parte prima - Il cerchio della salute e della malattia

Ansia e depressione,
epidemie del
xxi secolo

È un posto molto segreto la terra delle lacrime

A. De Saint Exupery

Ognuno di noi inventa i suoi propri mezzi per sfuggire all’intollerabile

W. Styron

Da queste profonde ferite, usciranno farfalle libere

A. Merini

Io non sono una psicologa ma come scrittrice sono stata dotata del talento della divulgazione, cioè di dire cose difficili in modo semplice, comprensibile a tutti. Mi piace questo compito che mi è stato affidato, mi dà soddisfazione: io leggo centinaia di libri, spesso anche piuttosto impegnativi, a volte in inglese o in francese, e poi ne traggo il meglio e lo ritraduco nei miei scritti aggiungendovi un ingrediente segreto in più e cioè la mia personale esperienza, le mie intuizioni, insomma il mio originale contributo al tema in questione. È questa la ricetta segreta dei miei libri…


Quanto vi dirò pertanto su questi temi così complessi – quali l’ansia e la depressione – non è frutto delle conoscenze di un’esperta in materia ma di quanto ho raccolto per strada attraverso letture, esperienze di vita, lavoro su di me e apprendimento diretto da altri terapeuti, nell’umile tentativo di offrire un materiale a volte difficile da masticare già pre-digerito e quindi più facilmente assimilabile.


Tra i grandi problemi che affliggono oggi l’umanità, nell’ambito della salute, vi sono l’ansia, gli attacchi di panico e la depressione: fenomeni sempre più in aumento, in età sempre più precoci. Ora ne sono colpiti anche i bambini. Le statistiche ci dicono che in Italia più del 10% della popolazione ne è affetta, mentre negli Stati Uniti la cifra delle persone colpite almeno una volta nella vita da questi disturbi sale a quasi il 50% e una persona su cinque fa uso di psicofarmaci. Lasciate quindi che spenda qualche parola su queste patologie così diffuse e, a mio avviso, così incomprese.


Da un punto di vista scientifico vengono incluse tra i disturbi psichiatrici e trattate con farmaci chimici, non privi di effetti collaterali, e che soprattutto non servono a guarire le cause soggiacenti, in quanto si tratta di problematiche che appartengono al livello emotivo-mentale e spirituale e che quindi non possono essere curate con rimedi adatti alla dimensione fisica. Nella prassi comune vengono spesso e volentieri ignorate e mal interpretate, mentre si tratta in realtà di vere e proprie “crisi dell’anima” che grida a squarciagola per essere ascoltata.

Ansia: la grande torturatrice

Che cos’è l’ansia e come si manifesta?

Chi non ha provato non può capire. L’ansia è difficile da raccontare, può solo essere vissuta. È come una piovra con mille tentacoli che si insinua nella tua vita e prende sempre più spazio, fino a toglierti perfino il respiro. È come una scossa elettrica che dura ore e ore. È come un fantasma che sbuca all’improvviso dal buio per farti gli sberleffi e metterti paura. E continua a tornare e a tornare fino a stremarti e toglierti ogni forza. Ti coglie di sorpresa quando meno te l’aspetti e ti mette presto a k.o, come un pugile steso sul tappeto che non riesce più ad alzarsi.


L’ansia non è una malattia come le altre, quelle degne di un nome e un’etichetta: “bronchite”, “tonsillite”, “gastrite”… “Sono a letto con l’infuenza”, “Non posso muovermi, mi sono rotto un piede” ed è un coro di “Poverino!” e tutti sono pronti a dire “Mi dispiace” e prestare aiuto. Ma di chi è paralizzato dall’ansia e non riesce a spostarsi nessuno va in soccorso. Perché nessuno comprende e molti fraintendono. “Devi farti forza!” è il commento più comune, come se si trattasse di una questione di volontà… Facile sarebbe allora uscirne. Ma non è così. “Tutte storie!” il giudizio ancora più severo di qualcun altro che dall’ansia è sempre stato risparmiato…


L’ansia insomma è una grande incompresa ed è per questo che fa tanta paura. Perché se ne sa poco o niente e nessuno spiega a chi ne soffre che cos’è esattamente e da dove viene.


