Introduzione

Una nostra giovane amica si era diplomata con voti eccellenti e intendeva andare al college per diventare ingegnere. Dopo il diploma, decise però di prendersi una pausa dagli studi accademici e per qualche tempo si dedicò a un lavoro in cui doveva occuparsi di bambini. In seguitò entrò all’università, ma gli studi l’annoiavano e la prospettiva di lavorare come ingegnere la deprimeva. Ricordando la gioia che aveva provato quando era impegnata con i bambini, abbandonò la facoltà di ingegneria e si dedicò a studi che le permettessero di prendersi cura dei piccoli, riuscendo più tardi a impiegarsi proprio in questo settore, dove lavora tuttora con grande soddisfazione. Tutti i suoi amici le dissero che era una follia rinunciare a una carriera rispettabile, prestigiosa e con meravigliose opportunità di crescita professionale, per un semplice lavoro con i bambini, mal pagato e scarsamente considerato.


Questa storia è davvero un esempio di quanto i valori della nostra cultura siano stati stravolti. Lavorare con i bambini è ancora una fonte di gioia per la nostra amica, così come lo è per i bambini e le loro famiglie; ha un effetto positivo sulla società e su tutti coloro che subiranno l’influsso dell’amore e della felicità di quei bambini quando cresceranno e avranno figli propri.


È già in atto una rivoluzione nella cura dei più piccoli, simile a quelle che si sono svolte con successo per i diritti umani, come nel caso del sessismo, del razzismo, del classismo, del colonialismo e di tutti gli altri attacchi alla parità e alla dignità umana. Tutte le ricchezze del mondo non potrebbero eguagliare il bene derivante dall’amore e dalla gioia infusi nella vita anche di un solo bambino.

I bambini sono persone

Prima di tutto un’avvertenza: questo libro è stato scritto da un uomo che, sebbene abbia avuto una lunga carriera come educatore e insegnante, creatore di comunità e autore, padre e nonno, non è mai “cresciuto” del tutto, e ora è un loquace vecchietto di ottantaquattro anni che, come molti del suo stampo, ama addentrarsi nei sentieri della memoria senza rimpianti, ripetendosi spesso (la ripetizione è necessaria all’insegnamento, ma bisogna anche dire che la sua memoria, di solito eccellente, non sempre è infallibile).


Ho riletto e rivisto il libro con piena coscienza, tuttavia ho deciso che la sua natura divagante e ripetitiva è il prezzo che dovrete pagare per tutte le preziose informazioni che contiene (come disse Bernard Shaw a proposito di una delle sue lettere a Mrs. Pat Campbell: “Se avessi avuto più tempo sarei stato più conciso”).


Ecco dunque un libro che parla di infanzia e accudimento, scritto dall’ennesimo esperto, autoproclamatosi tale. Ma attenzione, gli esperti partono spesso da una premessa, e anch’io ho la mia. Cercherò di esporvela in modo che possiate decidere come valutare ciò che ho da dirvi. È chiaro che i veri esperti in questa impresa del crescere i bambini sono solo due: uno è il genitore e l’altro è il bambino. Sono votato con tutto me stesso a stare dalla parte del bambino, e sono altrettanto deciso a restare al fianco di ogni genitore. Se non siete genitori, bensì insegnanti, counselor, educatori, o comunque vi occupate di bambini, vorrei incoraggiarvi a sentirvi sempre dalla parte di tutti i bambini e dei loro genitori.

I miei punti di partenza e di riferimento sono quelli che riguardano ciò che alcuni definiscono accudimento “naturale”, il genere di cure che si sono sviluppate nelle centinaia di migliaia di anni di socializzazione della nostra specie; non in ogni cultura, ma senz’altro in quella che mi è più familiare, la cultura tradizionale dei miei avi, i nativi del Nord America. Sono convinto della bontà di questo approccio per via della mia esperienza personale in molte comunità tradizionali delle Prime Nazioni1 americane, grazie ai racconti di prima mano di famiglie indigene che ho incontrato in altre parti del mondo, e grazie agli scritti di autori come Sonbofu Somé, Jean Liedloff, Bruce Chatwin, Laurens Van Der Post, e molti altri.

