuratamente, il più possibile, e in un secondo momento la pentola va chiusa con il coperchio. Quando fischia abbassare la fiamma e cuocere per un'ora.


Il biologico low cost è possibile?

Quando abbiamo iniziato ad avvicinarci al biologico io e mio marito ci siamo chiesti se potevamo permettercelo. Anche prima di aderire al g.a.s. non avevo motivo di credere che il cibo bio non fosse qualitativamente migliore, ma mi sentivo mancare ogni volta che varcavo la porta di uno di quei negozietti di alimentazione naturale.


Poi, andando più a fondo, ho iniziato a scovare anche delle strane contraddizioni, forse frutto delle richieste del mercato, di un insano tentativo di replicare la stessa modalità di acquisto del supermercato tradizionale.


Per economizzare e mangiare bene, senza spendere per forza molto tempo nella preparazione, la cosa migliore è scendere di gamma: i prodotti di prima e seconda gamma, cioè quelli freschi e in scatola, sono sempre a prezzi più abbordabili rispetto a quelli di terza, quarta e quinta gamma (surgelati, pronti e precotti). Non voglio demonizzare in modo assoluto i cibi cotti o surgelati: in alcune situazioni possono fare la differenza, capita a tutti di non riuscire ad organizzarsi in qualche occasione o di aver bisogno di preparare un pasto velocemente.

Ma se si acquistano d'abitudine i costi lievitano inesorabilmente.


I negozi biologici hanno il grande merito di portare nel territorio uno stile, un'idea, un concetto di consumo più vicino alla natura e alla terra, ma anche loro devono fare i conti con le richieste del mercato e nei loro scaffali ci sono gli snack, seppure biologici, oppure le fragole a novembre.


Il biologico a prezzi accettabili è possibile se modifichiamo i nostri menù casalinghi, se riscopriamo i piatti della cucina contadina, se diminuiamo sensibilmente il consumo di carne e pesce a favore di piatti unici, con ingredienti semplici, a volte poveri, come legumi e cereali in chicchi, puntando sulle varietà di ortaggi locali e stagionali. La soluzione dunque è scendere di gamma e preparare e poi congelare in casa cibo cucinato in quantità generose, realizzare conserve da utilizzare al bisogno come “salva-cena”, preferire sempre i piatti semplici piuttosto che quelli elaborati e molto conditi.

Siamo troppo abituati a fare il confronto diretto con il supermercato, senza pensare a modificare le nostre abitudini alimentari, ragionando sul senso dei nostri acquisti, anzi sul buon senso del consumo.


Facendo la spesa in modo più razionale, diminuendo il più possibile i prodotti confezionati a favore dei freschi acquistati dai produttori o in negozi che garantiscono un minimo di criterio di filiera corta, si riducono moltissimo anche i rifiuti prodotti dagli imballaggi.


Un'altra modalità molto semplice per ridurre i costi alimentari è forse la più banale: ridurre gli sprechi. Un terzo del cibo prodotto va sprecato anche a causa del fatto che le pratiche commerciali ci incoraggiano ad acquistare più di quanto abbiamo bisogno. Succede anche che si gettino nella spazzatura alimenti ancora commestibili o che non si consumino entro la scadenza.


Acquistare con buon senso deve essere la prima attenzione che ci muove; se poi quel che risparmiamo lo investiamo in cibo di altissima qualità, facciamo del bene a noi stessi e anche al pianeta.

Vegetariani e vegani: solo loro salveranno il mondo?

È risaputo che l'impatto ambientale della produzione della carne e dei suoi derivati è devastante. Per produrre un chilo di carne occorrono moltissimi metri cubi di acqua: serve acqua per dare da bere alle bestie (una mucca ne beve fino a 200 litri al giorno)14, per pulire le stalle, per irrigare i campi di cereali che verranno trasformati in mangime. Ma non è solo questo: più del 50% del gas ad effetto serra con cui il pianeta si trova a fare i conti proviene dagli allevamenti. Essi inquinano anche le falde acquifere attraverso le deiezioni animali, i concimi e i pesticidi che vengono utilizzati nelle coltivazioni da foraggio. Solo un quinto della produzione agricola mondiale è dedicata al consumo umano, mentre i restanti quattro quinti servono per la produzione animale. A questo sono collegati consumi di fonti fossili e disboscamento, in una catena infinita di aspetti negativi che concorrono a screditare la carne tra gli alimenti da considerare, quando pensiamo a cosa preparare per cena. Noi possiamo scegliere. Non è un segreto che la maggior parte dei cereali, che provengono in grande misura da Paesi del sud del mondo, serva principalmente a sfamare animali allevati per la produzione di carne e non per alimentare le popolazioni afflitte dalla denutrizione. Anche il consumo di pesce negli ultimi anni è diventato insostenibile, perché sta portando allo spopolamento di mari e oceani e minaccia l'estinzione di molte specie marine.

Nonostante questa situazione così negativa e complessa la media nazionale di consumo di carne in Italia è di 87 chili pro capite all'anno15.


La produzione di carne è quindi una delle cause principali dell'inquinamento mondiale. E allora che senso ha fare la doccia al posto del bagno e insegnare ai nostri bambini a chiudere il rubinetto dell'acqua quando si lavano i denti o ancora ridurre i consumi di energia, se poi ci mangiamo ottanta chili di carne all'anno?

