capitolo iv

Sicurezza emotiva

Condividete la vita con un figlio che sia gentile, attivo e collaborativo non perché vi teme ma perché desidera esserlo di sua spontanea volontà

I figli possono affrancarsi dallo stress e conservare il proprio benessere emotivo solo se sono del tutto liberi di esprimersi. La sicurezza emotiva è dunque in stretta relazione con il bisogno di libertà e di espressione. Ci si sente al sicuro quando le nostre manifestazioni emotive vengono accolte con gentilezza e rispetto, quando si osserva la vulnerabilità anche nei propri genitori e si vede che altre persone attorno a noi si esprimono senza remore o timori.


Un bambino raccoglie indizi e informazioni dall’esperienza: potrà sbagliare in tutta sicurezza o verrà umiliato? Potrà piangere accanto a voi che lo ascoltate o verrà deriso? Potrà raccontarvi le sue paure più intime e trovare un ascoltatore comprensivo? Le altre persone a cui vi relazionate sono libere di esprimersi e commettere errori? Un bambino che deve guardarsi dal fare la cosa “sbagliata” non si sente abbastanza al sicuro e non si esprimerà per paura che i genitori lo giudichino, lo deridano, gli diano consigli o tentino di cambiare le sue idee. Non può esprimersi con autenticità se non è certo di ricevere un amore incondizionato.


Il nostro obiettivo non è crescere un bambino che non abbia paura (cosa impossibile e rischiosa), quanto piuttosto essere certi che il naturale carico di ansie trovi sbocco e non infici l’equilibrio emotivo. Uno stato di ansia perenne compromette la capacità di pensare, imparare, confrontarsi e svilupparsi. La casa è il luogo in cui sentirsi al sicuro e sfogare le emozioni con l’ascolto attento di genitori o altre persone care. I bambini sono in grado di lasciar andare le sofferenze piuttosto in fretta, senza crogiolarsi o reprimere il dolore.

Per quanto ci sforziamo, i bambini vivranno sempre con un certo grado di intimidazione, che è naturale per creature piccole, inesperte di ciò che vuol dire essere umani (almeno per quanto ne sappiamo), e dipendenti per la sopravvivenza da persone più grandi. Il genitore è dunque rifugio e protezione, alla sua difesa ci si affida finché non si è cresciuti abbastanza. Siate perciò alleati fidati dei vostri figli, per il benessere emotivo loro e vostro. Devono poter sapere che apprezzate i loro sentimenti, le loro scelte e i loro pensieri. Durante una consulenza, un padre mi raccontò come aveva offerto al figlio un ascolto protetto:


Al parco, Herbie, cinque anni, va sullo scivolo da solo quando a un certo punto arrivano altri due bambini. Gli si avvicinano mentre è seduto in fondo allo scivolo e sta per alzarsi. “Vuoi venire sulla giostra con noi?”, gli chiede uno dei due.


Herbie li guarda in silenzio e non si muove. Poi va dal padre, Robert, e affonda la faccia nel suo cappotto.


Uno dei due bambini chiede al padre: “Perché non parla?”

“Credo che voglia giocare da solo”, risponde Robert.


I due se ne vanno. Il padre accarezza Herbie e gli dice: “Vuoi continuare a fare lo scivolo ora?”


“Voglio andare a casa!”, risponde Herbie.

“Andiamo!”, dice Robert. Si alza e, mano nella mano, si avviano.

“Ti piace avere il parco tutto per te?”, chiede Robert cercando di indovinare le preferenze del figlio.

“Sì!”

“E vorresti che gli altri bambini non ti parlassero?”

“Mm-mm”

“Sì, capisco come ti senti, anch’io spesso preferisco fare le cose per conto mio!”

“A Betsy piace giocare con gli altri bambini!”, dice Herbie, riferendosi alla sorella maggiore.


“Sì, lo so, tu sei più come me. Da bambino spesso preferivo giocare da solo e non volevo parlare agli altri bambini. È bello poter fare quello che uno si sente di fare!”

“Papà?”

“Sì Herbie?”

“Sai cosa sento di voler fare adesso?”

“Cosa?”

“Andare a casa e mangiarmi il resto della pizza!”


Il papà non ha mai cercato di far cambiare idea al figlio, di convincerlo o di sottintendere che la sua scelta non fosse buona. Rispettandolo appieno e condividendo con lui delle informazioni confortanti, il padre di Herbie ha creato per il figlio una sicurezza emotiva e un legame sincero. Con una simile promessa di confidenza, un bambino può crescere fiducioso in se stesso e mostrare la propria vulnerabilità al padre. L’obiettivo è quello di stabilire una relazione in cui vostro figlio non veda l’ora di condividere i suoi sentimenti e pensieri perché ha fiducia nella vostra promessa d’amore incondizionato.


Qualsiasi dubbio che si insinui nel bambino, in merito alla possibilità di ottenere un appoggio incondizionato, frena la sua capacità di relazionarsi a voi. Potrebbe rispondere senza autenticità per non provocare la vostra rabbia o le critiche. Forse si rifiuterà di dirvi come si sente perché l’ultima volta che ha tentato eravate troppo occupati e non avete prestato attenzione, oppure eravate più interessati a dare consigli che ad ascoltare. O ancora, magari si adegua in fretta alle vostre richieste, non perché gli piaccia aiutarvi e seguire le istruzioni che gli date, ma perché non osa affermare se stesso. Alla fine, questo genere di reazioni derubano il bambino della sua capacità di conoscersi e fidarsi dei propri sentimenti, inficiando la sua abilità di pensare e creare relazioni.


Molte persone riconoscono questa inautenticità anni dopo, da adulti. Nel corso di una consulenza, una madre mi raccontò della sua spinta a essere la studentessa migliore: “Non avevo scelta, dovevo essere la più brava e fingevo che la cosa mi piacesse. Ma nell’intimo mi sentivo indifesa e temevo che se fossi stata men che bravissima non sarei stata degna di essere amata e apprezzata!”


Un’altra mamma mi confessò che spesso fingeva di essere d’accordo con il padre per conquistare i suoi favori in competizione con la sorella: “Mio padre suggeriva una soluzione per i nostri litigi e io l’accettavo, anche se ero furente e desiderosa che la cosa avesse un esito diverso!”. I figli desiderano talmente la nostra approvazione che qualsiasi gesto del genitore che non sia più che amorevole e rispettoso genera il dubbio. Non solo devono avere completa fiducia nel fatto che li amiamo e li rispettiamo, ma anche sapere che apprezziamo le loro manifestazioni di disagio quando siamo critici o infastiditi. L’ideale del bambino che viene cresciuto sperimentando e osservando nient’altro che gentilezza non rientra nell’esperienza umana normale. Per quanto desideriate trattare vostro figlio nel migliore dei modi, siate pronti ad accogliere anche la vostra e la sua fallibilità. Siate onesti e permettete a vostro figlio di esprimere i suoi sentimenti in tutta sicurezza; riconoscere i modi in cui potreste intimidirlo, vi aiuterà a ristabilire la fiducia se questa dovesse diminuire.


Come già sottolineato, la negazione o il giudizio dei sentimenti dei bambini, o delle loro scelte, è per loro una fra le principali cause di ansia. Se un bambino si vergogna di ciò che ha fatto o detto, potrebbe chiudersi e fingere di essere come voi volete che sia. Il suo atteggiamento compiacente potrebbe ingannarvi e sareste ignari delle eventuali difficoltà, finché queste non si trasformerebbero in problemi più grandi.


Un ulteriore strumento di intimidazione e vergogna sono gli insulti ammantati di umorismo. Commenti a cuor leggero a spese del bambino erigono un muro di sfiducia. È molto probabile che il bambino ferito finga di essere contento e di stare allo scherzo, ma dentro di sé si sente morire. Ricordo la storia di Joseph e di suo nonno:


Joseph, sei anni, mangia la sua cena con soddisfazione sonora, masticando a bocca aperta.


“Ehi Joseph, capisco che stai mangiando anche se tengo gli occhi chiusi, e quando li apro riesco a contare i tuoi denti!” dice Ted, suo nonno, ridendo.

Joseph non dice una parola.