Le mie preferenze vanno nella direzione opposta rispetto a molti dei pregiudizi che invece sono all’opera in quasi tutte le culture odierne, e che, secondo il mio parere, sono la ragione principale del caos in cui versa il mondo. Uno dei preconcetti a cui mi oppongo è quello per cui si crede che i bambini, per quanto deliziosi, siano ignoranti e non possano imparare a meno di essere istruiti; fardelli estenuanti che si trasformano ben presto in piccoli mostri sventati, causa per noi della maggior fatica, confusione e fastidio possibili; destinati a diventare adolescenti scontrosi, risentiti e del tutto incomprensibili; dopo di che si spera che se ne vadano di casa e diventino il problema di qualcun altro.


Esistono altri pregiudizi che non condivido. Quello secondo cui i giovani oggi sono fuori controllo, peggiori che in qualsiasi altro momento, e vadano per questo lasciati a loro stessi, a imparare dai propri errori. O quello secondo cui i bambini vadano puniti quando si comportano male, perché è l’unico modo per tenerli in riga: “I miei genitori sono stati severi, del resto le regole vanno fatte rispettare e bisogna insistere, altrimenti i bambini prendono il sopravvento”.


Tutte queste idee traggono in realtà origine dal vecchio credo per cui la natura umana è fallace e, a meno che non la si controlli sin dall’inizio con minacce di punizioni o ricompense, diverrà folle d’egoismo, avida e crudele.


La mia premessa è l’esatto opposto: la natura umana è benigna, e quando un bambino soddisfa i propri bisogni di sicurezza e protezione, nutrimento, appartenenza e accettazione, apprezzamento e amore, allora non potrà far altro che amare, perché questa è la sua natura. La natura di un bambino è quella di voler essere come colui che se ne prende cura, e sarà collaborativo e sollecito se lo saremo anche noi. La sua natura è anche quella di voler imparare e dar vita a cose che lo rendano orgoglioso e soddisfatto.


Questo è ciò che credo, e la mia convinzione è convalidata dalla moltitudine di esperti che scrivono a proposito dei nuovi approcci educativi, nonché dalle molte ricerche che ne confermano l’efficacia. Ha contato moltissimo anche la mia esperienza personale di padre, educatore e maestro di tantissimi bambini, dalla nascita all’età adulta, così come la mia esperienza quarantennale di counselor, compreso l’ascolto di storie di abuso e abbandono infantile raccontate dai carcerati con cui ho lavorato per trent’anni.


Questi nuovi approcci hanno già determinato una grande differenza per la vita di bambini sparsi in diverse parti del mondo, ma le difficoltà e l’isolamento creati dalle moderne società hanno purtroppo quasi distrutto il sostegno che i genitori avevano un tempo dalla famiglia allargata e dalle comunità di appartenenza, ormai inesistenti. Il tema dell’aiuto ai genitori e a coloro che accudiscono i bambini è uno dei motivi che più mi hanno spinto a scrivere questo libro.


Aggiungo la mia voce al coro dei molti buoni libri sull’accudimento e l’educazione che già esistono (in bibliografia ne troverete alcuni fra i miei preferiti, anch’essi ricchi di riferimenti bibliografici), ma è una voce che vi parlerà anche del lavoro con le famiglie dei miei amici Tim Jackins, Patty Wipfler e Chuck Esser, ispiratori del lavoro che io e mia moglie stiamo facendo da decenni nei campi familiari. Il loro lavoro si sviluppa da cinquant’anni nell’organizzazione del Re-evaluation Counseling, ma merita che il grande pubblico lo conosca meglio.


Gli atteggiamenti e i comportamenti a cui faccio riferimento nel libro non sono di natura teorica o speculativa; si fondano sull’esperienza di tante persone che si sono occupate di infanzia, sulla mia stessa esperienza come insegnante, come genitore che ha cresciuto i suoi figli in una comunità dedita alla pratica di particolari scelte educative, come animatore e conduttore, insieme a mia moglie, di campi estivi per famiglie dove per quindici anni abbiamo applicato questi metodi, per non parlare della lettura di resoconti provenienti da tutto il mondo in cui si descrivono i successi ottenuti con atteggiamenti educativi siffatti.


