capitolo v

Fisiologia del sonno
dei neonati e dei bambini

Perché i libri sul sonno dei bambini sono i più venduti?

Ho capito dottoressa, lei mi sta dicendo che i tempi del mio bambino sono diversi da quelli di noi adulti; io l’avevo intuito, ma nessuno le dice queste cose e allora noi genitori ci scervelliamo per escogitare il modo di farli dormire tutta la notte,
ma loro hanno solo bisogno di noi!

Simone, babbo di Niccolò

La nascita di un bambino pone molti interrogativi nei genitori. La maggior parte di essi non si aspettava lo stravolgimento notturno che d’improvviso li obbliga a gestire i risvegli frequenti e ravvicinati dei piccolini. È raro sentire parlare di questo tema prima della nascita, mentre se ne discute moltissimo subito dopo. Per di più, non appena ci si trova ad accudirlo, è probabile che i dubbi e le difficoltà trovino risposte contraddittorie e per nulla esaurienti. Di solito il sonno non viene considerato come uno dei tanti bisogni fisiologici del neonato; si ignora completamente che sia caratterizzato da ritmi del tutto diversi rispetto a quelli dei genitori e quindi si pensa di dover ricorrere a qualche metodo per far dormire il bimbo come i grandi, vale a dire tutta la notte. A prova di ciò, se guardiamo le classifiche dei libri di puericultura più venduti, troviamo ai primi posti sempre quelli che trattano proprio questo argomento. È lecito quindi pensare che i genitori abbiano un forte bisogno di aiuto, comprensione e informazione, poiché forse si trovano in difficoltà e non sanno cosa fare, ma risulta anche evidente che le informazioni e i metodi che circolano abitualmente non sono sufficienti, perché il problema sussiste e, anzi, è sempre più attuale e dibattuto.
Lo scopo di questo capitolo è illustrare la fisiologia del sonno dei neonati e dei bambini più grandi, per offrire informazioni ai genitori e restituire loro il diritto di scegliere la modalità di gestione del riposo familiare più adatta, cioè quella che permette a tutta la famiglia di dormire meglio1. In queste pagine non ci saranno indicazioni su cosa fare, ma spunti di riflessione e strumenti per personalizzare la propria soluzione. In altre parole, la mia intenzione è di chiarire gli aspetti normali e geneticamente predeterminati riguardo alla sfera del sonno in ognuno dei nostri bambini, e ciò che i genitori possono fare per favorire il riposo di tutta la famiglia.
Nella mia attività di consulenza la stragrande maggioranza delle richieste che i genitori mi rivolgono riguarda proprio questo argomento. Da mamma, so bene quanto sia dura affrontare, notte dopo notte, i risvegli dei propri bambini, e andare avanti tutta la giornata seguente, magari senza aiuti e con altri figli desiderosi di un genitore pieno di energia! Penso davvero che sia di fondamentale importanza per tutti conoscere a fondo la ragione per cui i bambini si svegliano la notte. Si potrebbe cominciare a riflettere sul fatto che tutti i bambini lanciano lo stesso messaggio in maniera forte e chiara fin dalla nascita: “Non voglio dormire da solo, ho bisogno di stare vicino ai miei genitori e di essere consolato e allattato quando mi sveglio, perché il latte della mia mamma mi aiuta ad addormentarmi bene, sereno e velocemente!”. Un messaggio inequivocabile, che tutti i genitori riconoscono e sovente ritengono di dover contrastare, per paura di viziare il bambino, di renderlo dipendente dal lettone, dal seno o dalla loro camera, dalla quale si teme non uscirà mai.
Ma perché tutti i bambini esprimono questo bisogno? Come è possibile che dentro di loro ci sia questa urgenza, per giunta geneticamente predeterminata, se fosse così pericolosa per la loro autonomia e per la loro crescita? Perché i genitori sentono di dover ricorrere a libri ed esperti su questo tema più che su tutti gli altri? Non c’è argomento sui forum di internet, nei corsi dopo parto, fra le mamme e dal pediatra, più “gettonato” di questo; un tema che sembra necessitare di ricette miracolose, rapide ed efficaci, che diano un po’ di meritato riposo a tutta la famiglia. Come afferma Katherine Dettwailer, antropologa: “Probabilmente in nessun campo le aspettative culturali sono così tanto in conflitto con i bisogni dei bambini come nelle due aree ‘frequenza delle poppate’ e ‘comportamento del dormire’”2.
Siamo davanti a uno dei tanti paradossi che la nostra cultura ci costringe ad affrontare. I genitori hanno necessità di dormire per poter sostenere i ritmi che la società impone: mamme che tornano al lavoro a pochi mesi dal parto, mamme spesso sole, senza aiuti, che non riescono a recuperare la stanchezza perché quando i bambini dormono devono fare il resto, occuparsi della casa, della gestione di altri figli se ce ne sono, di attività lavorative o di altri impegni familiari. L’allattamento al seno è spesso considerato come un intralcio per l’autonomia della donna, che si sente obbligata a restare vicino al bimbo, anziché essere visto come un possibile alleato; non viene pensato come una matrice biologicamente e affettivamente predeterminata per la sopravvivenza della specie umana, ma come una semplice scelta, un’alternativa, un aspetto sostituibile con qualcosa di equivalente, creato apposta dall’industria per “liberare” le mamme! Nel prossimo capitolo affronterò più ampiamente la questione dell’allattamento al seno, per adesso basterà ricordare che allattamento e sonno infantile e dell’adulto sono aspetti assai correlati, che si influenzano a vicenda.
Sfugge ai più che dormire rappresenta un bisogno universale di tutti, grandi e piccini, poiché senza sonno non si sopravvivrebbe che per pochi giorni. Dipende invece dalle culture di appartenenza come, quando e dove dormire, soprattutto se ciò riguarda i bambini, fermo restando che tutti gli esseri umani dormono, se lasciati liberi di farlo, secondo i propri tempi e ritmi fisiologici. Dormiamo secondo ritmi regolati su base circadiana, cioè che si ripetono nell’arco delle 24 ore, i quali vengono acquisiti per gradi a partire già dalla vita fetale. Prova ne sia, infatti, che i bambini possono segnalare il bisogno di dormire, come ho già in precedenza affermato: soddisfare la necessità di essere accompagnati con contenimento e rispetto verso il sonno, senza interferire nell’acquisizione naturale di tali ritmi, rappresenta un notevole investimento per tutti. Gli scienziati che si affannano a produrre evidenze, spesso in contraddizione l’uno con l’altro, o a mettere a punto metodi pressappochisti e pericolosi3 che godono di grande popolarità, non tengono conto delle intrinseche capacità dei bambini di acquisire i propri ritmi circadiani se opportunamente accompagnati, rassicurati e incoraggiati circa la possibilità di “staccare la spina”, senza che percepiscano questa pausa come un momento di vuoto affettivo e relazionale. Perciò, se un problema esiste, non è quello di cui di solito ci si lamenta – “Il mio bambino non dorme”! – ma il fatto che si neghi la fisiologia, non si assecondi la capacità comunicativa e la normalità innata di ogni neonato di acquisire i ritmi di sonno/veglia come universale del comportamento umano. Inoltre, la questione è resa ancora più complessa dal fatto che i genitori non hanno facile accesso al sostegno sociale e istituzionale di cui necessiterebbero, almeno nei primi tre anni dei figli, per seguirne la crescita.

Vorrei precisare a questo proposito che, a mio parere, la soluzione non sta nel pretendere che i bambini si adeguino ai ritmi degli adulti, dal momento che le istituzioni non aiutano i genitori a stare a casa, ma nel diffondere una cultura basata sulla fisiologia, anche quella degli affetti, e sull’importanza delle relazioni primarie, come dovere civile e morale di ogni cittadino e come investimento affettivo per l’intera società a cui si appartiene.


In letteratura esistono studi di molti autori sulla fisiologia del sonno. Mi riferisco all’opera dell’antropologo James McKenna4, al contributo di psicologi quali Allan Schore e Sue Gerhardt, per quanto riguarda la relazione tra neuroscienze e affettività, ai pediatri William Sears e Carlos González, alle pediatre italiane Annamaria Moschetti e Maria Luisa Tortorella e a molti altri. Dobbiamo ringraziare questi autori se esistono informazioni precise e documentate sul funzionamento fisiologico del sistema nervoso durante il sonno, dal concepimento fino all’età adulta. Nozioni dalle quali partire per farsi un’idea, parlarne in famiglia e decidere con serenità quale sistemazione notturna sia la più soddisfacente per tutti i membri del nucleo familiare, senza cedere a metodi preconfezionati o a gadget che considerano soltanto la logica del marketing: tutto e subito senza riflettere, né seguire gli istinti e la fisiologia.