Il padre Sam, volendo aiutarlo a non sentirsi ferito, gli dice: “Non sono sicuro di come tu l’abbia presa, vuoi dire qualcosa su questo commento?”


“Già, che ne pensi della mia battuta?” chiede nonno Ted.

Senza alzare lo sguardo Joseph risponde: “Oh, era divertente!”

Più tardi, durante una seduta, Joseph confessa: “Faccio finta che quelle battute mi piacciano ma le odio! Mi fanno star male, mi prende in giro e dice che sono umoristiche!”


“Perché non dici al nonno come ti senti?”, chiede il padre.

“Ho paura che si arrabbi o litighi con te, papà!”, risponde Joseph, “Lui pensa che queste battute siano divertenti!”


Il modo più semplice che un bambino ha per mettere fine a un incontro spiacevole è far finta di apprezzare tutto quello che diverte l’adulto. Lo svilimento ammantato di umorismo è già abbastanza doloroso e far finta di accettarlo come una “battuta” salva il bambino da ulteriori insulti. Tuttavia, quando è intimidito, un bambino non può più sentire il nostro amore. Sarà confuso se la persona che lo ama di più è anche quella con cui non si sente sicuro di condividere i suoi veri sentimenti. Col tempo, potrebbe concludere che: “Dev’esserci qualcosa che non va in me, non riesco a essere come vogliono!”, una conversazione interiore che ostacola l’autostima.


Non dobbiamo temere di commettere errori mentre ci sforziamo di creare un ambiente in cui il bambino possa sentirsi al sicuro. Se il nostro comportamento è dominato dalla paura, il bambino assorbirà la nostra ansia, il che alimenterà il dubbio sul proprio valore. Essere troppo preoccupati della sensibilità dei bambini non tiene in giusto conto della loro capacità emotiva di accettare la realtà umana, di sopportare il dolore, di perdonare, e di commettere i propri errori. Finché riescono a esprimere le emozioni appieno, con la presenza attenta del genitore, i bambini sono in grado di gestire le situazioni difficili. In realtà, l’incontro con un genitore “imperfetto” può rivelarsi un’opportunità di crescita, ammesso che non ci siano abusi o errori continui, che il genitore riconosca la propria fallibilità nelle situazioni difficili, avvalori i sentimenti del bambino ferito e faccia ammenda.

Sentimenti dei genitori e senso di sicurezza nel bambino

La libertà di espressione non è identica per un bambino e per un genitore. Voi dovete essere premurosi, ascoltatori attenti e gentili con un figlio, in qualsiasi modo si esprima, ma egli non può fare lo stesso con voi; i vostri sentimenti intensi possono spaventarlo, inoltre egli prende in modo personale le vostre emozioni. Un bambino non è pronto a farsi carico del vostro disagio. Non è né un genitore, né un terapeuta; non può assorbire le esplosioni di rabbia o avvalorare i sentimenti di un genitore ferito. Perciò, risparmiate le emozioni che potrebbero spaventare o ferire vostro figlio e offritele poi alle orecchie attente di un altro adulto, desideroso e capace di aiutarvi.


Potreste parlare a vostro figlio di sentimenti che non hanno il potere di spaventarlo o gravarlo del loro peso. Assicuratevi che in quel momento non nutra pensieri o sentimenti allarmanti. Altra condizione per manifestare i vostri sentimenti è che non contengano biasimo o giudizi verso altre persone. In altre parole, concentratevi su voi stessi anziché sulle mancanze degli altri. “Mi fa infuriare quando la gonna mi si stropiccia tutta!” non è una minaccia per nessuno. Invece: “Sento che non gli importa nulla dei miei vestiti!” fa temere a vostro figlio di poter essere biasimato la volta successiva. Inoltre, evitare il biasimo non solo fa sentire il bambino al sicuro ma gli trasmette il dono di poter essere la fonte dei propri sentimenti, ossia una persona padrona della sua vita e non una vittima.


Se siete cresciuti in una famiglia in cui non vi sentivate tranquilli nell’esprimere pensieri e desideri sinceri, forse per voi è difficile creare un ambiente familiare nel quale i vostri figli si sentano sicuri. La ragione è che nel momento in cui vostro figlio esprime dei sentimenti intensi, scattano di nuovo le paure che avevate in passato quando eravate voi a dovervi esprimere, che ne siate o no consapevoli. È naturale che non vogliate far riaffiorare le vecchie sofferenze, e per questo magari vi trovate a impedire che vostro figlio si esprima a sua volta.


Eppure, sarà necessario decidere di provare un certo disagio se volete passare dalla negazione all’espressione libera e vitale. Non possiamo permetterci di impedire le manifestazioni dei figli per proteggerci dal malessere che ne deriva. Usiamo piuttosto la formula S.A.L.V.E. quando le esternazioni dei bambini ci disturbano: fermiamoci, notiamo la reazione imminente, facciamola esplodere in silenzio nella nostra mente (se ce n’è il tempo, altrimenti più tardi), e poi concentriamoci sul bambino e ascoltiamolo. Avvaloriamo le sue percezioni e facciamolo sentire capace, dandogli fiducia e rinunciando a voler subito sistemare le cose.


In un secondo momento potremo scrivere i pensieri che ci avrebbero fatto reagire male, investigarne la validità, la rilevanza, come ci sentiremmo senza di loro e in che modo ci riguardano. Possiamo farlo sia scrivendo per conto nostro, sia insieme a un adulto che ci ascolti e ci aiuti a fare chiarezza e a prendere coscienza. Eviteremo così di reagire in modi che spaventano inutilmente i nostri figli. Creare un ambiente familiare sicuro dà a ciascuno l’opportunità di stabilire una relazione profonda senza ferirsi a vicenda, e nel caso in cui dovesse prodursi una ferita, di parlarne apertamente. In realtà, crescere i nostri figli può davvero accelerare anche la nostra crescita personale.


Alcuni genitori mi dicono che i figli sono in grado di ascoltare le loro manifestazioni emotive dolorose ed essere premurosi, tuttavia un bambino che si assuma questo ruolo potrebbe sentirsi impaurito e colpevole. Forse si spaventa perché vede che l’adulto non sa gestire le situazioni difficili, o magari pensa di essere la causa dello sconvolgimento del genitore, e ne è mortificato. Anche se non dobbiamo dissimulare la tristezza o la gioia, un bambino ha paura quando deve sostenere il ruolo del consolatore, affrontare un genitore che minacci di continuo di far esplodere il proprio malessere, o aiutarne uno bisognoso, che esprima la propria debolezza e incapacità a far fronte al proprio ruolo genitoriale. Per sentirsi al sicuro, e aver fiducia in noi, deve fare affidamento sulla nostra capacità di rispettare i suoi limiti emotivi. Crescendo e maturando, un bambino che è stato libero di esprimersi svilupperà gradualmente la capacità di essere un ascoltatore premuroso.

Riconoscere i comportamenti fondati sulla paura

Molti bambini, quando si sentono anche solo leggermente a rischio nelle loro relazioni quotidiane, manifestano comportamenti simili. Osservare uno qualsiasi di questi comportamenti dovuti alla paura ci fa sapere che il bambino non si sente al sicuro dal punto di vista emotivo. Alcuni dei più comuni segnali di paura e vergogna sono:

  • Un bambino timoroso nasconde le proprie azioni inaccettabili. Ad esempio darà fastidio al fratello quando i genitori non stanno guardando. D’altro lato, un bambino che si senta al sicuro darà fastidio al fratello senza preoccuparsi delle ritorsioni dei genitori. Anzi, è più probabile che lo faccia alla presenza dei genitori, sperando che essi rispondano ai suoi bisogni.

  • Quando le cose vanno nella direzione sbagliata (si perde un giocattolo, si rompe un piatto, si gioca slealmente), un bambino vittima dei sensi di colpa e di vergogna tende a mentire perché teme la reazione dei genitori. Se interpellato guarderà a terra parlando piano o senza dire nulla. Altrimenti potrebbe alzare la voce cercando di dire la sua “verità” in modo convincente. Al contrario, un bambino che si sente sicuro non dovrà nascondere o coprire alcunché. I genitori non gli faranno il processo e lui con clama e tranquillità darà le informazioni necessarie, mantenendo il contatto visivo.

