capitolo vi

Diminuire i rifiuti,
controllare i consumi

L'unico rifiuto buono è quello che non viene prodotto

Abbiamo vissuto per qualche decennio al di sopra delle nostre possibilità, come individui e come pianeta, in termini di produzione di scarti e rifiuti. Tutti noi ormai siamo consapevoli dei problemi connessi allo smaltimento del rifiuto solido urbano, il cosiddetto secco o inorganico. Quando finisce negli inceneritori può avere effetti dannosi sulla salute: la combustione, in particolare dei materiali sintetici, produce emissioni chiamate PM, costituite da materiale particolato e metalli pesanti. Si tratta di una miscela di particelle potenzialmente dannose che ritroviamo nell'aria che respiriamo, con effetti cancerogeni e una stretta correlazione con molti disturbi e malattie1.


Le discariche non sono certo un problema meno pesante: nessuno le vuole vicino a casa, giustamente, perché oltre a un impatto paesaggistico terrificante sono un pericolo per la salute del territorio. Il percolato inquinante non è sempre captato e adeguatamente trattato nel sito della discarica, come previsto dalla legge: dei reportage giornalistici2 hanno dimostrato che anche in alcuni siti italiani il percolato è stato rilevato lungo corsi d'acqua presenti nei pressi delle discariche. Il percolato è un refluo altamente inquinante prodotto da processi fisico-chimici che si realizzano nella decomposizione dei rifiuti e, se non controllato, si infila nelle falde acquifere o finisce in mare rientrando poi inesorabilmente nel ciclo alimentare.

Sono note anche le eccellenze nella gestione dei rifiuti che in Italia non mancano: i Comuni Virtuosi ne sono un esempio, assieme alle molte città che, attraverso piani efficaci di educazione ambientale e strutture adeguate per la raccolta e il riciclo, riescono a portare gradualmente la raccolta differenziata ad altissimi livelli percentuali. Nondimeno, le complesse dinamiche politiche e gli scandali legati alle ecomafie sono quotidianamente sulle cronache dei giornali. Appare evidente l'incapacità o la grande difficoltà nell'incidere dei cambiamenti negli stili di vita delle persone, specie quando proposti dall'alto: ci sono troppi intrighi, troppi interessi in gioco.


Ancora una volta la condivisione di esperienze, le scelte operate dai singoli cittadini e dalle famiglie, l'educare i bambini a non sprecare e a scegliere loro stessi con coscienza ambientale diventano delle leve per determinare il vero cambiamento che porti, prima che alla differenziazione, a una riduzione rilevante nella produzione di rifiuti.


Non si tratta infatti solo di differenziare, ma di impegnarsi a scegliere ciò che entra nella nostra casa anche in base all'entità dello scarto che potenzialmente può produrre. Il dato che in genere viene fornito per valutare lo zelo dei Comuni su questo tema è la percentuale della raccolta differenziata. È un'informazione significativa, ma va necessariamente integrata con il peso pro capite di rifiuti prodotti. Tutto può diventare rifiuto: giocattoli, vestiario, gadget vari, oggettistica di vario genere, l'imballo degli articoli che acquistiamo, gli elettrodomestici, i prodotti di elettronica e persino, purtroppo, il cibo.


Per questo la durevolezza è un grande valore: l'usa e getta è sempre più un insulto al pianeta, un “mordi e fuggi” dal quale abbiamo il dovere di elevarci. In alcune situazioni potrà essere il male minore, non lo metto in dubbio, ma non possiamo esimerci, nelle nostre case, dal riconsiderare tutto ciò che può essere limitato.

Il punto principale è proprio questo: l'unico rifiuto buono è quello che non viene prodotto3. Qualunque scarto, anche se riciclabile o riciclato, alimenta un circolo vizioso di consumo di energia e di necessità di smaltimento.


Quando ero bambina ogni sera mio padre scendeva con un sacco di spazzatura che metteva nel bidone condominiale: non esisteva la raccolta differenziata e il primo contenitore per la raccolta del vetro nel nostro quartiere fu visto con interesse per lo stimolo al riciclo, tema sul quale eravamo decisamente poco informati.

