Ecco perché ho tanto a cuore
questo tema

Non esiste il bambino in sé, ma soltanto il bambino e qualcun altro

D.H. Winnicott

Molti miei amici trovano divertente che io trascorra gran parte delle mie ore di veglia a studiare quello che si fa mentre si dorme. È vero: il comportamento delle persone – non delle persone in generale, ma in particolare delle famiglie – durante il sonno mi affascina. In qualità di Direttore del Laboratorio del sonno materno-infantile dell’Università di Notre Dame, mi occupo, tra le altre cose e insieme ai miei studenti, dello studio del sonno condiviso tra genitori e figli, di allattamento materno notturno e in modo particolare di condivisione del letto. Ricerca che non ha il mero scopo di raccogliere informazioni, ma quello di contribuire a un miglior sonno delle madri e dei loro bambini, a un maggior benessere fisico ed emotivo, e persino a salvare delle vite.


Parlando di genitori, le neomamme e i neopapà sono sommersi dai consigli contraddittori di parenti, amici ben intenzionati, medici, media, governi e, naturalmente, altri genitori. La stragrande maggioranza delle madri e dei padri desiderano dare il meglio di sé per il propri figli, ma è indubbio che un tale bombardamento di informazioni faccia sì che la saggezza e la capacità di prendere decisioni consapevoli risulti fuori dalla loro portata; come se qualcun altro sapesse esattamente cosa sia meglio per il loro piccino.


Dormire nello stesso letto, accanto al proprio bimbo e addormentarlo sulla schiena (il che agevola l’allattamento al seno) è tanto diffuso e universale che alla maggior parte dei genitori di tutto il mondo non verrebbe neppure in mente di chiedere dove dovrebbero dormire i loro figli, se siagiusto o no dormire insieme, in quale posizione far fare loro la nanna o come dovrebbero essere nutriti.


Con la nascita di nostro figlio Jeffrey, nel 1978, mia moglie Joanne ed io entrammo a far parte del mondo dei genitori. In ansia per le nuove responsabilità a cui eravamo chiamati, leggevamo libri su libri di puericultura. Entrambi antropologi, fummo tuttavia colti di sorpresa da quanto trovato in quel genere di letteratura. Leggendo i pareri degli esperti in materia di schemi alimentari e pratiche legate al sonno, andammo in confusione: o tutte le nostre ricerche e l’intera nostra formazione sugli aspetti universali della vita dell’uomo erano errate, o gli esperti in pediatria omettevano, o ignoravano, le informazioni di base.


Ci accorgemmo che in quei libri non solo non compariva nulla di quanto appreso rispetto alle pratiche del sonno dei primati, ma non trapelava neppure quanto svelato dalle più attuali ricerche neurobiologiche e psicologiche in merito alla biologia infantile e al ruolo del tocco materno nella crescita e nel benessere del bambino. Oltretutto ci rendemmo conto che le raccomandazioni sull’accudimento infantile non si basavano su alcuno studio empirico di laboratorio o sul campo che prendesse in esame i cuccioli d’uomo, e neppure su spunti transculturali sull’effettiva condotta di vita dei piccoli umani.


Al contrario esse si basavano su princìpi culturali di 70-80 anni prima, strettamente occidentali e storicamente innovativi, che riflettevano per lo più i valori sociali di medici maschi che non solo non avevano mai cambiato un pannolino, ma che neppure si erano mai avvicinati, o dedicati – in modo effettivo – ai propri figli piccoli. Si trattava, fondamentalmente, di uomini di mezz’età che preferivano definire i neonati in base a quanto loro avrebbero voluto che diventassero, e non a quanto fossero in realtà: creature minuscole in gran misura dipendenti dal punto di vista fisiologico, sociale e psicologico dalla figura di accudimento, a un livello e per un periodo di tempo senza pari rispetto agli altri mammiferi.