I vegetariani eliminano dalla loro dieta la carne e il pesce e, nel caso dei vegani, tutti i prodotti da essi derivati, inclusi quindi i latticini, le uova, il miele, con alcune particolarità e differenze16. Oltre all'aspetto ambientale, in genere propongono anche motivazioni etiche: la produzione di carne, oltre ad affamare il terzo mondo, è il risultato dello sfruttamento spesso crudele di esseri viventi, e per questo propongono il vegetarianesimo o il veganesimo come pratica pacifica e consapevole per alimentarsi.


Ma se anche non siamo interessati o colpiti dall'aspetto etico, più intimo e personale, un ottimo motivo per ridurre o eliminare del tutto carne e derivati è l'aspetto salutista, sostenuto da numerosi studi epidemiologici che smentiscono l'opinione diffusa per cui il consumo delle proteine animali sia indispensabile.


Luciano Proietti17, pediatra esperto di nutrizione, sostiene che allo stato delle conoscenze scientifiche attuali, una dieta vegetariana vada sostenuta perché fisiologica e salutare: essa è compatibile con le indicazioni dei LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata dei Nutrienti) ed è un investimento sulla salute.


Sono sempre più numerosi gli studi che confermano quanto il consumo di proteine animali e di grassi saturi sia legato a doppio filo con la diffusione delle malattie tipiche del nostro tempo, dai tumori e il diabete alle malattie cardiovascolari.

Michela De Petris, medico chirurgo e dietologa, ricercatrice presso l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, afferma che un'alimentazione basata su cibi vegetali, equilibrata, ben bilanciata e povera di grassi saturi è in grado di ridurre il rischio di neoplasie del 35%, di infarto del 30%, di diabete del 60%, di obesità del 40%. In ogni caso le linee Guida di Dietologia Pediatrica “consigliano di ritardare il più possibile l'introduzione di cibi animali durante lo svezzamento e rilevano che il loro uso non è comunque indispensabile nel corso della vita”18.


Dopo questa serie di considerazioni viene da chiedersi perché il mondo vada dalla parte opposta, dal momento che i consumi di carne sono in aumento e che la dieta del mondo occidentale, che sta producendo inquinamento e malattie degenerative, sia oggetto di emulazione da parte di Paesi emergenti come la Cina.


Per chi non ha alcuna intenzione di optare per la scelta vegetariana o vegana, ci sono alcune considerazioni che mi sento di fare, che possano essere da stimolo almeno per diminuire i consumi di carne o pesce.


Quando ci troviamo a scegliere tra più piatti da cucinare per la nostra famiglia ragioniamo anche in base al loro impatto ambientale: tra uno spezzatino di carne, una frittata e un piatto di pasta e fagioli, sceglierò quest'ultimo, ogni volta che sarà possibile. Allo stesso tempo si può definire un giorno alla settimana in cui non si consuma carne e un secondo completamente vegano, senza carne e senza derivati. “Un giorno da veg” è una proposta che richiama la coscienza collettiva, la responsabilità verso le generazioni future, il senso civico. Farlo una volta alla settimana non è impegnativo e ci avvicina a uno stile alimentare sostenibile che ha anche il vantaggio di essere molto salutare ed economico.


Sarà un esercizio di ricerca che potrà portare alla scoperta di nuovi ortaggi, legumi e cereali, alla costruzione di piatti semplici e salutari, che non ci fanno rinunciare al piacere della buona cucina. Ci permetterà di scoprire nuovi alimenti e provare a cucinarli.


Magari un po' alla volta la scelta di consumare carne rossa potrà spostarsi su quella bianca, meno inquinante e più sana, specie se allevata con metodo biologico. Con piccoli correttivi alla nostra dieta, senza strafare, un po' alla volta potremo “tirarci fuori” pur continuando a preoccuparci di chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti. Anche se non diventiamo vegetariani o vegani possiamo ridurre i nostri consumi di prodotti animali.


Per quanto riguarda il pesce, se non riusciamo a farne a meno, è preferibile scegliere quello a ciclo vitale breve, evitando quello di grossa taglia e longevo che accumula più sostanze tossiche. I mari di oggi sono molto più inquinati rispetto soltanto a 15 o 20 anni fa. Meglio orientarsi su pesce nostrano, proveniente dal Mediterraneo, e di stagione, cioè quello che non è in fase riproduttiva19.


Margherita Hack, nel suo libro Perché sono vegetariana20, afferma: “Sono arrivata a 89 anni in condizioni discrete di salute. A più di 80 anni, oltre alle domenicali partite di pallavolo con amici cinquantenni, ho girato in bicicletta buona parte del Friuli-Venezia Giulia, oltre a lunghe nuotate tutte le mattine d'estate. Tutto questo a dimostrazione che la mancanza di carne e pesce non ha certo indebolito il mio fisico”.

Sperimentazioni di autoproduzione: l'orto

Una soluzione ottimale per mangiare cibo sano, biologico e sostenibile è autoprodurlo gestendo un piccolo orto. Se non si possiede un fazzoletto di terra si può ripiegare su un orto sul balcone, una nuova eco-moda intelligente alla portata anche di chi vive in città. Realizzare l'orto in vaso è molto semplice ed è un ottimo modo per coinvolgere i bambini.


