...e dell'atterraggio
Il momento dell’atterraggio e dell’annidamento nell’utero può essere vissuto in modi completamente diversi: per alcuni può essere un’esperienza estremamente piacevole e gratificante, per altri addirittura terrorizzante.
Con l’impianto della blastocisti nel tessuto uterino inizia la vita all’interno del grembo materno.
Se questo non è accogliente come dovrebbe essere e stare lì, in quel corpo, si rivela molto doloroso per l’anima, ecco che questa si frammenta e alcuni pezzi si staccano e se ne vanno… E insieme ad essi se ne vanno anche i nostri doni al mondo: recuperarli sarà lavoro di una vita.
Quando inizia il travaglio per il bambino incomincia un nuovo viaggio impegnativo e faticoso, non privo di pericoli: la cervice uterina gli si presenta come un muro su cui si trova a sbattere più volte la testa. E poi ecco che al secondo stadio succede qualcosa di totalmente nuovo e imprevisto: per poter progredire nell’uscita dal corpo materno il bambino deve compiere una rotazione che lo porta per la prima volta a perdere l’asse del cuore e insieme ad esso il contatto con il Divino da cui proviene e da cui si deve separare per nascere. È un momento molto difficile che per alcuni diventa fortemente traumatico: la nostalgia della Fonte è grande e l’Anima fa fatica a distaccarsene. Per procedere ha bisogno di risorse: per qualcuno può essere sapere di trovare una pelvi accogliente e amorevole in cui incanalarsi con fiducia, per altri mantenere una sorta di cordone ombelicale con il mondo di là o con qualcuno che là si è lasciato, un gemello per esempio.
Il fatto è che per nascere bisogna separarsi e questo è ciò che rende così difficile il processo.
E per aver voglia di restare in questo strano mondo bisogna sentirsi accolti. Accolti in un nido d’amore. Ma non sempre per i piccoli che vengono alla luce c’è posto nell’albergo di un cuore di donna e di uomo…
Chi ha vissuto il passaggio attraverso una di queste tre soglie in modo traumatico rischierà di portarsi dietro la ferita per il resto della sua vita (se non ci lavorerà su per chiuderla una volta per tutte): se la difficoltà sarà stata al momento dell’impianto vivrà problemi soprattutto legati all’appartenenza, al trovare un posto nel mondo, un posto “dove poggiare il capo”; se invece il trauma è avvenuto al momento del preconcepimento o del secondo stadio del travaglio ci sarà maggiormente la fatica di stare qui e la voglia di ritornarsene da dove si è venuti: sono questi i casi dei bambini che appena entrano in studio dicono subito “Voglio andare via! Voglio tornare a casa “…
La nostalgia per la Fonte è espressa chiaramente nelle raffigurazioni pittoriche di tanti santi e martiri con lo sguardo rivolto verso l’alto e gli occhi persi nell’infinito. Ma anche nei neonati o nei bambini piccoli, come testimoniano le parole di una mamma che mi dice riguardo al suo figlioletto “Guarda in su e sembra che parli con qualcuno…”
La tematica della difficile incarnazione la si ritrova poi nei poeti romantici, non per nulla morti molto spesso di tubercolosi, una malattia dovuta proprio alla impossibilità di mettere radici in un mondo sentito come troppo crudele e difficile per poterci vivere.
L’anima dunque soffre e la sua è una sofferenza profonda e silenziosa che quando però si fa incontenibile incomincia a urlare la sua pena.
L’Anima infatti non si stanca di bussare alla nostra porta perché vuole essere vista, riconosciuta e ascoltata e ci parla in molti modi, anche attraverso i sintomi.
La nostra cultura però non presta attenzione alla sottile voce dell’anima e la sopprime con farmaci chimici e così i sintomi della perdita dell’anima passano per lo più misconosciuti: apatia, sensazione di disconnessione, di ottundimento, di incompletezza, di depressione; perdita dell’autostima; ansia, paure e fobie; dipendenze; vuoti di memoria; procrastinazione, difficoltà a focalizzarsi ecc.