prima parte - v

Il sonno condiviso fa bene
al bambino

Il bambino che dorme vicino ai genitori trova rassicurazione nelle continue conferme della presenza di chi si prende cura di lui – il tocco, l’odore, il movimento, il calore e, grazie alla maggiore disponibilità del seno materno, il gusto. Sensazioni che garantiscono la sicurezza emotiva del piccolo e, se questi viene allattato, l’invio costante di impressioni e di segnali (ad esempio gli aromi sprigionati dal latte) che incentivano l’allattamento al seno e l’aumento dell’alimento materno. Quando il benessere di vostro figlio è in pericolo – se, ad esempio, sta soffocando o cercando disperatamente di liberarsi della coperta che gli copre il viso – sarete subito in grado (se all’erta) di andargli in aiuto. Nell’ambiente protetto e amorevole in cui si trova, il vostro bambino troverà risposta quasi immediata a ogni sua esigenza.


Quando i bisogni dei bambini piccoli, specie se non in grado di esprimersi verbalmente, vengono disattesi, scoppia il pianto che è un segnale d’allarme previsto in situazioni critiche quali dolore, fame o paura e viene utilizzato per ottenere il recupero della madre. Si è appreso anni fa che il pianto prolungato provoca una riduzione dell’ossigenazione con un aumento del battito cardiaco, che, a sua volta, determina l’aumento di cortisolo, ormone dello stress di cui abbiamo parlato in precedenza.

Alcuni studi suggeriscono che elevati livelli di cortisolo nel neonato possono provocare mutamenti a livello cerebrale responsabili di una maggiore vulnerabilità ai disturbi sociali dell’attaccamento. Le energie sprecate nel pianto potrebbero, quantomeno, essere meglio indirizzate alla crescita o al sostentamento1. I bambini che condividono il sonno con i genitori tendono a piangere molto meno per addormentarsi, o addirittura a non piangere affatto, evitando così l’eccessivo rilascio dell’ormone in questione. Oggi, tuttavia, molti genitori vengono incoraggiati ad adottare “tecniche di controllo del pianto” per la gestione dei neonati e dei lattanti che non sanno addormentarsi da soli, che si svegliano durante la notte o che si riaddormentano solo se presi in braccio o se posti a contatto o in prossimità dei genitori. L’Australian Association of Infant Mental Health è impegnata in prima persona nella questione dell’applicazione di tali tecniche, tanto da aver pubblicato quanto segue: “… il controllo del pianto non risponde a quanto necessario alla salute emotiva e psicologica ottimale del bambino, e rischia di produrre conseguenze negative indesiderate”2.


I bimbi che dormono vicino alla mamma stanno più al caldo e non hanno bisogno di tante coperte o di coperte pesanti. Durante la notte avviene una scambio sensoriale tra madre e figlio, attraverso il calore corporeo, utile a regolare la temperatura del piccolo. Una volta uscito dall’utero, ad esempio, il neonato può percepire un calo di temperatura corporea fino a un grado Farhenheit3, fenomeno in genere esplicabile, ancora una volta, con la produzione di ormoni dello stress. Tale calo rischia di provocare un abbassamento delle difese immunitarie, esponendo il piccolo a malattie infettive, oltre a privarlo, nel tentativo di regolarne la temperatura corporea, delle energie necessarie alla crescita e allo sviluppo. Da uno studio risultò che tra i neonati di 11-16 settimane, quelli che dormivano da soli avevano una temperatura ascellare media inferiore a quella rilevata nei bimbi allattati al seno e messi a dormire accanto alla madre4.


Questi ultimi trascorrevano meno tempo negli stadi di sonno più profondi (stadio 3 e 4) dai quali è più difficile risvegliarsi nel caso in cui si rendesse necessario destarsi velocemente per interrompere un’apnea peri-colosa (episodi in cui si ha un arresto della respirazione). I piccoli che condividono il sonno con i genitori, al contrario, trascorrono più tempo negli stadi di sonno leggero (stadio 1 e 2), considerati più consoni ai neonati da un punto di vista fisiologico, oltre che più naturali e favorevoli a un sonno sicuro per i bambini, in quanto il risveglio per interrompere l’apnea risulta più veloce che nelle fasi di sonno profondo. La durata ridotta delle fasi di sonno profondo, determinata dal sonno condiviso, può potenzialmente proteggere i neonati affetti da disturbi del risveglio (tra le cause sospette della SIDS). Il sonno condiviso aumenta altresì in modo significativo il totale dei risvegli notturni del neonato, che si fa più sensibile ai rumori prodotti dalla madre, ai suoi movimenti e al suo tocco. L’aumento dei risvegli tende a migliorare la capacità di sviluppare utili tecniche di risveglio nel caso in cui il bimbo dovesse andare in ipo ossigenazione a seguito di una pausa respiratoria. Non soltanto il piccolo si muove al muoversi della madre, ma anche l’odore ravvicinato del latte materno contribuisce a mantenerlo in uno stato di sonno leggero per un periodo prolungato5.

