prima parte - ix

Perché si dice che sia
pericoloso?

Quando si dice due pesi e due misure: se per certe autorità mediche ogni mortesopravvenuta tragicamente mentre si condivideva il letto rappresenta un validomotivo di critica o di condanna di tutte le forme di condivisione del letto,le centinaia di migliaia di casi di morte improvvisa in culla costituiscono, tutte,‘un tragico problema da risolvere’, e non una ‘pratica da eliminare’.

James J. McKenna,

Intervista alla National Public Radio (settembre 2005)

Il luogo dove mettere a dormire i bambini è diventato un tema controverso all’interno della comunità medica. Nei Paesi dell’Occidente industrializzato non si è mai lontanamente pensato che il sonno condiviso potesse diventare oggetto di confronto ad armi pari. L’idea della “necessità” di lasciar dormire da soli i bambini è sorta quasi contemporaneamente all’enfasi conferita alla supposta superiorità del biberon rispetto al seno. Idee che hanno finito per diventare tutt’uno con la medicina standardizzata moderna, la quale, molti decenni più tardi, ha preso sistematicamente a studiare solo i bambini allattati con il biberon e che dormivano da soli, tipico soltanto dei neonati dell’Occidente industrializzato. Da qui il decennale pregiudizio della comunità medica, a sostegno di coloro i quali – dietro titoli screditanti – montano un’accusa contro il sonno condiviso senza che venga loro richiesto di rivelare tutti gli episodi salienti di morte neonatale necessari all’effettiva comprensione del fenomeno1.


I modelli medici di “sonno infantile sano e normale” all’inizio del Novecento mettevano l’accento sull’importanza di ridurre al massimo il contatto notturno tra bambino e genitore. Presto si sviluppò il principio secondo cui dormire per conto proprio favorirebbe la relazione tra padre e madre, contribuendo all’indipendenza del piccolo, oltre all’idea che qualsiasi forma di sonno condiviso risulterebbe psicologicamente pericolosa o lesiva, togliendo ai figli la possibilità di diventare individui autonomi. Le linee guida a sostegno del sonno separato parevano avere più a che vedere con la realizzazione di un individuo moralmente apprezzabile (definibile come adulto autosufficiente) piuttosto che con lo sviluppo del benessere fisico e psicologico del bambino. Qualsiasi forma di condivisione del sonno con i genitori veniva scoraggiata, totalmente ignorata come possibilità, oppure descritta come singolare o perversa2.


Se è plausibile supporre che le madri dei baby boomers [figli del boom demografico registrato negli Sati Uniti e nel Regno Unito tra il 1943 e il 1960, N.d.T.] abbiano dato ascolto al noto e stimato dottor Spock, pediatra e autore della bibbia dei genitori anni Cinquanta, allora l’ironia della sua esortazione al sonno solitario diventa evidente: in teoria esso avrebbe dovuto dar vita a una generazione di adulti dedita a “pratiche del sonno igieniche e corrette”, mentre, di fatto, ha prodotto una popolazione adulta privata come non mai del sonno. Sebbene tanti di noi, seguendo tali consigli, siano stati educati, da bambini, a dormire da soli, la maggioranza degli americani adulti dorme meno di sei ore per notte (con una media di appena 6,8 ore), con un 75% che fatica ad addormentarsi o a dormire – una realtà che colpisce in special modo le donne! Se esiste un legame tra sonno infantile separato precocemente e sonno in età adulta, esso non sembra molto positivo, e pare essere l’opposto di quanto si prometteva sarebbe, di fatto, accaduto3.

Forse la venerazione americana del sonno ininterrotto è un ulteriore pregiudizio di origine culturale, spacciato per scienza.

John Seabrook, The New Yorker (ottobre 1999)

La Storia non è solo una possibile spiegazione del perché gli occidentali dormano così poco, ma è anche motivo per cui, nei dibattiti, il sonno condiviso e la condivisione del letto (concetti spesso utilizzati, a torto, in modo intercambiabile) vengono dipinti con grande facilità come pericolosi, e per il quale la gente si dimostra tanto disposta a farsi convincere che dormire nello stesso letto sia intrinsecamente letale, senza conoscere i particolari legati alla morte dei neonati che condividevano il letto. Uno dei motivi per cui, dalla cronaca, condividere il letto risulta tanto rischioso è il fatto che le morti in culla di cui danno notizia i media non vengono quasi mai contestualizzate. Mai nessun riferimento a particolari quali l’assunzione, immediatamente precedente, di alcol da parte del genitore, o l’abitudine della madre di fumare durante la gravidanza, o la presenza di altri figli nel lettone, accanto alla piccola vittima. È come se si trattasse di particolari irrilevanti, che in realtà, forse, spiegherebbero il motivo e la modalità della morte del bimbo. Ulteriori elementi decisivi alla comprensione dei singoli casi di morte vengono, in genere, omessi in favore di immagini sensazionalistiche, e di titoli del tipo “ancora una vittima del lettone”, mentre i particolari restano nascosti o vengono semplicemente considerati meno significativi del fatto che fosse stato condiviso il letto.