Organizzarsi nella creazione di un orto condiviso, sfruttando ad esempio un pezzo di terra all'interno di un giardino condominiale, è un'esperienza di relazione forte e positiva tra famiglie, che con poche semplici regole di buon senso può portare vantaggi economici, piacere personale, uso sensato del tempo libero, educazione alimentare e ambientale dei bambini. Mangiare una zucchina o una fragola piantata, annaffiata e raccolta ha tutto un altro sapore, non si risparmiano grosse cifre, ma si comprende da dove provengono il basilico per il pesto, il rosmarino per le patate, o anche le dimensioni di una pianta di zucchine. Impegnarsi quotidianamente nella cura delle aiuole o dei vasi, annaffiando o togliendo le malerbe, permette ai bambini di comprendere i tempi di semina, di cura e di raccolta degli ortaggi, e fa capire il valore del cibo, del lavoro, dell'impegno, del tempo.


Persino Michelle Obama è una eco-mamma che fa l'orto con le sue figlie, offrendo un esempio di attenzione alla sostenibilità che ha risvolti positivi in tutto il mondo, data la sua notorietà.


Se non abbiamo terra a disposizione possiamo cercarla. Molti comuni italiani danno in uso ai cittadini piccoli appezzamenti di terreno pubblico incolto o abbandonato, da coltivare sia come singoli sia attraverso piccoli gruppi informali. Il gruppo Zappata Romana è nato nel 2010 con la mappatura degli orti e dei giardini condivisi a Roma, con lo scopo di promuovere e moltiplicare questa esperienza, coinvolgendo normali cittadini, associazioni, centri anziani, istituzioni, scuole, università. Queste persone per la verità seminano zucchine ma coltivano relazioni. Condividere un orto non è facile, ma è un'esperienza intensa e densa di comunicazione tra persone che operano un'azione collettiva di appropriazione dello spazio pubblico urbano. Sviluppano così pratiche ambientali, economiche e sociali innovative. Nelle loro parole:

Molto spesso un giardino condiviso è lo spunto per fare altro: un luogo di incontro, far giocare i bimbi, avere un po' di relax, praticare uno sport all'aperto, fare attività culturali, imparare una lingua, fare giardinaggio, coltivare un orto per l'autoconsumo, fare volontariato sociale o educazione ambientale. Il giardino condiviso può essere il fulcro di una comunità delineando nuovi modi di vivere la città.21

Testimonianza:

Gloria e Roberto, un'esperienza in campagna con i bambini
Gloria e Roberto sono genitori di due bimbe di tre e cinque anni, entrambi lavorano a tempo pieno ma non rinunciano nella loro quotidianità alla passione per l'ambiente. Sperimentano scelte di autoproduzione curando un orto, prima in vaso e ora, finalmente, in terra e praticando stili di vita ecologici che sono ormai parte della loro esperienza. Raccontano la loro avventura in campagna nel blog villavillacolle.net

Cuocere il pane in casa, coltivare l'orto, fare una passeggiata per raccogliere le erbe di campo o un mazzo di fiori per addobbare la tavola. Sono gesti semplici, per noi una condizione naturale. In campagna, infatti, ci siamo nati, e tutte queste cose le diamo per scontate, come se fosse la dimensione di ogni giorno per tutti.


Viviamo in un piccolo paese dell'entroterra marchigiano, immerso nella campagna e nel verde, in cui il contatto con la natura non manca di certo né a noi né ai nostri figli. Siamo cresciuti con le galline nel cortile, il pane cotto nel forno a legna sotto casa, le corse in mezzo ai prati.


Eppure, in questi ultimi anni, la nostra dimensione di vita è un po' cambiata. Dieci anni fa, infatti, quando siamo andati a vivere da soli, abbiamo preso un appartamento, sempre nel nostro paese. Niente giardino né spazio verde condominiale, anche se il panorama e la campagna intorno rimangono sempre a portata di passeggiata.


Le nostre abitudini sono rimaste immutate, però, anche nell'appartamento. Abbiamo continuato ad autoprodurre yogurt, pane, pizza, marmellate e tanto altro. E, con un po' di pazienza, abbiamo iniziato a coltivare un piccolo orto sul balcone: pomodorini, rucola, valeriana, erbe aromatiche, fragole. Addirittura per un paio di anni abbiamo coltivato anche cetrioli e melanzane. Quello che non produceva il nostro mini-orto, ovviamente, lo compravamo, o (per nostra fortuna) ce lo regalavano i nostri genitori, che hanno entrambi un bell'orto grande. In inverno l'orto sul balcone andava a riposo, e lo stesso quello dei nostri genitori, che lo coltivavano solamente in estate.


E così, proprio durante l'inverno abbiamo iniziato ad informarci qui intorno sulla possibilità di acquistare frutta e verdura tramite il nostro piccolo g.a.s. Ogni settimana, la cassettina di frutta e verdura ce la porta il nostro produttore di fiducia: solo prodotti di stagione, biologici e appena raccolti. A breve, ci faremo portare anche le piante ortive biologiche, per quelli del Gruppo di Acquisto che anche quest'anno vorranno rifare l'orto.


E quest'anno anche noi saremo tra questi, solo che l'orto non lo faremo più solo nel nostro piccolo balcone in appartamento, ma finalmente in piena terra. Dopo quasi dieci anni, infatti, il richiamo della terra è stato troppo forte. La voglia di alimentarci in modo sempre più consapevole e di sapere cosa mettiamo nel piatto (e niente di meglio del produrselo, per saperlo) ci ha portati a decidere l'acquisto di una casetta in campagna. Davanti alla casa, il bene per noi più prezioso: mille metri di terreno che non veniva coltivato da tantissimi anni, con una piccola vigna e tanti alberi da frutto.