Più andavamo addentro alla questione, più scoprivamo che le conoscenze dominanti non avevano alcun fondamento scientifico. Scoperta che rivoluzionò la mia carriera.


La società occidentale esalta in modo massiccio il valore dell’autosufficienza del bambino, da raggiungere il più precocemente possibile. Questo aspetto storico della nostra cultura ci aiuta a comprendere perché, in assen-za di scienziati che si siano effettivamente adoperati a dimostrare se ciò fosse vero, si è dedotto che la separazione precoce del bambino dai genitori durante la notte fosse necessaria alla crescita di adulti felici, sicuri di sé, emotivamente equilibrati e indipendenti, oltre che al benessere di genitori ultra efficienti, ben felici di condurre una vita notturna lontano dai propri bambini. L’assenza di studi antropologici che sollevassero seri dubbi su tali princìpi ha favorito la divisione degli spazi adibiti al sonno così come l’allattamento artificiale controllato. Pediatri ed esperti di puericultura sostenevano, a torto, che ciò sviluppasse la capacità del bambino di consolarsi da solo, facendo sì che diventasse un adulto indipendente.

Negli anni Novanta, presso il Laboratorio sui disturbi del sonno della Irvine School of Medicine dell’Università della California, io e i colleghi Sarah Mosko, Chris Richards, Claibourne Dungy e Sean Drummond conducemmo la prima ricerca sulle differenze fisicologiche e comportamentali tra coppie madre-figlio che praticavano il sonno condiviso nello stesso letto o il sonno separato1. Due studi pilota e un terzo, più ampio, della durata di tre anni documentavano, per la prima volta, neonati allattati esclusivamente al seno che dormivano accanto alla madre (il che, da un punto di vista biologico, rappresenta i normali schemi del sonno dei piccoli d’uomo). Il nostro lavoro (finanziato dai National Institutes of Child Health and Human Development) era il primo ad analizzare in che modo le pratiche legate al sonno incidessero sulla fisiologia e sul comportamento notturni sia delle madri che dei loro bambini2. Gli studi sul comportamento notturno prose-guirono presso il Laboratorio del sonno materno-infantile dell’Università di Notre Dame, dove continuammo a dare dimostrazione tangibile delle speciali capacità di madri a basso e alto rischio di rispondere ai bisogni dei loro piccoli dormendo nello stesso letto.


Potrebbe sembrare che non accada granché durante il sonno di un neo-nato, e che il suo corpo necessiti semplicemente di riposo quotidiano. Non è così: durante il sonno ha luogo ogni genere di processo fisico e neurologico, tra cui lo sviluppo di interconnessioni tra nuove cellule. In questo lasso di tempo il cervello sceglie quante e quali cellule cerebrali (responsabili dello sviluppo intellettivo, emotivo e psicologico) conservare e quali, al contrario, “tagliare”. I giovani encefali dei neonati umani necessitano di ridurre la richiesta di nutrienti avanzata dalle cellule che appaiono poco utilizzate, in modo da indirizzare tali nutrienti alle cellule che lo sono di più.


Senza la stimolazione esercitata dal contatto e dalle interazioni madrebambino – tra cui gli scambi sensoriali notturni – le cellule cerebrali neonatali rischiano di essere perse per sempre. Ciò ha spinto diversi psicologi dell’età evolutiva a sostenere che i neonati sono assai più esposti alla minaccia di quanto non ricevuto, in termini di sollecitazione neurologica, che di quanto effettivamente ottenuto, poiché le cellule cerebrali “tagliate” non rispunteranno in fasi successive. Il contatto ridotto con il corpo della madre rischia di rendere l’impianto neurologico meno stabile ed efficiente, a scapito delle strutture deputate a creare le basi del rapido sviluppo delle competenze comunicative del bambino, dell’emotività, oltre che della capacità di regolare e di soddisfare con efficacia i propri bisogni3.

