terza parte

Domande frequenti e consigli
generali sul sonno condiviso

Quali sono le possibili ripercussioni del sonno condiviso sul rapporto con il mio compagno?

Ogni coppia è diversa, ma il mestiere di genitori viene svolto al meglio in squadra, con l’impegno totale della madre e del padre nella crescita dei figli tenendo un fronte comune. L’ideale per i genitori o per la coppia è discutere sempre i propri obiettivi, interessi e filosofie, cercando di raggiungere un consenso, poiché quali che siano le difficoltà, saranno superate più facilmente se entrambi concordano sulle esperienze che desiderano condividere.


Se tutt’e due i genitori sono d’accordo, il sonno condiviso nello stesso letto o nella stessa stanza può rappresentare una magnifica occasione per il papà di trascorrere del tempo con il piccolo, parlandogli, accarezzandolo e (nel caso di condivisione del lettone) approfittando del contatto pelle a pelle. Specie nel caso in cui papà sta lontano dal figlio molte ore al giorno, condividere il letto può contribuire in modo efficace a mantenere il coin-volgimento emotivo.


Sembra che gran parte dei libri per genitori che trattano le pratiche del sonno infantile tralascino di menzionare come tali pratiche possano variare, per significato e funzione, da una famiglia all’altra. Desidero che siate consapevoli del fatto che non esistono esperienze uguali per tutte le famiglie, perché ogni famiglia è diversa.


Ciò detto, molti genitori si domandano quali saranno le possibili ripercussioni del sonno condiviso sul loro rapporto. Dal momento che vostro figlio e la vostra famiglia sono unici, è impossibile determinare con certezza come esso si ripercuoterà sul vostro legame. Tuttavia possiamo affermare quanto segue: nel percorso di adattamento al ruolo di madre e di padre, i neo genitori hanno davanti a sé molte sfide e molte ricompense, e la definizione di uno schema del sonno funzionale alla propria famiglia è solo una delle tante sfide.


Ci sono diverse cose da tenere a mente nella definizione dei propri schemi del sonno.


Il sonno condiviso non deve influire sulla tenerezza e sulla vicinanza dei coniugi. Con tuo figlio nel letto puoi sempre parlare, toccare, ridere con il tuo compagno; massaggiarlo e godere altrimenti del legame con lui.


L’intimità sarà necessariamente meno spontanea. Forse dovrai iniziare a programmare il tempo per stare insieme quando qualcun altro si può occupare del bambino, trovare un posto diverso per l’intimità dopo che il piccolo si è addormentato, oppure spostarlo in una culla o in un lettino mentre dorme.


Studiate lo sviluppo del bambino. I bimbi attraversano una moltitudine di transizioni nel percorso di crescita, e ogni fase non è che una fase. Essere genitore insieme al tuo compagno risulterà più semplice – e meno frustrante – se capirete quello che succede al vostro bambino dal punto di vista evolutivo. Che si tratti di dentizione, di ansia da separazione, di paure notturne, sono tutte fasi – e tutte transitorie.

Il sonno condiviso intralcerà la capacità di mio figlio di rendersi indipendente?

Assolutamente no, tuttavia potrebbe ritardare la volontà di tuo figlio di stare solo mentre dorme. A volte i genitori hanno l’errata impressione che se non abituano i figli a dormire da soli, in qualche modo questi non acquisiranno, più in là con gli anni, alcune competenze sociali o evolutive, oppure temono che, da adulti, essi non mostreranno mai schemi di sonno corretti. In realtà non c’è studio che dimostri il benché minimo vantaggio sul sonno continuativo durante l’infanzia, e tanto meno sul sonno continuativo in età adulta.


