Introduzione

Nel 1996 il poeta americano John Perry Barlow aveva avuto l’intuizione, poi sviluppata dallo scrittore Mark Prensky, di suddividere la popolazione in nativi e immigranti digitali: i primi sono i giovani nati dopo il 1982 e cresciuti in piena rivoluzione tecnologica, mentre i secondi sono gli adulti che hanno dovuto adattarsi alla tecnologia con alterne fortune.


Due neologismi capaci di cullare molti genitori nell’erronea convinzione di aver generato figli perfettamente equipaggiati per navigare in totale sicurezza nel mare magnum del web ma, come l’esperienza e le cronache ci hanno mostrato, i naufragi si sono susseguiti nel corso di questi anni.


Per affrontare le tempeste è mancata, e continua a mancare, un’adeguata digital competence, cioè la capacità di affrontare con competenza e spirito critico la potenza dello strumento digitale: una scialuppa di salvataggio che la scuola avrebbe dovuto fornire ai giovani, coordinandosi con la famiglia nello sforzo di educarli ai media.


Fra gli adulti, invece, continua a perdurare l’ingannevole convincimento che l’approccio dei digital kids con le tecnologie sia corretto e consapevole: si tratta di un’idea falsa e pericolosa che ha contribuito a deresponsabilizzare genitori e insegnanti dal ruolo di guide.


L’opinione pubblica ha preferito ravvisare nel demone digitale un comodo capro espiatorio che ha permesso di alleggerire le coscienze, assopite sotto la coltre del mito del nativo digitale.


L’emergenza del cyberbullismo incombe sulle nostre esistenze con una miscela esplosiva di paure, allarmismi, superficialità che non permette di ragionare in maniera lucida sul fenomeno che semplicemente rispecchia, talvolta amplificandola, la deriva del mondo reale dove si assiste a una società che sta sprofondando verso un baratro culturale e valoriale.


A partire dagli anni Settanta si iniziò a esaminare il fenomeno del bullismo, caratterizzato da un’aggressione fisica o psicologica, dalla sussistenza della ripetizione dell’azione e da uno squilibrio di potere fisico e sociale fra vittima e carnefice.


Ai nostri giorni i bulli possono passare dalla tradizionale modalità offline a quella online: ancora adesso il conflitto che un giovane deve imparare a gestire si manifesta in un luogo fisico, sia esso la scuola o la palestra, ma se non si risolve può trasferirsi nel mondo virtuale, che enfatizza la persecuzione nutrendola anche di anonimato.


Quello stesso anonimato capace di scatenare anche l’arroganza e l’aggressività degli adulti che si lasciano andare all’hate speech, cioè all’incitamento all’odio in grado di trasformare le parole in armi di intolleranza verso colui che si considera diverso.


Il problema del bullismo digitale nasce quindi fuori dal web, si genera a causa della complessità dei rapporti che sempre più spesso vengono affrontati con superficialità e scarsa attenzione da parte del mondo adulto, il quale preferisce addossare la colpa alla tecnologia piuttosto che assumersi la responsabilità di questo crescente analfabetismo emotivo.


Un analfabetismo emotivo che ostacola la gestione dei conflitti non solo da parte dei giovani, senza distinzione di genere se si pensa che il fenomeno del bullismo si declina anche al femminile, ma anche da parte degli adulti: nel libro si affrontano, infatti, gli episodi di aggressività di insegnanti ai danni degli studenti, sovente scaturiti dalla perdita di autorevolezza dei primi e dall’appoggio incondizionato dei genitori ai secondi.


Amanda, Carolina, Hannah, Nadia sono state le prime vittime di casi definiti ‘cyberbullismo’: ragazze come tante che online cercavano la propria identità, il consenso, l’appartenenza al gruppo, la risposta a sofferenze e a solitudini, mentre al contrario hanno trovato derisione e ferocia, una gogna mediatica che non sono riuscite a sopportare e le ha indotte a togliersi la vita.


La sfida per noi adulti, invece, è rappresentata dal provare a intercettare e decodificare quei segnali di disagio giovanile che online diventano visibili in quanto messi in scena attraverso il drama, una sorta di rappresentazione dei conflitti interpersonali che gli adolescenti faticano a gestire.


Accade sovente, accostandosi a un fenomeno che spaventa, di tentare di definirlo, circoscriverlo e, soprattutto, sanzionarlo. Si è puntualmente verificato anche nel caso del cyberbullismo con una serie di regolamenti, disegni di legge e dichiarazioni esaminati nelle pagine successive di questo testo.