  • Un bambino che teme di essere giudicato è probabile che interrompa quello che sta facendo quando i genitori entrano nella stanza. Se non ha sviluppato il timore di essere giudicato, sarà talmente assorbito dalle sue attività che non noterà neppure il genitore, o se lo fa, proseguirà o lo inviterà a vedere cosa sta facendo.

  • Un bambino timoroso eviterà di affermarsi, soprattutto se i suoi desideri sono in contrasto con quelli dei genitori. Invece, un bambino sicuro di sé si farà avanti e comunicherà, a parole oppure, se ancora piccolo, con le azioni e inviando segnali.

  • Non sentirsi al sicuro limita anche la capacità di prendere decisioni. Il bambino cerca di capire se sarà accettato e teme il giudizio. Dirà “Non lo so!”, o userà il silenzio come strumento per far decidere i genitori al suo posto e quindi assicurarsi una scelta che ne riscuota il consenso.

  • Il bambino timoroso potrebbe agire in segretezza, isolarsi e/o sviluppare atteggiamenti aggressivi, tic, enuresi notturna, incubi o altri sintomi di malessere. Il bambino che è al sicuro è comunicativo e rilassato con i genitori.

  • La capacità di concentrazione trova nell’insicurezza e nella paura un ostacolo enorme, tanto che può sembrare che il bambino non capisca le cose. Chi si sente al sicuro ed è tranquillo può invece utilizzare la propria intelligenza in modo ottimale.

  • Un bambino insicuro dal punto di vista emotivo può scegliere un percorso cauto di compiacenza, sforzandosi di adattarsi anziché essere se stesso. Magari sarà straordinariamente beneducato, obbediente e servizievole. Chi è sicuro di sé non ha motivi per disturbare gli altri, né per soddisfare di continuo noi o altre persone. Sarà assertivo, autentico, e farà mostra dei suoi veri bisogni, così come della sua esuberanza e del suo desiderio di aiutare gli altri. Che sia timido e riservato o estroverso e pieno d’iniziativa, un figlio che è libero di essere se stesso non ha bisogno di vivere seguendo il ritmo dettato da altri.

Questi indicatori tipici, che dimostrano una condizione di soggezione e paura, si manifestano a tratti in molti bambini. Anche quando siamo molto sensibili e pronti a rispondere al neonato e al bambino piccolo, quando allattiamo a richiesta, dormiamo insieme a lui, lo portiamo a contatto con il nostro corpo, non si sfugge all’incontro con qualche eventuale insicurezza quando cresce. Se notate una reazione di paura in vostro figlio, anche quando pensate di essere stati gentili, avvalorate la sua percezione: “Ti sei spaventato quando ho detto ‘Fermo!?”. Oppure, se sospettate che mascheri i propri sentimenti nel timore che lo disapproviate, potete chiedergli: “Preferiresti non far parte della squadra di nuoto? Fai quello che ti sembra giusto, solo tu sai quello che può piacerti!”


Col tempo, questi confronti in cui brilla la fiducia che riponete in vostro figlio, sgombreranno il campo dalla paura e ricostruiranno un rapporto di fiducia reciproca.


Se un bambino è libero di esprimersi, sarà autentico, manterrà il proprio benessere emotivo sfogando la sofferenza con le lacrime, le parole, il gioco e l’arte.


Creare delle relazioni familiari che siano sicure per i figli offre anche a voi una libertà di espressione. La casa diventa un luogo d’amore che abbraccia la bellezza di chi vi abita, così come gli errori e il perdono, in un’atmosfera di affetto e gentilezza.

Prevenire le bugie, le cose fatte di nascosto e altri comportamenti indotti dalla paura

Per evitare o interrompere l’abitudine a mentire, a fare le cose di nascosto o in generale a stare sulla difensiva, è necessario dissolvere la paura che la alimenta. Liberi dal timore, i figli saranno aperti e onesti. Talvolta, per quanto vi sforziate di creare un ambiente che li faccia sentire a proprio agio, potrebbero ancora sentirsi in soggezione per il solo fatto di essere dei bambini. Siate sensibili e rispettosi, evitate di spingerli oltre i propri limiti naturali e non dimostrate che hanno “mentito”. Se nascondono la verità, sapete che non si sentono sicuri. L’obiettivo è di alleviare la paura. Durante una consulenza telefonica, Matthew mi raccontò di quella volta in cui era riuscito a dare sicurezza alla figlia.


Quando Matthew entra in soggiorno, scopre la figlia Adia di sei anni che cerca di rimettere insieme un vaso che si è rotto. Sembra nervosa.


“È caduto da solo!”, dice lei senza alzare lo sguardo.

Matthew riflette su cosa dire. È un bel vaso che hanno ricevuto da un caro amico come dono di nozze, si sente confuso, si china e inizia ad aiutare la figlia nella sua missione impossibile.


Dopo circa un minuto dice: “Non credo che potremo aggiustarlo!”

Adia si ferma e scoppia a piangere. Matthew capisce che ha paura di dire la verità e la rassicura: “Poteva succedere a chiunque, l’altro giorno io ho rotto una lente dell’obbiettivo di una macchina fotografica!”


Adia guarda il padre, in parte sollevata dice: “Non sapevo che la pianta fosse così vicina al vaso, l’ho spostata per fare spazio alla bambola!”

“Oh, capisco, e il vaso è caduto dalla mensola!”, risponde Matthew calmo, e aggiunge: “Hai avuto paura che mi arrabbiassi come l’altro giorno?”


Adia annuisce.

“Vorrei non essermi arrabbiato quel giorno, e non sono arrabbiato adesso. Era un bel vaso, ma tu sei più importante, non voglio che tu abbia paura se devi dirmi qualcosa!”

“Papà?”

“Sì, Adia?”

“Prendiamo la scopa!”


Matthew ha trattato Adia come la maggior parte delle persone avrebbe trattato un ospite che avesse rotto per sbaglio un oggetto di valore. Sapendo che un simile evento suscita sensi di colpa e imbarazzo, tendiamo a fare il possibile per aiutare l’altro a non sentirsi in colpa. Matthew si è assunto in pieno la responsabilità del bisogno di Adia di “mentire”. Non ci sono parole o lezioni che avrebbero potuto rendere meglio l’importanza della verità. La gentilezza insegna a essere onesti e crea le condizioni affinché la verità si manifesti.


Com’è naturale, non riuscirete a proteggere sempre il senso di sicurezza del bambino. Quando scoprite che lo state intimidendo, riconoscete il vostro errore e avvalorate i suoi sentimenti per ricreare la fiducia fra voi. Col tempo e la pratica, la vostra sensibilità crescerà senza sforzo e resterà costante.

Di seguito, ecco alcune idee guida per accrescere il senso di sicurezza in vostro figlio e consolidare la fiducia reciproca:

  • Evitate di esprimere giudizi di valore su vostro figlio (o su altri in sua presenza) con lodi o critiche. Dovervi accontentare e essere all’altezza delle aspettative è fonte di grande ansia per i figli.

  • Parlate con gentilezza e rispetto ai bambini, sia in privato sia in pubblico. Fare prediche, rimproverare, interrompere, biasimare, mettere alla prova o giudicare sono modi sgarbati per trattare chiunque, piccolo o grande che sia; il loro lascito è la paura, la vergogna e la sfiducia. Esprimete con gioia l’amore, l’apprezzamento e la cura che avete per i vostri figli.

  • Evitate di paragonarli agli altri. I paragoni sono giudizi e creano paura e tensione. Quando il paragone è a suo favore, il bambino teme che la volta successiva potrebbe perdere la vostra predilezione; se invece il confronto è a favore di un altro, si sentirà ferito e coverà del risentimento verso l’altro e verso di voi.

  • Siate gentili con il coniuge, gli amici e i parenti. Quando osservano relazioni poco gentili, i bambini temono di poter essere trattati nello stesso modo. Inoltre, ricordate che essi vi emulano.

  • Incoraggiate l’espressione emotiva nei bambini e rispondete con l’ascolto, la conferma e la gentilezza.