Un’ultima riflessione mi pare doverosa circa la nozione ‘tempo’. Nella nostra società si va di fretta tutto il giorno e si possono avere difficoltà a gestire i tempi dei bambini che, per natura, sono (fortunatamente) più lenti. Troppo spesso si vive nonostante il bambino, non insieme al bambino. I piccoli sono considerati purtroppo come persone d’intralcio nell’organizzazione della giornata, dei rompiscatole, dei piccoli tiranni, furbi ed egoisti, che vogliono sempre rivolgere l’attenzione su di sé.


La mia proposta è che, anzi, si veda la nascita di un bambino come un’occasione meravigliosa e irripetibile – anche per noi adulti “globalizzati” e indaffarati – di assaporare un risveglio, prendersi qualche mese/anno per ridiscutere i tempi e le abitudini di tutta la famiglia, così come i neonati stessi ci suggeriscono. Forse sarebbe per tutti noi una bella opportunità di apprezzare meglio la “normalità” di momenti a misura d’uomo, liberandoci dalla logica della mera produttività. Afferma a questo proposito Gerhardt: “La mentalità orientata all’obiettivo è la stessa mentalità di chi scrive colonne sui giornali per deridere il bisogno di autostima, la stessa mentalità che parla di ‘crogiolarsi’ nei sentimenti. Include gli aspetti di ‘rigidità’, di etica protestante, di ‘malattia della fretta’, tipici della nostra cultura. Si premia la forza di volontà e dell’esercizio [il fare], rispetto alla capacità di ascolto e al desiderio di prendersi tempo. La vita è dura, direbbero i sostenitori di questo stile, cerca di continuare a viverla. In questo modo si perpetua la frattura fra mente e corpo, pensieri e sentimenti, pubblico e privato. Prestare ascolto ai sentimenti, i propri o gli altrui, può farci rallentare. Può ritardare il raggiungimento degli obiettivi!”5.

A questo punto della nostra riflessione, la domanda è la seguente: quale tempo e spazio diamo ai bambini? E qual è l’unità di misura a cui ci riferiamo: la nostra di adulti o quella dei bambini? Penso che sia necessario gettare almeno un ponte tra i due diversi metri di giudizio. Per un bambino, per esempio, la notte ha una durata infinita e ci vorrà molto tempo perché egli associ all’addormentamento il successivo risveglio. I concetti di tempo e spazio dei bambini sono assai diversi da quelli degli adulti; e ogni bambino, come d’altronde ogni adulto, ha tempi personali differenti da quelli degli altri. Non a caso noi “grandi” ci lamentiamo di non aver mai tempo, del caos e del traffico delle città in cui viviamo, ed è noto come le malattie cardiovascolari associate a stili di vita frenetici siano in aumento. E allora, cosa fare? Forse si potrebbe cominciare a considerare lo spazio e il tempo come “amici” da rispettare e ricercare insieme ai nostri bambini. Forse si potrebbe considerare la nascita di un bambino come un’occasione imperdibile di rivedere il rapporto che abbiamo con queste dimensioni, cercando di sfruttare la creatività che la natura ci mette davanti per inventarci nuovi modi di organizzare la nostra giornata e quella dei nostri figli. I bambini ci riportano a una dimensione di flessibilità che spesso non cogliamo, nella nostra ricerca di metodi rigidi che velocizzino o annullino la relazione con loro: come possono loro imparare ad aspettare e cercare i propri equilibri, se non glielo permettiamo e non diamo loro il buon esempio?

A mio avviso, ogni bambino che nasce porta un messaggio con sé: “Aspettami, dammi spazio (prima nel tuo corpo, poi fuori), ascoltami e contienimi nella mia crescita, guardami, gioca con me, ancora meglio se all’aria aperta, troviamo insieme spazi e tempi che soddisfino tutti”. Ma questo non è semplice, è sicuramente più facile proporre e imparare metodi uguali per tutti, salvo poi accettarne le conseguenze. Il tempo e lo spazio non possono avere regole rigide in quanto sono mutevoli per natura. Per gli adulti, la vera difficoltà sta, secondo me, nell’accettare e ricercare momenti, anche pochi, di calma e di lentezza che, lungi dal significare per forza ozio o perdita di tempo e denaro, rappresentano al contrario occasioni di recupero, di creatività, di ascolto, di osservazione, di accoglienza e divenire. Ci troviamo spesso in un vortice di attività frenetiche che ci lasciano spossati, senza energie per noi stessi e per la nostra famiglia. Non stupisce che anche i bambini possano andare in tilt, possano essere percepiti come iperattivi o avere difficoltà di relazione e concentrazione… nonostante nel nostro Paese sia stata di recente istituita addirittura la “giornata della lentezza”! Invece corriamo. Siamo ansiosi, affannati, frettolosi e i nostri figli ci vedono così. L’invito è di riflettere in maniera costruttiva sull’esempio che proponiamo ai nostri figli e sui valori semplici come quelli di tempo e spazio che vogliamo trasmettere loro, prima di comprare un libro o di consultare un esperto, forse ancora prima di diventare genitori. Se è difficile per noi adulti ritagliarci attimi di ascolto e di intimità, forse è difficile anche per i nostri figli muoversi in spazi e tempi non a misura di bambino, in una cultura adultocentrica concepita da persone frettolose e poco attente al recupero della semplicità, quella che ogni bambino che nasce porta con sé.

Nozioni di base circa la fisiologia del sonno dei bambini

Ho pensato di iniziare questo paragrafo con un riquadro che possa servire da punto di riferimento ai genitori, come riassunto di alcuni temi già trattati e anticipo di ciò che illustrerò in dettaglio nelle prossime pagine.


VADEMECUM PER GENITORI ASSONNATI...
  • È normale e fisiologico che i bambini abbiano risvegli notturni, di solito fino ai tre anni di vita.
  • I neonati e i bambini hanno innate tutte le competenze necessarie per acquisire spontaneamente ritmi fisiologici di sonno/veglia. Basta non interferire e conoscere la fisiologia per accompagnarli serenamente verso questo atto di crescita.
  • Quando nasce un bambino i suoi ritmi di sonno sono sincronizzati con quelli della madre e continuano a esserlo nei mesi seguenti, se questi dormono vicini. Perciò la madre avrà un sonno migliore e più ristoratore se dorme vicino al suo bambino.
  • In molte culture è normale che i bambini dormano coi genitori senza conseguenze patologiche di nessun genere sia a breve sia a lungo termine.
  • L’allattamento al seno a richiesta è tale se effettuato anche di notte, anzi di notte il latte di mamma è ancora più facile da succhiare perché aumentano le concentrazioni materne di prolattina e ossitocina, gli ormoni dell’allattamento.
  • Fino al terzo mese di vita il bambino non attraversa stadi di sonno profondo né secerne in maniera stabile la melatonina (un ormone che induce il riconoscimento e l’instaurarsi dei ritmi luce/buio), per cui non ha senso l’idea secondo cui il neonato possa “scambiare il giorno per la notte”.
  • Esistono molti libri in commercio che suggeriscono metodi per far dormire i bambini: sono privi di qualsiasi riscontro scientifico e molte associazioni di pediatri si sono espresse sulla loro pericolosità. Nessun bambino è uguale a un altro e un modo di dormire uguale per tutti non esiste!
  • I genitori sono liberi di scegliere modalità e luoghi in cui tutta la famiglia dorme meglio.
  • Il sonno è un’esigenza fisiologica come mangiare, bere e muoversi: tutti i bambini a loro modo, prima o poi, mangiano e bevono da soli, camminano e dormono senza bisogno del sostegno dei genitori. Si tratta di una conquista di autonomia graduale e rispettosa dei tempi di ogni bambino e della fisiologia.
  • I bambini che hanno effettivi disturbi del sonno non sono quelli che si svegliano durante la notte, ma quelli che non riescono a riaddormentarsi anche per ore dopo il risveglio notturno.
  • Rispondere prontamente ai bisogni del bambino e ai suoi segnali, sia di notte sia di giorno, non lo vizia ma costituisce la base per la sua autostima e per la fiducia negli altri anche in età adulta.


Alcune di queste affermazioni possono destare meraviglia, ma si possono capire meglio se si comprende che i risvegli notturni sono una necessità fisiologica per i neonati e i bambini piccoli. Come sempre, cominciamo dall’inizio.


In gravidanza il bambino acquisisce dei ritmi di sonno che, al momento della nascita, sono sincronizzati con quelli della madre.


Durante la gestazione il feto matura fino ad arrivare a una crescita che gli permetterà di vivere anche fuori dall’utero materno, e anche il suo sistema nervoso va incontro a un’analoga maturazione. James McKenna, professore di antropologia presso la University of Notre Dame, ha studiato quelle che definisce le “aspettative biologiche” del neonato rispetto alle sue esperienze di sonno, scoprendole in netto contrasto con le nostre “aspettative culturali”.

McKenna fa notare come “i più comuni modelli pediatrici e psicologici, assieme a nuove ideologie e valori culturali, abbiano formato l’opinione comune su come un bambino ‘normalmente’ dovrebbe dormire; questo risulta essere in totale contraddizione con ciò che è importante per il neonato dal punto di vista biologico e del suo sviluppo psicofisico.