Spesso le diverse forme di condivisione del sonno vengono presentate ai genitori in termini di “inevitabili problemi” connessi all’applicazione di tale pratica. All’opposto dei rischi riconducibili al sonno separato, e contrariamente agli sforzi spesi per risolvere le problematiche relative al sonno in culla, la soluzione degli eventuali problemi relativi al sonno condiviso viene considerata o poco importante, o impossibile. Questi sono giudizi sociali, non scienza. Nelle riviste e nei libri che si schierano contro le diverse modalità di condivisione del sonno, ogni caso di morte del lattante viene, di prassi, assurto a “prova” della pericolosità della condivisione del letto, con la totale condanna di tale prassi. Tuttavia NEMMENO UNA delle migliaia di morti in culla viene addotta come prova della necessità di eliminare l’abitudine di dormire nel lettino. Poiché si omettono le reali cause di quasi tutti i casi di morte in contesti di condivisione del letto denunciate al pubblico, è facile comprendere come molti nostri concittadini non riescano ad accorgersi che la “prova” in realtà non è altro che un pregiudizio dell’autore dell’articolo o del libro, e non un’effettiva evidenza scientifica del fatto che la condivisione del letto sia sempre pericolosa e che non sia possibile renderla una pratica sicura.


Un ulteriore motivo per cui tanti occidentali criticano il sonno condiviso risiede nel fatto che per decenni, e senza dati alla mano, gli psicologi (che oggi ne sono per lo più sostenitori) abbiano messo in guardia le famiglie dai rischi di rottura e di divorzio imputabili a tale prassi - idea ormai ampiamente confutata. Si riteneva altresì che il sonno condiviso fosse responsabile della gelosia tra fratelli, della quale, caso mai, è più probabile essere solo una delle innumerevoli cause! Senza considerare nello specifico se il sonno condiviso venga visto dai genitori come una buona o una cattiva abitudine, né come tale abitudine si inserisca all’interno dei valori di una famiglia, i padri e le madri vengono avvertiti che condividere il sonno stabilisce una “cattiva abitudine difficile da eradicare”. 

C’è, per giunta, chi sostiene che dormire con il proprio figlio provochi, nel bambino, confusione emotiva e sessuale, o iperstimolazione. Eppure non esistono prove di come, quando e in quali circostanze ciò possa esser vero; ma soprattutto si tratta di teorie smentite da studi pubblicati negli ultimi quindici anni. Persino Richard Ferber, portabandiera del sonno infantile separato, ha espresso rammarico – bisogna rendergliene merito – per alcune sue affermazioni secondo cui il sonno condiviso sarebbe il riflesso di patologie materne o provocherebbe “confusione e ansia” nei piccoli4.


Purtroppo molti gruppi di medici occidentali hanno adottato quella che, a parer mio e di altri, risulta essere un’errata soluzione alla controversia sulla condivisione del letto. Molte autorità mediche scelgono di non rivelare i dati relativi alle morti sopravvenute durante il sonno nello stesso letto, ritenendo, al contrario, che l’opinione pubblica abbia bisogno di “un messaggio semplicisticamente negativo: non fatelo mai.”5 Un messaggio così semplicistico, tuttavia, travisa la natura e la qualità del rapporto madrefiglio, semplificando all’eccesso un fenomeno complesso e molto variabile. I messaggi semplicisticamente negativi ignorano la validità di opinioni, sia pubbliche che professionali, basate su evidenze scientifiche acclarate e princìpi che confutano la legittimità e la precisione di messaggi tanto “sem-plicistici”. Si tratta di politiche che sottovalutano la capacità di ciascun genitore di prendere decisioni personali e di realizzare un contesto di condivisione del sonno sicuro per il proprio bambino, negando ai genitori stessi la possibilità di informarsi in maniera più approfondita per poter decidere il meglio per tutta la famiglia. Sono, queste, decisioni che competono solo ai genitori, e non ad “autorità” esterne6.

Il recente monito del nostro governo secondo cui sarebbe rischioso lasciar dormire i bambini in tenera età nel letto con i genitori è andato troppo oltre… Dovrebbe essere smentito perché si tratta di cattiva scienza. La cattiva scienza si propone di esprimere opinioni, senza guardare a destra o a sinistra, ma soltanto dritto davanti a sé, alla ricerca di prove a sostegno dell’opinione che intende esprimere. Trovata la prova che le aggrada, essa la adotta amorevolmente sottoponendola a minime, o nessuna, verifica.