  • Rispettate le scelte e le decisioni non rischiose dei bambini. Se contrastate le loro scelte, disprezzate le loro decisioni o imponete le vostre preferenze, li farete dubitare di sé e si sentiranno insicuri. Iniziate piuttosto dicendo di sì, così sarete “costretti” a trovare una risposta che sia comunque incoraggiante. “Sì, vuoi strappare i libri, ecco alcune riviste che puoi strappare!”, oppure, “Sì, ti piace metterti le buste di plastica in testa, eccone una di carta, è sicura e, se vuoi, puoi farci anche dei buchi per gli occhi!”. anche quando non è possibile incoraggiare l’azione del bambino, dite sì al suo intento: “Sì, vedo che ti piace dare fastidio a tua sorella, vorresti dirmi perché?”

  • Evitate di controllare o reprimere i comportamenti naturali e tipici dei bambini. La confusione, le risate, il disordine, l’esuberanza, la curiosità senza fine, sono naturali e necessari alla crescita.

  • Rifiutatevi di ricorrere ai castighi, ai time-out, alle ritorsioni, alle lusinghe e alle minacce. Qualunque sia il nome che diamo a queste strategie, e per quanto sia gentile il modo in cui le applichiamo, o buone le nostre intenzioni, il loro proposito è di controllare il comportamento dei bambini. Pertanto, suscitano la paura, intralciano la fiducia fra genitori e figli e inducono proprio quei comportamenti che intendevano prevenire1.


Il prezzo del controllo

Per quanto alcuni genitori sostengano che i metodi di controllo forniscono una struttura che incoraggia i comportamenti desiderati e sembra rendere persino contenti i bambini, ricordate che bambini cooperativi dall’apparenza felice e tranquilla non sempre sono davvero gioiosi e sereni; è possibile che si stiano solo sforzando di accontentare gli altri ed essere all’altezza delle aspettative. Dietro le loro azioni si nasconde forse il timore di esprimersi in modo autentico. Quando agiscono con compiacenza per soddisfare gli altri, la loro felicità è solo quella di far piacere ai genitori, non di fare ciò che stanno facendo (aiutare, condividere, studiare). Questa apparente felicità rende difficile al genitore notare che la vera natura del bambino sta pian piano sfiorendo.


Una madre, per esempio, mi disse: “Quando mando mia figlia nella sua stanza o la sculaccio lei si calma e si comporta meglio”. Il punto è: “Meglio per chi?”. Il bambino che si adegua spinto dalla paura non sta facendo meglio, ma peggio. Ha rinunciato a essere guida di se stesso, preferendo restare al sicuro e accontentare i genitori.


Per quanto castighi, time-out, punizioni e altri metodi vengano messi in atto con gentilezza e incontrino un atteggiamento “cooperativo” da parte del bambino, essi hanno un costo. Siamo spesso inconsapevoli del prezzo da pagare, finquando, magari anni dopo, quello stesso bambino mostrerà i segni di una scarsa autenticità, l’incapacità ad affermarsi, depressione, dipendenza da droghe, violenza, comportamenti autodistruttivi. Un figlio non può sentire l’amore dei genitori fintanto che sia controllato da essi. Diventa, invece, dipendente e tuttavia isolato; in seguito sentirà egli stesso il bisogno di controllare gli altri in modi attivi o passivi.


L’assertività (interpretata a volte come “sfida”) è una dimostrazione di volontà e quindi di forza emotiva. La rinuncia del bambino obbediente è una dimostrazione di paura e di limitazione emotiva. Come scrive l’educatore russo L.S. Vygotsky: “Le persone con forti passioni, che realizzano grandi imprese, dall’intenso sentire e dalla mente prodigiosa, la cui personalità è forte, di rado da piccoli sono stati bambini bravi e ubbidienti.”


Il controllo, per quanto gentile, inganna sia il genitore sia il bambino. Un bambino che coopera con facilità, magari persino sorridendo, dopo aver subìto un time-out, delle punizioni o altre varianti di questo genere di misure, è troppo insicuro per dar voce alla sua ferita, e spesso è alienato dai propri sentimenti. Deve credere che i genitori stiano facendo la cosa giusta e conclude perciò che il suo senso di disagio e di ingiustizia sia un errore di cui non fidarsi.


Persino il sistema definito da alcuni delle “conseguenze naturali” è perlopiù frutto di imposizioni unilaterali del genitore, e causa perciò gli stessi danni e la stessa sfiducia delle punizioni. Se davvero è naturale, accadrà senza l’intervento di alcuno. Un padre, per esempio, mi raccontò che la conseguenza naturale del non finire le faccende di casa era che il figlio non sarebbe andato dal suo amico, ma sarebbe rimasto a casa a sbrigare le faccende. Se ci si aspetta che un figlio lavi i piatti e lui non lo fa, l’unica conseguenza davvero naturale è che i piatti restano sporchi. Disdire un appuntamento di gioco è una punizione imposta dal genitore contro la volontà del figlio. E il figlio ne avrà timore come di qualunque altra punizione. Per verificare la validità di questa osservazione, chiedetevi come vi sentireste se il vostro coniuge o compagno vi dicesse che, poiché non avete tagliato l’erba in giardino come deciso, dovete farlo ora e saltare la lezione di yoga.


Potreste decidere di saltare la lezione, così come il ragazzo che ha trascurato i piatti potrebbe decidere, dopo che abbiate espresso i vostri sentimenti, di lavarli prima di andare dal suo amico; comunque, simili scelte devono essere il frutto di una comunicazione rispettosa fra le persone coinvolte, e devono fondarsi su preferenze sincere. Potete offrirvi gentilmente di lavare i piatti o trovare qualche altra soluzione rispettosa. Potreste anche chiedervi perché i piatti non sono stati lavati e magari scoprire che bisogna riorganizzare i carichi di lavoro o le attese. È l’aspetto legato al controllo che crea distacco e paura, non le decisioni e le soluzioni di per sé. Se offrite il vostro aiuto, il bambino imparerà ad aiutare senza condizioni. Il timore che abbia il sopravvento su di voi, già menzionato nel capitolo sull’amore, limita la vostra capacità di essere generosi e trasmette quella paura a vostro figlio.


Quando sono controllati, gli esseri umani si sentono umiliati e isolati. Se si applicano metodi coercitivi con la gentilezza, il bambino ne è solo confuso e potrebbe pensare che il suo senso di umiliazione sia inadeguato e da sopprimere: “I miei genitori sono così bravi, perché io mi sento così male? Dev’esserci qualcosa di sbagliato in me!”. Dall’altro lato, il genitore è ingannato dalla compiacenza del figlio e crede che il controllo sia benefico, quando invece lo ferisce e lo confonde.


Nei nostri momenti di maggior disperazione è necessario ricordare che le misure disciplinari che generano la paura portano a un’obbedienza fondata sulla paura, non a bambini che crescono bene. Siccome ciò per cui tanto lottiamo si può ottenere anche senza ledere la dignità di alcuno, non c’è bisogno di ricorrere ai vecchi metodi che feriscono il bambino, vìolano la sua autonomia e danneggiano la nostra relazione con lui. Quando nostro figlio non avrà timore di poter essere se stesso, agirà con competenza, non perché vuole accontentarvi, ma perché vuole riuscire; sarà premuroso e gentile non perché vi teme, ma perché vi ama.

Rendere sicura la manifestazione delle paure inevitabili

Esistono paure sulla cui origine non abbiamo alcun controllo, tuttavia possiamo mettere il bambino in condizione di liberarsene. Le cause della paura spaziano dalla nascita alle pratiche mediche, dalla separazione dalla madre alle esperienze spiacevoli al parco giochi, da una storia a un film, a un ospite dalla voce sonora o che abbia un aspetto spaventoso per il bambino, così come altre cause sconosciute. Se a casa non si può esprimere senza timori, o se i sentimenti vengono negati, le esperienze spaventose pian piano si accumulano e creano disturbi emotivi nel bambino.