Indipendenza e autonomia non hanno nulla a che fare con l’autoconsolazione o con l’obbligare i bambini a imparare a dormire da soli. Secondo recenti studi i bimbi che sono soliti dormire con i genitori raggiungono, in realtà, una maggiore indipendenza sociale e psicologica, oltre a maggior capacità di stare da soli. L’idea che non si debba prendere in braccio, né toccare, un bambino durante la notte, sposata da molti sostenitori del sonno solitario, è totalmente in antitesi con secoli di informazioni biologiche su quanto costituisca un buono sviluppo: lo sviluppo dell’empatia, lo sviluppo dell’autonomia, la capacità di stare da soli quando si ha bisogno di stare da soli e la capacità di relazionarsi con gli altri e di diventare interdipendenti. Non appena inizierai a conoscere meglio tuo figlio e a riconoscere le tue priorità di genitore, lo guiderai verso questi obiettivi. Rispetto ai piccoli che dormono da soli, i bimbi che hanno dormito con i genitori hanno più facilità a fare amicizia, sono più innovativi, più capaci di dominare il proprio umore, oltre che più abili nella risoluzione dei problemi.1,2,3,4


In precedenza abbiamo parlato delle ricompense per i genitori, concetto utile e rilevante in questo contesto. Nel caso in cui, ad esempio, sceglieste di condividere il sonno con vostro figlio ogni notte per tutta la notte, dovreste essere pronti all’eventualità che, decisi a svezzare il piccolo dal lettone, lui non sia altrettanto d’accordo. Secondo uno studio, rispetto ai bambini che dormono da soli sin dalla nascita, quelli che hanno condiviso il sonno dalla nascita imparano o acconsentono a dormire da soli circa un anno più tardi dei bimbi che non hanno altra scelta se non quella di dormire da soli. Quindi ecco la possibile ricompensa: con l’abitudine di condividere il sonno l’avvento, nel bambino, del sonno solitario e indipendente può risultare posticipato, ma alla fine il sonno separato non gli creerà difficoltà; e la buona notizia è che, da genitori, avrete tratto sensazioni e ricordi meravigliosi dalla condivisione del sonno. Oltre ad aver vissuto tali esperienze, vostro figlio avrà sviluppato un’autosufficienza, una resistenza, una disinvoltura rispetto alle manifestazioni di affetto e una capacità di stare da solo quando necessario, più stabili5.

Riusciremo a farci una buona nottata di sonno con nostro figlio nel letto?

La risposta a questa domanda dipende, in parte, da che cosa intendono esattamente i genitori per “buona nottata di sonno”, e se la condivisione del letto è una scelta operata dalla madre e dal padre oppure una situazione da loro vissuta come imposta dall’incapacità del figlio di dormire da solo. Ricordate, tuttavia, che la ragione per cui molte famiglie decidono inaspettatamente di condividere il letto è che tale soluzione permette loro di dormire di più. È più corretto affermare che alcuni genitori, comunque soddisfatti della decisione di dormire tutti insieme nel letto per motivi di ordine emotivo, non riescono a beneficiare di un sonno tanto continuativo.


Molte famiglie continuano a pensare che valga la pena di condividere il letto con i figli più grandi, per quanto, certe notti, mamma o papà ripieghino strategicamente in un letto vuoto disponibile in un’altra stanza per il bisogno di un po’ di riposo in più – sistema che io chiamo “il gioco dei letti”. A volte uno dei genitori risponde al richiamo del figlio che dorme in un’altra camera, infilandosi nel letto del bimbo, restandovi per un po’ per poi rientrare nel proprio letto. Spesso mamma e papà si danno il cambio – o magari è solo papà a occuparsi del figlio durante la notte (come facevo io). Per le famiglie a cui piace, questo sistema funziona alla perfezione (a ben pensarci, devo ammettere che ricordo con gratitudine le volte in cui mio figlio mi chiamava nel suo lettino perché lo consolassi quando, svegliatosi, si sentiva un pochino timoroso). Ripeto: ogni famiglia dovrebbe impegnarsi nella ricerca della soluzione a essa più congeniale.

Contrariamente alle credenze popolari, e secondo le stesse mamme, la scelta di dormire con i figli nello stesso letto tende a favorire un sonno notturno più duraturo e ristoratore, per il piccolo e anche per i genitori; ciò vale in special modo se la madre allatta al seno. Il bimbo che dorme in un’altra stanza, e che desideri essere nutrito dalla mamma, è costretto a piangere. In genere ciò rende il piccolo meno tranquillo e più agitato persi-no appena prima della poppata. Per quanto le madri che dormono accanto ai figli possano subire più risvegli, esse percepiscono di dormire meglio quando lo fanno insieme al bambino. Certo, se la condivisione del letto con il proprio figlio viene vissuta con difficoltà, si può godere dei vantaggi del sonno condiviso facendo dormire il piccolo su una superficie separata nella medesima stanza.