L’ansia non è nient’altro che energia che non trova una via d’uscita. E preme, preme per farsi strada come un rivolo d’acqua che acquista forza e potenza nello scavare la terra.


Dietro l’ansia c’è sempre un’emozione che non riesce a esprimersi. Ma non è sempre facile capire quale: può trattarsi di paura ma anche di rabbia, così sotterranea e repressa da essere difficile da individuare e riconoscere. Quando si riesce a farlo, ecco che l’ansia come per incanto scompare. Almeno per un po’. L’ansia insomma è alla ricerca di un nome e di una via…


Ci sono tanti tipi di ansia, del resto chi l’ha sperimentata lo sa: c’è l’ansia che è come un solletico di sottofondo e quella che ti travolge come un’onda con la sua intensità, c’è quella che ti paralizza e quella invece che ti spinge a camminare, a muoverti, ad andare. Ad alcuni l’ansia chiude lo stomaco ad altri mette una fame insaziabile. Ognuno ha il suo modo di reagire di fronte al sintomo.


Ma ciò che accomuna tutti coloro che soffrono di ansia è la solitudine. Perché diventa difficile stare in compagnia, perché si fa fatica a volte anche a parlare, specie se gli altri non comprendono. E allora il mondo diventa ancora più piccolo, fino a restringersi alle dimensioni di una stanza. Non si riesce più a uscire, ad affrontare la realtà.


Si fa fatica a viaggiare e finanche a fare la spesa: i non luoghi – come li chiama M.Augé – cioè luoghi freddi e anonimi, quali centri commerciali, stazioni, aeroporti, sono i posti peggiori per chi soffre di attacchi di panico. Così come gli ambienti chiusi e stretti: treni, automobili, tunnel e gallerie (che ricordano l’esperienza prenatale uterina).


Si ha paura che all’improvviso crolli il mondo e venga a mancare la terra sotto i piedi… Si ha paura di morire così da un momento all’altro, sebbene magari solo un attimo prima si era nel pieno del benessere e della gioia…

L’ansia viene da lontano. “Le paure sono basate su traumi passati piuttosto che su situazioni presenti”1: in realtà noi temiamo ciò che non c’è più, ma il cui ricordo è così doloroso che ci rende timorosi di doverlo rivivere ancora e ancora.


L’ansia è la paura di un fantasma, di qualcosa che non esiste e che molto probabilmente non accadrà mai, ma che è accaduto una volta nella nostra vita. È “la paura della paura” che – secondo autori come Kohler e Osho – è una problematica prettamente spirituale. Perché la vera causa di ogni timore è la perdita di contatto con il Divino, con la Fonte, con l’Amore. È la sensazione di essere separati dall’Uno, è una sensazione di disconnessione, di totale perdita di sé e allontanamento dalla Sorgente: “la paura è uno stato di non contatto con l’esistenza2. “La paura è solo assenza d’amore”3: quando amiamo, nel contatto con l’altro, ritroviamo la connessione con il Divino e la paura ecco che magicamente scompare, proprio come scompare il buio quando accendiamo la luce.


Secondo lo psicologo A.Loyd “Quasi ogni problema o mancanza di felicità e di successo proviene da uno stato interiore in cui è presente qualche forma di paura, perfino i problemi fisici. E ogni stato interiore di paura deriva da una carenza di amore riferita a quella particolare problematica. …Se il problema è costituito dalla paura, allora il suo opposto, l’amore, rappresenta l’antidoto” giacché “In presenza di vero amore non può sussistere paura (eccetto se si è in pericolo di vita).4

Quando siamo nella paura il nostro organismo rilascia cortisolo, l’ormone dello stress, che provoca, tra l’altro, aumento della pressione sanguigna e diminuzione delle difese immunitarie, oltre ad un atteggiamento di chiusura e blocco che ci impedisce di aprirci a nuove soluzioni; quando invece viviamo nell’amore l’organismo rilascia ossitocina, insieme ad altri peptidi, che favorisce il rilassamento, la gioia, la connessione, abbassa la pressione, stimola la risposta immunitaria e l’ormone della crescita (pensiamo quanto questo è importante nei bambini!). Insomma si tratta di decidere da che parte vogliamo stare e trovare i mezzi per andarci.