K. Vonnegut, “The Boston Globe” (24 ottobre 1999)

Sentirsi a proprio agio e ben informati riguardo la scelta di condividere il letto, quindi, richiede un pizzico di conoscenza in più e casomai un rinnovato approccio alle idee scaturite da casi tragici – e sporadici – di condivisione del letto in assenza di precauzioni, o da studi epidemiologici dubbi e inconsistenti. Sarà di grande aiuto imparare come reagire di fronte agli orientamenti sfavorevoli di giornali e telegiornali, alla pubblica condanna della condivisione del letto da parte delle autorità mediche, dei medici legali e dei rappresentanti del comitato etico per le morti infantili, o ai commenti scoraggianti degli altri genitori.


Ulteriori fattori di criticità che i pubblici ufficiali dovrebbero indicare nelle denunce di morte infantile in un contesto di condivisione del sonno sono l’eventualità che la vittima dormisse in posizione prona (a pancia in giù), la presenza o meno di un altro bambino accanto al piccolo, il fatto che la madre fumasse in gravidanza, se sapesse come eliminare gli interstizi o le falle tra materasso e mobilio, o la struttura del letto, o se il bambino fosse allattato esclusivamente al seno o non fosse affatto allattato. Si tratta di alcuni dei fattori di rischio indipendenti della SIDS, oltre che di elementi da prendere in considerazione nella valutazione delle morti “causate dalla condivisione del letto”, in quanto, con ogni probabilità, costituiscono le vere ragioni del decesso dei piccoli che dormono nello stesso letto dei genitori.


Nei pubblici “ammonimenti” contro la condivisione del sonno si ricorre, in genere, all’espressione “sonno condiviso” in modo indiscriminato, il che è un’etichetta onnicomprensiva per indicare le piccole vittime del sonno su divani, sofà, sdraiette o poltrone – come se queste forme di condivisione del sonno (notoriamente rischiose) non fossero ben più pericolose o addirittura presentassero gli stessi fattori di rischio che il sonno nel medesimo letto, praticato in maniera sicura da madri non fumatrici che allattano al seno.


Non v’è scienziato che, dedicatosi effettivamente allo studio del sonno condiviso nello stesso letto, a casa o in laboratorio, o che ne abbia studiato la fisiologia e i comportamenti ad esso ricollegabili, si sia mai pronunciato a sfavore di tale pratica. Nel mondo scientifico solo quei ricercatori che prendono in esame i risultati di studi epidemiologici su scala molto ampia, senza considerare l’importanza delle differenze all’interno delle singole famiglie, si pronunciano a sfavore della condivisione del letto. Si tratta di scienziati privi di esperienza diretta di un fenomeno che sostengono di comprendere. Non è di questo che si dovrebbe occupare la “medicina basata sulle prove”. I valori del paziente, le motivazioni, il consenso scientifico e il rispetto delle variabili in gioco hanno, tutti, la medesima importanza al fine della formulazione di raccomandazioni di sanità pubblica, non le sole statistiche demografiche derivanti da vasti studi epidemiologici.

‘Volevo solo essere una madre affettuosa’: Bimbo muore nel letto dei genitori. Esplode il dibattito sul sonno sicuro – e gli esperti si dividono.

Tim Evans, “Indy Star” (7 febbraio 2006)

Quando un bambino muore nella culla, l’attenzione si focalizza sui particolari del decesso, ad esempio se la vittima stesse dormendo in posizione prona (a pancia in giù) o supina (sulla schiena – posizione di sicurezza). Nel caso in cui il piccolo stesse dormendo in posizione prona nel proprio lettino, è molto probabile che la conclusione sarà che si è trattato di SIDS causata dal sonno in posizione prona; tuttavia, se lo stesso bambino fosse deceduto mentre dormiva prono nel letto degli adulti, con ogni probabilità verrebbe indicata come causa di morte la condivisione del letto, e non la morte improvvisa indotta dal sonno in posizione prona. Il probabile giudizio preliminare sarà la morte per soffocamento o, semplicemente, che non si è in grado di determinare alcuna causa di morte.


Nel contesto di condivisione del letto esiste un’altissima probabilità di esclusione della SIDS come causa di decesso, in virtù del fatto che il bimbo è morto mentre dormiva con i genitori, anche senza essere a conoscenza di come venisse praticata la condivisione del letto. Si opterà per la causa di asfissia, e non per la SIDS. Nel mio Stato, l’Indiana, si presume che i bam-bini trovati morti nel lettone siano deceduti per soffocamento, e lo stesso vale in Ohio (come puntualmente spiegatomi da un collega che lavora nello studio del medico legale). In molte aree del Paese si assiste a un mutamento diagnostico su base ideologica: l’ideologia secondo cui la condivisione del letto sia sempre letale sta, purtroppo, avendo la precedenza su accurate analisi post mortem e sull’esame del luogo del rinvenimento del cadavere. I giudizi ideologici forniscono ulteriori prove statistiche a sostegno delle tesi negative contro la pratica di condivisione del letto.