A generazioni di genitori è stato suggerito di mettere i figli a letto da soli, in un’altra stanza, così da favorire l’indipendenza dei bambini e l’intimità degli adulti. Retaggio culturale radicato nelle società occidentali così che madri e padri che dormono insieme ai propri figli sono spesso considerati dipendenti o inadeguati. Parlando di bimbi che, di notte, non dormono da soli o che non riescono a farlo, difficilmente si dice: “Che bravo bambino!”, per quanto questo tipo di contatto sia esattamente nell’interesse biologico del cucciolo d’uomo.


La buona notizia è che proprio di recente, per la prima volta, l’Accademia Americana di Pediatria (AAP) ha iniziato a raccomandare di far dor-mire i bambini “in prossimità” della madre nella stessa stanza. La cattiva notizia è che essa si schieri contro il sonno sulla stessa superficie, nello stesso letto. Ecco dove nasce la controversia.


Ed ecco perché ho scritto questo libro: desidero condividere con voi quanto io (e altri) abbiamo appreso; desidero che le famiglie sappiano quante cose accadono durante il sonno e la condivisione del letto, ivi compresa la comunicazione reciproca attraverso il tatto, l’olfatto, l’udito e il gusto. Comunicazione inconscia che è parte del processo attraverso cui la nostra specie ha sviluppato al massimo salute e sopravvivenza, e che rappresenta un aspetto intrinseco del modo attraverso cui i genitori esprimono e vivono l’amore tra loro e per i loro figli. Un neonato che dorma tutto solo, nella culla, fuori dalla supervisione e dal controllo della madre o del padre viene privato di questa fondamentale comunicazione ed è, come provato dagli studi scientifici, a rischio.


Quando si osserva la prevalenza della condivisione del sonno tra i mammiferi, e nelle diverse culture ed epoche della storia dell’uomo, diventa chiaro come tale pratica sia universale nel corso del tempo, e praticata ovunque nei modi più disparati. Il mio intuito mi suggeriva che un’usanza tanto comune doveva recare beneficio, ma solo grazie a uno studio scientifico lungo e rigoroso siamo riusciti a provare che era la verità. Condividere il sonno non solo è normale, diffuso e istintivo, ma può essere nell’interesse della famiglia se è una scelta volta alla salvaguardia e all’accudimento del neonato, se si dà priorità alla sicurezza e se ogni famiglia sceglie il sistema più adatto a sé.


Detto questo, non è possibile ignorare i diversi stili di vita dei singoli individui. Non vi è garanzia che quanto fatto per i nostri figli sia necessariamente svolto in modo sicuro. Lo stesso vale per la condivisione del sonno sotto forma di condivisione del letto; è vero che quest’ultima è una pratica che rischia di essere applicata in modo assai pericoloso. Condividere il letto è, in genere, un’abitudine più complessa e meno stabile del sonno in culla, e presenta sia vantaggi che svantaggi per i più piccoli. La questione è che dobbiamo educare le famiglie a rinunciare a condividere il letto laddove si riscontrino condizioni sfavorevoli. Non esistono soluzioni valide per tutti quando si parla di pratiche del sonno ed è fondamentale essere consapevoli dei potenziali rischi e di quanto è o non è possibile modificare. Quando i fattori di rischio tra le mura domestiche sono identificabili, è necessario raccomandare pratiche alternative alla condivisione del letto.


In verità non esistono luoghi adibiti al sonno del tutto privi di rischi, tuttavia il fatto che non si possano escludere al 100% i rischi legati alla condivisione del letto non dà motivo di sconsigliare in toto ogni forma di condivisione del letto più di quanto non ne dia di sconsigliare in toto ogni forma di sonno in culla (perché anche la culla presenta dei rischi). Per fare un esempio diverso, considerate le migliaia di morti (per soffocamento) che ogni anno sopravvengono durante i pasti, per quanto mangiare sia normale, diffuso e istintivo. Per ridurre i rischi non si consiglia agli adulti di smettere di mangiare, piuttosto li si invita a imparare la manovra di Heimlich, e ai genitori si insegnano le tecniche per la preparazione e l’assunzione dei cibi per i più piccoli.


