parte prima - Il cerchio della salute e della malattia

Il linguaggio segreto
dei sintomi e il
simbolismo del corpo

Ci sono due tipi di medicina: quella degli schiavi e quella degli uomini liberi.Quella per gli schiavi, sintomatica, prevede la rapida rimozione del sintomo,perché il soggetto possa tornare al più presto al lavoro.Quella per gli uomini liberi, eziopatogenetica, prevede la conoscenzae la comprensione del sintomo, il suo significato per la salute complessivadel corpo, per l’equilibrio della persona e per la sua famiglia.

Platone

Restituendo i sintomi all’anima, io tento di restituire un’anima ai sintomi ridandoloro quel valore centrale nella vita che è proprio dell’anima.

J. Hillman

Devo la mia scoperta del linguaggio segreto dei sintomi a Claudia Rainville, terapeuta del Quebec e alla sua “Metamedicina”, a cui mi avvicinai all’inizio del mio percorso di ricerca interiore e che seguii per anni con grande entusiasmo e interesse. Fu un po’ come se una finestra fino ad allora chiusa mi si spalancasse improvvisamente per aprirmi nuovi orizzonti.


Lo diceva già Platone nel IV secolo avanti Cristo ma noi lo stiamo riscoprendo adesso: quelli che in gergo medico vengono chiamati “sintomi” non sono altro che segnali che l’organismo ci invia per farci capire che qualcosa non va per il verso giusto.


Qualcosa di simile alle spie lampeggianti che indicano un problema alla nostra automobile: un insufficiente livello di benzina, un guasto alle luci, un danno al motore. Inutile spegnerli e far finta di niente: prima o poi la macchina è destinata a fermarsi e lasciarci a terra.


Le malattie sono campanelli d’allarme e facendo finta di non sentirli si perdono le occasioni che la vita ha in serbo per noi. Non cogliendo i segnali si peggiora la situazione perché sarebbe come se qualcuno bussasse alla nostra porta ma noi non gli aprissimo: costui busserà ancora un po’ più forte e poi sempre di più finché non gli daremo ascolto.


È interessante notare che il significato etimologico della parola “sintomo” è “coincidenza, indizio”. In effetti i sintomi, una volta compresone il significato, si rivelano essere indizi importanti per ricostruire la trama della storia e attraverso di essi possiamo, proprio come bravi investigatori, risalire al movente del delitto…


In francese il termine “maladie” (malattia) si pronuncia allo stesso modo di “mal a dit” cioè “il male ha detto”, come ci ricorda l’omeopata Didier Grandgeorge. Ma che cosa ci dice la malattia?


Il corpo ci parla attraverso i suoi malesseri ma noi sappiamo ascoltarlo? O più spesso ignoriamo i suoi messaggi e ci comportiamo come quando suona la sveglia al mattino e per dormire ancora un po’ la spegniamo e ci giriamo dall’altra parte, rischiando di perdere il treno o l’appuntamento?

Quante volte per esempio di fronte ad un dolore cerchiamo a tutti i costi di sopprimerlo con farmaci e terapie senza metterci neanche un attimo al suo ascolto per capire di quali informazioni è portatore? “La soluzione alla tensione e allo stress – scrive Smith – non è quella di eliminarli ma di utilizzarli a nostro beneficio. Essi sono risposte alle circostanze, sono potenti alleati se utilizzati per rinforzarci”1.

Anche gli incidenti che possono capitarci all’improvviso hanno un senso nascosto: nulla succede per caso nella vita. Il termine francese “hasard” (caso) viene dall’ebraico e significa originariamente “aiuto”, come a dire che questi spiacevoli ostacoli che vengono a frapporsi sul nostro cammino lo fanno per aiutarci a comprendere qualcosa, a raddrizzare la rotta quando abbiamo deviato dalla nostra traiettoria. A volte si tratterà di una gamba rotta o anche solo di una fastidiosa influenza che ci costringe ad un forzato riposo a letto, altre volte della perdita della fidanzata o di un amico caro, che ci invita a riflettere sul tema delle separazioni. Oppure di un fallimento, un licenziamento, o della perdita improvvisa di beni o del lavoro. Sono tutte occasioni per fermarsi e riflettere: che cosa mi sta dicendo la vita in questo momento? Che cosa devo imparare o recuperare? Una volta compreso il messaggio, il problema un po’ alla volta scompare.