Passare da qualche vaso in balcone a mille metri di terreno per noi è stata una bella sfida, soprattutto considerando il fatto che né io né Roberto (mio marito) avevamo mai gestito da soli alcuna attività dell'orto e del frutteto. Prima tra tutte la potatura, per cui ci son venuti in aiuto genitori e zii. Per noi è come essere tornati a scuola: osserviamo tutto, prendiamo appunti, facciamo domande, proviamo a fare da noi. Le piante da frutto e la vigna sono state risistemate con tre giornate intense di lavoro e tantissime domande, con la speranza che quest'anno ci regalino almeno qualche frutto.


Per l'orto invece, dopo aver letto manuali su orto biologico, sinergico, consociazioni e permacultura, è arrivato il momento di mettere le mani nella terra. Le bambine non vedevano l'ora di fare la loro parte in questa avventura, e abbiamo cercato di coinvolgerle quanto più possibile. Prima di tutto perché troviamo giusto che sentano il nostro orto come luogo di svago, osservazione e scoperta. Poi perché abbiamo notato che mangiano molto più volentieri quelle verdure che hanno prodotto o raccolto loro stesse. Non c'è niente di più buono delle fragole o dei pomodorini appena raccolti, mangiati direttamente dalla pianta, e questo loro lo sanno anche meglio di noi!


Preparare l'orto (soprattutto nella fase iniziale) con i bambini richiede qualche accorgimento minimo ed è anche un po' faticoso, ma verremo ripagati abbondantemente! La prima cosa che abbiamo fatto nel nostro orto è stata suddividerlo in aiuole, creando degli stradelli di terra battuta tra le aiuole rialzate. In questo modo le bambine sanno sempre cosa possono e cosa non possono calpestare, e non rischieremo di trovarci le carote appena seminate piene di impronte. Il nostro orto ha una forma abbastanza regolare, quindi è stato relativamente semplice suddividerlo grazie all'aiuto di un rastrello. Una volta tracciati gli stradelli a grandi linee, abbiamo creato le aiuole e smosso bene la terra con il rastrello. Poi, sempre con l'aiuto delle bambine, abbiamo tolto i sassi più grandi e sparso un po' di compost nel terreno.


Da gennaio a marzo abbiamo seminato fave, piselli, patate, cipolle e aglio. Tutte verdure con semi grandi o cipollotti, che risultano molto semplici da seminare anche per le loro piccole mani. Insieme a loro, intanto, abbiamo costruito un piccolo semenzaio con materiali riciclati, da cui speriamo di riuscire a produrre parte delle piantine da trapiantare a fine aprile in terra. Le bimbe innaffiano, controllano se i semi crescono, contano le foglie che hanno messo su le piccole piantine appena spuntate.


Intanto iniziano a riconoscere le varie piante, a capire che da un piccolo seme che hanno piantato nascerà una piantina, e che questa piantina presto ci darà dell'ottima verdura da mettere in tavola. Un piccolo passo verso un modo di alimentarsi che per noi è stato naturale da sempre, e che vorremmo lo fosse anche per loro.

Farsi il pane

Un'altra ottima abitudine erroneamente considerata un enorme dispendio di tempo ed energia è quella di farsi il pane, in particolare con la pasta madre. Negli ultimi anni le macchine per fare il pane hanno riscosso un grande successo: sono pratiche e utili, si possono usare anche solo come impastatrici o per realizzare confetture e marmellate fatte in casa.


Anche senza macchina per il pane è possibile panificare in casa con il metodo della lievitazione naturale, usando la pasta madre, come si faceva una volta. Posso smentire chi crede che sia necessario avere molto tempo a disposizione, semplicemente perché in realtà l'impasto lievita da solo! Il pane fatto con la pasta madre è più salutare, più duraturo e digeribile ed era prodotto dai fornai prima dell'avvento del lievito di birra compresso. La pasta acida, detta “mamma”, può essere fatta in casa, anche se è in voga tra gli appassionati panificatori la bellissima usanza di “spacciare” un pezzo di pasta madre a un amico o conoscente o addirittura di spedirla per posta, come abbiamo fatto io e un'amica, replicando poi con altri questa bella usanza. Per entrare a piccoli passi nella panificazione naturale si può cercare uno “spacciatore” anche attraverso il web: sul sito www.pastamadre.net si trova una mappa di tutte le persone che l'hanno messa a disposizione. Anche questo è un modo alternativo, sottile ma denso di significato, per fare relazione, per scambiarsi idee e consigli, per diffondere buone pratiche.

Il lievito madre si ottiene impastando acqua e farina nelle proporzioni 1 a 2 e lasciando poi riposare a temperatura ambiente (100 grammi di acqua e 200 di farina, meglio se di tipo zero, biologica e macinata a pietra22). Dopo 48 ore si può semplicemente stemperare l'impasto con altri 100 grammi di acqua tiepida e una volta sciolto si possono aggiungere altri 200 grammi di farina, impastando nuovamente per qualche minuto. In questo modo si “rinfresca” l'impasto originario, alimentandolo con nuovi zuccheri e lieviti. Questo procedimento va ripetuto ogni 48 ore, per una o due settimane, fino a che l'impasto non è in grado di raddoppiare il suo volume in 4 ore. A quel punto la pasta madre è pronta per produrre il pane: va rinfrescata ogni volta e si utilizza parte dell'impasto ottenuto (la biga) per fare il pane, mentre l'altra parte (almeno 100 grammi) si conserva in frigorifero, in un vaso di vetro ben chiuso, per la successiva panificazione.