Oggi in casa abbiamo i bidoncini per tutto, le bimbe hanno già delle rudimentali conoscenze in merito ai materiali e fanno a gara a indovinare dove finiscono i rifiuti. Grazie anche ai numerosi progetti scolastici su questi temi, hanno iniziato a capire che quasi tutto ciò che “buttiamo” fa un lungo viaggio per essere lavorato e poi riciclato e diventare nuovamente plastica, metallo, carta o cartone. Sanno anche che il bidoncino bianco (che a casa nostra contiene il rifiuto solido urbano) è quello che dobbiamo cercare di riempire il meno possibile e davvero, con qualche attenzione, l'abbiamo ridotto moltissimo.


Ancora una volta con l'arma non violenta degli acquisti (o dei non-acquisti) possiamo premiare chi nella produzione e nella distribuzione dei propri prodotti attua scelte sostenibili, utilizzando imballaggi riciclabili o riciclati, o non utilizzandoli affatto, organizzandosi con la vendita sfusa che può avere dei vantaggi, anche se questi non sono sempre del tutto scontati.


Abbiamo la fortuna di abitare in un comune in cui da tempo è stata avviata la raccolta differenziata porta a porta e in cui il servizio di gestione costa, ma funziona. Tuttavia il nostro impegno da alcuni anni consiste nel ridurre tutti i rifiuti, non solo quelli indifferenziati.


Abbiamo iniziato con la scelta dei pannolini lavabili, poi abbiamo smesso di acquistare l'acqua frizzante in bottiglia, preferendo autoprodurla con un gasatore ricevuto in regalo o berla al naturale, dal rubinetto. Acquistiamo il latte in bottiglie di vetro oppure in tetrapack, che sappiamo non essere una soluzione eccelsa, anche se nel nostro comune viene smaltito assieme alla carta e poi riciclato. Acquistando i prodotti alimentari tramite il g.a.s. abbiamo limitato fortemente l'utilizzo delle confezioni e se andiamo nei negozi scegliamo il più possibile quelli sfusi.


Abbiamo anche limitato l'acquisto di detersivi e prodotti per la cura della persona: ne compriamo meno e in quantità maggiore, ad esempio in taniche che ci durano anche un anno o in buste di plastica, più facili da smaltire.


Chi fa detersivi dice che gli utilizzatori associano l'efficacia del prodotto al colore del flacone. Per questo i flaconi dei detersivi sono tutti bianchi o trasparenti e non viene quasi mai utilizzata la plastica riciclata post consumo. Se abbiamo la possibilità di conoscere chi produce i detersivi che acquistiamo, abbiamo anche il dovere di chiedere che vengano adottate scelte ecosostenibili anche per confezionare i prodotti: se siamo consumatori critici, se ci fidiamo del nostro produttore, possiamo accettare che il flacone del detersivo per la lavatrice abbia un colore improbabile, grigio o verdino, perché non ci devono convincere, sappiamo cosa stiamo comprando.

Negli ultimi anni molte catene di supermercati e anche di piccoli negozi si sono attrezzate per la vendita sfusa dei detersivi, con il sistema denominato “refill”. A prima vista è una pratica che riduce il consumo di flaconi e abitua gli utenti al riuso intelligente della confezione. Tuttavia vanno fatte alcune considerazioni, alla luce di uno studio effettuato da Assocasa4, che valuta l'impatto ambientale di tutto il ciclo di vita del prodotto, sia del sistema con flaconi usa e getta che del refill, cioè il sistema “a ricarica”: i risultati non sono stati per nulla scontati. Prendendo in considerazione tutte le fasi, tranne quella della produzione del detersivo, e quindi la distribuzione, il trasporto, il lavaggio o lo smaltimento dei flaconi, il lavaggio delle cisternette, ecc., si è visto che non si può dare un'indicazione univoca sul vantaggio dal un punto di vista di consumi di energia e di smaltimento delle confezioni. Molto dipende da dove sono prodotti i detersivi. Il sistema a ricarica è conveniente se i flaconi vengono riutilizzati molte volte (cosa non scontata, perché purtroppo molte persone li dimenticano e li ricomprano spesso!) e se non sono previsti molti spostamenti da casa al distributore e persino dalla fabbrica al distributore, in zone dove non esiste la raccolta differenziata e quindi il riciclo della plastica. Ognuno deve valutare questi parametri e considerarli in base alla propria situazione, anche logistica5.