Ma se noi non impariamo a trasformare gli ostacoli in opportunità, ecco che gli eventi spiacevoli continuano a ripetersi senza fine. Magari ci arrabbiamo con la cattiva sorte, con il destino crudele che ha infierito su di noi, magari troviamo soluzioni palliative che, come mani d’intonaco su macchie di umido, tolgono là per là l’alone di bagnato ma a lungo termine non risolvono il problema.

Come scrive Hillman, “Il difficile è dare un senso agli accidenti, a quelle banali folate di vento che ci fanno deviare dalla rotta e sembrano ritardare il progettato approdo nel porto teleologico”2 e renderci conto che sono stati “accidenti necessari”: “Sono stati gli strumenti per far emergere la vocazione, modi in cui la ghianda ha espresso la propria forma”3.


Così è bene ricordarci che “ciò che viviamo è necessario che lo viviamo”, e che “comunque siamo non potevamo essere altrimenti.” Quindi “niente rimpianti, niente strade sbagliate, niente veri errori. L’occhio della necessità svela che ciò che facciamo è soltanto ciò che poteva essere.”4


Arrivare a questa consapevolezza è sicuramente un lavoro più impegnativo e faticoso che ingurgitare qualche pasticca, ma è l’unico vincente, l’unico che può realmente cambiarci la vita. Come sottolineava Viktor Frankl “Se l’interpretazione del significato riesce, la malattia si supera più facilmente”5.


E se imbocchiamo questa strada, prima o poi ci renderemo conto che siamo noi stessi i veri guaritori della nostra malattia: l’aiuto dei terapeuti può essere fondamentale per sostenerci lungo il cammino ma la scelta di guarire e di trasformarci appartiene solo a noi.


Come affermava Bach, se impariamo a servirci delle difficoltà che ci affliggono “ognuno di noi può diventare medico di se stesso”6.

Il corpo che parla

Cosa c’è dunque dietro un orecchio che duole, un occhio che lacrima, una fronte che scotta, una difficoltà di respiro? Ce lo siamo mai chiesti? I più – sia medici che genitori – si fermano al sintomo e danno la colpa ai germi di passaggio, come se la responsabilità fosse tutta loro e i nemici da combattere fossero virus e batteri, insomma l’ultima epidemia di turno… Ma non è così. Perché alcuni bambini si ammalano e altri resistono pur andando tutti all’asilo nido? Ce lo siamo mai domandato? Perché alcuni sprizzano salute da tutti i pori e altri sono sempre pallidi e malaticci?


La malattia parla, attraverso il linguaggio del corpo, della sofferenza dell’anima che si ribella, che urla il suo dolore. Come dice P.Altenberg “La malattia è il grido dell’anima offesa” che non può esprimersi altro che attraverso il corpo. Perché corpo e anima non sono due cose diverse, ma solo due modi diversi di percepire la stessa cosa, come diceva Einstein.


Un bambino piccolo non ha altro modo per parlare, non può esprimere a parole ciò che prova, può solo dirlo attraverso la pelle che si arrossa, il peso che non aumenta, il sonno disturbato, la mancanza di appetito. Sta a noi capire. Per farlo occorre mettersi all’ascolto, con umiltà e pazienza. All’ascolto di quel bambino, della sua storia, così unica e speciale, all’ascolto della sua mamma o di chi ce lo porta, che ci racconta di lui. A volte ci vuole tempo per capire, per riuscire a srotolare la matassa. Non sempre l’intuizione è immediata. A volte vanno dissotterrati i ricordi, ricostruita la trama. Bisogna risalire la corrente fino al punto in cui si è inceppato il flusso, laddove si è formato il nodo e piano piano allentarlo per poi riuscire a scioglierlo del tutto. È un lavoro da investigatori e a volte da archeologi, che spesso richiede una pazienza certosina. Non c’è spazio per la fretta. Le storie vogliono tempo, il tempo dell’ascolto, che è un tempo senza tempo. Ma nella storia c’è sempre la soluzione del problema: stanno insieme nella stessa confezione. Ecco perché è così importante soffermarsi a lungo su di essa.

E allora cosa si scopre? Che dietro il sintomo – dagli incubi notturni all’eczema, dal ritardo di crescita al reflusso – c’è stato un trauma, a volte alla nascita, a volte dopo, a volte prima, addirittura durante la vita prenatale. Dietro la facciata si nasconde una ferita ben più profonda che ancora sanguina e reclama di essere curata.

