prima parte - ii

Dormire con il proprio
bambino è normale

Per gran parte della storia dell’uomo (e prima della scrittura), lungo centinaia di migliaia di anni, le madri hanno conciliato in modo efficace sonno condiviso e allattamento al seno per garantire alla prole l’immediato soddisfacimento di bisogni sociali, psicologici e fisici. I piccoli d’uomo alla nascita sono più indifesi rispetto ai piccoli di qualsiasi altra specie. Che vengano al mondo in India o in Papua Nuova Guinea, essi risulteranno particolarmente vulnerabili, lenti nello sviluppo e dipendenti dal contatto con i genitori, che ne garantiranno la sopravvivenza portandoli e nutrendoli. Alla nascita la maggior parte dei mammiferi è dotata di un encefalo che raggiunge il 60-90% delle dimensioni da adulto. L’uomo, alla nascita, ha un cervello pari al 25% delle dimensioni da adulto. Rispetto agli altri mammiferi, i piccoli d’uomo crescono più lentamente, permanendo in uno stato di dipendenza biologica per il periodo più lungo. Per la loro immaturità essi risultano, almeno nei primi mesi di vita, incapaci di regolare la propria temperatura corporea in modo efficace senza la vicinanza della madre, così come di produrre gli anticorpi, presenti nel latte materno, utili a proteggerli da virus e batteri. I piccoli d’uomo non hanno il controllo degli intestini, non sono in grado di parlare, realizzare strumenti, digerire molecole di grandi dimensioni, né camminare. Usando le parole dell’antropologo Ashley Montagu, i cuccioli d’uomo vivono una “esogestazione”: la loro gestazione, cioè, si completa dopo la nascita, e necessita della presenza di qualcuno che vi contribuisca.

A causa dell’estrema immaturità dello sviluppo umano, i neonati hanno bisogno dell’odore, del tocco, dei suoni e del movimento del genitore (specie della madre) per sentirsi al sicuro e per il migliore soddisfacimento dei propri bisogni. Tutti i piccoli di primate, uomo compreso, hanno l’esigenza biologica di stare a stretto contatto e in prossimità delle figure di accudimento. Di fatto alla nascita i piccoli d’uomo non sono adattati all’ambiente fisico esterno, ma solo a quanto offre loro il corpo materno. Non esiste l’eccesso di contatto o il troppo affetto per un piccolo d’uomo: lui ha un bisogno vitale di essere toccato, e più lo è e più cresce!1. Se privato di tali sensazioni, il bambino ricorrerà alla reazione di sopravvivenza primaria – il pianto –, per richiamare l’attenzione dei genitori, producendo cortisolo, ormone dello stress.


Il sonno condiviso, un’estensione del bisogno umano di vicinanza tra bambino e genitore, ha un significato determinante per la nostra resistenza evolutiva. Gli antropologi hanno osservato le abitudini legate al sonno delle famiglie appartenenti alle culture dei Paesi tropicali non industrializzati, scoprendo come in tutte le società tribali di cacciatori-raccoglitori prese in esame fosse praticato il sonno condiviso tra genitori e figli2. Secondo i ricercatori si tratta di società molto simili, da un punto di vista ecologico e adattivo, alle culture preistoriche, i cui membri usavano dormire insieme per assicurare la sopravvivenza e il benessere dei piccoli. Il sonno condiviso è, quindi, una pratica umana molto, molto antica.

Solo nel corso della storia recente le madri appartenenti ad aree relativamente ristrette del mondo si sono concesse il dubbio lusso di porre due interrogativi fondamentali: “Come nutrirò mio figlio?”, e “Dove deve dormire?”. Domande che trovano origine nella scoperta e nella produzione dei latti formulati, oltre che nell’enfasi conferita dalla nostra società ai presunti benefici dell’allattamento artificiale. Il biberon ha permesso alle madri di trascorrere più tempo lontane dai propri piccoli, e in seguito alle maggiori possibilità economiche della classe media e all’importanza assunta dal valore dell’individualismo, far dormire genitori e figli in camere separate è diventato più diffuso e culturalmente di tendenza. Alla metà del secolo scorso, per la prima volta nella storia, diventò assai comune dare il biberon ai bambini e metterli a dormire a pancia in giù (per favorirne il sonno ininterrotto), in stanze distanti dal raggio uditivo e visivo dei genitori. Per i piccoli non fu una gran conquista: la cultura cambia, ma il bisogno dei piccoli d’uomo di essere allattati al seno e di stare a contatto con il corpo della madre no.