Per tutti i prodotti che acquistiamo valgono gli stessi criteri. Anche le saponette, ad esempio, si possono acquistare sfuse ed esiste persino lo shampoo solido, ottima soluzione sia in casa che quando si viaggia: è leggero, viene venduto con una confezione in carta e un'unità dura davvero molto di più di una confezione di prodotto liquido.


Personalmente ho sempre odiato l'imballo dei giocattoli, in particolare quello delle bambole: inscatolate, strozzate al collo, legate mani e piedi affinché stiano diritte per una migliore esposizione. Ho iniziato a cambiare negozio, a ordinare online e persino regalare quasi solo libri, uno dei pochi oggetti che potenzialmente potrebbe durare all'infinito, senza rompersi o stancarci. Ho cominciato ad essere più critica anche in questo genere di acquisto e selezionare le aziende che si impegnano ad impattare meno nel confezionamento dei prodotti, in modo particolare quando si tratta di beni non necessari.

Eco-decluttering (“sbarazzarsi del superfluo”)

Periodicamente, in particolare nei cambi di stagione o durante i traslochi, siamo attratti dalla pratica del decluttering selvaggio. È normale accumulare oggetti di vario tipo, soprattutto nei ripostigli e nelle cantine. I bambini crescono e cambiano taglia ed esigenze e noi ci ritroviamo a dover gestire scatole di vestiario, giochi, attrezzatura per l'infanzia che potenzialmente potrebbero finire in discarica. Nel prossimo capitolo vedremo molte idee interessanti per lo scambio o la vendita di oggetti usati; qui consideriamo quali soluzioni adottare per evitare che l'atto di liberarsi degli oggetti diventi antiecologico, seppur liberatorio.


La pratica del decluttering ultimamente è di moda: si dice che le persone utilizzino solo il 20% di ciò che possiedono, mentre il rimanente è definito, appunto, “clutter” cioè ingombro suplerfluo che assorbe l'energia vitale occupando spazio e generando disordine. Ma non dobbiamo dimenticare che questa pratica ha molto a che fare con quella della gestione degli acquisti e dei rifiuti in famiglia.

Ho parlato di questo argomento sul mio blog6 e un amico ha lasciato un commento interessante:

“Probabilmente l'abitudine ad acquistare oculatamente, riutilizzare e mantenere il controllo sugli oggetti posseduti funziona meglio del decluttering: quando ne abbiamo bisogno è già troppo tardi. Prima di acquistare qualcosa io mi chiedo se ne valga davvero la pena, se utilizzerò quell'oggetto una volta sola o per un breve periodo, se posso affittarlo o averlo in prestito da qualcuno invece di acquistarlo, se potrò venderlo o regalarlo”.


Con un po' di organizzazione possiamo dunque facilmente prevenire soluzioni drastiche, comprando meno e in modo più razionale. L'importante è che anche i nostri “repulisti” siano fatti con criterio, selezionando tutto ciò che è riutilizzabile, pensando a regalare a chi ne ha bisogno oggetti in buono stato e gettando nei rifiuti con dovuta attenzione solo le cose che davvero sono rotte e inutilizzabili.


Il Quaderno di esercizi per liberarsi delle cose inutili, un libricino scritto da Alice le Guiffant e Laurence Parè7, offre alcune simpatiche indicazioni su come orientarsi per sgomberare la casa e la mente, diventando selettivi negli armadi e nella vita, divertendosi e sentendosi più leggeri. Questo quaderno è interessante perché propone molti esercizi pratici ma parte da un assunto principale: non ci mancherà l'essenziale! Viviamo in un'epoca di abbondanza, nel paradosso per cui siamo stressati dalle cose che ci circondano e che occupano troppo spazio, anziché esserci utili. Persino chi pensa di avere poco o di non avere grosse disponibilità economiche, persino chi è colpito dalla crisi, a volte possiede molto più di ciò di cui ha bisogno. Tutto ciò può dunque diventare fonte di stress e aumentare la produzione dei nostri rifiuti.