Molti pediatri sostengono che far dormire mio figlio con me è una "cattiva abitudine" difficile da togliere. È vero?

Questo diffusissimo monito nasce da percezioni e princìpi soggettivi, non da fondamenti scientifici. Quella che per una famiglia è una “cattiva abitudine”, per un’altra è preziosissimo tempo trascorso insieme. I più (per quanto, forse, non tutti) pensano che dormire insieme nel lettone sia sacrosanto, e con le migliori ragioni. Così come gli adulti, neonati e bambini si mostreranno restii a rinunciare a qualcosa che avvertono come giusto. Ciò detto, ogni abitudine umana può essere interrotta e la modalità di introduzione di nuove pratiche del sonno dipenderà dalla natura di genitori e figli e dalle caratteristiche familiari.


Non c’è assolutamente nulla di sbagliato nel decidere di esser pronti a far dormire il proprio figlio in camera sua. Il segreto per individuare la maniera migliore di agire, tuttavia, sta nel fidarsi di quanto conosciamo il nostro bambino. Alcuni dei metodi messi a punto dai genitori prevedono una preparazione alla nanna fatta di tante storie e di riti concepiti esclusivamente per quel bambino, o ancora la proposta di una bambola o di un oggetto particolarmente amato come compagno notturno, o un accompagnamento dolce al nuovo lettino facendo dormire il piccolo sul pavimento o su un materassino accanto al letto, su una branda o su un letto posto nella cameretta, ma non nel suo lettino; infine sottolineando la novità della stanzetta o i privilegi speciali dei bimbi grandi. Cambiare abitudini fa parte del processo di crescita, e l’abbandono progressivo del sonno condiviso può rivelarsi, per tuo figlio, un’esperienza positiva.

E il sonnellino?

A molti bambini non importa di dormire da soli durante i sonnellini diurni: è l’oscurità notturna a intimidirli. Tuttavia l’ideale è non isolarli neppure quando fanno il sonnellino.


Cercate, se possibile, di far dormire il bambino in un lettino o in una culla posti dove vi sia gente. Non temiate che non riesca ad addormentarsi, perché gran parte dei bimbi, quando sono stanchi, riesce a dormire nel bel mezzo di un concerto rock. Il vecchio monito “Shhh! Il bimbo dorme” non fa che costringere il piccolo a un sonno leggero, facendolo trasalire a ogni rumore estraneo. I bambini, durante il sonno, si sentono rassicurati dai suoni prodotti dai fratelli o dai genitori. Il volume dei suoni abituali di casa assicura, con ogni probabilità, un livello di risveglio adeguato alla sicurezza del sonno di vostro figlio.

Ricordate, inoltre, di acquistare un ulteriore set di radioline per neonati, e di lasciare gli altoparlanti accanto al bambino (vedi p.68)

Posso praticare il sonno condiviso anche se ho dei gemelli?

Così come per qualsiasi altro aspetto relativo al loro accudimento, la condivisione del sonno con figli gemelli comporta ulteriori difficoltà, specie in assenza del coinvolgimento attivo del compagno o del coniuge. Come raccomandazione generale suggerisco di porre almeno uno dei gemelli nel suo lettino o nella culla dopo averlo nutrito, dormendo con un solo gemello per volta, di rimettere i fratellini nella stessa culla o nello stesso lettino affinché dormano insieme (vedi il prossimo capitolo), o di porre due o più lettini uno accanto all’altro.


Se il vostro non è il tipo di compagno o coniuge che si veda impegnato attivamente nella cura dei figli gemelli, meglio è non addormentarsi con loro nel letto. In più, se si decide di dormire regolarmente con i gemelli nel lettone, è fondamentale dotarsi di un letto matrimoniale di dimensioni extra e di un compagno che non si limiti a un ruolo passivo, ma che sia d’accordo a collaborare con voi e ad assumersi la responsabilità di sapere esattamente dove si trovi, in qualsiasi istante, ciascun gemellino.