Annalisa De Luca, autrice del libro Facciamo il pane, afferma senza indugio che il pane fatto in casa è rivoluzionario. Mi ritrovo nelle sue parole.

In un'epoca di continua delega per ogni aspetto della nostra vita, prendersi l'impegno di fare da sé sistematicamente, con regolarità e buoni risultati un alimento basilare come il pane ha un che di stupefacente. […]. Ciò che stupisce è la regolarità, il mancato affidarsi al sistema produttivo industriale, il “trovare il tempo” per qualcosa che con pochi soldi puoi comprare già fatto.
Il farlo, il riuscirci, il divertirsi, il goderselo settimana dopo settimana è una testimonianza, la prova che si può fare anche se si lavora, anche se non si ha la donna di servizio, anche se si hanno due figli, un cane e un gatto: si può fare![…] Io mi accontento dell'entusiasmo delle mie bambine alla vista dell'asse per impastare, della gioia che provano nel maneggiare la pasta e nell'alzare nuvole di farina, nel poter raccontare a scuola di aver portato una focaccia fatta con le loro mani, e soprattutto spero che acquisiscano la consapevolezza che le cose essenziali, quelle davvero importanti per la nostra vita, bisogna conoscerle bene e sapere come sono fatte, in modo da poter giudicare con equità e riconoscere il valore di ciò che si trova sul mercato.23

Imparare a panificare con la pasta madre per me è stata un'occasione per conoscere altre persone che avevano già sperimentato questa esperienza, un modo di condividere una passione nascente, e – banale ma vero! – un modo pratico per avere sempre la pagnotta a disposizione. Il pane a lievitazione naturale infatti dura molti giorni, è sufficiente preparare l'impasto e poi accettare i suoi tempi di lievitazione, mentre si lavora, o mentre si dorme. Fa tutto da solo!


Ecco una ricetta di base ben consolidata:

Per realizzare il primo impasto utilizzo 100 gr. di pasta madre, 100 gr. di acqua tiepida, 200 gr. di farina di tipo 1 o 2 (acquistata direttamente al mulino) che lascio poi riposare a temperatura ambiente coperto con un panno umido per almeno 4 ore.


A questo punto separo l'impasto lievitato: 100 grammi finiscono in un barattolo che metto in frigo per la prossima panificazione, gli altri 300 grammi (la biga) li utilizzo per il secondo impasto. Aggiungo alla biga 300 grammi di acqua e circa 600 di farina, un cucchiaino di sale fino integrale, un cucchiaino di malto di grano (o di mais, o di zucchero di canna, o di miele) e dò la forma, a seconda dell'estro del momento. A volte in questa fase divido l'impasto in due e a una forma aggiungo qualche ingrediente per un pane speciale, come noci, semi di girasole, di sesamo o di papavero.


Cuocio per 10 minuti a 250° e poi per altri 15-20 minuti a 200°, tuttavia ogni forno ha le sue caratteristiche e alcune prove all'inizio sono indispensabili. Il pane risulta cotto quando si sente un rumore sordo battendolo sul fondo. Con un po' di pratica ognuno trova il suo modo di fare il pane, i tempi in base al tipo di acqua, all'umidità, al clima della propria zona.

Esistono sul web alcune community che condividono consigli, idee e ricette per fare il pane e altri lievitati con la pasta madre: la più autorevole è la Comunità del Cibo Pasta Madre24, che riunisce al suo interno consumatori co-produttori, ma anche agricoltori, mugnai e panificatori, con l'obiettivo di lavorare assieme per migliore la qualità del pane che tutti i giorni portiamo sulle nostre tavole. Il sito è ricchissimo di ricette, consigli, proposte per utilizzare al meglio il proprio lievito madre. Pasta Madre inoltre organizza ogni anno un evento internazionale di approfondimento sulla filiera cerealicola di qualità, offre un elenco ufficiale di “spacciatori” disponibili a offrire un pezzo del loro prezioso lievito a cui si può aderire gratuitamente. Questa comunità organizza anche il Pasta Madre Day, un momento di spaccio collettivo mondiale in cui chiunque può organizzare un piccolo evento in cui scambiare il lievito e le ricette. Un modo alternativo per incontrarsi e conoscersi.


Anche sui social network la pasta madre trova fedeli seguaci; in particolare c'è un gruppo molto attivo su Facebook, dall'omonimo nome25, con decine di documenti, ricette e migliaia di foto di panificatori appassionati che si scambiano consigli e idee.

Testimonianza:

Sonia, Il Pasto Nudo
Sonia Piscicelli, nota in rete con il nome Izn, cura il sito Il Pasto Nudo26, un blog di cucina consapevole in cui si trovano approfondimenti e ricette. È frutto di un lavoro intenso e quotidiano, messo a disposizione di tutti, “dedicato a chi vuole emanciparsi dai consigli interessati delle riviste, dai medicinali da banco, dalla pesantezza che si prova dopo mangiato”. Il Pasto Nudo si apre con una citazione di Alejandro Jodorowsky che offre subito a chi legge un punto di vista sul modo di concepire l'alimentazione.

“Non si disprezzano i compiti manuali. È chiaro che quando si lavora in cucina si lavora la base materiale della vita. La verità si trova in cucina. Un cuoco deve essere incredibilmente consapevole”27.

Sono nata a Napoli, in piena città, e senza alcun tipo di educazione all'ambiente o all'ecologia, anzi. Da noi quando ero piccola era del tutto normale gettare per terra quello che avevamo in mano, anche perché i cestini non c'erano, e poi, insomma, se lo fanno tutti e sei un bambino tante domande non te le fai.