Forse anche a partire da queste riflessioni possiamo arrivare a produrre meno rifiuti, vivendo in modo più sobrio, facendo opportune considerazioni ogni volta che ci accingiamo a fare acquisti e “buttando via” le cose con criterio e attenzione al nostro impatto.

Alcune semplici proposte per ridurre i rifiuti in famiglia

Ogni anno si svolge la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (SERR), un'iniziativa che nasce dal programma “LIFE+” della Commissione Europea, con l'obiettivo primario di sensibilizzare le istituzioni, i consumatori e tutti i soggetti interessati alle strategie e alle politiche di prevenzione dei rifiuti messe in atto dall'Unione Europea, inclusi i comuni e le scuole.


Sul sito dell'iniziativa c'è una bacheca dove chiunque può proporre la propria soluzione o il proprio impegno e un breve vademecum con consigli pratici per iniziare a ridurre la produzione domestica di rifiuti8.

Riduzione dei rifiuti - Cosa posso fare?

Un piccolo manuale per ridurre la produzione domestica di rifiuti

a cura di Eco dalle Città

 

Come consumatori è importante intervenire con le nostre scelte di acquisto, ponendo attenzione sia al volume che alla qualità degli imballaggi. I rifiuti infatti rappresentano un costo a carico della società in cui viviamo, e non bisogna dimenticare che le scelte dei consumatori influenzano fortemente le scelte produttive a monte della catena.


Vi proponiamo alcuni criteri per ridurre considerevolmente la vostra produzione domestica di rifiuti, grazie alle scelte di acquisto.

  • Preferisci prodotti con poco imballaggio – Ci sono prodotti in cui gran parte dell'imballaggio è utilizzato per scopi promozionali o di marketing, che è inutile per il consumatore ma che a volte può incidere significativamente sul prezzo.

  • Preferisci prodotti concentrati – Diluendo in acqua i prodotti concentrati riduci notevolmente il volume dell'imballaggio e al momento dell'acquisto non paghi il costo dell'acqua, del maggior imballaggio e dei trasporti ad esso associati.

  • Preferisci prodotti “formato famiglia” – Sono più convenienti dei prodotti monodose e sono caratterizzati da un volume di imballaggio inferiore per unità di prodotto rispetto alle confezioni più piccole.

  • Preferisci prodotti con contenuto ricaricabile – Ogni volta che utilizzi una ricarica (refill) per un prodotto risparmi all'ambiente un imballaggio molto più voluminoso da smaltire, senza contare che questi prodotti sono spesso più economici (tenendo conto di quanto indicato al paragrafo 6.1).

  • Scegli imballaggi costituiti da un solo materiale – Un imballaggio costituito da più di un materiale non è differenziabile, anche se i singoli materiali che lo compongono lo sono; per questo è meglio evitare l'acquisto di prodotti con imballaggi multimateriale.

  • Non abusare di prodotti “usa e getta” – La cultura dell'“usa e getta” si è molto diffusa nella nostra società, soprattutto per l'apparente economicità e praticità. Non vengono però spesso considerati i costi sociali e gli impatti ambientali correlati a un uso non consapevole di questi prodotti (bicchieri, piatti e posate, rasoi, macchine fotografiche, batterie, ecc.). Limitandone l'acquisto a situazioni particolari si riduce notevolmente il volume dei rifiuti prodotti in ambito domestico.

  • Per fare la spesa preferisci… – …ai sacchetti di plastica, quelli di carta o ancor meglio di tessuto che potrai utilizzare per molti anni. Ridurrai il numero di sacchetti di plastica in circolazione, che in maggiore misura sono tra i rifiuti abbandonati nell'ambiente e che vengono portati dal vento e dal mare in ogni angolo del nostro pianeta.