Se non siete d’accordo con questo approccio, se vi comportate in modo diverso, non significa che siate cattivi genitori o cattivi educatori e che i vostri bambini siano infelici. Se li amate e seguite il vostro cuore, tutto andrà bene. Anche in tal caso, penso però che possiate trovare in questo libro spunti e idee utili e incoraggianti.


Il pensiero attuale, per fortuna, considera i bambini come persone; rispettare il loro corpo, la loro mente e le loro emozioni è quanto di meglio possa accadere a tutta la società nel suo complesso; trattarli con affetto, con tenerezza e comprensione è di enorme beneficio non solo per i bambini ma anche per gli adulti. La speranza è che una tale rivoluzione del pensiero com-porterà anche la liberazione dei genitori, che fanno il lavoro più importante del mondo ma di riconoscimenti e sostegno ne ricevono pochi o nessuno.


Se non vedete l’ora di conoscere alcuni dei metodi pratici che porteranno gioia nella vostra vita con i bambini, forse potreste saltare questa parte e affrontare subito il primo capitolo. Tornerete più tardi a scoprire quali erano le premesse e le ragioni di fondo del libro. Ma se siete curiosi di sapere come mai ho deciso di unire la mia voce al coro dell’ottima letteratura già in circolazione, allora vi consiglio di continuare a leggere.


Le idee che desidero proporvi potrebbero sembrare troppo ovvie ad alcuni, e troppo radicali ad altri. Spero che i primi comprendano che c’è sempre molto da imparare. Io stesso, per quanto sappia e scriva su questo argomento, ho ancora tanto da imparare, la pratica non è mai scontata o semplice, anche se più mi cimento nel vivo del gioco, più miglioro. Per i secondi… tutto ciò che posso dire è che il mondo che si offre oggi ai bambini non brilla certo per umanità. La violenza, la droga, la criminalità, l’avidità, il materialismo, l’egoismo, l’isolamento, la solitudine, l’apatia, non costituiscono un ambiente sano in cui crescere, per non parlare delle guerre, della povertà, della fame, dell’inquinamento, del degrado ambientale, dell’oppressione, degli abusi sessuali, e della pura cattiveria… non c’è bisogno di continuare. Vogliamo tutti un mondo migliore in cui far crescere i nostri figli, e possiamo offrirglielo.


Le idee e le pratiche descritte in questo libro funzionano. In questo preciso istante, gruppi di persone in giro per il mondo, molti dei quali conosco di persona, alcuni dei quali ho frequentato attivamente, lavorano insieme per creare il genere di villaggio necessario a crescere un bambino nel modo migliore che i nostri cuori e le nostre menti possano immaginare.


Per trentacinque anni ho condotto cerchi nelle prigioni degli Stati Uniti, offrendo consulenza e ascolto a uomini e donne che avevano commesso una vasta gamma di crimini, e posso assicurarvi che nessuno di loro aveva avuto un’infanzia decente. Erano stati tutti abusati o abbandonati, a volte entrambe le cose. Eppure erano nati tutti, come qualsiasi bambino che venga alla luce in questo mondo, con il desiderio di essere accuditi e amati con premurosa dedizione. Volevano esplorare e imparare, stabilire legami affettivi con gli altri, giocare, ridere, divertirsi. Avevano bisogno di sentirsi al sicuro, accuditi, compresi e apprezzati per quelle piccole creature meravigliose che sono. Tutti, nessuno escluso. Anelavano a sentire la propria appartenenza a questo mondo. Non è colpa loro se sono diventati dei criminali. Riteniamo che i crimini siano il frutto di una loro scelta, e come società tendiamo a biasimarli, ma non sono stati loro a scegliere quella strada. Piuttosto, sono stati abbandonati su quella strada da una società che non è stata in grado di prendersene cura, di rispondere ai loro bisogni e di guidarli come meritavano. Così come ha fallito nel guidare e accudire i loro genitori e le loro famiglie.