Allo stesso modo invece di abolire gli accessori per il trasporto dei piccoli perché ogni anno molti di loro sono vittima della mancata osservanza, da parte di alcuni genitori, degli accorgimenti per ridurre i rischi in automobile, ci adoperiamo con grande impegno a imparare il corretto utilizzo del seggiolino auto e il sistema più idoneo ad accomodarvi i nostri bambini.


Questo libro si propone di fornire una prospettiva equilibrata, esauriente e olistica sul sonno condiviso e sulla condivisione del letto, in particolare durante l’allattamento. Si propone di offrire informazioni sulla sicurezza volte a rassicurare quelle famiglie che stanno valutando, o che hanno scelto, di dormire insieme ai loro figli. Godere di ogni attimo in compagnia del vostro bambino – che siate svegli o che dormiate – è importante, essendo il tempo che ci è concesso con loro assai ridotto. Mi auguro che questo libro vi permetta di sentirvi a vostro agio nello stringere, nel tenere in braccio e nell’ascoltare il vostro piccino, aiutandovi a fare le scelte più giuste per la sua crescita. So di non essere il solo a voler contribuire a far sì che voi e le vostre famiglie viviate appieno esperienze che porterete nel cuore per sempre.


Jim McKenna
Maggio 2007

Di notte con tuo figlio
Di notte con tuo figlio
James J. McKenna
La condivisione del sonno in famiglia.L’antropologo James J. McKenna descrive i vantaggi del sonno condiviso, riportando le più recenti evidenze scientifiche che ne evidenziato i potenziali benefici. In passato dormire insieme ai propri figli era la norma in quasi ogni epoca e cultura. Oggi invece, questa pratica è fonte di innumerevoli interrogativi e occasioni per colpevolizzarsi.Dove far dormire i bambini è un tema assai controverso nella cultura occidentale poiché risveglia questioni legate all’ideologia della promozione dell’indipendenza degli individui, bambini compresi.Il timore di condividere il letto con un bambino è altresì alimentato dallo stile di vita comunemente accettato dalla cultura occidentale, secondo cui si dovrebbe lavorare tutto il giorno, stare con la famiglia soltanto la sera o nel fine settimana e dormire da soli, profondamente e per tutta la notte. Il letto, poi, è anche sinonimo di sesso, per cui dormire con un bambino risulterebbe sospetto.Di notte con tuo figlio sviscera e smentisce ogni teoria scientifica a sostegno dell’inopportunità, se non addirittura della pericolosità o dell’immoralità, di questa abitudine. James J. McKenna sovverte queste credenze culturalmente accettate, agendo da uomo di scienza: i suoi studi sul sonno dimostrano il legame che si crea durante la notte tra figlio e genitore, attraverso tracciati dei mutamenti fisiologici registrati in entrambi i soggetti addormentati e con filmati della loro danza notturna. Legame che, come lui ha dimostrato, ha un fondamento biologico misurabile.L’autore raccomanda il sonno condiviso, purché in situazioni di assoluta sicurezza, e ne illustra le diverse modalità, avvalendosi delle più recenti evidenze scientifiche a sostegno dei potenziali benefici del sonno condiviso e tanti utili consigli per prevenire eventuali rischi e inconvenienti.Pronti a scoprire gli innumerevoli benefici di stare tutti insieme nel lettone? Conosci l’autore James J. McKenna, titolare della cattedra di Antropologia Edmund P. Joyce C.S.C., nonché Direttore del Mother-Baby Behavioral Sleep Laboratory (laboratorio di ricerca sul sonno materno infantile) dell’Università di Notre Dame, è tra le massime autorità in materia di allattamento al seno in relazione alla SIDS (Sindrome della morte in culla) e al sonno condiviso.I suoi interventi a conferenze e convegni medici sulla genitorialità sono molto richiesti in tutto il mondo.