Ironia vuole che maggior numero di risvegli con maggiore ossigenazione e stadi prolungati di sonno leggero (tutte conseguenze naturali dell’allattamento al seno e del sonno condiviso) siano le medesime conseguenze dell’utilizzo del ciuccio. Gli esperti dell’Accademia Americana di Pediatria contrari alla condivisione del letto sostenevano il ricorso al ciuccio come possibile prevenzione della SIDS in ragione dei risultati summenzionati! Non sarebbe stato meglio che quegli stessi ricercatori avessero riposto maggior fiducia nelle capacità del corpo delle madri che non in quei capezzoli finti?

Sia i neonati pretermine che quelli a termine possono trarre grande giovamento dalla presenza fisica dei genitori, per quanto, in realtà, come spiegherò più tardi, non sia consigliabile far dormire i prematuri nel lettone, in ragione delle loro dimensioni ridotte e della maggiore vulnerabilità. Tuttavia, oltre a un più rapido apprendimento favorito dal maggior numero di interazioni sociali e dai frequenti schemi comunicativi derivanti dal maggior contatto e dalla maggior vicinanza, le indagini scientifiche dimostrano che quando i neonati dormono sul petto della madre o del padre, godendo del contatto diretto pelle a pelle, il loro respiro si fa più regolare, l’utilizzo dell’energia più efficiente, la crescita più rapida, e i fattori di stress risultano ridotti6. In diversi articoli di recente pubblicazione la dott.ssa Sari Goldstein, il dott. Makhuaul e la dott.ssa Helen Ball sottolineano come il contatto pelle a pelle, a volte definito terapia del marsupio, riducendo le apnee e gli episodi di bradicardia (battito cardiaco rallentato), consenta la dimissione anticipata dei prematuri7. È risaputo che, nel neonato, il contatto materno agisce da analgesico e che il tocco e gli abbracci frequenti favoriscono la rapida ripresa del piccolo dalla fatica del parto8. Il contatto favorisce altresì l’allattamento al seno spontaneo, oltre a incoraggiare la madre a prolungare la durata di ogni poppata9. I piccoli che sperimentano il contatto pelle a pelle hanno un sonno più lungo, risultano meno agitati e presentano battito cardiaco e respiro più regolari, il che favorisce una miglior ossigenazione generale10.


I benefici riguardano pure la madre: il contatto pelle a pelle viene associato, in due studi svedesi11, all’aumento significativo dei livelli materni di ossitocina (ormone rilasciato durante l’allattamento), il che fa presumere un miglioramento delle contrazioni uterine e dell’eiezione lattea, a beneficio di madre e figlio. Esiste infine un rapporto in cui si afferma che il contatto pelle a pelle sia ricollegabile anche a una riduzione dell’ansia nella madre e a una sua maggior partecipazione all’accudimento del neonato12.


Ai genitori si suggerisce di lasciar piangere i bambini fintanto che non si addormentano da soli al fine di crescere un figlio autosufficiente, in grado di autoconsolarsi e a proprio agio con la solitudine. Oggi i ricercatori stanno scoprendo che, in casi estremi, lasciar piangere un bambino senza dargli alcun conforto rischia di provocargli danni cerebrali. L’ansia protratta durante l’infanzia viene associata a un maggiore tasso di depressione e di disturbi emotivi negli anni successivi. Molti psicologi infantili sono oggi convinti che i bambini piccoli sappiano ciò che è bene per loro, e che i genitori dovrebbero seguire l’istinto che li porta a cercare di dare consolazione a un piccolo in lacrime.


