PARTE terza - La salute del bambino

La casa della salute:
prevenire è meglio che curare...

I nostri figli ci offrono l’opportunità di diventare quel tipo di genitoriche avremmo sempre sognato avere.

L. Hart

Se c’è un qualche cosa che vogliamo cambiare nel bambino,prima dovremmo esaminarlo bene e vedere se non è un qualche cosache faremmo meglio a cambiare in noi stessi.

C. G. Jung

Una mamma mi porta la sua bambina in visita: fa fatica ad addormentarsi, si sveglia tantissime volte durante la notte, cerca il contatto… È una delle problematiche più frequenti che mi ritrovo in consultazione. I genitori sono confusi perché qualcuno ha detto loro che devono lasciarla piangere e farla dormire nel suo lettino.


La piccola sta bene, cresce regolarmente e mi fa anche dei bellissimi sorrisi mentre chiedo alla mamma di raccontarmi la storia della gravidanza e del parto, quasi come se fosse felice di sentirsi finalmente onorata e riconosciuta. Ed ecco che a poco a poco mi ritrovo a registrare una storia di guerra, costellata di cicatrici…


Una gravidanza segnata da problemi di salute, momenti di rabbia e di depressione, un parto prematuro farmacologicamente indotto per patologia materna e poi finito con un taglio cesareo. Una donna mal-trattata dagli operatori sanitari, umiliata e spaventata dagli stessi, che piangeva dal dolore e che non ha potuto allattare la sua bambina per un inadeguato sostegno post-partum.


C’è da stupirsi che la piccola faccia fatica a dormire? O che si lasci andare solo tra le braccia della mamma o coricata vicino a lei? È il minimo che possa richiedere dopo un atterraggio così traumatico! Eppure c’è ancora chi sostiene e va predicando la separazione mamma-bambino con la scusa che il contatto crea dipendenza e poi “non lo stacchi più”…


E invece è proprio il contrario, come cerco di spiegare ai neogenitori: quando un bambino non riceve ciò di cui ha bisogno nel momento esatto in cui ne ha bisogno lo cercherà poi per il resto della sua vita, chi invece è stato appagato nelle sue esigenze fisiologiche (perché di questo si tratta e non di “capricci”) potrà andare sicuro nel mondo perché niente gli farà paura.


Così rassicuro la mamma confusa e le propongo, oltre a qualche fiore e a un rimedio omeopatico, una terapia di contatto intensivo, pelle a pelle, con la sua bambina. La invito a tenerla vicino a sé nel lettone e a parlarle raccontandole la storia della sua vita prenatale e della sua nascita rassicurandola che “non è stata colpa sua”, che lei non c’entra niente con quanto è successo e che anche se ci sono stati dei problemi ora loro possono ritrovarsi e stare bene insieme. Perché i bambini pensano sempre che sia a causa loro se qualcosa è andato storto, si sentono spesso responsabili di eventi di cui invece sono stati le vittime inconsapevoli.


Certo – mi dico – che se questa mamma l’avessi incontrata un po’ prima, in gravidanza, forse avrei potuto fare qualcosa di più per aiutarla a prevenire almeno qualcuno dei problemi che hanno costellato la sua gestazione, il suo parto e il suo puerperio…


Una volta, nell’antica Cina, i medici venivano pagati per mantenere in salute i loro pazienti, a testimoniare quanto la prevenzione fosse ritenuta importante ancora più della terapia.


In effetti il compito del pediatra sarebbe quello di preservare la salute dei bambini che si rivolgono a lui, offrendo loro una serie di attenzioni tali da far sì che si ammalino il meno possibile. Prendersi cura di un bambino significa non solo curarlo quando sta male ma anche “coltivare” il suo benessere come si farebbe con un fiore del proprio giardino.


Ed è proprio quello che ho scelto di fare quando tanti anni fa decisi di iscrivermi alla specialità di “Pediatria preventiva e puericultura”.


A volte, mi sono resa conto con il passare del tempo, non occorrono medicine o rimedi particolari ma soltanto indicazioni, consigli, rassicurazioni ai genitori che spesso sono titubanti, insicuri e preoccupati per la salute del proprio bimbo. Oggi molto più che in passato.


Le mamme sono sempre più ansiose e si rivolgono al pediatra per questioni a volte assolutamente banali che un tempo avrebbero risolto da sole. Quante volte mi capita di essere consultata, anche nei momenti meno opportuni, per un semplice raffreddore o una macchiolina sulla pelle a mala pena visibile ad occhio nudo…


La delega agli esperti della salute diventa di giorno in giorno più pressante e imponente.