Il sintomo fisico è il custode del ricordo di un problema non risolto a un altro livello, emotivo, mentale o spirituale

scrive lo psicoterapeuta Alain Moenaert, e quindi “un sintomo può essere considerato una comunicazione e un tentativo di soluzione”7.

Facciamo qualche esempio pratico a questo riguardo: una mamma mi racconta della comparsa improvvisa di un’ipoacusia all’orecchio sinistro durante un episodio di pianto della sua bambina. Ci ragioniamo su insieme e conveniamo che il sintomo in questione non sia altro che un tentativo del corpo di appagare un desiderio dell’anima: quello di non sentire piangere la piccola la cui sofferenza ricorda alla mia paziente la propria vissuta da bambina… È come se la perdita improvvisa dell’udito fosse un inconscio tentativo di proteggersi da ciò che fa troppo male sentire…


Prendiamo poi il reflusso, patologia sempre più frequente e molto fastidiosa specie per un lattante. Il piccolino vomita ad ogni poppata e piange per il bruciore e il dolore che gli procura il risalire dell’acido cloridrico lungo l’esofago. Secondo il pediatra omeopata Grandgeorge, il reflusso molto spesso è legato a un parto indotto: al bambino è stato imposto di nascere quando lui non era ancora pronto per farlo e la sua reazione è stata un rifiuto che il suo corpo esprime attraverso il vomito. Personalmente ritengo che, al di là della modalità del parto, ciò che scatena il reflusso sia legato a una sensazione di ingiustizia: qualcosa che abbiamo vissuto ritenendoci di non meritarlo. Su questo sintomo infatti ho voluto fare una piccola sperimentazione personale: dopo qualche notte passata seduta nel letto per via del fastidioso bruciore ho preso il rimedio omeopatico che dò di solito in prima battuta ai lattanti che soffrono di questa patologia: Asa foetida. Dopo solo qualche minuto dall’assunzione, mi è comparso un ricordo, anzi una serie, di episodi accaduti in varie epoche della mia vita che non avevo mai “digerito” e ancora mi “bruciavano” dentro: tutti avevano come elemento comune l’essermi data tanto da fare per qualcun altro e l’aver ricevuto in cambio non un ringraziamento ma addirittura un rimprovero! Farete fatica a crederci ma appena ho liberato attraverso il pianto l’emozione che era rimasta bloccata a questo riguardo il sintomo è passato e io ho potuto tornare a dormire tranquilla e comodamente sdraiata…


Così come questo, qualsiasi altro sintomo rivela un messaggio da scoprire: la sciatica per esempio è legata alla paura del futuro, del farcela da soli, soprattutto da un punto di vista economico; i calcoli biliari invece sono quasi sempre associati alla rabbia, a vecchi rancori e a pensieri negativi, spesso legati alla paura di essere “derubati” di qualcosa; le emorragie di qualunque tipo esprimono una perdita di gioia; la cataratta è come un velo che oscura gli occhi per impedirci di vedere ciò che ci fa soffrire; la frattura all’anca tipica degli anziani è un crollo che fa seguito a una situazione vissuta come un abbandono o comunque ad una sensazione di disfatta con la conseguente paura di non farcela più ad avanzare da soli; la gastroenterite, specie se grave e richiedente un ricovero e la somministrazione di flebo, è una sorta di regressione inconscia, un modo per tornare alla situazione della vita intrauterina in cui venivamo nutriti dal cordone ombelicale…

Come ci ricorda Jodorovsky, il corpo grida quello che la bocca tace: “molte volte, il raffreddore “cola” quando il corpo non piange. Il dolore di gola “tampona” quando non è possibile comunicare le afflizioni. Lo stomaco “arde” quando le rabbie non riescono ad uscire. La pressione “sale” quando la paura imprigiona. Il cancro “ammazza” quando ti stanchi di vivere. La malattia non è cattiva, ti avvisa che stai sbagliando cammino.”8

Possiamo sviluppare un’asma quando ci sentiamo soffocati da qualcuno o da qualcosa (eclatante in questo caso la storia di Proust morto di asma, il quale affermava che preferiva stare male piuttosto che arrecare dispiacere alla madre…), esperienza che risuona spesso con quella di un’anestesia durante il parto o di un problema respiratorio alla nascita; un’afonia quando rimaniamo senza parole per un’emozione molto forte, anche di gioia (come è capitato a me quando ho ritrovato dopo cinquant’anni l’infermiera che mi aveva accudito quand’ero in incubatrice…) o quando non riusciamo a dire di no…