Come estensione del contatto pelle a pelle, la condivisione del letto, se praticata in modo sicuro, può rivelarsi un’esperienza fatta di calore e di coccole, preziosa per ogni genitore; ma è anche ben altro: un processo di natura biologica mediante il quale viene regolata la temperatura corporea del bambino e favorita la regolarità del ritmo respiratorio, in parte grazie al suono emesso dal respiro materno e ai movimenti ritmici del petto della madre avvertiti dal piccolo. Secondo diversi studi di biologia tali segnali fungerebbero da stimoli “nascosti” attraverso cui i cuccioli degli altri mammiferi regolano i respiri successivi!13, 14


Persino l’anidride carbonica (CO2) prodotta dalla madre non viene sprecata durante il sonno condiviso: la quantità di CO2 presente nel respiro materno stimola la respirazione del neonato.15 L’anidride carbonica prodotta pare fungere da potenziale richiamo in caso di interruzione o di rallentamento dello stimolo interno alla respirazione del bambino, dal momento che le regioni nasali del piccolo sono in grado di rilevare la presenza di tale gas, reagendo con un’accelerazione respiratoria.

I vantaggi del contatto genitore-figlio, però, non finiscono qui. Durante il contatto pelle a pelle il corpo del neonato va a stimolare solo le cellule cerebrali dell’emisfero cerebrale destro da sviluppare e da collegare tra loro. In un certo senso è corretto affermare che il sonno condiviso è un’estensione notturna del microambiente utile, durante il giorno, a favorire, tra l’altro, un vasto numero di competenze sociali, comunicative ed emotive che hanno luogo mentre il bimbo viene controllato e protetto. Una madre è di certo più che un erogatore di servizi: è la figura attorno alla quale non è stata progettata soltanto la veglia del cucciolo d’uomo, ma anche il sonno. Lo psicologo inglese Donald Winnicott si riferiva alla profonda dipendenza del neonato dagli altri per la propria sopravvivenza quando affermava: “Non esiste il bambino in sé, ma soltanto il bambino e qualcun altro”. Nel valutare i bisogni dei neonati o nel cercare di spiegare quello che essi sono o non sono in grado di fare, nulla ha senso se non in relazione con il corpo della madre.

Di notte con tuo figlio
Di notte con tuo figlio
James J. McKenna
La condivisione del sonno in famiglia.L’antropologo James J. McKenna descrive i vantaggi del sonno condiviso, riportando le più recenti evidenze scientifiche che ne evidenziato i potenziali benefici. In passato dormire insieme ai propri figli era la norma in quasi ogni epoca e cultura. Oggi invece, questa pratica è fonte di innumerevoli interrogativi e occasioni per colpevolizzarsi.Dove far dormire i bambini è un tema assai controverso nella cultura occidentale poiché risveglia questioni legate all’ideologia della promozione dell’indipendenza degli individui, bambini compresi.Il timore di condividere il letto con un bambino è altresì alimentato dallo stile di vita comunemente accettato dalla cultura occidentale, secondo cui si dovrebbe lavorare tutto il giorno, stare con la famiglia soltanto la sera o nel fine settimana e dormire da soli, profondamente e per tutta la notte. Il letto, poi, è anche sinonimo di sesso, per cui dormire con un bambino risulterebbe sospetto.Di notte con tuo figlio sviscera e smentisce ogni teoria scientifica a sostegno dell’inopportunità, se non addirittura della pericolosità o dell’immoralità, di questa abitudine. James J. McKenna sovverte queste credenze culturalmente accettate, agendo da uomo di scienza: i suoi studi sul sonno dimostrano il legame che si crea durante la notte tra figlio e genitore, attraverso tracciati dei mutamenti fisiologici registrati in entrambi i soggetti addormentati e con filmati della loro danza notturna. Legame che, come lui ha dimostrato, ha un fondamento biologico misurabile.L’autore raccomanda il sonno condiviso, purché in situazioni di assoluta sicurezza, e ne illustra le diverse modalità, avvalendosi delle più recenti evidenze scientifiche a sostegno dei potenziali benefici del sonno condiviso e tanti utili consigli per prevenire eventuali rischi e inconvenienti.Pronti a scoprire gli innumerevoli benefici di stare tutti insieme nel lettone? Conosci l’autore James J. McKenna, titolare della cattedra di Antropologia Edmund P. Joyce C.S.C., nonché Direttore del Mother-Baby Behavioral Sleep Laboratory (laboratorio di ricerca sul sonno materno infantile) dell’Università di Notre Dame, è tra le massime autorità in materia di allattamento al seno in relazione alla SIDS (Sindrome della morte in culla) e al sonno condiviso.I suoi interventi a conferenze e convegni medici sulla genitorialità sono molto richiesti in tutto il mondo.