La saggezza delle nonne di un tempo, con i loro rimedi casalinghi, sembra essere andata irrimediabilmente perduta.


E il pediatra si trova pertanto a fare da mamma alla mamma… spesso anche per questioni educative.


I tempi per le convalescenze si sono drasticamente ridotti a causa delle esigenze lavorative dei genitori e i bambini vengono rimpinzati di farmaci perché devono guarire il più in fretta possibile. Il riposo a letto, con qualche coccola e favola in più, ormai è considerato un lusso che non ci si può permettere e non si può concedere.


In alcuni casi però non sono solo i problemi legati al lavoro ma anche l’incapacità dei genitori a rinunciare per esempio a una vacanza a far sì che bambini febbricitanti o con i bronchi pieni di catarro vengano sottoposti a lunghi viaggi che di sicuro non sono loro d’aiuto…


Insomma, nel campo della salute dei bambini io credo sia necessario ritrovare un po’ di semplice e antico buon senso.


E soprattutto occorre una buona informazione su cosa si può fare per prevenire la maggior parte dei problemi che i bambini si trovano ad affrontare.

La casa della salute

A questo proposito penso che una buona domanda da porsi sarebbe: se paragonassimo la salute dei nostri figli ad una casa in costruzione, su quali fondamenta dovremmo poggiarla?


Io credo su questi quattro pilastri che la renderebbero forte e stabile, a prova di lupo o di terremoto…

  1. UNA BUONA VITA PRENATALE

  2. UNA BUONA NASCITA

  3. UN BUON MATERNAGE

  4. UNA BUONA CRESCITA


Vediamo di esaminarli uno per uno.

1. Una buona vita prenatale

Una buona vita prenatale significa una gravidanza vissuta il più possibile con serenità, con il sostegno da parte del partner o della famiglia, e un buon accompagnamento da parte di professionisti competenti ma anche nello stesso tempo rassicuranti, che sappiano cioè accogliere e seguire la donna facendola sentire contenuta e protetta.


Oggi si sa, grazie alle ricerche delle neuroscienze, che il cervello del bambino inizia a plasmarsi durante la gestazione e le emozioni vissute dalla mamma durante la gravidanza – rabbia, paura, tristezza, ansia – si trasmettono al bambino nell’utero attraverso mediatori chimici provocando effetti che possono manifestarsi anche a lungo termine. È ben diverso per un feto ricevere un’ondata benefica di dopamina (l’ormone del piacere) piuttosto che una spruzzata di cortisolo (l’ormone dello stress e dell’ansia)… Ne ho già parlato nell’ultima edizione di Sono qui con te per cui non mi dilungherò su questo argomento. Dirò solo qui che questo è il vero meccanismo attraverso cui si trasmettono i traumi da una generazione all’altra: la memoria implicita preverbale, veicolata dal liquido amniotico, è alla base di tante sofferenze inconsce della vita adulta così difficili da portare in superficie…


Insomma oggi sappiamo che il nostro modo, più o meno sano o malato, di stare al mondo dipende non tanto dai nostri geni quanto dall’ambiente in cui siamo cresciuti fin da quando eravamo poco più di un ammasso di cellule.


Ecco perché da sempre tutti i popoli tradizionali del mondo consigliano alle donne incinta di circondarsi di bellezza e di evitare qualsiasi evento potenzialmente traumatico (come per esempio partecipare a un funerale).


Nella nostra realtà, offrire una buona vita prenatale al proprio bambino significa anche concedergli tempo e spazio dentro di sé, rallentare i ritmi esterni e assecondare quelli interni mettendosi all’ascolto del corpo, permettendo in questo modo l’affiorare di nodi dolenti che con un aiuto competente possono venire sciolti così da consentire un processo del parto più agevole e naturale.


Ciò significa anche “esserci” per il bambino che si porta in grembo: quando la mamma trascorre la gravidanza lavorando a tempo pieno come se nulla fosse, il piccolo si sente ignorato e trascurato, non visto e non ascoltato.

La gravidanza è il tempo dell’attesa, di un’attesa speciale che è “segno d’amore”, come ci ricorda Massimo Recalcati, perché è pazienza, è “dono del tempo”: “È questo il cuore, il centro della sublimazione materna. Cosa significa donare il tempo? Significa attendere senza esigere, senza domandare, senza anticipare”1 facendo esperienza di “un’immanenza e una trascendenza unite insieme”2. Un compito non facile: la madre, abitata dal bambino, deve sentire il desiderio di offrire una “ospitalità senza proprietà.3 Questo è ciò che comunemente si chiama amore incondizionato…


La salute del bambino va protetta quindi ancor prima della nascita, quando il piccolo è nel ventre della madre. “Il periodo prenatale, come il periodo postnatale, – ce lo ricordava già Maria Montessori – sono i più importanti per la vita dell’uomo”4.