Sicuramente mia madre mi ha insegnato da sempre a diffidare dei farmaci di sintesi, a usarli il meno possibile e solo se assolutamente necessario: se avevamo male al pancino venivamo messi sul letto “a pancia sotto” e corredati di tisana di alloro, se avevamo la febbre s'aspettava che passasse. E lo stesso germe critico l'ho avuto per quello che riguardava ciò che mangiavamo: ricordo sempre che al banco del pesce mia madre si vantava di prendere quello freschissimo, che costava molto di più (e non che le nostre condizioni economiche ci permettessero di scegliere), invece di quello abbacchiato a buon prezzo, perché “siamo quello che mangiamo”; ce l'ha ripetuto talmente tante volte che non potrei dimenticarlo neanche se mi lobotomizzassero.


Credo che sia da qui che sono partita. Per me l'equazione pochi soldi-cibo ottimo è sempre stata perseguibile e possibile. Il cibo è venuto sempre al primo posto, prima delle uscite con gli amici, prima dei vestiti, prima del parrucchiere, prima dell'estetista, prima dei viaggi. Voglio dire, adoro viaggiare, sono una vanitosa terribile e quindi fare shopping (consapevole, però!) mi attrae eccome, e mi piace uscire, divertirmi, ridere.


E sono straconvinta che il cinquanta per cento della salute arrivi dall'umore che si ha, dai rapporti con gli altri, dall'esercizio fisico, e, sì, anche dalle piccole gratificazioni che ci si può dare in termini di oggetti, cose che ci rendono la vita più divertente.


Ma, e di questo sono empiricamente e dolorosamente sicura, per esperienza personale, è al cibo che sicuramente va la responsabilità diretta e immediata del restante cinquanta per cento.


Diciamo che sono stata molto aiutata, nel mio percorso di studio sulla correlazione tra cibo e salute, dalla mia cagionevolezza. Non ho mai avuto una salute di ferro: sarà stata la mamma iperprotettiva, le vaccinazioni a palate, lo zio medico che comunque ci affogava negli antibiotici (e meno male che mia madre faceva muro), il fatto che sono stata allattata per circa due mesi a voler esagerare, o un'infanzia decisamente destabilizzante, fatto sta che ho fatto la conoscenza con il colon irritabile che avrò avuto neanche dieci anni, con un esaurimento nervoso appena compiuti i diciotto, con i calcoli renali a venti (roba da pronto soccorso almeno un paio di volte l'anno se andava bene), e con tutta una serie di altri piccoli disturbi vari.


Il limite però l'ho raggiunto subito dopo i trent'anni, al primo cambio di metabolismo. E ringrazio il cielo di aver toccato finalmente il fondo, altrimenti mai avrei cominciato a risalire.


Facevo danza da alcuni anni, dipingevo, avevo una vita abbastanza serena dal punto di vista economico, ma il mio organismo cominciò a darmi segni che non potevo più ignorare. A parte quei trascurabili due o tre chili in più nonostante l'esercizio fisico (sono sempre stata magra, diciamo che invece di 50 chili ne pesavo 54, fissi), presi a sviluppare comportamenti patologici: siccome quasi qualsiasi cosa mangiassi mi procurava bruciori di stomaco, mal di pancia terribili e conseguenti corse al bagno, evitavo di uscire se avevo appena mangiato, oppure non mangiavo se sapevo di dover uscire. E se andavamo a cena con amici non osavo toccare cibo. Cominciai a essere tacciata di anoressia (figuriamoci, non c'è nulla che ami più del cibo… solo a vedere la tavola imbandita avrei sbranato tutto, tovaglia compresa) e insomma in un momento di bioritmo positivo decisi che era venuto il momento di riprendere in mano la situazione, e la mia vita, una volta per tutte.


Caso volle che un amico di un mio carissimo amico fosse medico, specializzato in nutrizione e precisamente in bioterapia nutrizionale.

Non so se conoscete questa branca della medicina: in pratica attraverso una dieta, personalizzata sul tuo metabolismo e sulle tue abitudini, vieni costretto a una vera e propria rieducazione alimentare, basata sull'osservazione empirica di quello che succede al tuo organismo (attraverso delle strisce reattive all'urina che si acquistano in farmacia, oltre alle varie analisi mediche d'uopo, ovviamente).


Tutto dipende dalla tua effettiva voglia di stare bene, dalla tua testardaggine e dalla precisione con la quale segui i consigli del medico (e per fortuna queste qualità non mi difettano).


Per prima cosa, come regola generale, ti tolgono tutto ciò che è conservato, inscatolato o surgelato industrialmente. E già lì ti senti una specie di naufrago nella tempesta. Poi una serie di suggerimenti che raccontare sarebbe lunghissimo, e insomma dopo un mese avevo cominciato a rinascere. Per prima cosa ho perso, definitivamente, quei chili in più. No, non è la pubblicità della bioterapia nutrizionale, solo una testimonianza, vera e genuina; poi, piano piano, ho imparato quali erano i cibi e le associazioni che peggioravano la mia digestione, e ho potuto ricominciare a mangiare quando uscivo (molto lentamente, questa è stata la cosa più lenta, ancora adesso faccio molta attenzione); ma la cosa che mi ha più stupita è che ho chiuso con le coliche renali e con il pronto soccorso che odiavo a morte. Anche adesso a volte formo un po' di renella, ma so come farla sciogliere subito, senza conseguenze troppo sgradevoli.