La struttura, il comportamento, lo sviluppo fisiologico dei nostri neonati si formarono migliaia e migliaia di anni fa, ma dal punto di vista biologico sono estremamente recenti. Lo stile di vita dei nostri antenati ha sviluppato le caratteristiche di sopravvivenza che abbiamo oggi. Infatti, nonostante enormi differenze culturali nel mondo, ritroviamo una base comune a tutti i neonati, che si è sviluppata nel periodo in cui gli esseri umani sono stati ‘scolpiti’ per adattarsi meglio al loro modo di vita”6. Sono i cosiddetti universali di cui ho parlato nel primo capitolo di questo libro. L’autore continua affermando che “esiste una fondamentale differenza tra gli esseri umani e gli altri primati: la nostra circonferenza cranica fetale è in media più grande dell’apertura pelvica media […] e per questo i nostri cuccioli nascono estremamente immaturi in confronto agli altri mammiferi. Abbiamo il cervello meno maturo alla nascita, rispetto agli altri mammiferi, con solo il 25% del suo volume definitivo. Gli esseri umani terminano la maggior parte della gestazione fuori dell’utero (dentro sarebbe impossibile proprio per via della grandezza del cranio rispetto allo scavo pelvico). I neonati dovrebbero stare almeno altri sei mesi nell’utero materno per essere vicini come sviluppo agli altri cuccioli mammiferi, e quindi necessitano di un ambiente ricco di cure per il loro sviluppo psicofisico. Condividere il sonno, quindi, è una decisione fisiologica, come tutte le cure prossimali”. Le cure prossimali sono tutti quei comportamenti che richiedono la vicinanza, la prossimità di un adulto, in preferenza la madre, per regolare gli equilibri psicofisici del neonato prima e del bambino poi, e che permettono l’instaurarsi fra loro di una relazione di attaccamento, che servirà come prototipo di tutte le relazioni future del bambino.


Un altro illustre autore, il ginecologo Lorenzo Braibanti7, ha parlato di endogestazione, identificando con questo termine il periodo di vita fetale dentro l’utero dal concepimento alla nascita, e di esogestazione, per il periodo che prosegue nelle settimane e nei mesi dopo la nascita; periodo in cui il bambino, nato immaturo per la sua sopravvivenza fuori dall’utero, ha bisogno della madre per emanciparsi gradualmente, a mano a mano che le sue strutture fisiologiche e biologiche maturano con il concorso dell’ambiente in cui vive.

Entrambi questi autori, quindi, parlano di necessità fisiologica del neonato di completare il suo sviluppo psicofisico dopo la nascita, per molti mesi, vicino alla propria madre e in totale dipendenza da lei. Tutto questo non solo rientra nella normalità, ma è previsto biologicamente proprio per la crescita fisiologica dei bambini.


A questo proposito Dettwailer aggiunge: “I bambini sono predisposti per dormire con i loro genitori. L’aspettativa per madre e figlio è di dormire insieme e per il bambino di essere in grado di poppare durante la notte tutte le volte che ne sente il bisogno. Bambini normali, sani e allattati al seno, che dividono il sonno con i loro genitori, non dormono ‘per tutta la notte’ (diciamo sette-nove ore senza svegliarsi) finché non arrivano a un’età di tre-quattro anni, quando non hanno più bisogno di poppare durante la notte”8. Questo è normale, fissato dagli albori della storia umana, come comportamento universale di tutti gli appartenenti alla nostra specie per garantirne la sopravvivenza. Non c’è esperto che possa affermare il contrario, nonostante quanto sostenuto da mode del momento o metodi che prontamente vengono messi sul mercato, privi di ogni riscontro scientifico, diffusi soltanto per guadagnare sulla pelle dei genitori all’oscuro di una realtà scomoda per gli affari e per una società basata sulla produttività e sulla fretta, che trascura le relazioni primarie e gli affetti. Afferma Gerhardt a questo proposito: “Se continuiamo a insistere sul primato della produzione trascinando tutti gli adulti, compresi i genitori di bimbi piccoli, in un perseguimento senza sosta di beni materiali e di carriere professionali, allora potremmo dover affrontare un crollo emotivo. Senza adulti attenti, che proteggano il sistema nervoso in via di sviluppo dei bambini e che li mettano in grado di trasformarsi in persone adulte, forti e capaci di sostenere le sfide e le relazioni, c’è un prezzo da pagare. Questi problemi hanno un enorme impatto collettivo e generano costi elevatissimi a livello sociale. La spesa per gli antidepressivi da sola supera i 239 milioni di sterline in Inghilterra. […] per cambiare la situazione intorno a noi, per fornire ai bambini una partenza ottimale per essere emotivamente attrezzati ad affrontare la vita, dobbiamo investire nelle cure parentali precoci”9.


E allora vediamo in breve come funziona il sistema nervoso dei nostri bambini quando dormono e cosa possono fare i genitori perché tutti riescano a riposare meglio.

Fasi del sonno

Il sonno occupa, all’incirca, un terzo della nostra vita; la sua durata non è costante ma varia secondo l’età in maniera decrescente, cioè con il passare del tempo si dorme sempre meno. Considerando le 24 ore totali, si passa dalle 15/20 ore di media del sonno di un neonato alle 5/6 ore di una persona anziana.


L’elettroencefalografia ha permesso di precisare che il sonno si accompagna a modificazioni caratteristiche e misurabili dell’attività elettrica cerebrale; infatti, benché il sonno sia rappresentato da un apparente stato di quiete, a livello cerebrale avvengono complessi cambiamenti che non possono essere spiegati solo come un semplice stato di riposo fisico e psichico. Per esempio, ci sono alcune cellule cerebrali che in certe fasi del sonno hanno una attività cinque-dieci volte maggiore rispetto alla veglia.

Nel 1968 Rechtschaffen e Kales10 classificarono il sonno in cinque stadi: quattro stadi NREM (si legge non rem) distinti secondo un grado crescente di profondità (stadio 1; stadio 2; stadio 3; stadio 4) e uno stadio REM. La sigla REM sta a indicare che sono presenti rapidi movimenti oculari sotto le palpebre (dall’inglese Rapid Eye Movements). Gli stadi del sonno si ripetono varie volte nella notte, poiché il nostro sonno è caratterizzato dalla ciclicità. Un ciclo di sonno comprende tutti questi stadi e in una persona adulta ha la durata media di circa 90 minuti dopo i quali si ripete per varie volte (4/5 per un sonno medio di circa 8 ore per notte). Il grafico seguente illustra chiaramente il ripetersi dei vari stadi del sonno durante la notte:

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Figura 2: Distribuzione fisiologica delle varie fasi del sonno di un adulto durante una notte
Fonte: www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/immaginineuro/grafico.jpg


Vediamo in breve quali sono gli aspetti fisiologici che caratterizzano i vari stadi del sonno.

Sonno REM

È uno stato attivo in cui sogniamo. Il corpo usa più ossigeno e si riscontra un maggior afflusso di sangue al cervello. Respiro e battito cardiaco sono irregolari, si ha ipotonia dei muscoli della testa e del collo.


Gli impulsi nervosi vengono bloccati a livello del midollo: non solo i muscoli sono rilassati, ma c’è una vera e propria paralisi motoria. Sono esclusi i muscoli che controllano il movimento degli occhi, della respirazione e dell’udito. Si possono avere erezione del pene o del clitoride e contrazioni dei muscoli delle mani, delle gambe e della faccia. In questa fase ci si può svegliare facilmente. Questo stadio è identificato come quello maggiormente necessario ai fini della crescita del cervello11. Infatti alcuni studiosi ritengono che lo stato REM rappresenti un’autostimolazione delle cellule in via di sviluppo. Questo spiegherebbe perché la fase REM sia presente già dalla vita fetale e si stabilizzi intorno ai tre-cinque anni di vita dei bambini in netta corrispondenza con il ritmo di crescita dei neuroni. Spiega anche perché è fondamentale che i bambini possano trascorrere tempo sufficiente in fase REM per poter poi approdare a fasi di sonno diverse, e come sia importante lasciare che i bambini trovino da soli i propri ritmi, senza interferire in essi, almeno nei primi mesi di vita. Solo così la parte del sonno trascorso in fase REM decrescerà per gradi nel tempo in maniera fisiologica e il bambino diminuirà i suoi risvegli. Questo avverrà nel corso dei mesi, fino ad arrivare a una netta stabilizzazione circa dai tre anni in poi.


Per quanto riguarda invece il sonno della mamma, è stato scoperto che allattare al seno, attraverso la produzione materna di prolattina, induce la fase REM12. Ciò spiega come l’allattamento al seno aiuti la mamma nel sincronizzare il proprio sonno con quello del suo bambino e come dormire vicini aiuti mamme e bambini a dormire meglio e ad essere più riposati durante il giorno.