La tosse, sintomo tanto comune nei bambini, è una manifestazione del loro malcontento: non per niente i piccoli cominciano a tossire regolarmente a settembre, quando ancora le condizioni climatiche sono buone, ma comincia il nido o la scuola materna… Del resto non succede anche a noi adulti di tossire per esempio durante una conferenza quando siamo stanchi, annoiati o ciò che l’oratore sta dicendo tocca un nostro punto vulnerabile?


Ci sono laringiti e broncospasmi scatenati dalla paura che quando è forte impedisce per l’appunto il respiro (come il caso di una bambina che si era spaventata perché l’amichetta giocava al lupo mannaro e la notte è finita al pronto soccorso per un laringospasmo) o bronchiti collegate a ricordi di abbandono (il polmone per la medicina cinese è associato alla tristezza da separazione e al lutto, ma in questo caso si unisce una componente di rabbia, presente in ogni tipo di processo infiammatorio, ovvero in ogni patologia che termina con il suffisso “ite”) oppure catarri bronchiali che vogliono semplicemente dire “Desidero stare a casa, non mi va di uscire!”…


Interessante è poi il caso delle allergie che noi siamo abituati a collegare all’azione di una sostanza irritante (cibi, polvere, pollini, peli di animali ecc.): in realtà si tratta di una sorta di errori del sistema immunitario che ha vissuto uno stress ma si è ingannato sulla sua causa. Per esempio una persona ha vissuto una situazione traumatica accaduta in una stanza dove c’era un gatto o in un prato dove l’erba era stata appena tagliata ed ecco che inconsciamente ha spostato sull’animale o sulle piante la causa del sintomo che invece è legato a ciò che è avvenuto di spiacevole in quell’ambiente. La prova di questo “errore immunologico” è il risultato ottenuto attraverso un esperimento effettuato su alcuni pazienti allergici ai pollini: hanno starnutito alla sola vista dei fiori che però non sapevano essere di plastica…


La coincidenza della data di esordio di un sintomo con eventi appartenenti al passato è molto importante in questi casi per ricostruire la storia e il movente della malattia, come avremo modo di vedere meglio nel capitolo sulle risonanze.


È poi interessante notare, come ho avuto modo di vedere in diversi casi, che un mancato accrescimento in un bambino è a volte legato a una paura inconscia di morire: “Se cresco divento vecchio e dopo muoio come il mio nonno” mi ha detto un giorno un mio piccolo paziente… Oppure, quando si tratta di accrescimento intrauterino, in qualche occasione (e qui vi ricordo di non generalizzare!) è associato a una sorta di “ubbidienza” del piccolo nei confronti della madre che per tutta la gravidanza si è augurata che il bambino non diventasse troppo grande per paura poi di non farcela a partorirlo o che, quando è nato, vorrebbe tenerlo sempre così piccolo tra le sue braccia…

I bambini, che noi sovente consideriamo capricciosi e dispettosi, sono in realtà generosissimi: “i bambini sono coloro che amano di più e che, di nascosto e con infinito amore, tengono insieme i sistemi familiari”9: sono disposti a qualsiasi cosa e qualunque sacrificio pur di aiutare il genitore in difficoltà. E questo fin da quando sono nell’utero materno… Si addossano il ruolo di “feto-terapeuti” prendendosi sulle spalle un carico non loro quando sentono per esempio che la mamma non è in grado di sostenerlo da sola. Cercano in tutti i modi di proteggerla fin da piccolissimi, come racconta Chamberlein, nel suo libro “I bambini ricordano la nascita”, citando il caso di un feto che aveva posticipato il parto ponendosi come una sorta di “tampone” per bloccare la fuoriuscita di sangue dall’utero ed evitare un’emorragia alla madre… Ma lo fanno anche, una volta nati, appiccicandolesi addosso quando sentono che ha inconsciamente bisogno di loro…

A volte poi ci sono bambini che non vogliono guarire: a me è capitato diverse volte sentirmelo da dire dai più grandicelli che rifiutavano qualsiasi terapia, quando facevo loro qualche domanda per capire il senso della loro malattia. In questi casi è importante andare a indagare il perché di questa sorta di autopunizione che può sia nascondere un senso di colpa inconscio sia aiutare a ottenere qualcosa che diversamente sarebbe impossibile da raggiungere (come per esempio stare a casa con la mamma insieme al fratellino appena nato).