Se si ha la fortuna, come terapeuti, di poter seguire una coppia mamma-bambino fin dalla gravidanza allora si può veramente intervenire in modo efficace per porre le basi di una buona crescita futura. Per questo motivo sono molto felice quando vengo consultata da una mamma che ha da poco scoperto di essere incinta: so già che potremo fare un ottimo lavoro insieme e spesso anche evitare tante ansie e preoccupazioni…


Proteggere i nove mesi della vita intrauterina dalle interferenze esterne, da esami invasivi inutili, da controlli troppo frequenti, fornire alla madre in attesa le informazioni necessarie a vivere questo periodo della sua vita così delicato e importante nel modo migliore possibile, significa aver posto le fondamenta per tutto ciò che verrà dopo: ecco perché è parte fondamentale del mio compito di pediatra. Aiutare i genitori a prepararsi all’arrivo del loro bambino e a preparare l’ambiente per accogliere il loro piccolo è per me lavoro di massima importanza.


Poter intervenire subito in caso di problemi o situazioni traumatiche, attraverso per esempio l’utilizzo di fiori di Bach (in primis il Rescue Remedy) può essere fondamentale per evitare danni futuri.


Essenziale è poi parlare al piccolo quando è ancora nel ventre materno e spiegargli cosa sta succedendo, soprattutto nel caso di amniocentesi, interventi chirurgici o particolari procedure mediche, ma anche di eventi familiari emotivamente traumatici. Questo semplicissimo accorgimento si rivela una misura preventiva di altissima efficacia: permette al bambino di accettare i vissuti anche più difficili e dolorosi. Ed è pertanto un punto essenziale che mi soffermo a spiegare ai genitori quando ho la possibilità di incontrarli nei percorsi di preparazione al parto.


Ricordo che una volta una mamma molto sensibile mi raccontò di essersi sentita rassicurata dal suo bambino quando gli si rivolse spaventata dopo aver avuto una falsa diagnosi di anomalia genetica nei primi mesi di gravidanza: era come se il piccolo le inviasse il messaggio “Va tutto bene, non ti preoccupare…” E infatti si era trattato di un errore del test…

Come dice Dethlefsen, “un buon colloquio con l’embrione sulla nascita ha più successo di molte settimane di ginnastica”5

La mia personale esperienza traumatica della vita prenatale mi ha portato a porre un’attenzione particolare a questa fase fondamentale della vita che vorrei aiutare a proteggere in tutta la sua sacralità.


In vietnamita per dire “utero” si adopera una parola, “tu cung”, che vuol dire “la reggia del bambino”6. Ecco, secondo me, a cosa dovrebbe mirare ogni mamma e ogni operatore che si occupa di nascita: a far sì che ogni bambino che viene al mondo possa vivere per nove mesi in un grembo il più possibile sacro e regale, che porti con sé gli echi nettuniani del Paradiso…


E comunque, quandanche le cose non dovessero andare per il verso giusto, ricordiamoci che c’è sempre speranza: il cervello è plastico e può modificarsi anche in tarda età! Come a dire che c’è sempre tempo per trasformare ciò che è andato storto ed essere felici…

2. Una buona nascita

E una buona nascita cosa significa? Dal punto di vista della madre vuol dire un parto naturale, senza complicazioni, vissuto con consapevolezza. Non senza dolore, perché il dolore fa parte della vita e non può essere eliminato ma solo trasformato. Si può evitare però che diventi inutile sofferenza.


Se la donna lo accetta e ne segue il ritmo, come un esperto surfista, può cavalcare le onde delle contrazioni e farsi portare da loro, diventando tutt’uno con l’acqua. Questo però può avvenire solo se c’è stata un’adeguata preparazione e se la donna si trova nell’ambiente giusto, se viene rispettata la sua intimità, se non ci sono inutili interferenze esterne.


E per il bambino, cosa vuol dire una buona nascita? Per lui significa innanzitutto non sentirsi solo in questa grande avventura, ma sapere che la mamma è lì con lui, che stanno lavorando insieme come due alpinisti nella stessa cordata. E sentirsi rispettato nelle sue esigenze, nei suoi personalissimi ritmi. Soprattutto per il bambino una buona nascita significa una buona accoglienza in questo mondo in cui atterra come un astronauta che proviene da un pianeta lontano. L’accoglienza è un tema che mi sta molto a cuore e su cui ritengo non venga mai posta sufficiente attenzione.