Testimonianza:

 riciclare i computer, una pratica di qualità
Ridurre i rifiuti significa anche imparare a riciclarli e a gestire quanto di buono possono ancora dare, evitando di ingrossare le discariche con oggetti ancora funzionanti. Matteo Iacono è un appassionato di informatica con il pallino per l'ambiente e, assieme a due amici, ha dato vita a un'associazione che recupera vecchi computer9.

Abbiamo iniziato la nostra attività nell'estate del 2009, per caso e senza un obiettivo preciso. Una serie di coincidenze hanno fatto sì che ci trovassimo in tre, Giuseppe, Alfonso ed io, Matteo; tre amici con la passione per l'informatica e con una certa sensibilità per le questioni ambientali, e con l'idea di passare il tempo libero recuperando computer destinati alla discarica, attività comunemente definita “trashware10.


È infatti incredibile la quantità di hardware in ottimo stato che viene considerato obsoleto e gettato via prima del tempo solo perché non adeguato ai nuovi software usciti. Il mercato dell'informatica di fatto spinge i programmatori a creare applicazioni sempre più elaborate graficamente, che quindi richiedono sempre più risorse, facendo sì che gli utilizzatori siano costretti a cambiare sovente il proprio hardware. In realtà, spesso le funzioni utilizzate sono sempre le stesse e non richiedono grande potenza di calcolo, come scrivere lettere e gestire fogli di calcolo, navigare su internet, ascoltare musica, archiviare e vedere foto e video. I computer, inoltre, più vengono utilizzati e più tendono a rallentarsi, ma basta una pulizia periodica della macchina per riportarla alle prestazioni originali. E se la pulizia non dovesse bastare si possono comprare schede aggiuntive per potenziarla senza doverla per forza cambiare in toto, facendo risparmiare soldi a noi e materiale di scarto al pianeta.

Abbiamo così fatto girare la voce tra amici e conoscenti, chiedendo che ci venissero regalati vecchi computer, monitor e stampanti invece di portarli all'ecocentro; ci siamo anche offerti di controllare i pc ritenuti troppo lenti per capire se potevamo fare qualcosa per migliorarli.


È incredibile la quantità di computer che siamo riusciti a ottenere: mi sono trovato la taverna di casa letteralmente sommersa. In poche settimane abbiamo rimesso in funzione sei PC, completi di monitor, tastiera e mouse, su cui è stata installata la distribuzione Linux Ubuntu, un sistema operativo libero (e gratuito), molto “user friendly”, cioè di facile utilizzo anche per i non addetti ai lavori, sviluppato da una comunità di programmatori più o meno volontari, che rispecchia in pieno gli ideali del nostro gruppo: libertà e semplicità.


Alcuni di questi computer sono ritornati ai loro legittimi proprietari i quali, dopo averli provati, hanno pensato che tutto sommato potevano aspettare ancora un po' prima di spendere un patrimonio per comprare un computer di ultima generazione per svolgere le stesse attività che già facevano con quello precedente. I rimanenti invece sono stati destinati ad associazioni senza scopo di lucro, ben felici di risparmiare qualche soldino.


A quel punto, poiché la nostra idea funzionava, abbiamo iniziato a pensare più in grande e abbiamo preso contatti con il comune in cui al tempo risiedevo, per chiedere il permesso di controllare ed eventualmente recuperare i computer portati all'ecocentro dai cittadini. Il sindaco, pur colpito positivamente dall'idea del progetto, ci ha messo davanti alla realtà dei fatti: purtroppo non è possibile prelevarne materiale perché, nel momento in cui varca la soglia dell'ecocentro, diventa un rifiuto RAEE, cioè un rifiuto elettronico speciale, e deve essere trattato con tutti gli accorgimenti previsti dalla legge. L'unico modo per aggirare il problema sarebbe stato quello di controllare il materiale a monte, prima cioè di farlo entrare in ecocentro, ma per motivi organizzativi non era possibile metterlo in pratica.