Come Alice Miller, credo che l’inizio del crimine, della violenza e di tutta la malvagità umana, sia nel modo in cui trattiamo i bambini. Per questo, una società che nel suo insieme impari a trattarli con totale rispetto, compassione e comprensione può porre fine a ogni cattiveria umana.


Sin dagli albori della civiltà gli adulti hanno biasimato i propri figli per il modo in cui reagivano quando li maltrattavano, così come gli insegnanti si sono lamentati degli allievi deludenti. Persino nella nostra epoca illuminata, nella maggior parte dei casi gli adulti si comportano come se i bambini fossero creature inferiori, men che umane, oppositive per natura, dispettose e cattive in modo deliberato, desiderose di frustrare e ostacolare le direttive degli adulti. Si dà la responsabilità alla fallacia della natura umana, che deve essere corretta, recisa, indirizzata e conformata alle norme ragionevoli e legittime degli adulti. Adulti che mancano di riconoscersi nei propri figli, di ricordare come si sentivano quando avevano la loro stessa età, come il mondo appariva loro o come venivano trattati dagli adulti. Si aspettano che i figli comprendano il mondo nel modo in cui lo vedono e lo descrivono gli adulti, e non si sforzano invece di vedere e capire come i bambini vedono quel mondo e le imposizioni dei grandi.


Tutti noi, in varia misura, proveniamo da famiglie disfunzionali. A ognuno di noi sono accadute cose durante l’infanzia che oggi non augureremmo a nessun bambino. Siamo stati feriti e nessuno poteva capirci, era impossibile anche solo gridare per chiedere aiuto, non avevamo neppure il permesso di piangere o mostrare la nostra pena. E all’improvviso eravamo come reietti, senza alcun potere, senza alleati o sostenitori, e abbiamo tenuto la nostra pena dentro al cuore. Abbiamo deciso che nulla poteva venirci in soccorso, sapevamo che dovevamo cavarcela da soli, sopravvivere senza aiuti, e a volte la nostra confusione ci ha indotti in errore.


A tutti può essere capitato di commettere azioni crudeli, immorali o persino illegali, di maltrattare qualcuno e di pentirsene, o di non pentirsene affatto. E non perché siamo cattivi o possediamo una vena di malvagità, ma perché da bambini siamo stati in qualche modo feriti e confusi. C’è stato un momento in cui non siamo stati del tutto rispettati, ascoltati, compresi, apprezzati e guidati con dolcezza. Agiamo sulla scorta del nostro dolore, della nostra indignazione e confusione.


Per quanto fossimo incoraggiati e sostenuti, da bambini è accaduto qualcosa che non augureremmo ai nostri figli, né ad alcun bambino. Ripensate alla vostra infanzia. Potreste aver rimosso i ricordi per poter andare avanti, eppure ci saranno stati dei momenti in cui non avete ricevuto alcun aiuto, momenti che vi hanno spaventati o fatti arrabbiare per le ingiustizie subite. Situazioni che considerereste ora inaccettabili per qualsiasi bambino.


I nostri genitori si sono sforzati di far bene, anch’essi senza sostegno e aiuti da parte della comunità e delle famiglie, con un lungo retaggio di equivoci e cattive informazioni sul modo di allevare queste meravigliose creature umane, e hanno fatto del loro meglio.

Gli esseri umani hanno bisogno dei loro simili

Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza ad altri esseri umani. Un bambino che cresca senza contatto umano non diventa umano (si pensi ai casi di bambini allevati da animali). Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede, all’inizio, un legame molto stretto con un solo genitore; in seguito, il legame si estenderà ad altri membri della famiglia e poi alla comunità, al clan, alla tribù, che possono fornire un aiuto prezioso per guidare e proteggere il piccolo nel corso dei due decenni che gli serviranno per diventare un vero e proprio adulto.