Tutte le difficoltà emotive non sono altro che storie inventate dalla mente e fondate su esperienze dolorose. La paura è una componente di spicco nella creazione infantile di conclusioni limitanti su se stessi e sulla vita. Essa non sempre si manifesta in modi diretti, quanto piuttosto sotto forma di timori e ansie di altro genere. Potrebbe essere la paura del buio, di addormentarsi, degli animali, di certe persone, di essere toccati, di stare lontani da casa e così via. Alcune rappresentano un normale passaggio della crescita e scemano in fretta se il bambino può sfogarle in tutta sicurezza.


Come già detto, la tendenza a “calmare” il bambino ostacola la sua capacità di liberarsi dalle ansie. Tentando di bloccare la manifestazione emotiva del bambino, dimostriamo il nostro personale disagio nei confronti delle sue paure, che per questo lo spaventeranno ancor di più. Potrebbe poi dubitare di se stesso e pensare: “In me c’è qualcosa che non va, non dovrei essere così spaventato!”. Temere la paura è più doloroso e limitante di qualsiasi timore contingente; per questo, ogni volta che vi accorgete che vostro figlio è spaventato, legittimate il suo sentimento senza drammatizzare, così farà pace con le proprie paure.


La vostra calma al cospetto del suo terrore lo aiuterà ad accettare il fatto che si tratta di esperienze proprie degli esseri umani, non qualcosa da evitare o da dare in pasto alla mente perché ne faccia una storia traumatica. Se ha paura del buio, potete avvalorare e poi ascoltare: “So come ti senti, al buio non riusciamo a vedere quello che ci circonda e immaginiamo cose spaventose!”. Se si aggrappa a voi quando si avvicina un cane, prendetelo in braccio, al sicuro, e siate dalla sua parte: “Il cane è così grande, hai paura? Sono felice di tenerti al sicuro qui fra le mie braccia!”. Meglio non dire: “È un cane buono, puoi accarezzarlo!”, perché questo negherebbe la percezione del bambino. Se gli lascerete capire che sta solo sperimentando un normale sentimento umano, gli darete la possibilità di continuare a parlarvi delle sue paure senza sentirsi a disagio. Se, nel corso dell’infanzia, i racconti del bambino sulle sue paure non vengono repressi, la loro presa si allenterà col tempo.


Persino esperienze molto brutte non lasciano segni se se ne può parlare o ci si può esprimere con le parole, le lacrime, l’arte, il gioco terapeutico e altre forme di espressione emotiva. Gli adulti che non sono stati in grado di parlare delle loro esperienze dolorose o spaventose di quando erano bambini, tendono a soffrirne. In ogni caso, durante sedute terapeutiche, quegli stessi adulti scoprono che la parte più dolorosa non è legata all’accadimento in sé, quanto alla solitudine, al senso di esclusione e alla paura di parlarne.


Gli esseri umani riescono a sopportare una vasta gamma di esperienze dolorose se ne possono parlare o, quando sono molto piccoli, se possono esprimersi e incontrare il riconoscimento e il sostegno dell’adulto. Nel mio lavoro di consulenza non faccio altro che imbattermi in adulti molestati e abusati da bambini che non soffrono degli effetti delle violenze subìte, mentre altri, con esperienze analoghe, vivono un profondo dolore che li paralizza nella vita di tutti i giorni. La differenza è perlopiù nella capacità del bambino di parlare a qualcuno che lo ascolti, avvalori i suoi sentimenti e gli faccia sapere che può reggere quel dolore. Chi è afflitto da ferite emotive trova un rapido sollievo quando esplora i molti pensieri dolorosi con cui è convissuto in solitudine. Non che le esperienze non fossero dolorose, ma l’incapacità di riprendersi proviene dall’isolamento e dalla paura di parlare dell’accaduto.


Perlopiù, le esperienze che spaventano i vostri figli saranno innocue e solo la paura di parlarne potrebbe gonfiarle fino a farle diventare storie dall’impatto dannoso. Quando un bambino racconta le sue emozioni e i suoi pensieri più profondi può guarire dal dolore e dallo spavento, e la sua mente non trasformerà eventi innocui in storie traumatiche.

Liberi di esprimere l’odio

In molti di noi la parola “odio” evoca disagio e paura di ferire nell’altro la percezione del suo valore. Quando un bambino grida che detesta la sorella o che ci odia, potremmo desiderare di arginare il torrente dei sentimenti “inaccettabili”. Ciò nonostante, l’odio non riguarda fatti o verità, e neppure si tratta di un’azione temibile. Come la collera, l’odio nasconde altre emozioni che devono rivelarsi ed esprimersi così che il bambino possa vedere cosa è vero per lui. Persino quando il sentimento nasce a causa di un’incomprensione, viene comunque percepito; solo dopo che il bambino si è espresso appieno è in grado di riesaminare e rivedere i fatti e le possibilità.


Se vogliamo liberarci delle espressioni verbali cariche di odio, dobbiamo aiutare il bambino a entrare in contatto con le emozioni che scatenano l’astio. Il nostro compito è di farlo sentire al sicuro, libero di esprimere le emozioni che conducono all’odio, fornendo al contempo gli strumenti verbali e i contesti adatti affinché nessuno si senta ferito. Quando ha sfogato i propri sentimenti, il bambino noterà che la realtà è molto più sopportabile del dramma creato dalla sua mente. In uno dei miei laboratori, un genitore mi raccontò questa storia, in cui il riconoscimento delle emozioni nascoste dissipava l’odio:

Gabe, otto anni, vuole tutta la torta per sé. Quando la nonna la divide fra lui e la cugina, lui le dice: “Ti odio, non mi dài mai le cose che voglio!”

“Sei deluso perché avrai solo metà della torta e ne volevi di più?”, gli chiede la nonna.

“Sì!” dice Gabe, “voglio tutta la torta, l’hai comprata per me, sono io l’ospite, Laura non doveva nemmeno venire oggi!”

“Oh, capisco, vuoi essere l’unico ad avere la torta!”

“Sì! Solo io!”, risponde Gabe con un lampo negli occhi.

“So come ci si sente quando…” esordisce la nonna, ma Gabe la interrompe: “Nonna, posso avere le fragole con la torta?”

Se le loro manifestazioni non sono negate e sanno di poter essere sinceri, i bambini spesso passano oltre molto più in fretta di quanto immaginiamo.


La nonna di Gabe non era certo una patita della parola “odio”, tuttavia non voleva privare il bambino del proprio senso di fiducia e sicurezza, manifestato dalla sua candida dichiarazione. Anziché concentrarsi sulla parola, la sua domanda ha aiutato Gabe a vedere la delusione che vi si nascondeva e il desiderio di avere tutta la torta per sé. Non ha mai negato le sue parole, lui ha potuto così lasciar andare i propri sentimenti e abbracciare la gioia del presente per quello che era. Con gli anni, e dopo molte prove simili, Gabe sarà magari capace di esprimersi dicendo: “Sono deluso”, oppure: “Sono in collera; avrei voluto tutta la torta”, anziché esordire con un “Ti odio!”. Quando sarà ancora più maturo, saprà anche lasciar andare le aspettative prima che diano origine a sentimenti dolorosi, senza perdere l’allegria di fronte a situazioni impreviste.

Odio fra bambini

L’ideale sarebbe che la sofferenza legata a sentimenti di odio verso un altro bambino sia assorbita dai genitori o da altri adulti amorevoli. Dando al bambino la libertà di sfogare con noi i suoi sentimenti, minimizziamo il rischio che lo faccia con i fratelli o gli amici, che potrebbero prenderlo sul serio e soffrirne. Potete far sapere a vostro figlio che, quando si sente in collera con un altro bambino, può venire da voi a raccontarvelo e contare sul vostro ascolto empatico e privo di giudizi.


I bambini spesso risolvono i conflitti per conto proprio e si esprimono un odio vicendevole a dispetto dei nostri sforzi. Sono ingegnosi nel creare scene che a noi adulti sembrano dolorose e che tuttavia per loro rappresentano un prezioso psicodramma. Spesso si scambiano commenti umilianti ma restano tutti alla pari; quando invece ci sono disparità di potere, poiché i bambini sono egocentrici per natura, è possibile che prendano i commenti sul personale e si sentano feriti o insicuri. In simili circostanze potremmo commettere l’errore di correre a dissipare l’astio negandolo con parole tipo: “Oh, no, noi l’amiamo; è intelligente e meraviglioso!” mentre lo abbracciamo. Il bambino, però, è influenzato dalla nostra ansia più che dalle nostre parole; impara che gli insulti sono qualcosa di terribile e che dovrebbe starci male. La volta successiva potrebbe sentirsi persino peggio. Quello che invece possiamo fare è mettere il bambino in condizione di far fronte agli insulti, chiedendogli come si sente e avvalorando le emozioni che esprime, in modo che possa ricreare la percezione del proprio valore notando quale sia la verità. Per esempio:

Roy si avvicina e si lamenta con la zia: “Maryann mi ha detto ‘stupido’ e che mi odia da morire!”