Sonno NON REM

È quello più vicino a quanto noi comunemente consideriamo sonno. È chiamato anche sonno “lento”. È quello che ci fa riposare di più. Respiro e battito cardiaco sono regolari. Tutto il corpo è rilassato. Gli stadi 3 e 4 sono quelli di sonno profondo in cui è più difficile svegliarsi. Soltanto al terzo mese di età questi due stadi diventano definiti, perciò prima dei tre mesi è praticamente impossibile che un neonato dorma profondamente. Ecco perché è molto facile che si svegli per rumori, cambiamenti di ambiente o attività fisiologiche. La ragione per cui questo tipo di sonno è sopravvissuto alla selezione naturale è che per il neonato rappresenta il modo migliore di adattarsi alla vita fuori dall’utero. Durante il sonno NREM il neonato esibisce comportamenti che sollecitano la vicinanza della madre e le conseguenti cure prossimali.


Il grafico seguente evidenzia come le ore totali di sonno e le percentuali di sonno REM, NREM e veglia cambino nell’essere umano dalla nascita all’età adulta.

Dal grafico si possono evincere alcuni dati di fondamentale importanza per capire come dormono i nostri bambini. Alla nascita la percentuale di sonno REM e NREM è quasi sovrapponibile, ma molto velocemente la fase REM decresce. All’età di tre/cinque anni la parte del sonno che i bimbi trascorrono sognando è pressoché quella del resto della vita. È intorno a questa età che si è compiuto il processo fisiologico di maturazione delle cellule cerebrali verso un’architettura del sonno che possa permettere una notte intera di sonno continuato, non prima. Bambini che dormono tutta la notte prima di questa età sono una fortunata eccezione, oppure sono bambini a cui è stato somministrato qualche farmaco o ancora sono stati forzati per adeguarsi alle aspettative dei genitori.


In sostanza, il sonno del neonato è organizzato in modo diverso da quello dell’adulto. Abbiamo già l’alternarsi di cicli di sonno “lento” e sonno REM verso la trentesima settimana di vita fetale, quindi anche nei bambini che nascono prematuri. Addirittura in questi bambini la fase REM può arrivare a valori percentuali molto alti, come si può vedere nel seguente grafico che completa il precedente:


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Figura 4: Distribuzione per età (compresa la nascita pretermine) di veglia, sonno REM e NREM in ore/24 ore
Fonte: Todini, I disturbi del sonno della prima infanzia, ACP Puglia Basilicata (2004). http://www.acppugliabasilicata.it/incontri_files/corsi_03_04/Disturbi%20sonno.htm

Nel neonato a termine, cioè nato intorno alla quarantesima settimana di gestazione, abbiamo visto che sonno “lento” e sonno REM sono quasi sovrapponibili, entrambi vicino al 50%. Questi ritmi di sonno sono sincronizzati con quello materno, perciò la madre è biologicamente programmata dalla gravidanza ad avere ritmi corrispondenti a quelli del proprio neonato anche dopo il parto. Infatti, tutte le mamme sanno che in gravidanza sognano di più e hanno risvegli più frequenti, nei quali notano che anche i loro bambini sono svegli perché li sentono muovere. Questa sincronia perdura durante i mesi dopo la nascita se bambino e mamma dormono vicini, e può rappresentare un valido aiuto per lei: infatti non verrà svegliata dal bambino nelle sue fasi di sonno più profondo, poiché anche lui dorme profondamente, ma entrambi si sveglieranno in una fase che non limita il rispettivo necessario recupero fisiologico. Nel prossimo paragrafo parlerò più ampiamente della pratica del cosleeping, ovvero del dormire insieme ai propri figli, come aiuto a mantenere la sincronicità del sonno e dei risvegli di madre e bambino. Questo, di fatto, aiuta le mamme a non sentirsi troppo stanche al mattino e ad acquisire una maggiore intimità e comunicazione con il neonato.


Le fasi più profonde del sonno “lento” compaiono solo dopo i tre mesi. Almeno nei primi due mesi di vita il ritmo è sia diurno sia notturno senza particolari distinzioni, in quanto l’epifisi, una ghiandola presente nel cervello, non secerne ancora la melatonina in maniera stabile e sufficiente per riconoscere il giorno e la notte; a questo proposito può essere di aiuto esporre il neonato alla luce diurna perché dorma meglio di notte. L’hanno scoperto ricercatori della Liverpool John Moores University, secondo cui le ore critiche per l’esposizione alla luce benefica per il sonno del neonato sono tra mezzogiorno e le 16. Come riferisce il “Journal of Sleep Research”, la luce funziona perché regolarizza i bioritmi del piccolo, forse accelerando la sincronia del proprio orologio biologico con i naturali ritmi giorno-notte. Questa ricerca infatti illustra come “raddoppiando l’esposizione alla luce diurna i neonati dormono molto meglio di notte. È emerso che il tempo medio in cui un neonato piange diminuisce a poco a poco dalla sesta alla dodicesima settimana d’età.

La luce fa bene al sonno notturno perché ‘insegna’ al bambino che di giorno si sta svegli e di notte si dorme, hanno spiegato gli scienziati. Fisiologicamente questo avviene perché la luce regola i livelli dell’ormone melatonina favorendo l’equilibrio dei ritmi giorno-notte. A mano a mano che i piccoli imparano i ritmi cui poi rimarranno fedeli per tutta la vita, il tempo notturno ‘perso’ nel pianto diminuisce, ecco perché dalla sesta alla dodicesima settimana d’età si registra un miglioramento del sonno dei bambini e, quindi, anche di quello di mamma e papà”13. Inoltre, l’esposizione alla luce diurna per pochi minuti al giorno, anche in assenza di sole, provoca l’assorbimento di una quantità di vitamina D sufficiente per la crescita. Può valere la pena, pertanto, provare a fare una bella passeggiata all’aria aperta con i propri bambini, ovviamente se le condizioni atmosferiche lo permettono, piuttosto che tenerli in casa per il riposino pomeridiano nel loro letto. Una fascia o un altro porta bebè possono essere un valido aiuto che unisce praticità e contatto in un’unica soluzione.


Il bimbo appena nato dorme dalle quindici alle venti ore al giorno, per periodi distribuiti spesso in maniera irregolare; si addormenta sempre in fase REM (quindi con sonno leggero) che dura pochi minuti, per poi passare alla fase NREM; può svegliarsi in un momento qualsiasi di una di queste fasi, quindi anche ogni mezz’ora. Perciò tutti i neonati dormono; non esiste il neonato sano, nato a termine, che non dorme. È verosimile che quando si sente comunemente dire che i bambini non dormono, ciò vada inteso nel senso che il bambino ha frequenti risvegli, dettati dalla particolare condizione neuroanatomica in cui nascono tutti i piccoli del mondo.


Sears14 parla di periodo vulnerabile volendo farci notare come ogni passaggio dalla fase NREM a quella REM sia caratterizzato dalla possibilità per il bambino di svegliarsi più facilmente, anche in seguito a stimoli presenti nell’ambiente. Quindi è normale e fisiologico che un neonato si svegli alla fine di ogni fase NREM, il che significa che i risvegli sono corrispondenti allo stato di maturazione delle cellule nervose e che questi sono necessari per acquisire ritmi di crescita fisiologici. Non c’entrano nulla i vizi, né i metodi per negarli e aggirarli. Il bambino ha bisogno di svegliarsi perché solo così allena le sue cellule nervose ad acquisire ritmi di sonno naturali.

Inoltre una caratteristica peculiare del sonno REM del neonato è il suo carattere “movimentato”: è un sonno molto leggero intercalato da piccoli risvegli e riaddormentamenti immediati. L’errore più frequente è quello di confondere questi periodi in cui il neonato, per esempio, apre e chiude gli occhi, oppure sorride e si muove, con periodi di veglia cercando di svegliarlo. Questo impedisce al bambino di raggiungere la fase seguente di sonno calmo. Se ciò accade molto spesso nelle prime settimane di vita, non si verifica il collegamento cerebrale dell’alternarsi dei cicli di sonno “lento” e sonno REM. Il bambino così prende l’abitudine di svegliarsi dopo ogni fase di sonno REM. Non rispettare l’emergere fisiologico di queste connessioni neurali nei primi mesi può quindi voler dire interferire nella modalità di sonno dei primi tre-quattro anni di vita dei bambino.
Nei bambini fra uno e tre anni si possono riscontrare anche cause psicologiche che determinano difficoltà a dormire: paure, ansia da separazione, incubi rappresentano gli stimoli principali di risveglio. Con l’espressione “ansia da separazione” si intende spiegare il fatto che dagli 8/9 mesi fino all’età di tre anni circa il bambino esprime forte disagio quando le persone a lui care si allontanano. Poiché il legame di attaccamento tende a mantenere la vicinanza con le figure di riferimento, è evidente che il bambino desideri stare insieme anche di notte a coloro che ama e che si prendono cura di lui. A questo proposito afferma John Bowlby15: “Quando si adotta un approccio etologico diventa evidente che l’uomo, come altri animali, risponde con la paura a certe situazioni non perché esse presentino un alto rischio di dolore o di pericolo, ma perché segnalano un aumento del rischio. Così, proprio come gli animali di molte specie, incluso l’uomo, manifestano la disposizione a rispondere con la paura ai movimenti improvvisi o a un marcato cambiamento del livello sonoro o luminoso perché questo comportamento ha un valore di sopravvivenza, molte specie, incluso l’uomo, sono inclini a rispondere nello stesso modo alla separazione da una figura potenzialmente atta a fornire delle cure, e per le medesime ragioni. Se l’angoscia di separazione viene considerata sotto questa luce, come una disposizione fondamentale dell’essere umano, diventa facile comprendere perché mai per un bambino le minacce di abbandono, così spesso usate come mezzo per controllarlo, siano tanto terrificanti”.