Quel gruppo, quella cerchia di persone, dovrebbero provvedere alla sicurezza e al nutrimento, ma anche al contatto fisico, al calore e all’intimità. Dovrebbero fornire stimoli e sfide, la libertà di esplorare e fare scoperte. Il bambino dovrebbe sentirsi compreso e avere l’opportunità di riflettere su se stesso, sulla sua intrinseca bontà e su quanto sia prezioso per la famiglia, la tribù e il mondo intero. Chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima, e offrire il necessario senso di appartenenza.


In epoche passate, tutti si nasceva in un cerchio simile, che non comprendeva solo la famiglia allargata, ma si estendeva anche al clan e alla tribù. È stato quando i nostri più antichi antenati si sono uniti per la prima volta con l’intento di proteggersi e provvedere gli uni agli altri che hanno imparato a cooperare, e cooperando a comunicare.


È significativo che quei primi uomini accudissero la prole tutti insieme, non solo come famiglia, ma come comunità. Ad altri animali non serve più di un anno per maturare e diventare autonomi, indipendenti dalle cure parentali. Il cervello umano è invece talmente complesso che richiede più di due decenni per giungere a maturazione. Gli anni necessari all’accudimento, fino al raggiungimento dell’età adulta, hanno influenzato gli atteggiamenti degli adulti verso i neonati inermi, i bambini piccoli curiosi e vivaci, i giovani con tanto da imparare; i comportamenti legati all’accudimento hanno inciso a loro volta su tutte le relazioni, inclusa la cura di coloro che non erano in grado di badare a se stessi, e i tributi di onore e affetto dovuti ai più anziani.


Oggi le persone vivono isolate, non hanno più un senso di appartenenza; per quanto lo desiderino e anelino a sentirsi parte di una nazione, una bandiera, un club, una scuola o una squadra di football, l’accettazione e il coinvolgimento che ne derivano sono minimi. Non hanno a disposizione un sistema di sostegno amorevole e attento, e combattono la vita da soli. Persino molte delle tribù che lottano per conservare le proprie tradizioni hanno ormai perso l’elemento umano essenziale del cerchio di pari che si aiutano l’un l’altro e si prendono cura dei bambini in modo collettivo, come una sola famiglia o comunità.


Gli anziani di molte Prime Nazioni del Nord America, che mi hanno elargito informazioni sul bisogno delle persone di aiutarsi e restare vicine le une alle altre, di crescere e vivere in un cerchio di amore e rispetto, sono ormai tutti morti, e io stesso sono un uomo anziano la cui voce non sarà udita ancora per molto in questo mondo. Per gli anziani che mi hanno affidato questo compito, per il mondo, per il futuro, per tutti i genitori e tutti i bambini, ovunque essi siano, devo scrivere questo libro, la summa più importante di tutto il lavoro che mi è stato affidato mezzo secolo fa.


La mia grande speranza è per i nostri figli e i loro figli, e le generazioni a venire (gli anziani ci hanno abituati a pensare alle conseguenze delle nostre azioni per un periodo di almeno sette generazioni a partire dalla nostra); tutto ciò che facciamo è per loro, non per noi, né per i nostri genitori, non per i terapisti o le autorità, né per le regole o le norme delle società, delle religioni, delle nazioni, delle culture o delle teorie, ma solo per i nostri figli, uniche, speciali, meravigliose piccole persone che sono e che diventeranno.


Erano già molti anni che avevo in mente di scrivere questo libro. All’inizio doveva intitolarsi Allevare i bambini con gioia, poi lessi il pensiero di Ashley Montague secondo il quale la parola “allevare” indica che ci sentiamo superiori, come se i figli fossero creature inferiori rispetto a noi e avessero bisogno di essere innalzati al nostro livello. Per questo ho deciso di cambiare e di inserire la parola “cura”. Inoltre, ho creduto che i lettori potessero reagire pensando: “allevare con gioia? Sta scherzando? Che razza di assurdo sentimentalismo è mai questo?” Prendersi cura dei bambini è un compito esigente, sfiancante, un vero lavoro a tempo pieno! Dalla gravidanza e, più o meno, per i vent’anni successivi, la nostra realizzazione personale è messa da parte per soddisfare i bisogni di un altro essere, finché non lascerà la protezione del nido e avrà il pieno controllo del proprio destino.