Anche gli incidenti che capitano all’improvviso, come abbiamo già detto, in realtà non sono casuali, ci parlano in genere di sensi di colpa nascosti che dovremmo andare a ricercare.


Solo un piccolo esempio a titolo esplicativo: una mamma ha raccomandato al figlio di otto anni di non andare sullo skateboard, dal momento che ha il piede fasciato per una distorsione, ma il ragazzino ci va lo stesso di nascosto: torna poco dopo con una ferita sanguinante al ginocchio, spaventato, dicendo “Mi sento male!”. È chiaro il nesso tra il senso di colpa per avere disubbidito e la rapida punizione che il bambino si è inconsciamente autoprocurata…

Il simbolismo del corpo

Per comprendere il significato dei sintomi è importante tenere conto anche della simbologia del corpo, ogni parte del quale è portatore di un senso particolare: i polmoni rappresentano la vita, il bisogno di spazio e di libertà, ma anche la comunicazione e ad essi sono associati sensazioni di tristezza e di abbandono; il fegato a che fare con la volontà e con la rabbia; i reni con la paura per la sopravvivenza; le ossa sono portatrici delle credenze e dei condizionamenti familiari e le patologie ad esse legate hanno spesso a che fare con problemi di autosvalutazione ma anche di conflitto con l’autorità.


Se per esempio una frattura dovuta ad un incidente è indicativa di un inconscio senso di colpa, la sede della stessa può poi darci ulteriori e più precise informazioni circa la sua natura: se riguarda un piede ad esempio può volerci dire “mi sento forse colpevole di aver preso questa direzione?” oppure può suggerirci che è arrivato il momento di fermarci e prenderci una pausa…

Anche la lateralità dei sintomi è importante: il lato destro è quello paterno, logico e razionale; il lato sinistro è quello materno, intuitivo, artistico e sentimentale.


Così per esempio un tumore al seno destro ha un significato simbolico diverso da quello al seno sinistro: nel primo caso la tematica è legata al partner o a un familiare o una persona cara, nel secondo a un figlio (o anche al proprio bambino interiore).

Anche i denti hanno una loro simbologia: una carie, un ascesso o la perdita di un molare ha un significato diverso da quella di un canino o di un incisivo… E lo stesso vale se il dente si trova nell’arcata superiore o inferiore, destra o sinistra. Non può non stupire rendersi conto per esempio, come è successo a me, che il dente appena devitalizzato dal dentista è simbolicamente legato ai “divieti”, proprio la tematica emersa nell’ultimo lavoro svolto con il terapeuta…

L’organismo umano è in fondo un universo in miniatura: La Cabalah ebraica “associa, in un complesso sistema cosmologico, ogni organo del corpo a una costellazione, a un segno astrologico, a una lettera dell’alfabeto, a un mese dell’anno, a una sefirà10, a un attributo psicologico e spirituale, a uno dei dodici sensi”11.


“Il corpo umano è simile a un grande tempio le cui fondamenta sono i piedi, e il cranio il tetto – scrive Grandgeorge – …Sul piano anatomico, se il piede rappresenta il germe – l’ego – il ginocchio simbolizza l’accesso al “noi” e l’anca la terza dimensione dell’amore.”12

Secondo la Cabalah si tratta dunque di percorrere la via che parte dall’eros (l’io dell’infanzia), per passare alla philia (il noi della coppia) e arrivare all’agape (il dono dell’amore altruistico universale che si dovrebbe raggiungere con la vecchiaia). Un cammino iniziatico in tre tappe per percorrere il quale non basta una vita intera…


Nella visione taoista, che è alla base della medicina tradizionale cinese, l’essere umano è diviso in tre parti principali, ognuna delle quali rispecchia una parte del cosmo: la testa rappresenta il Cielo, il bacino e le gambe la Terra, e il tronco l’Essere umano, che fa da ponte tra questi due mondi e il cui compito è per l’appunto quello di portare un pezzo di Cielo sulla Terra…