“Come ti senti quando le credi?”, gli chiede la zia.

“Stupido”, risponde lui.

“Allora, pensi di essere davvero stupido e odioso?”

“No”, ribatte Roy in confidenza, “So di essere intelligente e molto simpatico”. Dopo un momento di riflessione se ne va e torna a giocare.

Consentire al bambino di restare in contatto con il proprio valore di fronte alle offese lo preparerà meglio ai suoi incontri futuri con il genere umano. La zia ha aiutato Roy a notare che si sente stupido solo quando prende per vere le parole dell’amica; i pensieri che nutre verso se stesso lo riempiono di sicurezza. In altre parole, gli ha fatto le domande giuste perché capisse che dipende solo da lui quali pensieri prendere sul serio. Per fare domande efficaci, cercate quella più generale: “Qual è il pensiero doloroso per te?”, traducendola poi nel contesto descritto dal bambino. La nostra comunicazione potrebbe avere come esito una illuminazione come quella di Roy, o forse susciterà il pianto e darà sfogo a un’ansia o un’insicurezza represse. Comunque sia, spingerà il bambino al riconoscimento della sua forza interiore e alla conoscenza di sé.

Se i sentimenti carichi di astio non vengono tirati fuori e ascoltati da un genitore empatico, verranno ripetuti e ascoltati ancora e ancora dai bambini. Possiamo minimizzare la quantità di risentimento che passa fra i bambini andando incontro ai loro bisogni e ascoltandoli quando sono in preda alla collera e all’odio. Più accettiamo i loro sentimenti, più verranno da noi risparmiando amici e fratelli. Quando ascoltiamo e legittimiamo, il bambino ha la possibilità di entrare in contatto con altri sentimenti, quelli che restano nascosti dietro il dito puntato contro i fratelli o gli amici2. Col tempo, imparerà a sentire quelle emozioni intime e personali, evitando le reazioni di odio e di biasimo.

“Vorrei sbarazzarmi di mia sorella!”

Vi sono situazioni in cui l’idea di legittimare sembra assurda; eppure, anche in quei momenti è l’unica cosa che guarisce e unisce. Per esempio, un bambino potrebbe esprimersi dicendo: “Vorrei che mia sorella fosse morta, potrei ucciderla per questo!” Se ci lasciamo trasportare dalla passione potremmo preoccuparci che la minaccia si avveri o che un linguaggio così violento non dovrebbe essere usato. In preda alla paura rischiamo di negare i sentimenti del bambino. Eppure, negare, criticare o punire per aver espresso emozioni tanto forti e fantasie così violente gli farà seppellire il suo dolore e lo farà sentire solo e disperato, rendendo più probabile l’esplosione di comportamenti aggressivi. Una delle cause della violenza è proprio il senso di solitudine e l’impossibilità di esprimere le emozioni. Dare ascolto al malessere sarà più facile se ricorderete che ciò che viene espressa non è altro che un’emozione.


Legittimare i sentimenti violenti non vuol dire fomentare le fantasie per trasformarle in azioni. In verità, quando si aiuta l’espressione dei sentimenti carichi d’odio, si rendono meno plausibili i gesti aggressivi e più probabili quelli gentili. Proprio come noi adulti con la S di S.A.L.V.E., anche i figli hanno bisogno di liberarsi del proprio monologo interiore. Se li ascolteremo il dramma verrà sfogato; potremmo dire: “Capisco, sei talmente arrabbiato con Katie che vorresti liberarti di lei. So cosa vuol dire essere tanto in collera con qualcuno!”. Potremmo anche fornire un’idea di quanto siano comuni certi sentimenti e fantasie, magari parlando della nostra esperienza personale: “Ricordo di aver desiderato che mio fratello cadesse giù dal dirupo!”. Se condividiamo i nostri ricordi, non dilunghiamoci (a meno che il bambino non ce lo chieda), è lui in primo piano, non noi, i nostri ricordi sono solo un modo per accogliere e avvalorare i suoi sentimenti.


Quando permettiamo a un bambino di sentire ed esprimere emozioni violente, e quando confermiamo il fatto che a tutti sia capitato di provarle qualche volta, egli è in grado di sciogliere il dolore e magari entrare in contatto con i sentimenti che hanno scatenato la collera, senza il peso della colpa o della vergogna.


L’odio, come la rabbia, è una funzione della mente che produce una storia incentrata sul biasimo: qualcuno “Mi ha fatto” qualcosa. È importante fare domande che aiutino il bambino a riconoscere i propri sentimenti e a rinunciare al ruolo di vittima, selezionando quei pensieri che lo privano del proprio potere. Il biasimo è sempre legato al passato, ciò che lascia il bambino indifeso perché non c’è nulla che possa fare. Non ha potere sulla sorella e su quello che ha fatto, ma ha potere sui suoi sentimenti e sulle azioni del presente. Il bambino impara a distinguere il dramma della colpa e del biasimo dal proprio sé forte e capace.


Potrebbe sentirsi in colpa ed essere spaventato dalle sue stesse fantasie violente. Deve sapere che sono normali e non influiscono sul vostro amore per lui. Può capitare che un bambino abbia bisogno di esprimersi per qualche tempo in una varietà di modi; un piccolo ai primi passi potrebbe farlo giocando con una bambola, chi è più grande magari recitando o disegnando, un adolescente parlando molto e scrivendo, correndo o suonando. Accettando di esprimere le nostre emozioni più intense, senza agire sulla base di esse, cresciamo e impariamo a vivere con l’intimità, la vulnerabilità, l’abilità di amare e di essere responsabili dei nostri sentimenti e delle nostre scelte.


Parlare del proprio desiderio che un fratello o una sorella spariscano, dà voce all’intensità dei sentimenti che si provano e di solito non è indice dell’intenzione di far del male all’altro. La vera violenza scaturisce dall’essere oppressi, e dopo anni di rassegnazione a non poter essere se stessi si rassegnano e sono incapaci di sentire il legame che li unisce agli altri. Magari da fuori sembrano tranquilli e vanno persino bene a scuola, però vivere una vita il cui copione è scritto dagli adulti li fa sentire depressi, isolati, convinti che nessuno li ascolti o si interessi a loro. Questo isolamento emotivo, e il dolore, li rende impotenti fino alla disperazione.


Forme normali di rivalità tra fratelli non sono espressione di una simile disperazione e i bambini non vogliono fare male davvero. Se non siete certi che le espressioni violente e cariche di astio rientrino in un ambito di sana rivalità, allora è necessario chiedere aiuto. La maggior parte dei giovani aggressivi che ho incontrato nel mio lavoro risponde molto bene a un tipo di psicoterapia che restituisca loro dignità e forza emotiva.


Per il bambino la cui vita scorra senza ostacoli, l’odio non è che uno dei tanti sentimenti, da sfogare per poi passare oltre. È l’odio inespresso che conduce all’aggressività, agli insulti o a infastidire l’altro, quando per prevenire comportamenti simili basterebbe dar voce ai sentimenti più intensi. La storia che segue, di un adolescente intrappolato nell’odio, illustra il potere che ha l’espressione dei sentimenti nel ricostruire un ponte di affetti:


Jay, undici anni, inizia la seduta terapeutica esprimendo un odio intenso per la sorella di nove anni. Parla delle sue fantasie violente e giura di non volere avere niente a che fare con lei. Vuole addirittura andarsene di casa perché non c’è modo di convivere con lei. Passa più di mezz’ora a urlare e imprecare, disegnando scene immaginarie che ne descrivono la morte, desiderando di essere figlio unico e infine piangendo. Esprime il proprio sgomento per il fatto che i genitori gli hanno ‘rovinato la vita’ mettendo al mondo la sorella. Pensa che se lo amassero ora dovrebbero liberarsi di lei.