Per quanto mi riguarda, trovo che la gioia sia presente in tutto il cosmo. I miei vecchi parlavano dello spirito che canta attraverso la Creazione, e della creatività che gioca senza posa nell’universo e in ogni storia: la Canzone della Creazione. È un’idea che amo. I bambini sono intenti a giocare, è il loro lavoro. E da bambino ricordo di essermi sentito molto a casa in un universo la cui essenza era il gioco.


Non è un’idea nuova, non compare per la prima volta in questo libro. Di recente sono stati pubblicati molti ottimi libri che puntano l’attenzione sullo sviluppo di una gratificante e profonda relazione fra adulti e bambini, nella quale siano entrambi onorati e rispettati, e attraverso la quale possano entrambi crescere e imparare. Sono libri che si fondano sul primato del legame affettivo, sull’attenzione, la consapevolezza e la compassione. Ne troverete una lista in bibliografia.

Perché questo libro?

Cosa ho da aggiungere alla crescente letteratura che essa già non offra? Il discorso a cui voglio dar voce, e che non trova molto riscontro in altri libri, è al centro della mia visione del mondo, che a sua volta è il dono decisivo di tutta la mia vita, informa il mio pensiero, i miei scritti e le mie parole, e cerco di dargli respiro in tutto il mio lavoro, nelle consulenze e nel mio ruolo di educatore.


Quando affronto il tema di come creare una comunità di sostegno per i genitori ho da offrire tutti i valori delle comunità native americane. Ho trascorso tantissimi anni ad ascoltare gli anziani che parlavano dei valori all’opera nelle loro vecchie comunità tradizionali, ho parlato con molti genitori e nonni che raccontavano la vita delle comunità tradizionali nelle quali erano cresciuti.


Nei cerchi tribali del passato, fra loro strettamente intrecciati, tutti gli adulti si sentivano legati a tutti i bambini, come un’unica famiglia. Ogni nuovo nato era motivo di celebrazione e di orgoglio per tutta la comunità e gli si assicurava per il resto della vita un profondo senso di appartenenza; sarebbe stato accudito e protetto come bambino, come adulto e come anziano, sempre benvoluto.


Per le madri e i padri, che non si prendevano cura dei figli da soli, come invece avviene per i genitori odierni, la vita era molto più semplice. Tutti i clan partecipavano all’istruzione del bambino e le altre madri, zie, zii del clan di appartenenza erano a portata di mano per guidare e aiutare il piccolo a sentirsi un membro amato e onorato della comunità. Il noto assioma “serve un villaggio per crescere un bambino” può essere capito se ci si riferisce a un contesto simile.


Nelle società contemporanee siamo ormai lontanissimi da quei valori. Famiglie estese che vivono vicine e si aiutano a vicenda sono una rarità, esiste meno del cinquanta per cento di probabilità che un nucleo familiare resti intatto per crescere i figli fino all’età adulta, e c’è poco senso comunitario ovunque. Allora come potremmo tornare a quei valori umani in cui i genitori sono integrati e sostenuti all’interno di una comunità premurosa e amorevole?

È il problema che ci sforziamo di affrontare durante i campi estivi e i seminari con le famiglie, dove utilizziamo strumenti come “l’ascolto empatico”, “i momenti di gioco”, “i momenti speciali”, il problem solving comunitario, celebrazioni, cerimonie e altri di cui parlerò nel libro. Il termine che comprende tutte queste cose è “La Via del cerchio”. Usando la Via del cerchio nei nostri campi estivi e nei seminari avviciniamo le persone, contrastiamo l’isolamento e la competitività della società per sperimentare una profonda unione, la creazione consapevole di una comunità umana autentica in cui tutti ricevono cure, sostegno e apprezzamento, in cui la gioia di lavorare, giocare, creare insieme è arricchita dal senso di appartenenza.


È questo l’obiettivo che affronteremo nell’ultimo capitolo, come iniziare subito a far incontrare i genitori per darsi aiuto reciproco e creare quel “villaggio” indispensabile alla crescita dei figli, come iniziare a vivere nella Via del cerchio.