Intanto, mentre purtroppo Alfonso ci lascia ma fortunatamente si unisce a noi Luca, un gruppo di associazioni (Web-Lab, Giovani dei Ferrovieri, Jackie Tonawanda e Pensionati per la Pace) si aggiudica un bando di gara per la riqualificazione del quartiere Ferrovieri a Vicenza, e gli viene assegnato lo stabile ex Bocciodromo. Le associazioni si pongono l'obiettivo di rilanciare la zona creando strutture come palestra, bar e sala polivalente e organizzando attività sportive, corsi di musica, concerti e molto altro ancora. Presentiamo anche a loro il nostro progetto ed otteniamo una stanza a nostro uso esclusivo. L'idea di base del gruppo comincia a concretizzarsi. In breve tempo dividiamo la stanza assegnataci: un'area si trasforma in un laboratorio per la riparazione delle macchine, da usare anche come magazzino per i pezzi che ci vengono portati, e una seconda area diventa una sala multimediale, utilizzata come “internet point” gratuito a disposizione di tutti, nella quale in futuro organizzeremo anche corsi di informatica e internet.


La sala è interamente allestita con materiale di recupero, usato e destinato all'ecocentro, donatoci gratuitamente, dai computer ai tavoli, alle sedie, e conta sei postazioni fisse, collegate in rete. Scegliamo anche un nome per il nostro gruppo: “/Xtra/sh”.


Il nostro lavoro non è certamente finito ma prosegue, dobbiamo allestire il tavolo del docente e trovare un proiettore, così da essere in grado di tenere corsi e fare presentazioni. Vogliamo insegnare a tutti ad avere più a cuore il pianeta che abitiamo, a considerare bene le conseguenze di ogni propria azione guardandola in una chiave ecosostenibile.


Non assecondiamo le leggi di mercato che ci vogliono consumatori compulsivi, che acquistano prodotti pur non avendone bisogno, anche se sempre più spesso costa meno comprare nuovo ciò che si è rotto invece di aggiustarlo. Non buttiamo via oggetti che possono ancora essere utilizzati, a volte ciò che acquistiamo per uno scopo, una volta non più necessario, può venire riutilizzato per qualcos'altro.


Un vecchio computer ormai troppo inadeguato per il lavoro può passare dai genitori ai figli più piccoli, che lo utilizzerebbero per imparare senza preoccuparsi di fare danni, ma può in alternativa diventare un media center da collegare al televisore, oppure un sistema per la copia di sicurezza dei nostri file più importanti.


I princìpi eco del trashware, pur nascendo in un ambito prettamente tecnico, si possono applicare a ogni ambito della vita, scoprendo che è semplice, divertente e non ultimo fa risparmiare!

Giuseppe, Luca, Matteo

/Xtra/sh

Testimonianza:

Kia e la compostiera da balcone
Carmela Giambrone è un'esperta di compostaggio domestico e cura dal 2007 il blog “Equo, Eco e Vegan”11. Laureanda in biologia, si interessa di ecologia, veganismo e solidarietà, collabora con vari soggetti che operano in campo ambientale con progetti divulgativi e di carattere educativo.

La gioia è un'emozione che mi pervade ormai da diverso tempo, quando vengo chiamata a raccontare la mia esperienza di compostaggio domestico, in particolare da quando mi sono accorta che sono molte le persone che hanno scoperto, o riscoperto, il valore di ciò che prima includevano inesorabilmente nella categoria “poco interessante”.


I rifiuti, fino a poco tempo fa considerati “poco interessanti”, sono ora diventati questione di discussione, dilemma, non solo mero ingombro: a volte possono addirittura cambiare il loro significato intrinseco diventando materia prima di valore, plasmabili e adattabili, preziosi in quanto portatori di risparmio, sia esso di risorse, di energia, di lavoro oppure di tempo.


E così abbiamo assistito alla nascita di progetti di recupero di materiali prima destinati all'inceneritore come juta, imballaggi di vario tipo, camere d'aria, quotidiani e molto altro ancora.


Ma come tutte le cose che riescono meglio, anche in questo caso, decidere di emulare la natura sfruttandone i processi e i sistemi già perfettamente integrati in perfetta armonia e simbiosi con il pianeta terra, sembra essere la scelta migliore. In fondo, anche se tendiamo a dimenticarcene, anche noi siamo natura, quindi abbiamo un meraviglioso potenziale: la fantasia.