Per tornare all’ansia, abbiamo visto che è un personaggio antico, con radici profonde che vanno ricercate in un passato che spesso è molto, molto remoto. E vanno estirpate per evitare che la pianta ricresca a poco a poco. Ma ci vuole coraggio per farlo. Un coraggio da leoni… Non sempre lo si possiede e allora si ricorre a un palliativo: qualche pasticca da buttare giù ogni giorno. La soluzione migliore per chi sta intorno: niente più pianti, niente crisi isteriche… Ma lo spirito langue, l’anima si assopisce e la sfida è rimandata al prossimo giro di giostra.


Chi invece coglie il messaggio e si mette al lavoro sa di dover affrontare compito arduo, faticoso, estenuante. Lavoro paziente di mesi, anni. Lavoro da contadino… Le radici vanno cercate ad una ad una così da eliminarle una volta per tutte, per sempre.


Ma quando si riesce nell’impresa cambia la vita: a ragione si può acclamare la vittoria e offrirsi gli onori meritati. L’ansia superata lascia un regalo: lo chiamerei umiltà-empatia.


Chi si è torturato per anni e ha vissuto l’agonia capisce gli altri e la loro sofferenza e può aiutarli a superarla come lui ha fatto con la sua.

Depressione: il muro del pianto

La depressione invece è come un muro. Il muro del pianto, su cui si può solo sbattere la testa. Per un bambino una madre depressa è un monumento di dolore e non è facile viverci accanto. Una madre depressa è una mamma che ha la schiena girata, che non guarda il bambino ma ha lo sguardo fisso lontano, in un punto che si perde nel nulla. Una madre depressa è una mamma che guarda la morte, da cui è fortemente chiamata. Un bambino che ha una mamma depressa vive una vita da fantasma perché se la mamma non lo vede e non gli parla a lui sembra di non esistere addirittura.


Ma non solo. Succede di più: se la mamma non guarda emotivamente il bambino questo si sente colpevole e pensa dentro di sé “cosa avrò mai fatto per non ricevere attenzione?” e da qui nasce la convinzione di non essere degno di amore. Un condizionamento che ci si porta dietro, appiccicato addosso, per una vita intera: quell’inconscio “non merito di essere amato” saboterà infatti tutte le relazioni future.


Il bimbo che si sente non visto cresce poi in un continuo sforzo di essere bravo, anzi bravissimo, il più bravo di tutti per catturare lo sguardo mancante della madre, per essere finalmente guardato, prima o poi, anche se magari ha già raggiunto o superato i quarant’anni…


La depressione non è affatto una questione di mancanza d’amore. La mamma depressa non è una mamma che non ama il suo bambino, è una mamma lontana, irraggiungibile perché totalmente avvolta nel suo dolore: il bambino per trovarla dovrebbe morire con lei, calarsi insieme a lei nel sepolcro. Cosa che a volte accetta persino di fare. Perché un bambino è pronto a qualsiasi cosa pur di farsi amare e pur di aiutare il suo genitore e non lasciarlo solo nel dolore.

Ecco come la psicanalista M.L. Pierson descrive la dinamica che si scatena in questi casi: “Il bambino che assiste alla sofferenza dei suoi genitori tacerà per non dare fastidio e accrescere il peso che grava su di essi. Ma diventerà ben presto un colpevole potenziale, convinto di essere la causa della sofferenza dei suoi genitori, prima di trasformarsi in un piccolo tampone dell’angoscia. Sì, il bambino è una carta assorbente. Tutta la sua energia, anziché essere investita nella sua crescita personale, consisterà nell’assorbire l’angoscia intorno a lui e a tentare di risolvere i problemi dei suoi genitori. Egli prenderà così l’abitudine di non preferirsi e darà la priorità alle richieste degli altri. E siccome non riuscirà ad aggiustare le cose, la sua autostima ne risulterà danneggiata e lui entrerà in una logica complicata di espiazione che genererà una severità eccessiva riguardo alla propria vita. Lui rischierà allora di impedirsi la felicità facendo fallire i suoi progetti. …Ecco come il circolo vizioso si mette in atto.”5


La mamma depressa è una mamma che ha bisogno di aiuto perché è immobilizzata nella sua evoluzione: la sua sofferenza viene da lontano e ne vanno ricercate le cause.