Tale tendenza fu seguita da un ulteriore, allarmante fenomeno: un numero crescente di neonati non si svegliava più. Nacque la Sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS), alla quale noi scienziati non siamo ancora riusciti a dare spiegazione. Ancora oggi non si conoscono le reali cause della SIDS, nota anche come sindrome della morte in culla, se non che si presume l’esistenza di numerose cause riconducibili a una serie di possibili fattori di stress ambientali, non ultimi il tabagismo materno, il mancato allattamento al seno e la posizione prona (a pancia in giù) del lattante durante il sonno. La SIDS è diagnosticabile solo attraverso un referto tossicologico completo e un’analisi post mortem, dopo aver escluso qualsiasi altra causa di morte. Essa resta, quindi, una “diagnosi per esclusione”. Quando, nel 1963, fu riconosciuta come entità medica, la percentuale delle vittime della tragica sindrome era di 2-3 neonati su 1000 nascite vive nella maggioranza dei Paesi occidentali. La SIDS fece il suo ingresso in Occidente a seguito dell’introduzione di innovazioni nell’accudimento infantile mai applicate prima: il ricorso al latte artificiale o vaccino, il sonno in posizione prona e lontano dalla madre, in camere separate. Se a ciò si aggiunge il numero crescente di mamme fumatrici durante e dopo la gravidanza, si stava preparando una vera e propria epidemia di SIDS.


Oggi i ricercatori sanno che mettere a dormire i neonati a pancia in giù, in posizione prona, rappresenta il principale fattore di rischio della sindrome, seguito, al secondo posto e a poca distanza, dal fumo della madre sia prima che dopo la nascita. I dati mostrano anche che i bambini nutriti con latti formulati sono vittime sia della SIDS, come di altre malattie o anomalie congenite, in percentuale maggiore rispetto ai piccoli allattati al seno. Sappiamo inoltre che talvolta i bimbi che non condividono la camera con i genitori, ma che dormono da soli nella propria stanza, risultano due volte più esposti al rischio di morte improvvisa. È quanto emerge da recenti studi condotti in Gran Bretagna, Nuova Zelanda e diversi altri Paesi dell’Europa occidentale.

In molte culture asiatiche, dove sonno condiviso e allattamento al seno (oltre che un tasso ridotto di madri fumatrici) sono la norma, la SIDS è un fenomeno raro, o del quale non si è mai sentito parlare. Un neonato che dorme solo nella propria camera è un’immagine visibile solo da un secolo a questa parte e soltanto nelle società occidentali industrializzate. L’esaltazione, nella nostra cultura, di autonomia, individualismo e indipendenza ha contribuito a diffondere l’ideologia secondo cui i bambini dovrebbero dormire da soli. Senza evidenze evolutive a sostegno di siffatte conclusioni ci si è limitati ad affermare che la solitudine forzata nei bambini e nei lattanti determinasse automaticamente adulti sicuri e indipendenti senza problemi di sonno. Tali conclusioni ci hanno recato danno; tuttavia non è troppo tardi per tornare a praticare quanto considerato una norma dalle culture di tutto il mondo: il sonno condiviso.

Di notte con tuo figlio
Di notte con tuo figlio
James J. McKenna
La condivisione del sonno in famiglia.L’antropologo James J. McKenna descrive i vantaggi del sonno condiviso, riportando le più recenti evidenze scientifiche che ne evidenziato i potenziali benefici. In passato dormire insieme ai propri figli era la norma in quasi ogni epoca e cultura. Oggi invece, questa pratica è fonte di innumerevoli interrogativi e occasioni per colpevolizzarsi.Dove far dormire i bambini è un tema assai controverso nella cultura occidentale poiché risveglia questioni legate all’ideologia della promozione dell’indipendenza degli individui, bambini compresi.Il timore di condividere il letto con un bambino è altresì alimentato dallo stile di vita comunemente accettato dalla cultura occidentale, secondo cui si dovrebbe lavorare tutto il giorno, stare con la famiglia soltanto la sera o nel fine settimana e dormire da soli, profondamente e per tutta la notte. Il letto, poi, è anche sinonimo di sesso, per cui dormire con un bambino risulterebbe sospetto.Di notte con tuo figlio sviscera e smentisce ogni teoria scientifica a sostegno dell’inopportunità, se non addirittura della pericolosità o dell’immoralità, di questa abitudine. James J. McKenna sovverte queste credenze culturalmente accettate, agendo da uomo di scienza: i suoi studi sul sonno dimostrano il legame che si crea durante la notte tra figlio e genitore, attraverso tracciati dei mutamenti fisiologici registrati in entrambi i soggetti addormentati e con filmati della loro danza notturna. Legame che, come lui ha dimostrato, ha un fondamento biologico misurabile.L’autore raccomanda il sonno condiviso, purché in situazioni di assoluta sicurezza, e ne illustra le diverse modalità, avvalendosi delle più recenti evidenze scientifiche a sostegno dei potenziali benefici del sonno condiviso e tanti utili consigli per prevenire eventuali rischi e inconvenienti.Pronti a scoprire gli innumerevoli benefici di stare tutti insieme nel lettone? Conosci l’autore James J. McKenna, titolare della cattedra di Antropologia Edmund P. Joyce C.S.C., nonché Direttore del Mother-Baby Behavioral Sleep Laboratory (laboratorio di ricerca sul sonno materno infantile) dell’Università di Notre Dame, è tra le massime autorità in materia di allattamento al seno in relazione alla SIDS (Sindrome della morte in culla) e al sonno condiviso.I suoi interventi a conferenze e convegni medici sulla genitorialità sono molto richiesti in tutto il mondo.