La bioterapia si era limitata a svegliare la mia curiosità, era solo la punta dell'iceberg di ciò che volevo capire e sperimentare. Così cominciai ad avvicinarmi al mondo del cibo vero, sano e felice, che una volta identificavo con la certificazione biologica, e adesso con la consapevolezza in toto, quella che cerco di trasmettere con ogni singolo articolo del pasto nudo.


Sul blog (stra)parlo di come nutrirsi in modo sano e consapevole senza svenarsi: la nostra situazione economica è tutt'altro che florida, ma nonostante questo ogni singola cosa che mangiamo è della migliore qualità che sia possibile trovare, e vivendo una vita “normale”, fatta di lavoro fuori e dentro casa, figli, caldaie che si rompono, bollette che si accumulano e tutto ciò che a chi ha una famiglia non serve proprio spiegare.


Sul significato di questa presunta normalità, e sull'assoluta necessità di decrescere, immediatamente, velocemente e decisamente, potrei aprire tutta una serie di capitoli a parte, ma temo andrei fuori tema-alimentazione.

Solo due ultime cose ancora.


Primo: si può fare. Davvero. E chi non lo farà sarà costretto a farlo, molto più faticosamente, e pagando prezzi altissimi (non parlo mica di soldi), forse insostenibili, in seguito. All'inizio è tutto molto più complicato, ma piano piano diventa divertente e stimolante.


Secondo: mangiare, acquistare, scegliere il cibo, è un gesto politico, non mi stancherò mai di dirlo. Siamo noi che permettiamo alle multinazionali di avvelenarci (e di avvelenare i nostri bambini e i bambini degli altri), quando scegliamo cibi che ci fanno male. Abbiamo in mano la chiave per stare bene, per avere tutto ciò che ci spetta, tutto quello che è giusto. Siatene consapevoli.

Testimonianza:

Laura e la cucina dell'anima
Laura è una biologa, si occupa di sicurezza e qualità alimentare e cura con grande passione il sito Cucina dell'Anima28 dove pubblica ricette che racchiudono sempre soluzioni sane, nutrizionalmente corrette e sostenibili per l'alimentazione della sua famiglia.

Fin da piccola ho giocato e bazzicato per gli orti. 30-40 anni fa era una cosa normale per molte famiglie avere un pezzo di terra coltivata, delle piante da frutto in giardino e faceva parte dei giochi di noi piccoli aiutare il nonno che stava “incalmando una pianta” o trapiantando il radicchio e, a piedi nudi, trafficare con l'acqua per annaffiare l'orto. Ed era molto diffuso alla fine dell'estate andare a vendemmiare, sentire l'odore della fermentazione dell'uva e gustare il mosto. E poi arrivava la stagione delle castagne da raccogliere, da fare arrostire sul fuoco, da avvolgere nelle coperte annusandoci dentro, prima di poterle sgusciare. Così sono cresciuta sapendo qual è il tempo dei pomodori, quello della zucca e delle verze, vedendo i semi germogliare al calduccio dietro a un vetro prima di prendere forza per essere trapiantati nella terra, passando le ore a “stegolare” fagioli o piselli; a lavare pomodori per farne la conserva; a pulire la frutta per le marmellate.


È questo che mi viene in mente quando penso a come, fin da piccola, ho vissuto “la mia educazione alimentare”. In modo semplice perché era così che si viveva. La stessa semplicità che è oggi da ritenere una vera ricchezza. Sono questi i ricordi legati alla mia famiglia di origine, dove chi è stato ospite in casa sa quanto la cucina di mamma Silvana sia squisita, sia attenta a proporre cibi sempre diversi, ma in linea con il ritmo delle stagioni. E il grande orto di casa in questo non ci ha mai dato tregua.


L'importanza di tutto questo ciclo, vissuto un tempo passivamente, l'ho capita dopo, quando è toccato a me dare vita ai piatti e anima alla cucina. Solo in quel momento ho cominciato a non dare per scontato che tutti i miei ricordi legati al cibo erano veramente la base della mia educazione alimentare. E questo è stato un punto di partenza. Il campo alimentare è comunque parte della mia vita anche professionale. Terminata la facoltà di biologia mi sono sentita attratta dal mondo dell'alimentazione. Da anni mi occupo di sicurezza alimentare e sono coinvolta nei grandi temi dei cibi elaborati dall'industria, dell'origine degli ingredienti utilizzati per produrli, della loro rintracciabilità, delle questioni OGM. Detto questo, la mia sensibilità mi ha portato a prendere la direzione opposta, mi ha portato a rivolgermi sempre più verso ingredienti che abbiano subìto poche trasformazioni, a eliminare dalla lista della spesa tutti quei prodotti fin troppo lavorati (che hanno un'etichetta con l'elenco degli ingredienti troppo lungo), a ridurre al minimo la mia frequentazione dei supermercati per favorire di più alimenti di origine certa e il più possibile vicino a casa, a limitare il consumo di carne.