Il dono che mi è stato fatto da tanti anziani delle Prime Nazioni nordamericane, eredi delle antiche tradizioni di questo continente, la saggezza proviente dai loro insegnamenti, dalle pratiche di molti della nostra gente che sono ancora fedeli ai modi antichi in regioni remote dell’America, io li ho ritrovati in molte popolazioni indigene che onorano la Via del cerchio in Africa, Asia, Australia e nel Pacifico.


Sono società che vivono in modo semplice, ancorate all’amore e al legame che unisce gli individui fra loro e alla Terra, fondate sulla compassione e sulla gioia per ogni aspetto della vita, in cui i bambini sono messi al centro e sempre presenti.

La Via del cerchio

Chiamiamo il nostro contributo speciale la Via del cerchio. Deriva dagli insegnamenti dei nativi più anziani sulla necessità per gli esseri umani di vivere in cerchi in cui ognuno sia considerato un essere sacro, importante e prezioso per la comunità al pari di tutti gli altri. Nella Via del cerchio si concretizzano i princìpi grazie ai quali la nostra umanità ha preso forma nelle centinaia di migliaia di anni di vita comunitaria in contesti egualitari. Gli individui hanno imparato a proteggersi, sostenersi, a cooperare fra loro, e così è nato il linguaggio e si sono sviluppati il pensiero e la natura umana.


La Via del cerchio segue i dettami della natura. In tal modo la controversia che oppone natura a cultura non è utile poiché la cultura o l’apprendimento sono un’espressione naturale e la natura produce cultura ed è fonte di apprendimento. Questioni analoghe non sarebbero applicate a nessuna altra specie. Solo in alcune culture umane, come quelle dominanti nelle quali viviamo, l’accudimento e l’educazione dei figli diventano innaturali per le madri.


L’universo vuole la nostra riuscita, la selezione naturale desidera che la prole sia quantomai sana e forte. La salute e la forza non sono solo quelle fisiche, ma anche quelle mentali, emotive e spirituali. Gli individui consapevoli, curiosi, dal pensiero lucido, che siano anche equilibrati, creativi e felici, sono senz’altro più forti e sani.


Gli esseri umani si rafforzano e accrescono le proprie qualità attraverso la cooperazione; lavorando, imparando, giocando, pensando insieme, e sviluppando l’empatia e la compassione.


Sono tutte qualità già presenti alla nascita, che cerchiamo di esaltare in ogni bambino, perché sia fedele alla propria natura e cresca sano e felice, perpetuando così il genere umano.


Abbiamo imparato molto su come alimentare queste qualità, e molta della letteratura recente ne è il riflesso. Meno compresa e considerata è invece l’antica sapienza contenuta nel motto per cui serve un intero villaggio per crescere un bambino.


Il genere di villaggio in cui si viva uno strettissimo senso comunitario, e in cui tutti i membri siano considerati genitori o parenti responsabili per ciascun bambino, non è facile da realizzare e non è neppure considerato possibile dalla maggior parte della gente. Il mio ultimo libro, Have You Lost Your Tribe?, descrive molte comunità in tutto il mondo che esplorano questi stili di vita e offrono spunti alle persone desiderose di dar vita a una comunità o un ecovillaggio di questo tipo. Qui vorrei approfondire il motivo per cui comunità incentrate sulla relazione con i bambini siano la cosa migliore, non solo per i bambini stessi, ma anche per i genitori, per tutti gli altri membri della comunità e per la creazione di una società nuova e più umana. Il mio intento è quello di offrire suggerimenti perché possiate iniziare subito a muovervi in questa direzione. Gli oppositori sconsiderati di Hillary Rodham-Clinton hanno tentato di ridicolizzarla per aver proposto questa nozione delle società indigene: “Serve un villaggio per crescere un bambino”, ma il pensiero è poi entrato nella coscienza nazionale e la maggior parte delle persone ne sono perlomeno al corrente. Tuttavia la gente pensa; “Be’, io non ho un villaggio siffatto, perciò ormai è impossibile”. Eppure potrebbe non essere tanto difficile quanto si crede.