Noi tutti facciamo parte della natura: l'intero mondo biotico e abiotico, complesso e regolato da sistemi organizzati strettamente interconnessi tra loro e gestito da regole dinamiche, permette una gestione delle risorse (siano esse vergini o meno) in modo corretto e responsabile e questo permette a tutti noi di riprendere i ritmi dettati, oltre che dal buon senso, anche dal sistema naturale delle cose.


La mia scelta di compostare è strettamente legata alla scelta di una vita più responsabile: responsabilità piena delle proprie azioni nei confronti della terra, di tutti i suoi esseri viventi e anche di tutti i nostri compagni di specie che certamente non vivono con le nostre eguali abbondanze di risorse (e di spreco).


La mia scelta è stata preceduta da quella vegetariana, quindi sono diventata una consumatrice critica, decidendo di utilizzare l'unica arma davvero potente che ognuno di noi, in quanto consumatore, ha: il boicottaggio, come azione di protesta rispetto a ciò che riteniamo sbagliato.


La mia via di consapevolezza è proseguita fino alla scelta vegan e conseguentemente all'autoproduzione e alla logica scelta di riduzione del mio impatto ambientale, riduzione tesa al raggiungimento di un impatto minimo.


Detto questo, mi piace sempre porre l'accento sul fatto che l'unica cosa davvero indispensabile è la volontà di agire: la decisione di compostare non mi è certamente stata impedita dalla mancanza di spazi. Infatti non possedevo (né possiedo) orto o giardino ma alla fine ho compreso in maniera davvero inequivocabile che è solo una questione di organizzazione, come per ogni cosa nella nostra vita.


Ho cercato ovunque, in rete, in biblioteca, da libri di amici, in università, fino a quando non sono riuscita a trovare le informazioni che potessero fare al caso mio!


Pian pianino, quindi, ho progettato una compostiera da balcone semplice ma funzionale, da gestire con estrema maneggevolezza ed efficacia, senza andare incontro alle ire dei miei vicini di casa o, peggio, a quelle del mio compagno, per nulla intenzionato (in maniera assolutamente comprensibile e giustificata!) a rinunciare al suo angolino verde sul nostro balcone solo perché io avevo avuto questa strana idea di compostare sul balcone.


È stato facile e divertente poi recuperare il materiale necessario.

Facile perché le uniche cose che mi servivano davvero erano un bidone di plastica (ne ho utilizzato uno di quelli per le foglie secche da giardino), della retina di plastica, della zanzariera a metro e della semplicissima argilla espansa: ecco, era tutto quello di cui avevo bisogno.


Armata di santa pazienza ho iniziato a rendere reale il mio progetto: ho costruito la mia prima compostiera seguendo le tante istruzioni annotate qua e là e che piano piano avevo raggruppato e reso coerenti, tante informazioni frammentarie prese da vari manuali ed esperienze diverse come in un piccolo puzzle.


Alla fine la realizzazione è stata semplice: un bidone completamente forato, foderato al suo interno da due strati di protezione, una di retina e una di zanzariera, con un bel fondo di abbondante argilla espansa pronto per ospitare popolazioni di invertebrati, muffe e funghi che di lì a poco avrebbero svolto il perfetto lavoro di degradazione e trasformazione della materia organica, permettendomi di ottenere del fantastico compost.


Iniziò così il mio esperimento di “compostaggio su balcone”.

Timorosa, piena di aspettative e molto impaurita, soprattutto dalla possibilità di creare un richiamo per animaletti o insetti e di recare disturbo ai vicini o, peggio, infestare di chissà quale maleodorante e fetida fragranza balcone e casa, mi feci supportare da quelle che presto battezzai come le “regole base”.

Le due tecniche che fecero filare come una macchina ben oliata il mio esperimento vennero velocemente soprannominate “del verde e del marrone” e “dell'aria e dell'acqua” e fin da subito queste resero le cose semplici e immediate.


In men che non si dica tra amici, parenti, amici di amici, parenti di parenti e… amici del blog, la “compostiera autosufficiente da balcone” si diffuse con una rapidità enorme, complice forse la mia partecipazione alla prima stagione del progetto di Paola Maugeri “La mia vita a impatto zero” per la trasmissione divulgativo-scientifica “E se domani” (andata in onda su Raitre) e la partecipazione delle mie sei compostiere alla seconda stagione dello stesso.