Quando poi sono a mia volta diventata mamma e, ancor prima, durante la gravidanza, ho cominciato a dare ancora più importanza all'aspetto nutrizionale dei miei pranzi e delle mie cene. Cercavo il più possibile di avere una dieta varia: di mangiare molti cereali diversi, molti legumi come apporto proteico e di fibra (soprattutto di lenticchie per il loro contenuto in ferro), molta verdura fresca. Sapevo bene che quello che ingerivo diventava poi nutrimento per la piccola creatura che cresceva dentro di me. E in un secondo momento attraverso il mio latte quei bambini cominciavano ad avere la percezione dei diversi gusti di ciò che io mangiavo; e a mano a mano che passavano i mesi si avvicinavano alla loro “tavola”. Allattarli è stata per me la gioia più grande, l'immenso orgoglio che prova ogni mamma nel vederli crescere di “solo latte”. Quando è arrivato il momento dello svezzamento, per poterlo affrontare con la consapevolezza di quello che stavo facendo, mi sono preparata per tempo. Volevo che per loro tutto fosse naturale. Che pian piano si avvicinassero ai diversi gusti e colori della natura nel piatto in modo semplice, perché arrivassero alla fine del loro percorso a condividere con noi adulti il piacere del cibo buono, consapevole e sano, seduti attorno ad un tavolo, conversando delle piccole e grandi cose che la giornata ci aveva offerto. Non è stato semplice. Non ho trovato grande aiuto da parte dei medici. Non conoscevo altre mamme particolarmente attente all'alimentazione, che mi potessero affiancare in questo percorso. Non c'era molto materiale bibliografico di riferimento.


Ma cercando instancabilmente le informazioni che di cui avevo bisogno sono riuscita ad approdare con qualche conoscenza in più al tipo di svezzamento che avevo pensato per i miei figli, uno svezzamento semplice, secondo natura, senza tanti preparati industriali da cui dipendere. Ho cominciato ad approfondire anche le basi teoriche della nutrizione, a capire l'importanza dell'abbinamento dei cibi e ad avere idee sugli apporti nutrizionali di alcuni prodotti. Devo dire che è stato un percorso personale che purtroppo, mi ripeto, all'epoca non sono riuscita a condividere con molti altri.


Questo però fino a che un'estate, durante un compleanno, non mi è stata presentata la persona che poi mi ha coinvolto ad essere tra le prime famiglie attive del Gruppo di Acquisto. E nel giro di poco tempo mi sono ritrovata finalmente a condividere con molti altri la mia passione per il “cibo consapevole”. È davvero incredibile l'importanza che questo gruppo ha avuto per me. Grazie alla condivisione delle nostre esperienze abbiamo potuto lavorare sull'autoformazione, invitare persone competenti a parlare di alimentazione consapevole e corretta: biologica ma anche vegetariana e vegana.


Ho avuto poi l'occasione di partecipare a serate di cucina naturale grazie alle quali ho potuto arricchire ancor di più il mio bagaglio, con nozioni teoriche e pratiche. E così la mia passione per la cucina vegetariana è aumentata, fino ad avere voglia di creare un diario delle mie innumerevoli prove, controprove e ricette. Qualcosa da condividere con altri, non da conservare solo come bagaglio personale. Ne è nato così un blog che aggiorno con passione, cercando di dare spunti a chi passa a visitarlo e ricordarli a me stessa (perché spesso le idee nascono dall'impeto del momento) per poter consumare in modo sempre diverso e nutrizionalmente corretto i diversi prodotti delle stagioni.


Il mio intento di ogni giorno è quello di mettere in tavola cibi che ci possano dare innanzitutto il piacere di ritrovarsi davanti a un buon piatto. Un piatto che rappresenta anche delle scelte: di ingredienti di stagione, poco lavorati, meglio se biologici, meglio ancora se dell'orto o di provenienza sicura, italiana e per quanto possibile vicina a dove vivo. Faccio parte di quelle persone che prima di acquistare se ne stanno a leggere la lista degli ingredienti, e tra le diverse pieghe dell'imballo vanno a ricercare le zone di coltivazione e di origine di legumi, cereali, semi vari. E di riflesso spero che tutto questo possa essere alla base dell'educazione alimentare dei miei figli. Spero davvero che in loro nasca prima o poi la consapevolezza che sedersi a tavola deve essere anche il piacere di volersi bene e di volere bene al mondo.

Eco-famiglie
Eco-famiglie
Elisa Artuso
Riflessioni, esperienze, idee per una maggiore consapevolezza e un orientamento più sostenibile.Suggerimenti e proposte concrete per essere più ecologici e per insegnare ai nostri figli il valore dell’eco-sostenibilità. Eco-famiglie di Elisa Artuso raccoglie proposte concrete per essere più ecologici senza spendere una follia, per ridurre i consumi inutili e per insegnare ai bambini il valore dell’eco-sostenibilità, consigli pratici per organizzare gli acquisti, ricette di autoproduzione, proposte creative per giocare, andare in vacanza e gestire i rifiuti. Ogni capitolo è corredato da testimonianze di chi sta sperimentando un’ecologia nuova e concreta, senza estremismi: il vero cambiamento parte dalle piccole cose, se si pensa solo in grande si rischia di non iniziare mai.Un cambiamento concreto che ci consenta di consegnare alle generazioni future un ambiente salutare e pulito non è solo necessario, ma improcrastinabile, e può avvenire solo se le famiglie imparano a costruire relazioni virtuose tra di loro, che aiutino a modificare gradualmente le abitudini all’insegna del consumo critico e responsabile, della mobilità sostenibile, di un nuovo modo di vedere la pulizia e la propria cura personale, di costruire le nostre case e di gestire il nostro denaro. Conosci l’autore Elisa Artuso, libera professionista e blogger, si occupa di comunicazione digitale e scrive di ambiente ed infanzia.È socia fondatrice di un gruppo d’acquisto solidale e autrice di Mestiere di mamma, un blog-magazine per famiglie amiche dell’ambiente. Vive a Bassano del Grappa.