Se l’altro adulto non accetta di assumersi la responsabilità di almeno uno dei gemelli, ma voi desiderate continuare a condividere il letto con i bimbi, non lasciate che uno dei fratellini dorma tra voi e il vostro compagno; piuttosto ponete entrambi i gemelli davanti a voi così che il vostro corpo faccia loro da scudo dal compagno di letto.


Inoltre sarà bene mantenere una certa distanza gli uni dagli altri, semplicemente perché sarà più facile, per ciascun gemellino, cercare coccole il più vicino possibile a voi e, di conseguenza, vicino (forse troppo) all’altro gemello. Utilizzate solo le coperte più leggere per assicurare il passaggio d’aria a entrambi i piccoli. Consapevoli del fatto che un neonato affamato è capacissimo di scambiare il nasino del fratello per il seno, è bene tenersi pronti, perché – per quanto strano o buffo possa sembrare – un gemellino che succhi il naso dell’altro gemello rischia di disidratarlo molto in fretta, ed è già successo.

Suggerisco, nel caso in cui il vostro compagno di letto non sia interessato a controllare o ad assumersi la responsabilità di uno o di entrambi i gemelli, che la cosa migliore alla fine di ogni poppata (e anche se non allattate) è di rimettere i fratellini a dormire insieme nella stessa culla o nel medesimo lettino (Karen Gromada ha scritto un libro meraviglioso sull’accudimento dei gemelli)6.

Che cos'è il cobedding?
Ha lo stesso scopo della condivisione del letto?

Da un punto di vista scientifico, si tratta di un ambito poco indagato. Il termine utilizzato per la condivisione del sonno tra gemelli è cobedding. Il cobedding è un’ulteriore forma di sonno condiviso, assai diversa da quanto trattato in gran parte di questo libro, e che vede coinvolti due corpi di pari peso e dimensioni nella medesima culla. Il funzionamento del cobedding, e il ruolo da esso svolto nell’ambito dello sviluppo e della sicurezza infantili, è molto diverso da quello relativo ad altre forme di condivisione del sonno. Dal momento che (per ragioni ancora ignote) ai gemelli in genere si associa un maggior rischio di SIDS, le domande su quale sia il contesto più adatto a proteggerli durante il sonno, o quello che più li espone a eventuali rischi, risultano particolarmente critiche. Tali quesiti spiccano all’interno di un quadro più ampio relativo all’individuazione delle cause delle nascite premature, dal momento che molti gemelli nascono prematuri. La prematurità è la prima causa di ospedalizzazione neonatale, responsabile del 75% delle patologie e delle morti neonatali. Ecco perché si tratta di un ambito che necessita di ulteriori approfondimenti7.

Difficoltà di tutti i neonati nel passaggio dal ventre materno all’ambiente esterno è quella di ristabilire un certo “equilibrio bioritmico” stabilizzando le funzioni dei cicli sonno-veglia, gli schemi alimentari, i livelli della chimica ematica e il ritmo cardiorespiratorio. Due gruppi di ricercatori hanno avanzato la tesi secondo cui i reciproci scambi sensoriali favoriti dal cobedding migliorerebbero la capacità di ciascun gemello di assolvere a tale funzione, migliorando, nello specifico, la respirazione, utilizzando l’energia in maniera più efficace e, in generale, riducendo i livelli di stress. È noto, ad esempio, come la risposta allo stress, responsabile di un aumento della produzione di cortisolo, influisca negativamente sulla crescita e sullo sviluppo, alterando in generale la regolazione termica, la durata del sonno, il ritmo cardiorespiratorio. I ricercatori scoprirono, analogamente a quanto rilevato nel ventre materno, come i gemelli che dormono insieme si muovano all’unisono, toccandosi e succhiandosi a vicenda, abbracciandosi e stringendosi l’un l’altro. Studi condotti dalla dottoressa Helen Ball mostrano che i gemelli si sorridono e che sono, spesso, svegli nello stesso momento, il che avvalora certi aneddoti raccontati dai genitori di gemelli, secondo cui i loro piccoli preferiscono stare insieme, si calmano più facilmente l’uno in compagnia dell’altro e dormono più profondamente se posti nello stesso letto. Date le difficoltà dell’accudimento di due bambini, come sottolineano gli studi della dottoressa Ball, non c’è da stupirsi se i genitori adottino schemi comportamentali che tendano a ottimizzare il proprio sonno, alleviando il carico della cura e del nutrimento di due bambini contemporaneamente.8,9,10