I bambini sono resilienti fin da quando sono embrioni o feti nell’utero ma hanno bisogno di essere accolti da adulti consapevoli con amorevole gentilezza. Un bambino può sopportare qualsiasi sofferenza ma ha bisogno di qualcuno che gli dica “Sono qui con te, non sei solo”. Non gli serve altro. Un neonato ha bisogno di due braccia che lo accolgono con delicatezza, di un nido morbido dove posare il capo, di luce e di bellezza perché sono gli unici elementi che gli ricordano la Fonte, la Sorgente da cui proviene tutto ciò che è.

Un bambino appena nato chiede così poco… “Fargli dono di essere compreso significa aprirgli le porte verso la salute”7 diceva Maria Montessori.

Tutto è nuovo per lui e c’è bisogno di tempo e di calma per adattarsi alla situazione.

Cosa si può fare per aiutarlo? Si può parlargli, spiegargli quello che sta accadendo e poi offrigli un ponte per facilitargli il passaggio. Questo ponte per il neonato è il breast-crawling. Con questa pratica semplicissima, che consiste nel lasciare il neonato sulla pancia della mamma il tempo necessario affinché da solo raggiunga il seno, si appagano in un colpo solo tutti i bisogni del neonato e gli si offre una sorta di polizza multirischio per il futuro…


La necessità primaria infatti per il bambino è ritrovare la mamma, il suo unico punto di riferimento, la sua ancora di salvataggio.


Un’altra pratica estremamente benefica è quella del Lotus birth: il cordone ombelicale non viene tagliato ma lasciato attaccato alla placenta fino a quando non si staccherà da solo. I bambini che nascono con questa modalità – e ne ho visti diversi – sono veramente speciali: il rispetto totale dei loro tempi e dei loro ritmi fisiologici li rende estremamente forti e sicuri. Inoltre questi bimbi dimostrano una grandissima serenità e capacità di concentrazione: sono capaci di fissare il volto di un adulto per un tempo molto lungo fin da neonati e il loro sguardo è particolarmente “cristallino”.


Non sempre purtroppo però queste opportunità si realizzano.

Non si può prevedere ciò che succederà durante una gravidanza o un parto, si può fare del proprio meglio per renderle esperienze il più possibile positive ma bisogna accettare il fatto che, come succede per ogni evento che fa parte della natura, ci sono sempre degli imprevisti al di fuori del nostro controllo. Ci sono degli elementi che ci sfuggono, di cui non sempre riusciamo a comprendere le cause, che cambiano le carte in tavola e ci scombussolano il gioco.


Ogni bambino, così come ogni donna, ha la sua storia e si porta dietro il suo fagottino. Ognuno di noi ha le sue esperienze da vivere: magari, come è capitato a me, un parto programmato per essere il più naturale possibile finisce in un cesareo d’urgenza e viene vissuto come un fallimento mentre invece era solo un passaggio obbligato per quella specifica coppia mamma bambino. Inutili quindi i sensi di colpa: per fugarli ricordiamoci le bellissime parole dello scrittore canadese Cohen “C’è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce”…


E soprattutto bando all’avvilimento: ciò che è andato perduto nei primi momenti si può recuperare attraverso un buon allattamento e un buon maternage.

3. Un buon maternage

Fondamentale, ai fini di un buon maternage, è il sostegno dopo il parto: nei primi quindici giorni dopo il ritorno a casa dall’ospedale si giocano infatti le sorti dell’allattamento. Si tratta di momenti critici e delicati, in cui la donna, stanca dalle fatiche del travaglio, si trova sola a dover gestire la nuova situazione. Bastano piccole difficoltà, come una ragade o un ingorgo mammario, per andare in crisi: ecco che allora, senza un aiuto competente, molte neomamme desistono e si rassegnano a seguire i consigli di parenti e conoscenti o di professionisti non esperti in allattamento al seno e passano all’uso del biberon e del latte artificiale, portandosi dietro poi profondi e inconfessati sensi di colpa.


Anche in questo caso a volte sono sufficienti semplici rassicurazioni: la puerpera ha solo bisogno di sentirsi dire che va tutto bene e che lei è perfettamente in grado di allattare il suo bambino. È bene in questi casi ricordare alla neomamma alcune regole basilari dell’allattamento al seno, come per esempio che è la suzione del bambino a stimolare la produzione di latte e che il seno non è un serbatoio del prezioso liquido bianco ma un distributore… Mostrarle inoltre diverse posizioni di allattamento può essere utile perché possa trovare quella più congeniale a lei e al suo piccolo.


