PARTE terza - La salute del bambino

Il viaggio dell’anima:
partenza e atterraggio…

Ciascuna persona viene al mondo perché è chiamata

J. Hillman

Chiamate il mondo, vi prego, la valle in cui cresce l’Anima e allora scoprirete a cosa serve il mondo

J. Keats

L’attuazione del tuo potenziale è la ragione per cui sei vivo

J. Hillman

Ho sempre saputo, o meglio sentito, di essere venuta qui su questa terra per un motivo ben preciso, per compiere una missione speciale e durante il viaggio sciamanico, a ritmo di tamburo, guidato da Matthew Appleton, nel corso del seminario “Soul loss – La perdita dell’Anima”, ne ho avuto piena conferma…


Lo psicanalista junghiano James Hillman ha scritto pagine bellissime sul fenomeno della “vocazione”: un termine che faceva parte del linguaggio religioso ma che ha invece una portata ben più ampia e che merita di essere riscoperto e approfondito.


“Perché è questo che in tante vite è andato smarrito e va recuperato: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi.”1


Esiste – come dice Hillman – un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo ed esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere; il mondo, in qualche modo, vuole che io esista”. Vocazione vuol dire “chiamata”: a che cosa sono chiamato io in questa mia vita? Questa è la domanda più importante che dovremmo porci.

Secondo Hillman ognuno di noi nasce con un’immagine innata che contiene il proprio destino prescelto, un’immagine che ci definisce, un’immagine immortale nella quale viviamo e con la quale moriamo, “un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di essere vissuta”2, un’immagine che è l’essenza della nostra vita e “che la chiama ad un destino”3. “Noi siamo quell’immagine”: “l’immagine è presente tutta in una volta”4 anche se “la si comprende molto lentamente”5 e per dipanarla occorre tutta la vita. È il dono che ci è stato fatto alla nascita dalle fate buone, proprio come nella fiaba della Bella addormentata nel bosco e di cui non dovremmo mai dimenticarci.


Hillman usa in modo intercambiabile molti termini diversi per indicare questo concetto di immagine innata: a volte parla di “ghianda”, a volte di “daimon”, a volte di vocazione o di anima. Tutte parole grosse, altisonanti di cui – egli dice – non bisogna avere paura. “Esse non sono vuote; semplicemente sono state abbandonate e vanno riabilitate.”6


Solo così infatti si riuscirà a recuperare il senso del proprio stare al mondo e a guardare la propria vita, con tutto ciò che essa comporta, da una prospettiva completamente diversa: con l’occhio dell’Eroe anziché con quello della Vittima…


Quanto più – dice Hillman – ci spieghiamo la nostra vita sulla base delle leggi della genetica e delle colpe dei nostri genitori, di ciò che hanno fatto o hanno omesso di fare, sulla base dei nostri traumi infantili, tanto più la nostra storia sarà la storia di una vittima. Quanto più invece riusciremo a vederla come la realizzazione di una vocazione, in cui “la cosiddetta esperienza traumatica non è un incidente, bensì l’occasione che il bambino stava pazientemente aspettando (e se non si fosse verificata quella, ne avrebbe trovata un’altra) per poter dare direzione e necessità alla propria esistenza, in modo che essa diventasse una faccenda importante”7, tanto più troveremo la forza dell’Eroe per viverla come essa ci chiede di essere vissuta.


Quando, durante il seminario sulla perdita dell’Anima, ho sperimentato il dolore e la disperazione al momento dell’incarnazione, che si è tradotta in un grido lacerante “Io qui non ci volevo venire da sola!” il mio insegnante, Matthew Appleton, è venuto in mio soccorso ricordandomi l’importanza di ciò che sto facendo attraverso la mia scrittura. Ritrovare il senso del proprio destino permette di superare i momenti di crisi e di ritrovare la rotta quando, per le difficoltà della vita, momentaneamente la si perde.


Questo vale anche per i bambini: “La teoria della ghianda – scrive Hillman – offre un modo completamente nuovo di guardare ai disturbi infantili, considerandoli dal punto di vista non tanto delle cause quanto delle vocazioni, non tanto delle influenze passate, quanto delle rivelazioni di un futuro intuìto.” “Ciò che fanno e patiscono i bambini – egli continua – ha a che fare con la necessità di trovare un posto alla propria specifica vocazione in questo mondo”8.

Non è sempre facile, almeno non per tutti.

Crescere e allinearsi sulla strada della propria vocazione è un processo lungo e faticoso.