Sarebbe, tuttavia, più incisivo un capillare intervento di sensibilizzazione e formazione di genitori, di insegnanti e di tutte quelle figure di riferimento per i giovani che operano nell’ambito di associazioni sportive o ricreative. Come un’azione importante, in ambito adolescenziale, è quella svolta dai coetanei attraverso la peer education: un’educazione e interazione fra pari utilizzata nella prevenzione di problemi connessi anche al consumo di alcool, tabacco e droghe.


Ma, soprattutto, sarebbe importante avere il coraggio di educare noi stessi e i giovani alla pausa, al fine di rintracciare il tempo necessario per costruire relazioni che permettano ai nostri figli di avere accanto qualcuno con cui meditare sui propri desideri, sulle proprie insicurezze, sulle proprie azioni; senza sentirsi soli.


Il dialogo con i nostri figli dovrebbe essere sostenuto da un ambiente famigliare affrancato dalla schiavitù della costante connessione, che caratterizza ormai l’homo-smartphonicus, un ambiente nel quale concedersi una pausa per alimentare le relazioni all’insegna della lentezza e del rispetto.

Il rispetto dovrebbe essere costantemente annoverato fra i princìpi educativi, insieme al senso di responsabilità per le proprie azioni e all’incoraggiamento a vivere con passione e impegno l’esistenza. Si tratta di capisaldi immutati nonostante l’avvento della tecnologia, poiché quello che accade su internet è il riflesso di quanto avviene nel mondo reale: non si può addossare la responsabilità allo specchio, non è lui che va riparato bensì la nostra società caratterizzata dall’assenza di regole e dall’impoverimento delle relazioni.


La famiglia, con il sostegno della scuola, dovrebbe aiutare i giovani a rispettare se stessi e gli altri, accettando le proprie e le altrui fragilità e accogliendo i rispettivi fallimenti; solo in questo modo le relazioni interpersonali che i nostri figli intrecciano online non rischiano di diventare trappole emotive nelle quali il soggetto più debole diventa la preda.

Cyberbullismo
Cyberbullismo
Ilaria Caprioglio
La complicata vita sociale dei nostri figli iperconnessi.Un’analisi del fenomeno del cyberbullismo, per aiutare i genitori a comprendere quali sono i rischi del web per il bambino e capire come affrontarli. Il fenomeno del cyberbullismo è in forte crescita nella complessa vita sociale dei giovani iperconnessi. A ciò contribuisce la complicità degli adulti che, illudendosi di avere figli perfettamente equipaggiati per affrontare il mondo del web senza rischi, non si preoccupano di fornire loro un’adeguata educazione ai media, capace di sviluppare il senso critico e la cultura del rispetto, indispensabili anche online. A partire dagli anni Settanta si iniziò a esaminare il fenomeno del bullismo (caratterizzato da un’aggressione fisica o psicologica che si ripete e da uno squilibrio di potere fisico e sociale tra vittima e carnefice), ma, ai nostri giorni, i bulli possono passare dalla tradizionale modalità offline a quella online, utilizzando canali digitali come social network e programmi di messaggistica.Il conflitto si manifesta in un luogo fisico, ma se non si risolve può trasferirsi nel mondo virtuale, che enfatizza la persecuzione, condita dall’anonimato. Il problema del bullismo digitale nasce quindi fuori dal web, si genera a causa della complessità dei rapporti che sempre più spesso vengono affrontati con superficialità e scarsa attenzione da parte del mondo adulto che non si assume la responsabilità di questo crescente analfabetismo emotivo. La sfida per noi genitori e educatori è provare a intercettare e decodificare quei segnali di disagio giovanile che online diventano visibili perché messi in scena attraverso il drama, una sorta di rappresentazione dei conflitti interpersonali che gli adolescenti faticano a gestire. Ilaria Caprioglio, nel suo libro Cyberbullismo, aiuta i genitori a comprendere quali siano i rischi del web per il bambino o per il ragazzo e suggerisce come affrontarli. Conosci l’autore Ilaria Caprioglio, avvocato e scrittrice, è sposata e madre di tre figli. Sostiene iniziative sociali rivolte ai giovani e promuove, nelle scuole italiane, progetti di sensibilizzazione sugli effetti della pressione mediatica e sulle insidie del web.È vice-presidente dell’associazione Mi nutro di vita e ideatrice della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla contro i disturbi del comportamento alimentare.