Sia i neonati pretermine che quelli a termine possono trarre grande giovamento dalla presenza fisica dei genitori, per quanto, in realtà, come spiegherò più tardi, non sia consigliabile far dormire i prematuri nel lettone, in ragione delle loro dimensioni ridotte e della maggiore vulnerabilità. Tuttavia, oltre a un più rapido apprendimento favorito dal maggior numero di interazioni sociali e dai frequenti schemi comunicativi derivanti dal maggior contatto e dalla maggior vicinanza, le indagini scientifiche dimostrano che quando i neonati dormono sul petto della madre o del padre, godendo del contatto diretto pelle a pelle, il loro respiro si fa più regolare, l’utilizzo dell’energia più efficiente, la crescita più rapida, e i fattori di stress risultano ridotti6. In diversi articoli di recente pubblicazione la dott.ssa Sari Goldstein, il dott. Makhuaul e la dott.ssa Helen Ball sottolineano come il contatto pelle a pelle, a volte definito terapia del marsupio, riducendo le apnee e gli episodi di bradicardia (battito cardiaco rallentato), consenta la dimissione anticipata dei prematuri7. È risaputo che, nel neonato, il contatto materno agisce da analgesico e che il tocco e gli abbracci frequenti favoriscono la rapida ripresa del piccolo dalla fatica del parto8. Il contatto favorisce altresì l’allattamento al seno spontaneo, oltre a incoraggiare la madre a prolungare la durata di ogni poppata9. I piccoli che sperimentano il contatto pelle a pelle hanno un sonno più lungo, risultano meno agitati e presentano battito cardiaco e respiro più regolari, il che favorisce una miglior ossigenazione generale10.
I benefici riguardano pure la madre: il contatto pelle a pelle viene associato, in due studi svedesi11, all’aumento significativo dei livelli materni di ossitocina (ormone rilasciato durante l’allattamento), il che fa presumere un miglioramento delle contrazioni uterine e dell’eiezione lattea, a beneficio di madre e figlio. Esiste infine un rapporto in cui si afferma che il contatto pelle a pelle sia ricollegabile anche a una riduzione dell’ansia nella madre e a una sua maggior partecipazione all’accudimento del neonato12.
Ai genitori si suggerisce di lasciar piangere i bambini fintanto che non si addormentano da soli al fine di crescere un figlio autosufficiente, in grado di autoconsolarsi e a proprio agio con la solitudine. Oggi i ricercatori stanno scoprendo che, in casi estremi, lasciar piangere un bambino senza dargli alcun conforto rischia di provocargli danni cerebrali. L’ansia protratta durante l’infanzia viene associata a un maggiore tasso di depressione e di disturbi emotivi negli anni successivi. Molti psicologi infantili sono oggi convinti che i bambini piccoli sappiano ciò che è bene per loro, e che i genitori dovrebbero seguire l’istinto che li porta a cercare di dare consolazione a un piccolo in lacrime.
Come estensione del contatto pelle a pelle, la condivisione del letto, se praticata in modo sicuro, può rivelarsi un’esperienza fatta di calore e di coccole, preziosa per ogni genitore; ma è anche ben altro: un processo di natura biologica mediante il quale viene regolata la temperatura corporea del bambino e favorita la regolarità del ritmo respiratorio, in parte grazie al suono emesso dal respiro materno e ai movimenti ritmici del petto della madre avvertiti dal piccolo. Secondo diversi studi di biologia tali segnali fungerebbero da stimoli “nascosti” attraverso cui i cuccioli degli altri mammiferi regolano i respiri successivi!13, 14
Persino l’anidride carbonica (CO2) prodotta dalla madre non viene sprecata durante il sonno condiviso: la quantità di CO2 presente nel respiro materno stimola la respirazione del neonato.15 L’anidride carbonica prodotta pare fungere da potenziale richiamo in caso di interruzione o di rallentamento dello stimolo interno alla respirazione del bambino, dal momento che le regioni nasali del piccolo sono in grado di rilevare la presenza di tale gas, reagendo con un’accelerazione respiratoria.