Perché “crescere è discendere e la discesa è dura.”9

Ce lo dimostra per esempio la fontanella che in alcuni bambini è molto grande e impiega tantissimo tempo a chiudersi: “il suo indurirsi in un cranio ermeticamente sigillato segna la separazione da un invisibile aldilà e il definitivo arrivo quaggiù. Ci vuole un po’ a discendere. E un bel pezzo di vita prima di reggersi in piedi. L’enorme difficoltà che il bambino piccolo mostra nel calarsi nel mondo, la forza con la quale si aggrappa al nostro dito, la sua paura, la fatica di adattarsi, il suo spaesamento di fronte alle piccole cose della terra ci dimostrano quotidianamente come sia difficile crescere, cioè discendere.”10


L’atterraggio non è operazione semplice e in alcuni casi può rivelarsi anche un po’ traumatico…


Ci sono bambini che, come dice l’antroposofo Kohler, avrebbero voluto restare “nelle vicinanze del cielo” e che quindi fanno molta fatica ad adattarsi alla realtà terrena che per loro, anime sensibili e lievi, è veramente troppo dura… Si tratta di bimbi dolci e delicati, che si perdono nel mondo dell’immaginazione e delle fiabe, piccoli poeti che sanno dare “un leggero tocco animico a tutte le cose”11. Sembrano insicuri e deboli ma in realtà solo perché sono “un po’ sopra la terra” e vogliono avvicinarvisi cautamente e anche perché, essendo anime belle e buone, si arrendono facilmente e si sottomettono alle imposizioni altrui pur di mantenere la pace e l’armonia. Ma – come ci ricorda Kohler – questo non è un disturbo, una patologia, bensì un talento: “Che questo talento non sia “normale” non ci dà il permesso di vietarlo al bambino e di strappare il velo intenzionalmente! Dobbiamo rispettare e onorare questa sua scelta che rappresenta un aspetto pregevole e bello della sua personalità”12 e aiutarlo ad accettare la realtà, a dire sì alla vita, riscaldandolo e “accompagnandolo con tutta la dolcezza possibile fin dentro l’esperienza”, per esempio attraverso i giochi di ruolo, la manipolazione della creta o della pasta da pane – così da acquisire fiducia nelle proprie mani – ma anche attraverso pediluvi e massaggi, e quando “appoggerà bene i piedi su questa terra, ci stupiremo di cosa sarà capace!”13


“Ogni bambino ha diritto al proprio percorso – egli aggiunge – Noi possiamo “soltanto” assisterlo, accompagnarlo e sostenerlo. Non pretendiamo di essere di più”. E del resto “Cosa vuol dire “di più”? Esiste un compito più grande e straordinario di offrire sostegno ad un bambino, affinché possa svelare il suo essere del tutto individuale e proprio e portarlo nel mondo?”14 E questo vale per tutti, non solo per i bambini…

Della partenza...

Più volte ho notato nei bambini piccoli un grande entusiasmo nel vedere oggetti ruotare su se stessi come fa una trottola. Anche il movimento di rotazione di un vecchio macinino per il caffè li affascina… Ma è soltanto dopo l’esperienza personale vissuta sul momento del pre-concepimento durante il seminario sopracitato, che ho capito il reale significato di questo interesse così appassionante per i più piccini.


Esiste una realtà al di là di quella tangibile che non è meno vera e reale di questa ma che passa inosservata ai più, a meno che non siano poeti o artisti di sensibilità straordinaria: è la vita dell’Anima.


Perché, come scriveva Theilard de Chardin, noi non siamo esseri umani che tentano di essere spirituali ma esseri spirituali che tentano di diventare umani, siamo cioè esseri dotati di un’Anima: “Chiamate, vi prego, il mondo la valle del fare anima e allora capirete a cosa serve il mondo” diceva il poeta Keats.

Ma che cos’è l’Anima? Come scrive Hillman “L’anima non è un’entità misurabile, non è una sostanza e non è una forza, anche se noi siamo chiamati dalla forza delle sue pretese. Non ha nulla di corporeo” e dunque la sua natura non può essere compresa “con mezzi fisici, ma solo con un pensiero indagatore, un sentimento aperto al sacro, un’intuizione evocativa e un’immaginazione ardita: la modalità di conoscenza del Puer15. Personalmente la definizione che più mi risuona e trovo calzante è quella proposta da Appleton: “L’Anima è quella parte dello Spirito che desidera incarnarsi, cioè compiere un’esperienza terrena”.


L’Anima vuole scendere in questo mondo per scoprire “ciò che nessun Angelo sa”, come è detto molto efficacemente nel memorabile film Il cielo sopra Berlino di Wenders.


Ma “La discesa è dura, l’Anima è restia a discendere e a contaminarsi col mondo”16 scrive Hillman citando lo Zohar, il testo sacro della sapienza cabalistica.


Ecco come per esempio descrive il processo dell’incarnazione Mario Montessori, figlio di Maria: “Il bambino non è un pezzo di carne insensibile ma un’anima che ha rinunciato alla sua immensa libertà prima del concepimento per divenire ingabbiata in una stretta prigione di un piccolo corpo.”17

L’Anima scende sulla terra con un movimento rotatorio, a spirale, proprio come quello degli astri: è una specie di risucchio, di centrifuga che porta a una sorta di condensazione.