Oggigiorno le raccomandazioni contrarie al cobedding che capita di ascoltare sono, di solito, incarnazione di pregiudizi culturali avversi al sonno condiviso in generale, attraverso cui le autorità mediche sostengono – senza dati alla mano – che se alcuni esempi di condivisione del letto tra adulto e neonato sono pericolosi, di certo due neonati di pari dimensioni costituiscono un’analoga minaccia l’uno per l’altro. Quando e laddove le nostre conoscenze si rivelino lacunose, o si disponga di scarse informazioni, le raccomandazioni (siano esse di natura medica o no) trovano subito fondamento in generalizzazioni, stereotipi e aneddoti che, a quel punto, vengono fatti passare per prove scientifiche. Nella fattispecie si richiamano gli studi sulla condivisione del letto condotti su adulti e bambini per rispondere ai dubbi riguardo la sicurezza e i benefici della condivisione del lettino tra gemelli. In alcuni reparti maternità le raccomandazioni dell’AAP a sfavore della condivisione del letto sono già ritenute valide anche per i gemelli, quando, di fatto, nessuno studio condotto su gemelli è stato preso in considerazione nell’elaborazione delle linee guida anti SIDS, né si sono addotte, ad oggi, considerazioni avvalorate da prove scientifiche a giustificazione di politiche ospedaliere contrarie al cobedding.

Esempi di cobedding

Gli studi condotti dalla dottoressa Ball su sessanta coppie di genitori di gemelli mostrano come esistano molte maniere di praticare il cobedding:


Illustrazioni di Kristen Gudsnuk realizzate secondo quanto descritto in Bell, Helen, Caring for Twin Infants: Sleeping Arrangements an Their Implications, “Evidence-Based Midwifery” 4 (1), 2006, pagg. 10-16. Per gentile concessione di: “Evidence-Based Midwifery”.

Condividere il sonno con un figlio adottivo comporta delle differenze?

A seconda dell’età e dell’esperienza, neonati e bambini adottati possono avere maggior bisogno di contatto e di affetto ma, se più grandicelli, potrebbero non essere avvezzi all’intimità. Osservate con attenzione le reazioni di vostro figlio nei vostri riguardi, agendo di conseguenza. Sarebbe utile, laddove possibile, conoscere la storia e le esperienze del bambino per valutare gli eventuali bisogni speciali o i metodi necessari all’integrazione del soggetto in famiglia e per stabilire nuovi legami basati su fiducia, sicurezza e protezione.


Nel caso in cui abbiate adottato un lattante, e non un bambino più grandicello, è ovvio che non c’è differenza. A prescindere dalle origini culturali, dal luogo di nascita o dall’etnia, i bambini hanno tutti gli stessi bisogni. Poiché l’attaccamento tra individui può essere ampiamente favorito dal contatto, la pratica del sonno condiviso potrà agevolare in modo determinante il legame che va sviluppandosi tra voi e il figlio che avete adottato. Può succedere che le agenzie per le adozioni richiedano che i piccoli, lattanti o bambini più grandicelli, dormano nella propria stanza; tuttavia entrerete a far parte della schiera di milioni di genitori il cui legame e accudimento notturno con i figli non è in alcun modo definito, né limitato, dalla disponibilità di camere in cui piazzare un lettino.

Quello che una famiglia che pratichi il sonno condiviso dovrebbe sapere quando si mette in viaggio

Vi accorgerete che, durante i primi anni di vita, vostro figlio si sentirà particolarmente rassicurato dormendo in vostra compagnia quando vi trovate lontano da casa. Molti genitori che non praticano d’abitudine il sonno condiviso vi ricorrono in viaggio.