Desidero esplorare con voi la possibilità di dar vita a un villaggio di questo genere, e questo potrebbe incoraggiarvi, spingervi a desiderare di essere voi stessi gli iniziatori di un simile progetto comunitario. Esistono già dei modelli di riferimento, molte migliaia di persone sono coinvolte nello sviluppo di comunità, e credo che siano iniziative cruciali per la sopravvivenza e l’evolversi della vita umana su questo pianeta.


Negli ultimi trent’anni mia moglie Ellika Lindén e io abbiamo tenuto seminari, realizzato campi, inclusi, ogni anno, campi estivi in Europa dedicati alle famiglie, creando un sostegno per genitori, bambini di tutte le età, e i loro alleati.

Ellika è scrittrice, regista di teatro per bambini e co-counselor. La spinta e l’incoraggiamento a scrivere questo libro sono venuti da Elena Balsamo, pediatra italiana, autrice di libri sull’infanzia, con una sua visione di villaggio dedicato ai bambini e di famiglie che vivono in cerchio prendendosi cura dei figli in modo collettivo, proprio come nelle nostre antiche tribù. Dopo aver letto alcuni dei miei scritti, ha chiesto a Ellika e a me di condurre un campo per genitori e seguaci del suo sogno2. In appendice troverete una sua riflessione sui passi per trasformare un sogno in realtà. Quella settimana di campo è stata meravigliosa e ha suscitato il desiderio, da parte dell’editore di Elena, di far nascere un libro sul nostro lavoro. Eccolo.


Vorrei iniziare condividendo con voi una delle storie del mio popolo che preferisco, a cui ho aggiunto una coloritura personale.

Crescere insieme nella gioia
Crescere insieme nella gioia
Manitonquat (Medicine Story)
Prendersi cura dei bambini nella via del cerchio.Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, ci insegna a trasformare la vita quotidiana con i bambini in un’avventura consapevole e gioiosa. Crescere insieme nella gioia è un progetto meraviglioso che per noi genitori del ventunesimo secolo è difficile anche solo immaginare, ma si può realizzare. Significa vivere con piena consapevolezza il nostro coinvolgimento con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento; quando siamo con i bambini, in una sintonia profonda, loro ci rendono partecipi del loro coinvolgimento, ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e l’esperienza può essere condivisa a tutto tondo. Presi dal vortice frenetico delle preoccupazioni, dei ritmi di lavoro e delle esigenze familiari, non siamo neppure consapevoli dell’immensa solitudine che ci circonda, dell’incredibile e innaturale condizione dell’essere adulti del tutto soli (o quasi) a mandare avanti una serie di compiti che richiederebbe invece la presenza di un’intera tribù di persone, le quali, un tempo, sentivano l’urgenza di legarsi, di stare vicine, di cooperare e di unirsi in entità più grandi. Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza dei loro simili.Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede quindi legami che forniscono un aiuto prezioso per guidare e proteggere il bambino fino alla sua trasformazione in un vero e proprio adulto; chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima e offrire il necessario senso di appartenenza. Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, con la sua esperienza quarantennale a contatto con i bambini e le loro famiglie, ci illustra un bellissimo percorso alla scoperta dei tanti strumenti a nostra disposizione per trasformare la vita quotidiana con i bambini e i ragazzi in un’avventura divertente, consapevole, gioiosa; offre ai genitori aiuti preziosi per prendersi innanzitutto cura di loro stessi, per guarire le proprie antiche ferite e guardare alla relazione con i più giovani da una prospettiva nuova, pervasa da un profondo sentimento di rispetto e di amore incondizionato. Conosci l’autore Manitonquat, il cui nome tradotto in inglese è Medicine Story (la storia che cura), è narratore, poeta e guida spirituale della nazione nativa americana Wampanoag. Svolge attività di insegnante e formatore sui temi della pace e della non violenza, della giustizia, dell’ambiente e della presa di coscienza per una società più giusta.Negli Stati Uniti è responsabile di un programma di sostegno per nativi nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri e articoli.