Potete averne un’idea più chiara guardando la scena iniziale del film sul Mago di Oz, quando Dorothy viene portata via dalla tromba d’aria e precipita in un altro mondo con la sua casetta e l’amato cagnolino che stringe al petto: è un modo molto efficace di rappresentare in modo simbolico il vortice del preconcepimento.


Non sempre il processo è piacevole: alcune anime partono ridendo e si lanciano nel vortice con uno spirito d’avventura, altre invece sono riluttanti e devono venire spinte da mani invisibili perché tremano e tentennano sull’orlo… C’è poi chi proprio non vuol venire ed è arrabbiato perché non vuole partire da solo e lasciare l’anima gemella…


Quella del preconcepimento è la prima soglia che si incontra nel processo di nascita ma ce ne sono altre due: quella dell’impianto della blastocisti nell’utero e quella del secondo stadio del travaglio del parto, in cui il bambino per nascere è costretto a ruotare e a staccarsi definitivamente dalla Fonte.


Tutte queste soglie si presentano come dei restringimenti a imbuto il cui attraversamento richiede una forte compressione: è in questi punti chiave che più facilmente si perdono frammenti di anima.

...e dell'atterraggio

Il momento dell’atterraggio e dell’annidamento nell’utero può essere vissuto in modi completamente diversi: per alcuni può essere un’esperienza estremamente piacevole e gratificante, per altri addirittura terrorizzante.

Con l’impianto della blastocisti nel tessuto uterino inizia la vita all’interno del grembo materno.


Se questo non è accogliente come dovrebbe essere e stare lì, in quel corpo, si rivela molto doloroso per l’anima, ecco che questa si frammenta e alcuni pezzi si staccano e se ne vanno… E insieme ad essi se ne vanno anche i nostri doni al mondo: recuperarli sarà lavoro di una vita.


Quando inizia il travaglio per il bambino incomincia un nuovo viaggio impegnativo e faticoso, non privo di pericoli: la cervice uterina gli si presenta come un muro su cui si trova a sbattere più volte la testa. E poi ecco che al secondo stadio succede qualcosa di totalmente nuovo e imprevisto: per poter progredire nell’uscita dal corpo materno il bambino deve compiere una rotazione che lo porta per la prima volta a perdere l’asse del cuore e insieme ad esso il contatto con il Divino da cui proviene e da cui si deve separare per nascere. È un momento molto difficile che per alcuni diventa fortemente traumatico: la nostalgia della Fonte è grande e l’Anima fa fatica a distaccarsene. Per procedere ha bisogno di risorse: per qualcuno può essere sapere di trovare una pelvi accogliente e amorevole in cui incanalarsi con fiducia, per altri mantenere una sorta di cordone ombelicale con il mondo di là o con qualcuno che là si è lasciato, un gemello per esempio.


Il fatto è che per nascere bisogna separarsi e questo è ciò che rende così difficile il processo.

E per aver voglia di restare in questo strano mondo bisogna sentirsi accolti. Accolti in un nido d’amore. Ma non sempre per i piccoli che vengono alla luce c’è posto nell’albergo di un cuore di donna e di uomo…


Chi ha vissuto il passaggio attraverso una di queste tre soglie in modo traumatico rischierà di portarsi dietro la ferita per il resto della sua vita (se non ci lavorerà su per chiuderla una volta per tutte): se la difficoltà sarà stata al momento dell’impianto vivrà problemi soprattutto legati all’appartenenza, al trovare un posto nel mondo, un posto “dove poggiare il capo”; se invece il trauma è avvenuto al momento del preconcepimento o del secondo stadio del travaglio ci sarà maggiormente la fatica di stare qui e la voglia di ritornarsene da dove si è venuti: sono questi i casi dei bambini che appena entrano in studio dicono subito “Voglio andare via! Voglio tornare a casa “…


La nostalgia per la Fonte è espressa chiaramente nelle raffigurazioni pittoriche di tanti santi e martiri con lo sguardo rivolto verso l’alto e gli occhi persi nell’infinito. Ma anche nei neonati o nei bambini piccoli, come testimoniano le parole di una mamma che mi dice riguardo al suo figlioletto “Guarda in su e sembra che parli con qualcuno…”


La tematica della difficile incarnazione la si ritrova poi nei poeti romantici, non per nulla morti molto spesso di tubercolosi, una malattia dovuta proprio alla impossibilità di mettere radici in un mondo sentito come troppo crudele e difficile per poterci vivere.


L’anima dunque soffre e la sua è una sofferenza profonda e silenziosa che quando però si fa incontenibile incomincia a urlare la sua pena.