Pare esistere un elevato rischio di SIDS per i bambini che si trovano a dormire in un ambiente a loro sconosciuto. In pratica i piccoli di età compresa tra i due e i quattro mesi lasciati a dormire da soli quando sono in viaggio, e che di solito non dormono da soli, sono esposti a un rischio maggiore (per quanto contenuto) di cadere vittima della SIDS. Parrebbe vero anche il contrario: un bimbo che non abbia l’abitudine di dormire nel letto con i genitori, ma che lo fa quando la famiglia è lontana da casa, è a maggior rischio di SIDS a causa del nuovo contesto in cui si trova a dormire. In definitiva la cosa migliore in viaggio sarebbe, forse, quella di riprodurre il più fedelmente possibile le abitudini di casa: se si condivide il letto, condividere il letto; se si dorme separati, dormire separati.


Ricordate che se siete in viaggio e decidete di condividere il letto, è necessario far sì che le condizioni in cui dormirete con vostro figlio non lo espongano a rischi (vedi Parte II: Come condividere il sonno).

In viaggio o in vacanza permangono quei fattori di rischio che possono mettere in pericolo il vostro bambino, e che, di fatto, potrebbero risultare ancor più pericolosi.
In viaggio sarà quindi utile prestare maggiore attenzione al luogo e alle modalità del sonno del vostro bambino.

La scelta di condividere il sonno o il letto con mio figlio lo renderà un bambino diverso, in senso negativo, rispetto agli altri?

No! Le pratiche relative al sonno dei figli non creano mai, di per sé, legami particolari che non siano già stati definiti da quanto accade durante il giorno. Tali pratiche non fanno altro che riflettere la natura del rapporto già esistente tra genitore e figlio prima di andare a letto. In altri termini, le pratiche relative al sonno in genere riflettono, e a volte rafforzano, arricchiscono o amplificano la natura del rapporto che – nel bene o nel male – esiste già. Esse non creano un rapporto: se la natura di un legame è assolutamente positiva durante il giorno, il sonno condiviso non fa che mantenere, se non addirittura migliorare, di notte, quanto c’è già di buono.


Per contro se un genitore è depresso o prova risentimento nei confronti del figlio nel corso della giornata e sceglie di condividere il sonno con lui, le medesime dinamiche si ripercuoteranno in modo negativo sul bambino durante la notte. Ciò detto, il sonno condiviso può essere uno strumento meraviglioso attraverso cui madri e padri amorevoli e appagati continuano a cementare, durante la notte, il proprio legame con il figlio.

Quanto posso andare avanti a dormire con mio figli?

Quanto volete! Davvero la questione di quanto un lattante o un bambino vada avanti a dormire vicino ai genitori non ha mai costituito un problema nel corso dell’intera storia dell’uomo. Fintanto che fa piacere a chi lo pratica e la relazione di cui è manifestazione risulta sana durante le ore diurne, il sonno condiviso, in una forma o nell’altra, non va mai interrotto… È ovvio, tuttavia, che succederà. Non esiste un limite netto oltre il quale la condivisione del sonno in famiglia risulti, d’improvviso o anche gradualmente, dannosa, a meno che uno degli attori non ne sia più soddisfatto, o che la situazione si sia fatta spiacevole o lesiva da un punto di vista sociale, psicologico o fisico. Il sonno condiviso (nella forma di condivisione del letto o della stanza) non potrebbe mai essere la soluzione migliore se tutti coloro che vi partecipano non si sentono a proprio agio. A quel punto, è meglio smettere. Se un elemento della famiglia non gradisce condividere il sonno, è preferibile non costringerlo a farlo.


Mi tornano in mente le volte in cui, dopo le lezioni all’università sul sonno condiviso, gli studenti sudamericani, imbarazzati, venivano da me a sussurrarmi storie che mai avrebbero potuto riferire ai propri pari, per paura di esser presi in giro. Di solito essi desiderano confessarmi di dor-mire ANCORA insieme ai genitori quando rientrano a casa per le vacanze! Uno dei miei giovani amici mi descriveva come, con i fratelli, saltasse nel lettone dei genitori a parlare, raccontarsi storie, mangiare, guardare la televisione, per il puro piacere di dormire, tutti insieme, nel letto di mamma e papà.