Come dice Marie-Louise Pierson con una bellissima espressione, la depressione viene “de l’Ailleurs et de l’Autrefois”, cioè da un altro tempo e da un altro luogo, dalla storia della persona stessa o dalla sua “prei-storia”, ovvero la storia della sua famiglia di origine. Molto spesso per esempio alla base della depressione c’è un senso di colpa o un segreto di famiglia, taciuto e occultato magari da diverse generazioni, comunque un ricordo, “una sofferenza antica provata nell’infanzia, incistata, incriptata, non cicatrizzata, dimenticata o repressa, che non è stato possibile affrontare, per mancanza di sostegno. Ma anche a causa di patti inconsci di lealtà assunti per non tradire i propri cari”6.

Secondo Lise Bourbeau la de-pressione è “il mezzo usato per non subire più pressione, soprattutto affettiva” e la ferita più frequente che ne è alla base è quella del rifiuto, la più devastante per un essere umano: quando questo immane dolore dell’essere viene vissuto nell’isolamento, cioè nell’impossibilità di condividerlo e raccontarlo, ecco che porta a un ripiegamento su di sé con un conseguente blocco dei desideri e lo sviluppo di emozioni di rancore, odio e mancanza di fiducia negli altri (in particolare con il genitore di sesso opposto o con il partner). I depressi in genere sono persone che non ne possono più, che sono arrivate al limite ma che non si fanno aiutare perché tendono a riprodurre la situazione vissuta in passato in cui nel momento della difficoltà non c’era nessuno disponibile a dar loro una mano.


Non sempre però – ricorda la Pierson – dietro la depressione ci sono traumi devastanti: a volte la causa può essere anche un evento che può sembrare banale e non commisurato alle conseguenze, un dettaglio insignificante, una menzogna, un fraintendimento, qualcosa che non ci è stato detto oppure invece, in altri casi, un ricordo così doloroso che si è preferito reprimerlo nell’inconscio per non venirne distrutti.


Tutto ciò va riportato alla coscienza con un aiuto professionale qualificato e competente.

In ogni caso la depressione non è mai dovuta all’avvenimento che sembra averla scatenata, che è solo un “detonatore” che attiva qualcosa di molto più antico: “l’Oggi si appoggia sull’Ieri e l’Altrove, causando una sofferenza intollerabile. Perciò occorre andare all’indietro per capire cosa ha fatto così male ieri e che un avvenimento di oggi ha ravvivato”.7


La Pierson ricorda che Ferenszci, grande amico di Freud, vi vedeva “un tentativo dell’essere, al pari delle stagioni, di mettersi in stato di glaciazione, di riposo momentaneo, per non morire sotto l’impatto troppo intenso dei traumi inconsci. Una forma di “protezione che impedisce all’essere interiore di morire rallentando le sue funzioni, per il tempo necessario a dare un senso a ciò che sta succedendo.”8


Ecco perché – lei sottolinea – pazienza e lentezza sono assolutamente necessarie al depresso, affinché prenda coscienza del suo malessere e lo racconti a chi può capirlo.


La volontà non ha nulla a che fare con questo processo: non si tratta per la persona depressa di non voler vivere, è proprio che non può farlo.


In Francia, all’interno dell’ospedale J.M.Charcot di Saint-Cyr-L’Ecole, era stato creato un centro di “Maternologia” per curare le donne con forme di depressione post-partum, ospitandole insieme ai loro bambini. Il progetto9 era nato nel 1987 da uno psichiatra infantile, Jean Marie Delassus, che si è occupato molto di vita prenatale. Ecco cosa ha affermato in un’intervista sul web: “Siamo fuori dal campo della medicina organicista, non ci interessano i meccanismi puramente fisiologici ma quelli emozionali. La nostra è una medicina del cuore, dove si va avanti con l’esperienza, l’analisi delle sensazioni e l’empatia. Ormai abbiamo alle spalle vent’anni di storia che ci aiutano a capire e ad aiutare le pazienti, tanto che prima restavano in terapia sei mesi, mentre oggi le degenze non superano le tre settimane. Con una percentuale di successo del 95%”. Lo scopo del Centro è di favorire la maternità necessaria alla nascita psichica del bambino, che non corrisponde necessariamente a quella biologica, sostenendo le mamme ed aiutandole con brevi sessioni quotidiane di psicoterapia e un’attenta osservazione della loro relazione con il neonato, attraverso anche uno studio video-clinico dell’allattamento. Il Centro di Maternologia vuol essere uno spazio psichico all’interno del quale la donna può liberare, attraverso la parola e l’attenzione alla sua storia, il suo slancio materno. E così accettarsi e ritrovarsi e insieme accettare e ritrovare il suo bambino.