Perciò la sensazione di solitudine protratta durante la notte che già di per sé è un momento di buio, silenzio e vuoto, può creare una notevole ansia nei bambini almeno fino a tre anni. Come ho già affermato nel capitolo 3, il bisogno di contatto dei bambini non è un vizio o un comportamento che genera dipendenza o rallenta la loro acquisizione di autonomia ma, al contrario, è un elemento di crescita tanto quanto il cibo e l’aria che respirano.

Conoscere queste nozioni di fisiologia può aiutare i genitori ad accettare i risvegli dei loro bambini così come accettano l’acquisizione graduale della capacità di camminare, di mangiare da soli, di fare a meno del pannolino.


Certo che è dura per tutti non dormire più come prima, ma con piccoli accorgimenti e sapendo perché questo succede forse è possibile farsene una ragione. Inoltre, osservando fin dalla nascita il bambino quando dorme, ogni genitore potrà capire che fase del sonno sta attraversando e quali siano le condizioni migliori per assecondare l’emergere dei ritmi fisiologici.


In breve, al termine della nostra riflessione, vediamo i seguenti punti riassuntivi:

  • I cicli di sonno del neonato sono più brevi di quelli degli adulti. Per questi ultimi durano in media circa 90 minuti l’uno, per il neonato invece circa 50/60 minuti. Poiché alla fine di ogni ciclo di sonno si riscontra un breve risveglio, che l’adulto ha imparato perlopiù a ignorare, il neonato e il bimbo entro i tre anni circa devono acquisire nel tempo la capacità di riaddormentarsi, ognuno con le sue modalità. In caso di risveglio i neonati hanno bisogno di rassicurazione e contatto fisico. L’allattamento al seno soddisfa di solito, in condizioni di salute, ogni esigenza del piccolo anche grazie alle sostanze in esso presenti.
  • I risvegli dei neonati e dei bambini fino ai tre-quattro anni di vita sono normali e servono per il corretto e fisiologico svilupparsi del loro sistema nervoso.
  • Durante il sonno esiste un periodo vulnerabile nel quale è più facile che i bambini si sveglino. Questo si ripete ogni volta che si passa da una fase REM a una NREM, quindi varie volte nel corso di una notte.
  • Se il bambino è lasciato libero di acquisire e assecondare i suoi ritmi di sonno-veglia ed è accompagnato con rispetto e contatto fisico verso il sonno, senza interferire, questi ritmi saranno appresi prima e senza traumi affettivi.
  • Non serve svegliare il bambino di giorno perché dorma di più di notte: anzi, questa pratica può interferire con il susseguirsi naturale dei cicli di sonno e delle sue fasi.

Dormire insieme ai propri figli non li vizia

Il contatto fisico è bello, rassicurante, caldo, profumato, dà protezione e forza.
La mia bambina di un anno è tanto entusiasta ed equilibrata.
Tutti si sentono in dovere di dirti cosa è necessario fare, e tante sono pronte a
storcere il naso sentendo di poppate notturne e lettone insieme a mamma e papà.
Credo che la natura insegni: nessun animale infila il cucciolo nel lettino e dice
‘Ora stai tranquillo nella foresta fino a domattina’

Valentina, mamma di Elisa

In questo paragrafo parlerò della possibilità di dormire insieme ai propri bambini, non per imporre o suggerire questa scelta ai genitori, né per far sentire da meno coloro che trovano altre soluzioni, ma con l’obiettivo di sgombrare il campo dai falsi pregiudizi circa questa modalità di accudimento. Resta pertanto indiscutibile la libertà di scegliere la sistemazione notturna che ogni genitore reputa la migliore per la propria famiglia.

Le ricerche scientifiche condotte su questo tema sono in continua evoluzione, ma quello che se ne può evincere è che la tendenza naturale innata e strutturata dalla memoria dei nostri geni ci dovrebbe spingere a condividere il letto rassicurando con naturalezza noi stessi e i nostri bambini16; eppure la maggior parte dei pediatri e dei “suggeritori”, esperti o meno, scoraggiano i genitori o li fanno sentire inadeguati se scelgono questa modalità.


Condividere il sonno non significa per forza mettere anche il letto in comunione. Molti adottano sistemazioni tipo il side-bed, un letto aggiuntivo unito a quello dei genitori, o direttamente un materasso a contatto col pavimento. È importante fare chiarezza su ciò che si intende per cosleeping o sonno condiviso. Si definisce cosleeping ogni situazione nella quale un adulto, di solito la madre, dorme abbastanza vicino al suo bambino da poter rispondere ai suoi segnali di richiesta di attenzione durante la notte, mentre si parla di bedsharing quando viene condiviso anche il letto; si chiama roomsharing la condivisione della stanza da letto17.


Tutto sta a capire se i genitori siano disposti ad accettare il bambino così com’è, anche non aderendo ai dogmi della cultura di appartenenza, se questa si schiera contro il sonno condiviso.


Per tutti i genitori e in particolare per coloro che decidono di non dormire a contatto con i figli è anche importante sapere che in psicologia esistono autori come Margaret Mahler che parlano di fasi di crescita in cui avviene lo sviluppo psicomotorio e affettivo del bambino, con fasi cruciali a 4, 7-8, 10-12 mesi già nel primo anno di vita e poi a 18, 24 e 36 mesi. La comprensione di queste fasi è molto importante soprattutto per i genitori che non dormono vicino ai propri figli poichè li aiuterà a superare molti dei dubbi che possono insorgere circa lo sviluppo del sonno del bambino, contestualizzando le difficoltà nell’addormentamento e nel riaddormentamento, che si manifestano già nel I anno di vita, con dei picchi proprio alle età scritte sopra.

Qualsiasi scelta i genitori decidano di fare, non è certo semplice andare controcorrente. Prima del momento della nascita, può valere la pena valutare in maniera critica le pratiche di accudimento dei bambini nella propria cultura e acquisire informazioni che ci aiutino a capire il perché di certe loro richieste. Come afferma Sears: “Il fatto stesso di accettare i bisogni del bambino può aiutarvi a prendere atto che non lo state viziando, né che il vostro ménage familiare verrà da lui intaccato se gli permettete di dormire con voi!”18. Lo stesso autore, inoltre, fa notare19 come dormire insieme abbia effetti protettivi anche in termini di prevenzione della SIDS20, la sindrome della morte improvvisa del lattante meglio conosciuta come morte in culla o morte bianca dei neonati.

Questi effetti protettivi sarebbero:

  • Protezione immunologica: il sonno condiviso determina maggiori poppate notturne e quindi un maggior apporto di sostanze presenti nel latte materno che rinforzano le difese immunitarie del bambino.
  • Aumento degli ormoni: l’allattamento notturno stimola la produzione materna di prolattina che può determinare un aumento della sensibilità della madre nei confronti del bambino.
  • Armonia del respiro: la madre funzionerebbe da “metronomo” respiratorio del bambino come lo era in gravidanza e ricorderebbe al bambino di respirare.
  • Il tatto come alleato della respirazione: la pelle e le sue terminazioni nervose stimolano la respirazione del bambino che sta a contatto con la madre.
  • Più sonno in fase REM: i bambini che dormono con i genitori trascorrono più tempo in fase REM, perciò le concentrazioni di ossigeno nel loro sangue sono più alte e le loro reazioni di risveglio, in caso di disturbi respiratori, più efficaci.
  • Regolazione termica: il calore del corpo materno aiuta il bambino a regolare la propria temperatura e la propria respirazione che diminuisce a causa del freddo.

Anche le pediatre italiane Moschetti e Tortorella21 fanno notare come la SIDS sia pressoché sconosciuta nelle culture dove i bambini dormono coi genitori; al contrario ne sono soggetti con maggiore frequenza i bambini che dormono da soli in cameretta, in quanto la presenza della madre contribuisce alla regolazione delle funzioni biologiche del figlio. Questo non significa che le madri riposino peggio in compagnia dei propri bambini, anzi: anche se il loro sonno sarà più leggero, grazie all’allattamento (e alla relativa produzione di ossitocina, col suo effetto anti-stress, e di prolattina, che induce la fase REM) troveranno più facile riaddormentarsi in modo sereno e veloce.