Ma per poterlo fare occorre che ogni parte sia connessa con le altre in modo armonico: proprio come la linfa in un albero così anche l’energia nel corpo umano per scorrere in modo adeguato ha bisogno di non trovare ostacoli lungo il cammino. Quando per esempio il cuore, che è il sovrano di tutto l’organismo e un vero e proprio snodo energetico, è ingombro di emozioni quali la rabbia, l’odio, la paura, il flusso è difficoltoso…


Ecco dunque la necessità di lavorare sui tre punti chiave, le tre centraline energetiche che i taoisti chiamano “i tre tesori” (Dan tien inferiore, mediano e superiore), sede rispettivamente dell’Essenza (Jing) del Soffio (Qi) e dello Spirito (Shen) e luoghi importanti di trasformazione. Solo così si riuscirà a ricevere l’energia cosmica proveniente dal Cielo e quella tellurica proveniente dalla Terra e a creare un circuito armonico tra corpo, anima e spirito.

Il valore dei sintomi

I sintomi dunque vanno guardati da una prospettiva diversa da quella che siamo abituati ad utilizzare normalmente: come ci ricorda Hillman, solo quando riusciamo a vederli non come qualcosa di negativo, che non va nel bambino, possiamo liberarci dalla fissazione di volerli eliminare a tutti i costi in modi e tempi non rispettosi del percorso evolutivo proprio di quell’anima. Questo non significa naturalmente non curare un piccolino che sta male ma farlo nel modo corretto, in modo da riuscire a “cogliere nel sintomo un’intenzionalità nascosta così da considerarlo meno ansiosamente non più come qualcosa che non va, bensì, più semplicemente, come un fenomeno, cioè “qualcosa che appare, splende, si accende, si illumina, si offre alla vista”13 per farci comprendere il problema nella sua essenza e offrirgli una possibilità di redenzione.


“Voglio che vediamo il bambino che eravamo, l’adulto che siamo e i bambini che per qualche motivo richiedono le nostre cure – dice Hillman – in una luce che sposti la valenza da sciagura a benedizione o, se non proprio benedizione, almeno a sintomo di una vocazione”14.


Perché, come afferma Recalcati, “Tanto più la vita si allontana dalla vocazione del desiderio, tanto più la vita produce sintomi”15, ma se siamo in grado di inquadrarli nella loro giusta collocazione ci renderemo conto che “È la stortura, quello che noi chiamiamo il sintomo, che dice la singolarità della vita, cioè il punto di deviazione, in cui la mia vita non è come quella degli altri, ma diventa vita propria” perché “nella stortura c’è la vita originale”16.


Così, per dirla in modo molto più semplice e concreto, anziché cercare per esempio di abbassare immediatamente una febbre di modesta entità con un farmaco chimico, diamo la possibilità al nostro bambino di sviluppare il suo sistema di difesa immunitaria attraverso le sue risorse e di aumentare la sua energia vitale eventualmente con un rimedio omeopatico o dei rimedi floreali ma soprattutto consentiamogli di comunicarci cosa il sintomo che lo abita sta cercando, in modo così poco piacevole, di dirci…

Rimpinzare un bambino di antibiotici non fa bene né al suo corpo, che ne risulta indebolito e maggiormente vulnerabile (oggi ci sono studi che affermano anche un legame tra antibiotici e obesità) ma nemmeno alla sua anima che viene immediatamente messa a tacere…


Questo non significa che i preziosi farmaci siano da bandire: ci sono situazioni che ne richiedono l’uso, ma sicuramente si tratta di condizioni molto meno frequenti di quanto siamo abituati a credere.


A volte i sintomi sono come stampelle: ecco perché occorre prudenza anche nell’eliminarli. Ci sono adulti per così dire “affezionati” ai loro malanni, che rappresentano una strategia inconscia per sopravvivere ad una situazione altrimenti invivibile. Si tratta di un equlibrio conquistato nel tempo che non può essere modificato all’improvviso senza prevedere gli sconvolgimenti che questo cambiamento può comportare.

“Ogni sintomo è un compromesso. I sintomi sono indirizzati verso il fine giusto, solo che per realizzarlo usano i mezzi sbagliati”17 dice Hillman. Ed è proprio così!

I problemi del presente sono in qualche modo le soluzioni inconsce del passato18.