L’Anima infatti non si stanca di bussare alla nostra porta perché vuole essere vista, riconosciuta e ascoltata e ci parla in molti modi, anche attraverso i sintomi.


La nostra cultura però non presta attenzione alla sottile voce dell’anima e la sopprime con farmaci chimici e così i sintomi della perdita dell’anima passano per lo più misconosciuti: apatia, sensazione di disconnessione, di ottundimento, di incompletezza, di depressione; perdita dell’autostima; ansia, paure e fobie; dipendenze; vuoti di memoria; procrastinazione, difficoltà a focalizzarsi ecc.

Tali malesseri vengono attribuiti a situazioni di “stress” mentre la realtà è che si tratta di richiami dell’Anima. Diceva Sant’Agostino: “Dio ti chiama al tuo progetto ma tu sei sordo e Dio allora ti manda l’inquietudine, affinché tu cominci a cercare la centralità della tua anima”. Ben lo sapevano i mistici che non per nulla definivano i momenti di sprofondamento nel buio “l’oscura notte dell’Anima”, quella che ci fa “passare attraverso l’inferno della sofferenza psicologica e ci chiede di metterci in viaggio nel mondo dello Spirito, accettando di lasciarci andare totalmente in un mare nero e senza fondo, di precipitare nel buio assoluto, contemplando anche la possibilità che questo precipitare potrebbe non finire mai per il resto della vita, ma sapendo che più si precipita e più paradossalmente si sale e si guarisce, divenendo fonte di guarigione anche per altri che incontriamo sul nostro cammino”18.


Ne parla anche Assagioli, padre della psicosintesi, che ha aggiunto alla psicoterapia una dimensione spirituale: “Lo sviluppo spirituale dell’uomo è un’avventura lunga e ardua, un viaggio attraverso strani paesi, pieni di meraviglie, ma anche di difficoltà e di pericoli. Esso implica una radicale purificazione e trasmutazione, il risveglio di una serie di facoltà prima inattive, l’elevazione della coscienza a livelli prima non toccati, il suo espandersi lungo una nuova dimensione interna. Non dobbiamo meravigliarci perciò che un cambiamento così grande si svolga attraverso vari stadi critici, non di rado accompagnati da disturbi neuropsichici e anche fisici (psicosomatici). Questi disturbi, mentre possono apparire all’osservazione clinica ordinaria uguali a quelli prodotti da altre cause, in realtà hanno significato e valore del tutto diverso e devono venir curati in modo ben differente”19. Necessitano innanzitutto di “un medico che percorra egli pure la via spirituale” e che rassicuri il paziente che “si tratta di una situazione transitoria e non permanente come tende a credere chi vi si trova” e che “il suo tormento, per quanto terribile, ha un sì grande valore spirituale e gli sarà apportatore di tanto bene che dopo arriverà a benedirlo; così egli viene aiutato a sopportarlo e ad accettarlo con calma, rassegnazione e con forte pazienza.”20 Ma per far ciò deve trattarsi di un medico che ha già percorso in prima persona lo stesso cammino…


La verità è che siamo tutti, chi più chi meno, afflitti da un “divino scontento”, siamo tutti in ricerca, l’unica differenza è che alcuni ne sono consapevoli ed altri no… Perché “Risvegliarsi al seme originario della propria anima e udirne la voce non sempre è facile”21. Siamo tutti, chi più chi meno, “stati derubati della nostra vera biografia – il destino scritto nella ghianda –”22 ed intraprendiamo un processo terapeutico proprio per riappropriarcene: per trasformare il trauma in dono, per recuperare il nostro volto originale, la nostra immagine innata, per ricordarci chi siamo.


La casa dei bimbi prima del
concepimento

Una coppia cerca un bambino che non arriva. La loro amica ha un figlio di 7 anni. Un giorno il bambino fa un disegno di un paesaggio, poi disegna una casetta nel cielo. Spiega alla madre: questa è la casetta dove stiamo noi bambini prima di venire al mondo. La madre gli chiede: “E come fate a scegliere la mamma e il papà?”

Il bambino: “Ci sono tante foto appese alle pareti con mamme e papà”.

Mamma: “E come hai fatto a scegliere? “

Bambino: “Ah, quando ho visto te, eri troppo bella!!”

Mamma: “E il papà?” (il padre non aveva riconosciuto il figlio fino a 5 anni di età)

Bambino: “Oh, era ok”

A questo punto la mamma, pensando alla sua amica che non rimane incinta, chiede: “E come fanno una mamma e un papà che vorrebbero un bambino a farsi notare dai bambini nella casetta?”

Il bambino ci pensa su un attimo e dice: “Beh, potrebbero sorridere. A noi bambini piacciono le pance che sorridono.”


Verena Schmid


Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.