A questo proposito anche uno studio recente dell’UNICEF22 afferma che “le mamme che allattano al seno dormono di più quando dormono insieme ai loro piccoli”.


Moschetti e Tortorella in un altro contributo evidenziano anche che “la necessità che il piccolo si abitui presto a dormire da solo, e che la funzione della madre di regolare gli stati di coscienza del figlio sia errata e fonte di ‘vizi’, non trova alcun riscontro nella letteratura scientifica. Anzi, tutti gli studi sull’argomento dimostrano il contrario. [...] Ogni madre può e deve soccorrere il figlio e accorrere al suo richiamo così come sente spontaneamente di dover fare”23.


Anche González dichiara: “Non conosco alcun motivo per cui bisogna prestare attenzione ai bambini di giorno e non di notte. [...] I nostri figli sono geneticamente preparati per dormire in compagnia. Per un animale il sonno è un momento di pericolo, i nostri geni ci spingono a rimanere svegli quando ci sentiamo minacciati, e ad addormentarci solo quando ci sentiamo sicuri”24.

Dormire insieme ai propri bambini rientra nelle cosiddette cure prossimali che, come abbiamo visto, prevedono la prossimità cioè la vicinanza fra madre e bambino. Questo aspetto non è una moda o un vezzo dettato da una teoria del momento, ma una condizione necessaria per la sopravvivenza della specie, presente nella maggior parte dei mammiferi. Qualcuno potrebbe obiettare che non siamo più nell’era delle caverne, dove i pericoli dell’ambiente esterno potevano determinare la vita o la morte del cucciolo, ma può essere utile ricordare che le specie che praticano le cure prossimali sono quelle che necessitano della madre anche come regolatore biologico di parametri vitali come la respirazione, la temperatura corporea e la produzione degli ormoni dello stress, e il cui latte è a bassa concentrazione proteica e necessita quindi di essere assunto con frequenza elevata.

Al contrario non esiste uno studio che dimostri i benefici di interrompere l’allattamento al seno precocemente, di far piangere il bambino finché non si addormenta o di renderlo indipendente prima del tempo; sono tutti miti moderni in contraddizione con le esigenze psicologiche, affettive, fisiologiche e biologiche di tutti i bambini del mondo. Se queste informazioni non circolano quanto le altre, che di solito sono patrimonio comune, i genitori non avranno elementi per compiere scelte autonome e non saranno quindi consapevoli dei rischi a cui sottopongono i propri figli, soprattutto da un punto di vista affettivo. Certo che i bambini crescono lo stesso, se li si tiene per la maggior parte del tempo nei contenitori che l’industria inventa di continuo per sostituire i genitori25 quali box, sdraiette, balla-balla, girelli; e anche insieme a registratori della voce della mamma, dispensatori di ninne nanne e musica classica e via dicendo. I bambini crescono, anche con qualche pianto in più, ma qual è il prezzo da pagare per l’esempio di separazione e di mancanza di relazione che abbiamo dato loro? Per averli lasciati in preda alla mancanza di contenimento dei loro stati affettivi, da regolare con la presenza fisica del genitore o di un adulto che si prenda cura di loro? Non basta dire che la società va in una direzione opposta, che il lavoro chiama e la sveglia suona ogni mattina e che le madri sono in difficoltà: sono le istituzioni e la società che si devono adeguare, non i bambini che della società rappresentano il futuro!


A questo proposito Gerhard scrive: “Per la maggior parte delle donne che hanno un senso di identità che si fonda sulla loro vita professionale, [diventare madre] è un adattamento assai difficile. Nelle ultime decadi un crescente numero di neomadri è ritornato al lavoro lasciando la cura dei loro bambini ad altri, non importa quanto ciò le abbia fatte sentire lacerate o quanto esse sentano la loro mancanza quando sono al lavoro. Questa condotta è stata sancita dai politici. […] Tuttavia la marea può cambiare. […] Non sono i bisogni [dei bambini] a essere falsi, ma le modalità con cui organizziamo le nostre vite attorno a questi bisogni che si trasformano in una tirannia”26.


Anche Mieli ci fa notare che “è ben diffìcile che considerazioni di tipo affettivo entrino in gioco e vengano tenute in conto quando si parla di economia, ecologia, lavoro, precarietà, sviluppo, guerra, pace, ecc. Per quanto possa apparire paradossale in una cultura così fiera delle proprie conoscenze e risorse scientifiche, solo in tempi relativamente recenti si è arrivati a comprendere e teorizzare l’importanza e la centralità dei legami affettivi e ad approfondirne l’indagine scientifica. [...] Oggi la moderna neurobiologia, insieme alle scoperte rese possibili dall’uso dello strumento ecografico, hanno confermato l’importanza e la precocità del legame affettivo, ne hanno chiarito la centralità per la sopravvivenza della specie da un punto di vista sia fisico sia emotivo e ne hanno sottolineato l’influenza determinante per lo sviluppo successivo dell’individuo. Anche gli studi etologici e antropologici confermano la comparsa e la prevalenza della preoccupazione materna e solidale come carattere […] a garanzia della sopravvivenza [della specie] e della sua qualità”27.

In fondo, che cosa è indispensabile per la nostra sopravvivenza? Quale è la condizione necessaria e sufficiente per il proseguire della specie? È scritto nel codice genetico e nella secrezione ormonale di tutti noi: l’amore! Gli affetti e un atto d’amore determinano la creazione della nuova vita, attraverso il concepimento. Non dobbiamo trascurarlo.


Per concludere, vorrei accennare all’eventuale pericolosità del dormire insieme ai propri figli nel lettone. Questo dibattito è molto acceso e le posizioni degli esperti sono spesso in contraddizione fra loro.


McKenna puntualizza come “il sonno condiviso sia un’esperienza positiva per tutti i membri della famiglia di un bambino allattato al seno e […] non dovrebbe essere considerato fonte di alcun pericolo purché i genitori prendano le seguenti precauzioni:

  • I genitori non dovrebbero dormire con i loro figli se sono obesi, fumatori e se hanno assunto alcol o droghe.
  • Tra il materasso e il bordo del letto non ci devono essere varchi.
  • Non ci dovrebbero essere cuscini soffici o coperte morbide vicino al viso del bambino.
  • Non ci dovrebbe essere spazio tra il letto e il muro per evitare che il bambino rotoli in quella direzione e rimanga intrappolato.
  • Il bambino non dovrebbe essere messo a dormire a pancia in giù28, né su di un fianco.

Le recenti indicazioni diffuse dal Centro di Riferimento Regionale per lo studio e la prevenzione della SIDS dell’Ospedale Meyer di Firenze parrebbero contraddire McKenna circa il cosleeping e l’allattamento al seno come aspetti preventivi di SIDS, in quanto suggeriscono (traendo queste indicazioni dalla più aggiornata letteratura sull’argomento) comportamenti quali non far dormire i bambini nel letto dei genitori e utilizzare il ciuccio dopo il primo mese di vita, senza restituirlo al bambino se lo rifiuta.


L’associazione IBFANITALIA29 che si occupa di protezione dell’allattamento e dell’alimentazione infantile e fa parte dell’International Baby Food Action Network, pubblica “Occhio al Codice!”, un bollettino di aggiornamento con le ultime novità sulle violazioni al Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno OMS/UNICEF30. Nel numero di luglio 201031 si fanno notare presunti interessi economici su cui si baserebbe la specifica indicazione dell’utilizzo del ciuccio per addormentare i bambini.


In realtà, tale indicazione si riferisce ai recenti studi di Mitchell32 e di altri autori33 apparsi sulla prestigiosa rivista “Pediatrics”, e risulta evidente come abbia dato luogo a un’accesa discussione in proposito, che non pare ancora conclusa. In letteratura, esistono anche due articoli molto esaustivi di McKenna34 che sembrano chiarire ogni dubbio circa la sicurezza del condividere il letto dei genitori con i bambini e sulla sua correlazione sia con l’allattamento al seno, sia con l’uso del ciuccio e dell’allattamento artificiale. L’autore spiega chiaramente come l’equivoco nasca dal non distinguere i vari tipi di sonno condiviso e dal non dare sufficientemente risalto alle indicazioni di sicurezza relative al tipo di letto e alle condizioni fisiche dei genitori; inoltre, essendo il ciuccio un sostituto del seno materno e non viceversa, non si capisce come possa essere migliore del capezzolo. Sembra che la prevenzione sia l’atto della suzione in sé, non quello di avere in bocca il ciuccio invece del seno materno! Se poi si vanno a confrontare le percentuali di sonno REM e NREM, si nota (come abbiamo già visto) come le prime siano maggiori nei bambini che dormono con le loro madri, elemento di per sé già preventivo della SIDS. McKenna, inoltre, fornisce convincenti argomentazioni su base antropologica e neurobiologica, che evidenziano come in tutte le società in cui il cosleeping è pratica comune, i tassi di SIDS siano i più bassi del mondo. Anche le pediatre italiane Moschetti e Tortorella si esprimono a questo proposito affermando: “Il dormire insieme nello stesso letto può costituire un rischio per il bambino piccolo ed è da evitarsi solo in alcuni casi: madri fumatrici, dedite alle droghe, sottoposte a farmaci pesantemente sedativi, obese con disturbi del sonno o quando si dorme insieme su divani, poltrone o letti ad acqua. In questi casi è opportuno che il piccolo non condivida mai il letto con la madre, ma che dorma con la culletta affiancata al letto della madre. Quando non ci sono questi problemi non esistono prove convincenti di rischio nel dormire insieme e il piccolo può dormire nel lettone se lo desidera e fin quando lo desidera”35.