Mi sono chiesta subito che cosa mi attirasse così tanto del progetto “compostaggio su balcone” e ciò che mi sono risposta è stato semplicemente una cosa: la curiosità.


La curiosità, infatti, è una delle qualità che più preferisco tanto in me quanto negli altri: essere curiosi permette di raggiungere e superare i propri limiti oltre che di crearne costantemente degli altri.


Vedere con dinamicità quel che accade ai nostri resti di cucina, che in pochi mesi si trasformano in profumato terriccio di sottobosco, è meraviglioso. Poter toccare con mano quanto siano davvero importanti per il ruolo che svolgono nel ciclo della materia le popolazioni di invertebrati, muffe e funghi che pian piano vediamo nascere e crescere all'interno della nostra compostiera ritengo sia meravigliosamente educativo.


Ciò che poi ho riscontrato come fantastico effetto collaterale derivante dall'attività di compostaggio domestico su balcone, è stata l'incessante e volontaria riduzione dei rifiuti che quasi naturalmente avviene: senza prestarci grande attenzione è quasi matematico che, a mano a mano che la vostra esperienza di compostatori procederà, diventerete sempre più oculati nell'azione di pulizia e scarto in cucina e passerete a ridurre quasi certamente almeno di un terzo i vostri rifiuti organici.


Grazie a questa esperienza ho velocemente compreso come l'azione di compostaggio domestico possa facilmente educare l'intera famiglia al risparmio e al ritorno del valore del cibo, concetto ormai basilare che aiuta a prendere coscienza dell'impatto ambientale che ognuno di noi ha sul pianeta.

Se anche voi volete provare il compostaggio sul balcone costruite la vostra compostiera autosufficiente e con estrema facilità potrete produrre in casa vostra (proprio come me!) compost profumato che vi permetterà di non acquistare più terriccio e fertilizzante e di riciclare dinamicamente i vostri rifiuti di cucina.

Per le istruzioni circa la costruzione dettagliata, i consigli, le esperienze e molto, molto altro a seguito della prima progettazione fatta nel 2007 vi rimando al mio blog www.equoecoevegan.blogspot.it nonché al gruppo dei “compostatori felici sul balcone”12 che ho fondato su Facebook.

Eco-famiglie
Eco-famiglie
Elisa Artuso
Riflessioni, esperienze, idee per una maggiore consapevolezza e un orientamento più sostenibile.Suggerimenti e proposte concrete per essere più ecologici e per insegnare ai nostri figli il valore dell’eco-sostenibilità. Eco-famiglie di Elisa Artuso raccoglie proposte concrete per essere più ecologici senza spendere una follia, per ridurre i consumi inutili e per insegnare ai bambini il valore dell’eco-sostenibilità, consigli pratici per organizzare gli acquisti, ricette di autoproduzione, proposte creative per giocare, andare in vacanza e gestire i rifiuti. Ogni capitolo è corredato da testimonianze di chi sta sperimentando un’ecologia nuova e concreta, senza estremismi: il vero cambiamento parte dalle piccole cose, se si pensa solo in grande si rischia di non iniziare mai.Un cambiamento concreto che ci consenta di consegnare alle generazioni future un ambiente salutare e pulito non è solo necessario, ma improcrastinabile, e può avvenire solo se le famiglie imparano a costruire relazioni virtuose tra di loro, che aiutino a modificare gradualmente le abitudini all’insegna del consumo critico e responsabile, della mobilità sostenibile, di un nuovo modo di vedere la pulizia e la propria cura personale, di costruire le nostre case e di gestire il nostro denaro. Conosci l’autore Elisa Artuso, libera professionista e blogger, si occupa di comunicazione digitale e scrive di ambiente ed infanzia.È socia fondatrice di un gruppo d’acquisto solidale e autrice di Mestiere di mamma, un blog-magazine per famiglie amiche dell’ambiente. Vive a Bassano del Grappa.