Poi Jay inizia a parlare delle qualità intollerabili della sorella, del fatto che vuole essere sempre prima, che dice di saper fare tutto meglio, e che si arrabbia molto se perde.


Dopo che il flusso delle parole è terminato, chiedo a Jay di concentrarsi sui suoi sentimenti: “Come ti senti e come ti comporti quando hai tutti questi giudizi su tua sorella ma le cose non cambiano?”


“Arrabbiato, pieno di odio, risentito!”, risponde lui.

“Cosa vuoi per te stesso?”, gli chiedo.


“Niente” ribatte, “o forse del tempo lontano da lei, sono risentito quando è nei paraggi e cerca di attirare l’attenzione e si atteggia come se fosse una principessa!”


“Come ti sentiresti senza quel pensiero?”, gli domando.

Jay mi guarda incredulo: “Senza i pensieri su mia sorella? Cavolo, sarebbe grandioso!”, esclama, “sarei libero e felice e non mi importerebbe niente del modo di fare di mia sorella!”


“Quindi staresti bene?”

“Oh sì!” e inizia a ridere, “Forse ne ho fatto una tragedia!”

“Vorresti liberarti del pensiero che sei risentito con tua sorella?”


“No, voglio odiarla!” mi risponde, poi, sorpreso dalle sue stesse parole, dice: “Cavolo, è strano, perché mai dovrei volere un dolore simile?”


“Ci sarà senz’altro qualche risvolto positivo per te!”

Jay resta in silenzio.


“Qual è il risvolto positivo del risentimento e del biasimo verso tua sorella?”, gli chiedo.


“Mi vedo migliore di lei”, risponde, “e forse riesco a controllare i miei genitori!”


A questo punto, Jay è in grado di percepirsi come l’autore dei propri sentimenti; inizia a mettersi nei panni della sorella e descrive con profonda tristezza come immagina quello che lei sta passando: “Deve sentirsi una perdente con me che sono più grande, per questo cerca sempre di stare in prima fila!”. La sua preoccupazione per la sorella diventa tanto forte quanto la sua collera all’inizio. Poi, libero di focalizzarsi sulle proprie aspirazioni, Jay trascorre il resto della seduta a fare nuovi progetti per se stesso.


Non esistono soluzioni permanenti e definitive; dobbiamo accettare i corsi e ricorsi delle relazioni e affrontarli nel loro andare e venire. Per il momento, Jay era in grado di immedesimarsi nella sorella e vedere il suo punto di vista. In seguito si sarebbe di nuovo sentito infastidito da lei, si sarebbe sfogato liberamente con noi adulti, la felicità e la sintonia sarebbero tornate e poi di nuovo altro odio e insofferenza. Quando, attraverso ogni ciclo di sentimenti negativi, un figlio si sfoga e si esprime con noi adulti, viene messo in grado di fare delle scelte anziché reagire in base ai vecchi film della mente. Può sentirsi responsabile dei propri sentimenti e non doversi affidare al ruolo di vittima per indirizzare la propria vita. Nel processo, ci fornisce informazioni su quelli che sono i suoi bisogni, così che possiamo occuparci di lui al meglio.


È facile restare imprigionati nell’aspettativa dei risultati e tuttavia non possiamo dare per scontato che pur sfogando l’acredine questa sparisca del tutto. Se la nostra aspettativa si concentra solo sul risultato, perdiamo l’opportunità di ascoltare ed entrare in sintonia con i figli. Per esempio, a volte un bambino potrebbe rifiutarsi di giocare con un amico o un fratello anche dopo aver espresso i suoi sentimenti. I genitori a quel punto, ansiosi di ottenere un risultato, magari direbbero: “Va bene, ora ti sei sfogato, dimentica e giocate insieme!”. Ecco cosa è successo quando Sylvia si è rifiutata di giocare a Monopoli con il cugino.

Sylvia, otto anni, è in collera con il cugino Timmy perché le ha preso la bicicletta senza chiederle il permesso.

Quando Sylvia decide di andare in bici, si accorge che la bici è sparita. La madre la ascolta e avvalora i suoi sentimenti, e appena Timmy ritorna dal suo giro, il papà mette via la bici per assicurarsi che nessuno la prenda senza che Sylvia sia d’accordo. Timmy chiede scusa per essere sparito senza dire niente e promette di non farlo più.

Quando, poco dopo, Timmy invita Sylvia a giocare a Monopoli, lei rifiuta e gli fa la linguaccia. “È ora di fare pace adesso!”, dice il papà di Sylvia, “Ti abbiamo ascoltata e lui ha chiesto scusa, avanti, vai a giocare!”. Ma, più i genitori si aspettano una risoluzione pacifica, più la bambina punta i piedi; non è ancora pronta a passare oltre. Alla fine, i suoi genitori scrollano le spalle e se ne vanno; Sylvia va nella sua stanza, contenta di aver impedito al cugino di giocare a Monopoli. Cinque minuti dopo esce e lo invita a venire sulla sua amaca.

I bambini di solito dimenticano il risentimento molto più in fretta degli adulti ma, come gli adulti, devono essere autori delle proprie scelte. Aspettarsi che i figli siano liberi dal bisogno della mente di avere ragione è più di quanto la maggior parte di noi adulti riuscirebbe a fare. Pertanto, l’obiettivo non è sistemare le dispute o cancellare i sentimenti, ma ascoltare e mettere il bambino in condizione di poter fare le sue scelte con autenticità e dignità.


Quando il bambino si sente pieno di astio, la sua paura maggiore è quella di essere una cattiva persona e teme che se voi sapeste cosa pensa e quali fantasie coltiva, non lo amereste più. Per questo, se si sente al sicuro ed esprime tutti i suoi sentimenti di odio, sapendo che voi continuate ad apprezzarlo, il vostro obiettivo è già raggiunto. Sapere che il vostro amore non vacilla a causa della sua acrimonia, gli permetterà di esprimersi interamente ogni volta che ne avrà bisogno; dal canto vostro, saprete che i canali della comunicazione fra voi sono aperti. Col tempo, sarà in grado di non soffermarsi affatto sull’odio, perché riconoscerà che è lui la fonte di qualsiasi pensiero capace di infiammare le emozioni. Magari imparerà anche a distinguere la voce della sua mente dal suo essere autentico e conquisterà una pace e una libertà vere.

Odio verso i genitori

Parole di odio possono essere indirizzate non solo ai fratelli, ma anche ai genitori. In quanto esseri umani, siamo destinati a commettere errori che vìolano la dignità dei nostri figli. Quando accade – interruzioni, imposizioni, controllo o umiliazioni – e il bambino dà voce al suo odio per noi, possiamo ascoltare, avvalorare e poi riconoscere i nostri errori, manifestare il nostro rammarico in modo che sappia di potersi aprire con noi. Anche se l’astio è il risultato delle nostre misure di sicurezza, la sua dignità è comunque violata. Avvalorare i sentimenti del bambino e riconoscere il modo in cui ci siamo comportati (anche se inevitabile), dissiperà i sentimenti negativi.


Un bambino piccolo che ancora non usi la parola come mezzo principale di comunicazione si sentirà riconosciuto dalla vostra descrizione dei fatti: “Mamma non ti ha comprato i dolci che volevi. Brutta mamma!”; “Accipicchia, ti ho spaventato con quell’urlo?”; oppure: “Non ti è piaciuta quella signora che ha sbirciato nella fascia?”


Sarà rassicurato dal sapere che siete consapevoli dei suoi sentimenti e lo amate lo stesso. Col maturare delle sue abilità verbali, la discordia spronerà un dialogo e la comprensione della propria personalità ne risulterà arricchita e approfondita.


Quando l’odio di un figlio è diretto a noi, avvalorare i suoi sentimenti può essere complicato dalla nostra reazione personale. Tuttavia, se ci occupiamo delle nostre emozioni chiedendo aiuto a qualcuno in separata sede, oppure investigando i nostri pensieri, saremo in grado di dare amore proprio quando è più necessario. Ecco un esempio del S.A.L.V.E. in azione quando un genitore è “preso di mira” dal figlio.