I sintomi ci proteggono dal rivivere situazioni sgradevoli o inaccettabili: la loro è una strategia utilizzata a fin di bene che però alla lunga diventa insostenibile…


Prendiamo per esempio una persona che ha vissuto un trauma durante un viaggio (che ricorda sempre quello prenatale…) e sviluppa attacchi di panico ogni qual volta sale su un treno o un aereo: l’ansia la spingerà a non muoversi più e rimanere a casa, onde evitare di rivivere una così terribile sofferenza come quella provata durante il trauma originario, che però è rimasto sepolto nell’inconscio. Alla lunga tuttavia questa strategia difensiva diventerà insopportabile perché limiterà a tal punto la vita della persona in questione che la costringerà a mettersi alla ricerca di una soluzione…


Per poter eliminare questa specie di stampelle che sono i sintomi, occorre però prima aver ridato al paziente la forza e la capacità di camminare da solo. E naturalmente occorre che egli abbia la voglia di farlo. A volte occorre aspettare con pazienza che arrivi il momento giusto, quello in cui la serratura bloccata finalmente può fare “click” ed aprirsi.


Bisogna poi stare attenti e procedere con cautela estirpando le radici del sintomo perché a volte strappare solo le foglie può causare dei danni.


Per esempio stimolare, attraverso tecniche energetiche, il senso del piacere e del godimento in una persona che ha un profondo senso di colpa a questo riguardo non fa che peggiorarne la situazione provocando in alcuni casi un forte attacco di panico… Il processo terapeutico quindi, come vedete, è molto complesso e profondo e richiede una vera e propria arte da parte di chi è chiamato a favorirlo e guidarlo.


Molto spesso poi somministrare un rimedio non basta, non è sufficiente, occorre anche compiere un’azione, una trasformazione del pensare o dell’agire. “Comprendere, possedere, trasformare” diceva Assagioli ed è diventato il motto della Psicosintesi.

Il pensiero errato, l’idea falsa e preconcetta va sostituita con un’altra più idonea e positiva. A volte va cambiato un comportamento, se non addirittura uno stile e una modalità di vita. La liberazione dal sintomo non è altro che un’azione che libera da una situazione in cui ci si sente prigionieri.

La malattia è il risultato di un pensiero sbagliato e di un’azione sbagliata e scompare quando l’azione e il pensiero sono in ordine19

scriveva Bach.

Per quanto riguarda i bambini, sono i genitori che spesso devono cambiare i loro atteggiamenti, i loro metodi educativi, imparare a disinnescare il pilota automatico e andare a guardare cosa c’è che non va in loro. Non tutti sono disposti a farlo ma molti sì. Specialmente se si spiega quanto è importante quest’opera di ristrutturazione per evitare di passare ai figli le colpe dei padri… Ma di questo parleremo meglio nel capitolo “Curare la famiglia”, in cui vedremo come genitori e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.

Le domande di Lise Bourbeau

Ecco alcune domande molto utili da porsi per comprendere la causa del problema che ci affligge: in molti casi ci portano molto facilmente a scoprire il bandolo della matassa…


1. Sul piano fisico

Quali sono gli aggettivi che meglio descriverebbero quello che provo nel corpo?

La risposta rappresenta quello che provi nei confronti della persona o della situazione che è all’origine del disturbo.


2. Sul piano emozionale

Questo disturbo, che cosa mi impedisce di fare nella vita?

La risposta a questa domanda rappresenta i desideri bloccati.


A che cosa questo disturbo mi costringe?

Prendete la o le risposte a questa domanda aggiungendo un “non” all’inizio di ciascuna: queste frasi rappresentano altri desideri bloccati.


3. Sul piano spirituale

Se mi permettessi di manifestare questi desideri, che cosa sarei?

Servirsi qui dei desideri rintracciati con gli interrogativi precedenti. La risposta alla domanda corrisponde ad un bisogno profondo del tuo essere, bisogno che è bloccato da una credenza, da una convinzione.


4. Sul piano mentale

Se mi permettessi di essere… (riprendere qui la risposta alla domanda precedente), in generale, nella mia vita, che mai potrebbe accadermi di sgradevole o di inaccettabile?

La risposta a questo interrogativo corrisponde alla convinzione non benefica che blocca i tuoi desideri ed impedisce alla tua esigenza di realizzarsi, creando così il problema fisico.


(Tratto da Lise Bourbeau, Quando il corpo ti dice di amarti, Ed.Amrita, p.2)

Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.