“La nascita non ha fine – dice Delassus – Il giorno in cui si ferma si chiama depressione. Noi siamo persone in nascita: la nascita è perpetua e colui che ha la nascita perpetua in lui sente di avere un’anima, di essere vivo, di essere uomo. Vivere è assicurarsi la nascita perpetua.”


“La depressione è ancora il Grande Nemico – scrive Hillman – Eppure attraverso la depressione noi entriamo nel profondo e nel profondo troviamo l’anima. La depressione è essenziale al senso della vita.”10


“È come una febbre che viene a segnalare che una parte della nostra storia è sofferente e che per continuare la nostra strada nella vita bisogna occuparsene attivamente. Può succedere a chiunque e non è necessariamente appannaggio di infanzie difficili. Non è una malattia fisica da curare con vigore con dei farmaci – benché essi possano essere a volte per un periodo transitorio necessari – ma un processo di maturazione, una sorta di guarigione del cuore attraverso dei cambiamenti e delle trasformazioni divenuti inevitabili tanto quanto necessari a un certo momento della vita.” …La depressione non è un maledizione o una malattia di cui bisogna sbarazzarsi a qualsiasi costo, ma un’esperienza arricchente che fa maturare, e che è anche una rinascita, un passaggio da accogliere, una tappa iniziatica, che fa diventare ciò che non si è mai osato essere. In questo senso “la depressione è una seconda chance nella vita. … È un’avventura interiore formidabile che apre la porta a delle possibilità fino ad allora sconosciute. … Si esce da una depressione in condizioni molto migliori di prima. Ci si ritrova più adulti, più umani, più capaci di amarsi, di preferirsi, di perdonarsi. Di creare.”11

Lo stesso vale per l’ansia e gli attacchi di panico.

Nella storia di Amore e Psiche, Pan salva la vita a Psiche quando questa vuole suicidarsi, così allo stesso modo il panico “serve a darci una scossa, a farci scappare via e ci salva la vita” “procurando un radicale mutamento di coscienza, un allontanamento totale da dove si era prima”12. Come dice Osho “La paura è una delle soglie attraverso cui si entra nel proprio essere”.13


Insomma ansia e depressione, sebbene siano sintomi faticosi e difficili da gestire, possono essere un dono, una grande opportunità per rinascere e ricominciare da capo. Ecco perché non bisogna arrendersi mai: quando si pensa che sia tutto finito è proprio il momento in cui tutto ha inizio…

Il dolore dell'anima

Incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.

Oriana Fallaci, Inshallah

Pronto soccorso in caso di attacchi di panico

  1. Spruzzare Rescue remedy sui polsi ogni cinque minuti (oppure diluire 4 gocce di Rescue + 2 gocce di Aspen in un bicchiere d’acqua e bere un sorso a più riprese).

  2. Sedersi per terra e guardare una fonte di luce (cielo azzurro, candela, lampada).

  3. Respirare lentamente, visualizzando luce azzurra che entra da una narice e aria scura che esce dall’altra.

  4. Effettuare la manovra dell’EMDR: posizionare davanti a sé un foglio A4 ad una distanza di circa 30-40 cm (o le proprie dita indice e medio di ogni mano) e, senza muovere la testa, spostare gli occhi da un angolo all’altro del foglio (o da una mano all’altro) per una decina di volte pronunciando una frase del tipo “Va tutto bene, sono al sicuro”.

  5. Effettuare la manovra dell’EFT (v. capitolo sulla logosintesi).

  6. Chiedere aiuto a chi ci sta accanto o a chi può capire ciò che stiamo vivendo e/o, se fa parte del nostro sentire, pregare l’Essenza o il proprio Angelo custode di sostenerci e farci trovare le soluzioni più idonee per superare il momento difficile.

  7. Ricordarsi che per quanto i sintomi siano devastanti non hanno nessuna base organica e non comportano nessun rischio per la salute.

Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.