Lea, cinque anni, continua a dire: “Ti odio mamma!”, e Betty, sua madre, è triste e preoccupata. Al principio, i sentimenti difensivi di Betty sono d’intralcio e lei cerca di fermare l’espressione della figlia. Lea però insiste e Betty si prende cura di sé in una seduta terapeutica, dopo di che è pronta a empatizzare con la bambina.


La volta successiva in cui Lea dice: “Ti odio!”, Betty risponde: “Caspita, dev’essere doloroso! Sono felice che tu me lo dica perché voglio sapere come ti senti!”, poi le chiede: “Mi racconteresti di questo odio che hai per me?”


Lea la guarda intensamente e dice: “Tu non mi hai fatto la colazione giusta e hai gridato quando ero lenta!”


“Allora volevi i pancake e non le uova?”

“Sì!”


“E volevi continuare a vestire la tua bambola quando ti ho detto che dovevi sbrigarti per uscire?”


“Basta che non gridi, mamma, fa male!”

“Capisco come ti senti, meno male che me l’hai detto. Anch’io voglio continuare a essere gentile anche se vado di corsa. Pensi che potrei riuscirci sempre?”


Lea ci pensa su un momento e poi dice: “No, non puoi, mamma. Va bene, ma almeno i pancake…”


“Sì, vorresti scegliere cosa mangiare; io posso farlo quasi sempre.”

Lea annuisce e sembra soddisfatta.


Poi Betty aggiunge: “Deve essere stato doloroso odiarmi!”

“No, mamma, è stato solo odioso!”


Più consapevole dei sentimenti di Lea, Betty ha piano piano trovato dei modi per eliminare molti di quei momenti frustranti, ma non tutti. Si preoccupa sempre di avvalorare gli eventuali sentimenti di astio quando capitano. Dopo due giorni, Lea dice: “Mamma, voglio bene a te e a me! Quando dico che ti odio, non dico davvero, voglio solo farti fare quello che voglio io!”, sorride e anche la mamma le sorride.


“Tu sai che io ti voglio bene?”, chiede Betty.

“Sì, anche quando ti odio, che poi non ti odio davvero!”, e le getta le braccia al collo in un abbraccio.


Lea aveva accumulato pensieri di odio per un certo tempo prima di ricevere un riconoscimento dalla mamma. Comunque, se sentimenti occasionali di acredine vengono avvalorati sul nascere, i bambini possono liberarsene molto in fretta. Inoltre, spesso per i bambini le parole che esprimono odio non hanno la stessa pesantezza di significato che hanno per gli adulti:

Terry chiede alla mamma di leggergli un libro. “Raccolgo i pezzi della dama dal pavimento e poi ti leggo”, dice la mamma.

“Oh no, mamma”, si lamenta Terry, “leggimi ora!”
“So che vorresti che ti leggessi subito, farò in fretta!”, risponde la mamma.
Terry batte i piedi e ribatte: “Ti odio!”
“Sì, lo so!”, dice la mamma mentre finisce di raccogliere i pezzi.

Dopo aver letto, il papà li chiama per il pranzo.
“Voglio che il toast me lo prepari mamma!”, dichiara Terry.
“Credevo che la odiassi”, gli dice il papà.
“Ma quello era prima!”, risponde Terry con tono di ovvietà.

Quando un figlio si mostra risentito nei vostri riguardi, incoraggiatelo a esprimersi direttamente con voi. Ricordate che l’odio è la manifestazione esteriore di altri sentimenti e rendetevi conto che l’astio manifestato da vostro figlio ha a che fare con lui, anche se l’argomento che tira in ballo siete voi. Dalle sue parole potete capire qualcosa di voi stessi, ma la sua manifestazione in realtà non ha voi per oggetto. Se le sue parole vi fanno mettere sulla difensiva, tornate con delicatezza a concentrarvi su di lui. Anziché insistere che vi ami, rassicuratelo del vostro amore ascoltandolo e osservando il suo punto di vista. A quel punto, capirà che l’odio non muta l’amore che sente per voi o quello che voi provate per lui. Nell’intimità della relazione che si instaura fra voi, gli potrebbe persino balenare per un istante la distinzione fra chi è lui in realtà e i drammi prodotti dalla sua mente.

Aiutare, non spaventare

A volte una reazione emotiva forte da parte nostra può spaventare i bambini. Succede quando il bambino si mette in pericolo o quando prendiamo sul personale le sue parole o le sue azioni. Ricordate che le azioni di un bambino non sono indirizzate a voi; non è lì per infastidirvi o rendervi la vita difficile, ma solo per prendersi cura di se stesso. Se fa del male a qualcuno o a qualcosa è perché ha bisogno di esprimere un bisogno o un sentimento; se agisce con sprezzo del pericolo, il suo intento è innocente, nonostante glielo abbiate detto decine di volte (quante volte anche gli adulti devono sentirsi ripetere le cose prima che certi gesti diventino una seconda natura?).


Nulla di quello che vostro figlio fa o dice merita la vostra collera, il vostro giudizio o la privazione del vostro amore. Anche mentre lo fermate per impedirgli di fare male a se stesso o a un altro, le vostre azioni e parole potranno essere amorevoli e premurose, e non intaccare il legame affettivo fra voi. Se lo fermate con toni di gentile premura, il bambino sentirà che siete dalla sua parte e non vi temerà. Ad esempio, gridare: “Smettila subito di strappargli la bambola!” farà sentire il bambino svilito e impaurito. Se invece usate affermazioni di legittimazione del tipo: “Tu vuoi giocare con la bambola e anche Ruth ci sta giocando!”, mentre offrite attenzione e/o una soluzione, il bambino sentirà la vostra premura e saprà di essere importante.


Se lo spaventate, non vi vedrà dalla sua parte ma come qualcuno che è lì per agguantarlo, una sorta di gendarme. Per questo avrà paura di voi e tenderà a mettervisi contro. Persino in seguito a un gesto brusco che lo ha salvato da un pericolo, riconoscete la paura che può aver provato e trovate un modo di soddisfare il bisogno che ha promosso l’azione pericolosa. Ogni volta che spaventate vostro figlio, comunicate i vostri sentimenti e offrite una soluzione anziché una lezione.

Entrando nella stanza dei giochi, Dana soffoca un grido quando vede il figlio Sean seduto sul davanzale della finestra.

Vivono al quarto piano e, sebbene la finestra sia chiusa, teme che il bambino si abitui a sedere sul davanzale anche quando è aperta.

Dana si controlla, afferra uno sgabello e lo mette sotto la finestra.

“Ti piace guardare in strada”, gli dice, “Ecco, puoi stare sullo sgabello e guardare giù senza pericolo!”. Lo aiuta a scendere e lo bacia, poi aggiunge: “Sean, quando ti ho visto seduto sul davanzale mi sono proprio spaventata!”

Lui la guarda e dice: “Ma mamma, non cado mica!”

“Lo so, ma ho paura lo stesso. Ti lascio qui lo sgabello, promettimi che lo userai quando vuoi guardare giù in strada, e che non ti siederai sul davanzale!”

“Sì, vedo bene da qui!”
“Grazie Sean!”, risponde Dana tranquilla.

Dana aveva già detto al figlio di non sedersi sul davanzale, avrebbe potuto ricorrere al vecchio e inutile “Quante volte devo ripeterti che…?”. Ha scelto invece di offrire una soluzione e di condividere i propri sentimenti senza biasimare il bambino.


Non ha detto: “Mi hai spaventata”, ma “Ho avuto paura”. Ha anche avvalorato il senso di sicurezza del bambino, porgendo la richiesta come un suo personale bisogno. Se in sintonia con i nostri sentimenti, e in assenza di biasimo o rimproveri, i bambini rispondono con facilità alle nostre richieste. Se si fidano di voi e sanno che siete sempre dalla loro parte, vi risponderanno come si fa con un alleato e, col tempo, impareranno a trattare gli altri nello stesso modo.

Crescere i nostri figli crescere noi stessi
Crescere i nostri figli crescere noi stessi
Naomi Aldort
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