Le stesse autrici poi hanno preso parte a un’importante ricerca italiana, promossa dall’Associazione Culturale Pediatri (ACP) delle regioni Puglia e Basilicata, che ha studiato il sonno di 1438 bambini tra il gennaio 2004 e il gennaio 2007. I risultati36 evidenziano come il 72% dei bambini tra un mese e tre anni abbia bisogno della presenza del genitore per addormentarsi, e la maggior parte di loro (67%) richieda proprio il contatto fisico. Inoltre, tra un mese e tre anni l’86% dei bambini dorme insieme ai genitori (in camera o nel lettone); ma a tre anni 1 su 5 già dorme da solo nella sua cameretta. Anche il dott. Gherardo Rapisardi, Direttore dell’U.O. di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale Santissima Maria Annunziata di Bagno a Ripoli (FI), nel 1995 ha effettuato uno studio secondo cui dopo i 5 anni sono pochissimi i bambini che dormono ancora nel lettone37. Lo stesso autore chiarisce inoltre che “Studiare il comportamento infantile all’interno dei confini di una sola cultura comporta il rischio di considerare fisiologico e naturale ciò che in realtà è il frutto di adattamento ed apprendimento culturalmente indotti. Le condizioni in cui nella nostra società è normalmente richiesto ad un bambino di addormentarsi e di dormire per tutta la notte, cioè da solo nel proprio letto e nella propria stanza, con i genitori che dormono insieme nel lettone in un’altra stanza, sono una caratteristica peculiare della nostra società e dei nostri tempi e rappresentano una rivoluzione nelle abitudini del sonno nella storia dell’uomo.”38

La valutazione di questi dati mostra la naturale e spontanea tendenza dei bambini verso una certa autonomia nel sonno, senza dover ricorrere a metodi o sostanze varie per arrivare a tale traguardo. Non si capisce quindi perché continuare a negare l’evidenza; forse la questione riflette quanto ho trattato nel primo capitolo di questo volume e cioè la maggiore considerazione in cui è tenuta la ricerca medica nei confronti degli altri indirizzi di ricerca, fra cui quello antropologico.


McKenna fa notare un altro aspetto di fondamentale importanza: consigliare di dare il ciuccio a un bambino che in realtà vuole il seno e ignorare il suo bisogno di contatto, significa suggerire alla mamma un comportamento che contrasta con le proprie risposte istintive; questo potrebbe avviare in lei un pericoloso meccanismo di svalutazione delle proprie capacità materne. McKenna insiste: “Il messaggio che ingiustamente diamo loro è: non importa chi siate e cosa facciate, il vostro corpo che dorme è potenzialmente un’arma letale su cui né voi né il vostro bambino avete alcun controllo. Se questo fosse vero, nessun essere umano sarebbe qui oggi a discutere su questo, perché l’unica ragione per la quale siamo sopravvissuti è perché le nostre madri ancestrali hanno dormito accanto a noi e ci hanno allattato tutte le notti!”39.

Attenzione quindi a libri, cibi e dispositivi vari che l’industria prontamente mette in commercio, dando l’illusione ai genitori di poter risolvere un problema che di fatto non esiste.


Non è questa la sede per inoltrarci ulteriormente nel dibattito, ma penso che sia importante sottolineare, di nuovo, come le cure prossimali e la ricerca di contatto siano per il bambino un’esigenza di sopravvivenza e per la madre un istinto da seguire, senza paura di danneggiare in alcun modo il proprio cucciolo. La ricerca scientifica aiuta sicuramente il progresso ma non è una scienza esatta, perciò non si può trascurare ciò che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: mamme e bambini hanno bisogno di stare vicini, di giorno e di notte. La qualità del sonno, ma soprattutto della relazione fra loro, non potrà che giovarne, specialmente se tutto questo è condiviso in serenità con gli altri membri della famiglia, se si conoscono le motivazioni fisiologiche su cui si basa tale comportamento e se tutto si svolge rispettando le norme di sicurezza appena esposte.

I rischi psicofisiologici di far piangere i bambini per farli dormire come adulti

Di cosa ha bisogno un bimbo piccolo? Non solo di cibo, ma di contatto fisico — di pelle, di odore e di calore — con la madre. Il neonato che ha appena finito di succhiare e dopo qualche minuto nella culla si rimette a piangere, gettando nel panico i genitori, non ha solo ‘le coliche’.
Più profondamente, ha bisogno di contatto.

Alessandra Graziottin, sessuologa.

Esiste una nota40, pubblicata dall’Associazione Australiana per la Salute Mentale Infantile (AAIMHI), sugli effetti dannosi del lasciar piangere i bambini durante l’addormentamento o al risveglio. L’articolo in questione si riferisce al pianto associato al sonno e ai metodi che pretendono di far dormire i bambini utilizzando l’estinzione graduale, cioè una tecnica comportamentale diretta a modificare i comportamenti considerati patogeni. Il pianto rientrerebbe tra questi comportamenti indesiderati e modificabili attraverso apprendimenti che gradualmente lo rendono inutile. Infatti è proprio questo il risultato che i metodi in questione ottengono: non che il bambino non si svegli, bensì che non usi più il pianto per richiamare il genitore in caso di necessità.

In pieno accordo con quanto sostengono McKenna e Sears, che è stato esposto nel precedente paragrafo, la nota dell’AAIMHI ribadisce che:

  • Il pianto dei bambini è sempre un’indicazione di stress o di disagio emotivo. Non rispondere al pianto dei bambini (ovvero evitare di confortarli) insegna ai bambini a non cercare un conforto emotivo quando sono in una situazione di disagio. Questo vuol dire che perdono fiducia nelle figure parentali e nella relazione che si instaura con loro.
  • Intorno ai sei mesi di vita i bambini sperimentano l’ansia da separazione. Questo vuol dire che devono elaborare il concetto che se la madre (o altra figura parentale di riferimento) si allontana, poi ritornerà e loro non verranno lasciati soli. Questo processo di elaborazione può durare diversi mesi, ma è essenziale per il loro equilibrio anche in età adulta.
  • I bambini normalmente hanno bisogno dei genitori per essere confortati di notte fin circa ai tre-quattro anni (alcuni prima, altri dopo, dipenderà dal bambino) e questo non può essere etichettato come disturbo del sonno.
  • I bambini svilupperanno un attaccamento tanto più sicuro quanto più la loro richiesta di conforto e rassicurazione verrà soddisfatta dai genitori, sia di giorno sia di notte.
  • Per un genitore, sentire il proprio figlio che piange in maniera incontrollata e non intervenire per calmarlo e rassicurarlo è una forte fonte di stress.
Da un punto di vista psicologico, il pianto ignorato rappresenta una mancanza di efficacia del segnale che i bambini da sempre utilizzano per comunicare con i propri genitori o con chi si prende cura di loro, e può creare in loro sensazioni di inadeguatezza circa la propria capacità di esprimere paure e disagi, e di riceverne regolazione emotiva dall’adulto. A questo proposito Gerhardt scrive: “L’essere costantemente ignorati quando si piange è particolarmente pericoloso, perché alti livelli di cortisolo (un ormone prodotto in situazioni di stress) nei primi mesi possono anche incidere sullo sviluppo di altri sistemi di neurotrasmettitori i cui percorsi devono ancora essere stabiliti. Essi sono ancora immaturi e non pienamente sviluppati persino dopo lo svezzamento. Infatti il ritmo normale di produzione di cortisolo ha un picco la mattina al risveglio e ci vuole quasi tutta la prima infanzia (fino ai quattro anni circa) per stabilire un andamento adulto della quantità di cortisolo, alta la mattina e bassa la sera”41. Inoltre, sempre la stessa autrice fa notare come “si è scoperto che coloro che hanno avuto un costante contatto fisico, sono stati spesso tenuti in braccio e hanno ricevuto molta attenzione durante la prima infanzia, da adulti hanno un’abbondanza di recettori del cortisolo. Ciò significa che possono facilmente gestire lo stress”42.