Possiamo dormire tutti insieme se il mio compagno non è il padre del bambino?

Esiste uno studio che certifica un rischio maggiore di morte infantile nel caso in cui si condivida il letto con un maschio adulto o con un qualsiasi altro adulto senza legami di parentela con il bambino. Tuttavia il gruppo preso più a lungo in esame presentava più di un fattore di rischio al momento del decesso delle vittime11.


Ritengo che quando un adulto dorme accanto a un lattante senza avere legami di parentela con lui assumendosi l’impegno e la responsabilità del bambino, sentendosene responsabile tanto quanto la madre, a quel punto il sonno condiviso nello stesso letto dovrebbe risultare sicuro tanto quanto nel caso in cui venga praticato dal padre biologico o da un genitore adottivo. Tuttavia vale la pena porsi di nuovo il dubbio: adulti senza legami di parentela con il bambino potrebbero mostrarsi disinteressati ad assumersi la responsabilità del neonato al pari di un genitore biologico o adottivo, op-pure potrebbero decidere di negare la propria responsabilità rispetto all’incolumità del piccolo. Qualora ciò si verificasse sconsiglierei vivamente di far dormire il bambino nello stesso letto con voi. Mettetelo, invece, accanto a voi ma su una superficie diversa.

Quali effetti a lungo termine avrà il sonno condiviso su mio figlio?

Non è mai stato provato, né dimostrato, e non è neppure presumibile, che dormire insieme a un figlio produca effetti negativi a lungo termine, se il rapporto tra i soggetti interessati è sano. Gli esperti, al contrario, notano che il sonno condiviso è in grado di contribuire allo sviluppo di caratteristiche positive quali sentirsi più a proprio agio nei confronti di un’affettività di tipo fisico, una maggior sicurezza rispetto alla propria identità sessuale, un atteggiamento più ottimistico e positivo verso la vita, o – intorno ai due anni – una più spiccata originalità e capacità di affrontare la solitudine. Secondo un importante studio epidemiologico i bambini in età scolare che praticano il sonno condiviso costituiscono una percentuale ridotta della popolazione psichiatrica. Inoltre, e non so se la prenderete come una benedizione o come una maledizione, un’indagine condotta su un campione di studenti delle superiori rivelò che i maschi che avevano dormito insieme ai genitori dalla nascita fino all’età di cinque anni dimostravano di possedere un’autostima nettamente maggiore, di soffrire meno di ansia e di sensi di colpa, e persino di avere una vita sessuale decisamente attiva! Il sonno condiviso è una delle componenti di un contesto di amore e di sostegno realizzato dai genitori per i propri figli che, a sua volta, darà loro la fiducia necessaria a diventare adulti socievoli, amorevoli e felici12.

È possibile ridurre il numero di poppate notturne in un contesto di sonno condiviso?

Il processo di divezzamento di un bambino che ha dormito accanto a voi dalla nascita è unico e difficoltoso. Si tratta di una decisione importante, da prendere solo se si ritiene necessaria.


Alcuni bambini incontrano difficoltà nel ridurre il numero di poppate. Un sistema per diminuire le poppate notturne è quello di aumentare quelle diurne. Porre barriere tra il seno e il bambino, oppure dormire dandogli le spalle, a volte riduce l’immediata disponibilità di latte, eliminando qualche poppata, così come sistemare il piccolo in un lettino nella medesima stanza, oppure su un materassino accanto al proprio letto.


Se il bimbo piange perché vuole essere allattato, papà può prenderlo in braccio e passeggiare con lui, così da fargli apprendere una nuova associazione. Il ruolo del padre nel divezzamento dalle poppate notturne può essere molto gratificante, svelando un nuovo aspetto della relazione di attaccamento con il piccolo.