Il timore di soffocare un neonato durante il sonno è reale, ma esageratamente ingigantito. I dati provenienti dallo studio sulla morte improvvisa e inattesa del lattante, il più ampio studio condotto fino a oggi, rivelano che nei bambini che condividevano la stanza da letto con un genitore il rischio di SIDS era quasi dimezzato rispetto al rischio corso dai bimbi che dormivano da soli.

In altre parole, mettere un bambino a dormire in un’altra stanza (invece che nella camera dei genitori) raddoppierebbe il rischio di SIDS.7

In un’attenta descrizione del decesso di sessanta bambini australia-ni per morte improvvisa del lattante, il dottor Roger Byard, patologo forense, esprime il seguente commento: “L’assenza di supervisione al momento del decesso per asfissia era un tratto comune a tutti i casi di cui esisteva documentazione”8.

Invece di sconsigliare la condivisione del letto, le autorità sanitarie dovrebbero concentrarsi sulla maniera di rendere accessibili le informazioni che consentano di ottimizzare la sicurezza di tale prassi, tra cui quelle relative ai contesti sociali e strutturali che rischiano di renderla una pratica pericolosa. È triste constatare come certe istituzioni mediche, ospedali e aziende sanitarie si mostrino disinteressati a operare una distinzione tra l’atto di condividere il sonno (condivisione del letto compresa) e le condizioni in cui esso avviene. Questo disinteresse a distinguere dà ragione di pensare che le autorità sanitarie non apprezzino, o scelgano di non riconoscere, il ruolo – speciale e legittimo – di protezione che ogni madre svolge dormendo accanto al proprio piccino, o che ritengano che le madri non abbiano né il diritto, né la capacità di assolvervi.


Se decidete di condividere il sonno o il letto con vostro figlio incontrerete senza dubbio genitori, medici e titoli di giornale pronti a convincervi che non state facendo la cosa migliore per lui. È saggio ricordare che, al di là di tutto, l’unico potere che certi gruppi o individui esercitano su di voi dipende da quanto decidete di concederne loro.


Fintanto che la vostra è una decisione informata, state certi che è la decisione giusta per voi e per il vostro bambino.

Di notte con tuo figlio
Di notte con tuo figlio
James J. McKenna
La condivisione del sonno in famiglia.L’antropologo James J. McKenna descrive i vantaggi del sonno condiviso, riportando le più recenti evidenze scientifiche che ne evidenziato i potenziali benefici. In passato dormire insieme ai propri figli era la norma in quasi ogni epoca e cultura. Oggi invece, questa pratica è fonte di innumerevoli interrogativi e occasioni per colpevolizzarsi.Dove far dormire i bambini è un tema assai controverso nella cultura occidentale poiché risveglia questioni legate all’ideologia della promozione dell’indipendenza degli individui, bambini compresi.Il timore di condividere il letto con un bambino è altresì alimentato dallo stile di vita comunemente accettato dalla cultura occidentale, secondo cui si dovrebbe lavorare tutto il giorno, stare con la famiglia soltanto la sera o nel fine settimana e dormire da soli, profondamente e per tutta la notte. Il letto, poi, è anche sinonimo di sesso, per cui dormire con un bambino risulterebbe sospetto.Di notte con tuo figlio sviscera e smentisce ogni teoria scientifica a sostegno dell’inopportunità, se non addirittura della pericolosità o dell’immoralità, di questa abitudine. James J. McKenna sovverte queste credenze culturalmente accettate, agendo da uomo di scienza: i suoi studi sul sonno dimostrano il legame che si crea durante la notte tra figlio e genitore, attraverso tracciati dei mutamenti fisiologici registrati in entrambi i soggetti addormentati e con filmati della loro danza notturna. Legame che, come lui ha dimostrato, ha un fondamento biologico misurabile.L’autore raccomanda il sonno condiviso, purché in situazioni di assoluta sicurezza, e ne illustra le diverse modalità, avvalendosi delle più recenti evidenze scientifiche a sostegno dei potenziali benefici del sonno condiviso e tanti utili consigli per prevenire eventuali rischi e inconvenienti.Pronti a scoprire gli innumerevoli benefici di stare tutti insieme nel lettone? Conosci l’autore James J. McKenna, titolare della cattedra di Antropologia Edmund P. Joyce C.S.C., nonché Direttore del Mother-Baby Behavioral Sleep Laboratory (laboratorio di ricerca sul sonno materno infantile) dell’Università di Notre Dame, è tra le massime autorità in materia di allattamento al seno in relazione alla SIDS (Sindrome della morte in culla) e al sonno condiviso.I suoi interventi a conferenze e convegni medici sulla genitorialità sono molto richiesti in tutto il mondo.