Anche le ricerche di James W. Prescott43, neuropsicologo americano, effettuate su 49 culture del mondo, hanno dimostrato come esista una correlazione tra soddisfazione del bisogno del contatto da piccoli e aggressività da adulti. Questo autore evidenzia che minori sono le espressioni tattili di un popolo come abitudine di accudimento dei bambini e maggiori sono i tassi di aggressività degli adulti.


Anche l’Associazione Culturale Pediatri si è espressa a sfavore del metodo dell’estinzione graduale44 concludendo che questo metodo è efficace a breve ma non a lungo termine. Inoltre concorda con la posizione appena esposta dell’AAIMHI circa le possibili conseguenze psicologiche negative di questa tecnica.

Alimentazione infantile e sonno

Quando si discute del sonno dei bambini, si trascura spesso il suo rapporto con l’alimentazione. Esistono alimenti che possono favorire o rendere più difficile il sonno dei bambini, non tanto per difficoltà digestive quanto per la loro influenza sul sistema nervoso. Sears conferma che “ciò che il bambino mangia e il modo in cui viene servito può avere una profonda influenza sul suo modo di dormire”.


Il primo alimento che favorisce il sonno del neonato è ovviamente il latte materno. Di recente è stato pubblicato uno studio45, condotto da ricercatori dell’Università dell’Extremadura (Spagna), che ha chiarito come il latte materno aiuti il bambino a prendere sonno. In questo studio è stata analizzata la composizione del latte nel corso della giornata, dimostrando che essa varia significativamente nell’arco delle ventiquattro ore. In particolare i nucleotidi, importanti regolatori del sonno nei bambini, sono più abbondanti durante la notte.


Quando, in seguito, si inizierà l’alimentazione complementare all’allattamento, sia materno sia artificiale, bisognerà fare attenzione alle dosi dei seguenti alimenti e alle conseguenti reazioni dei bambini in seguito alla loro assunzione:

  • Cibi contenenti zucchero bianco raffinato e coloranti o additivi artificiali. Queste sostanze possono influire sull’attenzione, sull’umore e sul sonno dei bambini. Possono provocare un abbassamento dei livelli di glicemia che può provocare il risveglio durante il sonno46.
  • Cibi contenenti glutammato monosodico e aspartame, rispettivamente un insaporitore presente in gran parte degli alimenti industriali destinati anche ai bambini, e un dolcificante sostitutivo dello zucchero. Entrambi hanno una elevata capacità di iperstimolazione delle cellule nervose, tale da provocarne la rapida distruzione. Perciò attenzione a salumi, soprattutto il prosciutto cotto, bibite zuccherate, pietanze pronte, merendine, patatine, snack e bibite zuccherate o light. Anche i grassi vegetali idrogenati (margarine) sono presenti nella quasi totalità dei cibi industriali e di pasticceria fresca.47
  • Cibi contenenti mercurio, un metallo pesante che può influire sul sistema nervoso, presente soprattutto nel pesce allevato e di grandi dimensioni, in particolare tonno, salmone e pescespada.

Esistono invece cibi che possono favorire il sonno, in quanto contenenti sostanze che aiutano la sintesi di triptofano, un amminoacido naturale precursore della dopamina, importante neurotrasmettitore. Questi cibi sono: formaggio, latte, carne di vitello e uova. I carboidrati e il calcio rendono più efficace il triptofano. Perciò, quando i bambini dichiarano di avere fame poco prima di dormire, se non sono più allattati, si può dar loro: latte caldo non zuccherato, eventualmente dolcificato con poco miele o fruttosio o zucchero integrale di canna non raffinato o malto di riso, formaggi freschi e pane preferibilmente integrale, cereali e frutta, yogurt bianchi interi non zuccherati, eventualmente con l’aggiunta di frutta a pezzi, frutta fresca.


Lo sforzo che si chiede alle mamme è quello di leggere le etichette di ciò che propongono ai figli, e di provare a fare la spesa con un po’ più di attenzione a ciò che finisce nel carrello. Quella che sulle prime può sembrare una fatica, dopo poco risulterà un investimento per la salute di tutta la famiglia. Se si vive in città, oggi è facile trovare Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) e supermercati biologici che uniscono la qualità alla praticità di avere alimenti naturali subito disponibili, senza dover andar per forza a cercarli fuori dalle aree urbane.

Igiene del sonno, ovvero: piccoli consigli per notti più serene

Nella mia attività di consulenza per genitori o nei gruppi dopo-parto, mi trovo spesso a confrontarmi sui comportamenti migliori per favorire il sonno dei propri bambini. Su alcuni non sempre c’è chiarezza e spesso bastano piccoli accorgimenti perché la qualità del sonno aumenti a favore di tutti.


Vediamone alcuni, solo per dare spunti di riflessione al lettore, senza alcuna pretesa di stilare una lista risolutiva. Le prime tre raccomandazioni sono di solito suggerite dai pediatri come fattori di prevenzione della SIDS:

  • Temperatura: in inverno la temperatura in casa dovrebbe essere compresa fra i 18 e i 20 gradi centigradi e il bambino non dovrebbe essere troppo coperto. Basta un pigiamino e una coperta, mai mettergli cuffie e cappelli.
  • Non esporre il bambino a fumi di nessun genere: di sigaretta o di sigaro (anche il fumo passivo può essere dannoso), di stufe o camini. Semmai, prima che si addormenti, aerare la stanza dove dormirà.
  • Mettere il bambino a dormire sulla schiena, se neonato o lattante, mai sul fianco (si è visto che questo aumenta di circa tre volte il rischio di SIDS) o a pancia in giù.
  • Non far agitare il bambino prima di dormire, con corse, giochi e salti sul letto, ma favorire rituali che facilitino il rilassamento: leggere libri e filastrocche, abbassare le luci, spegnere la televisione e tutto ciò che può catturare l’attenzione del bambino impedendogli di rallentare le proprie attività cerebrali.
  • Rassicurare il bambino su ciò che succede in casa quando lui dorme e su cosa avverrà al suo risveglio.
  • Importante anche non sovrastimolare il bambino durante la giornata. Non serve inventarsi altri stimoli, l’ambiente domestico e i luoghi dove portiamo abitualmente i nostri bambini hanno già in sé tutto ciò che è necessario per la loro crescita.
  • Tenere conto di ciò che è successo durante il giorno: non tutte le giornate sono uguali, e diverse possono essere le conseguenze notturne di ciò che è avvenuto in famiglia o a scuola.
  • Ascoltare tutto ciò che il bambino ci comunica durante il suo addormentamento e fornirgli sicurezza e contenimento emotivo se dimostra difficoltà.

E se poi prende il vizio?
E se poi prende il vizio?
Alessandra Bortolotti
Pregiudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostri bambini.I bimbi piccoli non hanno vizi. Hanno esigenze fisiologiche, ormai ben conosciute dalla ricerca scientifica, che è bene riconoscere e trattare come tali. Sono tanti i libri dedicati all’accudimento dei bambini piccoli, nella maggior parte dei casi spacciati come manuali di istruzioni, magiche ricette di felicità per genitori e figli.E si sa che la società odierna impone tempi e spazi basati sulla logica della produttività e del consumismo, senza curarsi di proteggere lo sviluppo psicofisico e affettivo dei più piccoli. I bambini si ritrovano così a crescere in un mondo adultocentrico che spesso si dimentica di loro o impone di diventare immediatamente autonomi e indipendenti, di non disturbare, di ignorare fin da subito i propri istinti e la capacità di comunicare i propri bisogni.E se poi prende il vizio? invece non propone metodi identici per tutti. Partendo dal presupposto che ogni genitore sia unico e, in quanto tale, debba mettersi in gioco in prima persona e compiere scelte libere, autonome e informate, per allevare esseri umani che mettano al primo posto le relazioni affettive e l’espressione libera dei sentimenti, il libro invita a riflettere sulla particolarità di ogni famiglia, sul diritto (e il dovere) di educare e allevare i figli in libertà, mettendo da parte i pregiudizi culturali e dando ascolto al proprio cuore e all’istinto.Alessandra Bortolotti, rinomata psicologa perinatale, nel suo libro tratta temi universali quali il sonno dei neonati e dei bambini più grandi, il bisogno di contatto e le più elementari forme di comunicazione tra genitori e figli, basandosi sulle più recenti scoperte nel campo delle neuroscienze. Le ricerche sulla fisiologia della gravidanza, del parto e dell’allattamento sottolineano infatti, in maniera chiara e inappellabile, che rispondere ai bisogni affettivi dei bambini non significa viziarli ma, anzi, costituisce un patrimonio irrinunciabile che può influenzare positivamente l’equilibrio fisico ed emotivo di tutta la loro vita. L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale, si occupa da anni di puericultura e fisiologia di gravidanza, parto e allattamento.È consulente di numerose riviste e siti internet dedicati ai genitori e scrive su varie pubblicazioni scientifiche.È ideatrice e curatrice del sito www.psicologiaperinatale.it e conduce incontri post parto in provincia di Firenze, dove vive.