È importante affidarsi con fiducia al proprio giudizio e alla propria esperienza con il bambino – e ogni bambino trasmetterà messaggi diversi su cosa sia meglio per lui e solo per lui. Così come quella riguardo il sonno condiviso nella stessa stanza o nello stesso letto, la decisione di smettere di allattare va presa con scrupolo e con grande attenzione verso i bisogni di ogni singola famiglia.

È consigliabile condividere il letto con un figlio prematuro o sottopeso?

Nella quasi totalità degli studi epidemiologici di cui sono a conoscenza i neonati più piccoli rispetto all’età gestazionale o prematuri vengono indicati, in maniera esagerata, come vittime della SIDS e vittime di morte improvvisa del neonato in contesti di condivisione del letto. Poiché le ragioni del fenomeno non sono ancora note, e potrebbero comprendere eventi legati allo sviluppo intrauterino o aggressioni al sistema nervoso del feto (alcune imputabili al fumo materno, che può provocare ritardi nella crescita intrauterina), sarebbe probabilmente più sicuro non dormire nello stesso letto con un neonato sottopeso o prematuro. Sembrerebbe che tale abitudine non contribuisca alla sopravvivenza di questi soggetti particolarmente fragili, per cui sarebbe meglio evitarla. Fate dormire il piccolo prematuro o sottopeso accanto al vostro letto su una superficie diversa, ma non con voi. Durante la veglia, al contrario, il contatto pelle a pelle risulta estremamente protettivo, ed è noto come gli scambi sensoriali con un adulto siano benefici per la salute dei neonati con ritardi dello sviluppo. Più questi bambini speciali vengono abbracciati, portati, allattati al seno, più interazioni fisiche riescono a stabilire con voi, meglio è.

Di notte con tuo figlio
Di notte con tuo figlio
James J. McKenna
La condivisione del sonno in famiglia.L’antropologo James J. McKenna descrive i vantaggi del sonno condiviso, riportando le più recenti evidenze scientifiche che ne evidenziato i potenziali benefici. In passato dormire insieme ai propri figli era la norma in quasi ogni epoca e cultura. Oggi invece, questa pratica è fonte di innumerevoli interrogativi e occasioni per colpevolizzarsi.Dove far dormire i bambini è un tema assai controverso nella cultura occidentale poiché risveglia questioni legate all’ideologia della promozione dell’indipendenza degli individui, bambini compresi.Il timore di condividere il letto con un bambino è altresì alimentato dallo stile di vita comunemente accettato dalla cultura occidentale, secondo cui si dovrebbe lavorare tutto il giorno, stare con la famiglia soltanto la sera o nel fine settimana e dormire da soli, profondamente e per tutta la notte. Il letto, poi, è anche sinonimo di sesso, per cui dormire con un bambino risulterebbe sospetto.Di notte con tuo figlio sviscera e smentisce ogni teoria scientifica a sostegno dell’inopportunità, se non addirittura della pericolosità o dell’immoralità, di questa abitudine. James J. McKenna sovverte queste credenze culturalmente accettate, agendo da uomo di scienza: i suoi studi sul sonno dimostrano il legame che si crea durante la notte tra figlio e genitore, attraverso tracciati dei mutamenti fisiologici registrati in entrambi i soggetti addormentati e con filmati della loro danza notturna. Legame che, come lui ha dimostrato, ha un fondamento biologico misurabile.L’autore raccomanda il sonno condiviso, purché in situazioni di assoluta sicurezza, e ne illustra le diverse modalità, avvalendosi delle più recenti evidenze scientifiche a sostegno dei potenziali benefici del sonno condiviso e tanti utili consigli per prevenire eventuali rischi e inconvenienti.Pronti a scoprire gli innumerevoli benefici di stare tutti insieme nel lettone? Conosci l’autore James J. McKenna, titolare della cattedra di Antropologia Edmund P. Joyce C.S.C., nonché Direttore del Mother-Baby Behavioral Sleep Laboratory (laboratorio di ricerca sul sonno materno infantile) dell’Università di Notre Dame, è tra le massime autorità in materia di allattamento al seno in relazione alla SIDS (Sindrome della morte in culla) e al sonno condiviso.I suoi interventi a conferenze e convegni medici sulla genitorialità sono molto richiesti in tutto il mondo.