Ci sono casi poi in cui le difficoltà esistono davvero: occorre allora un’attenta osservazione della poppata per poter comprendere dov’è il problema e per trovare la soluzione adeguata. I rimedi omeopatici possono essere d’aiuto in molte situazioni, come mastiti, dolore ai capezzoli, ragadi o difficoltà del bambino ad attaccarsi al seno. I fiori di Bach possono risolvere problemi di eccessiva sonnolenza del neonato che si addormenta sul capezzolo e non prende abbastanza latte.


Anche quando tutto è andato nel migliore dei modi, il post-partum richiede un’attenzione particolare alla coppia mamma-bambino e per ritrovare un giusto equilibrio dopo lo sconvolgimento della nascita, la floriterapia può essere di grande aiuto.


È importante poi seguire la crescita del neonato e tranquillizzare i genitori anche se il piccolo non segue al millimetro la tabella di marcia prevista dal pediatra…


Indispensabile è poi per me offrire loro tutte le informazioni necessarie per creare un ambiente adeguato per il neonato, il più possibile a sua misura. Ecco perché mi dilungo spesso nel descrivere quali sono gli oggetti che gli possono servire (pochissimi in verità!) e quelli che invece sono del tutto inutili e non conviene acquistare e come è possibile organizzare in casa un angolo speciale tutto per lui.


Un buon maternage infatti significa appagare i bisogni del neonato, di questa misteriosa creatura giunta a noi da un altro mondo e un’altra dimensione, saper interpretare il suo linguaggio, saperlo osservare con attenzione e amore.


Dare solo ciò che serve: il necessario e sufficiente, non stimoli quindi ma risposte adeguate alle sue necessità, come ci ha insegnato Maria Montessori.

Ma di cosa ha bisogno un neonato?

Di quattro elementi fondamentali: contatto, contenimento, comunicazione e cibo.

Non mi dilungo su questi temi perché li ho già trattati in “Sono qui con te”. Li accenno solo brevemente, a mo’ di riassunto.

  • Contatto pelle pelle con la mamma per ritrovarla dopo la separazione del parto. Dice a questo proposito Delassus: “Di cosa ha bisogno un neonato se non di essere rituffato in questo rapporto con la carne, per poter acquisire la propria carne?”8 La consapevolezza del proprio corpo nasce in primis nel bambino dall’incontro con il corpo della propria madre. Ecco il perché delle difficoltà nei bambini prematuri a stare dentro al proprio corpo, che spesso è vissuto come un “optional”…

  • Contenimento per sentirsi protetto entro dei confini ben precisi e non avere paura di frammentarsi in mille pezzi.

  • Comunicazione per sapere di essere arrivato nel posto giusto e non sentirsi solo.

  • Cibo per appagare la fame del corpo e permettere la sopravvivenza. L’ho messo per ultimo appositamente: noi riteniamo in genere che sia l’elemento più importante invece non lo è. La conferma ce lo dà il famoso esperimento di Harlow con le scimmiette: al surrogato materno fatto di metallo che dà latte le scimmie neonate preferiscono quello che non nutre ma è ricoperto di spugna. I cuccioli, a qualsiasi specie appartengano, hanno bisogno di una mamma calda, morbida e accogliente. Offrire esclusivamente cibo a un neonato significa fornirgli in realtà solo un quarto del suo fabbisogno totale…

Per soddisfare i bisogni del neonato in tutte le culture tradizionali del mondo si ricorre a un insieme di pratiche che rappresentano appunto il “maternage”, una sorta di “pacchetto di cure materne” (caretaking package) costituito da: allattamento, massaggio, portage e co-sleeping. Ne ho parlato esaurientemente nel mio volume sul maternage.


Ma la cura non basta, ce lo ricorda anche Winnicott: “Il bambino non vuole tanto ricevere il cibo giusto al momento giusto, quanto essere nutrito da qualcuno a cui piace farlo. Il bambino dà per scontate cose come i vestitini morbidi o la temperatura giusta dell’acqua del bagnetto. Ma ciò che non può dare per scontato è il piacere della madre nel vestirlo e nel fargli il bagnetto. Se provate piacere in tutto ciò, è come se per il bambino splendesse il sole. Ci dev’essere piacere da parte della madre, altrimenti l’intera procedura diventa senza vita, inutile e meccanica.”9

La mamma che accudisce il suo bambino solo per senso del dovere, che non gli fa mancare nulla da un punto di vista materiale ma ciò che fa lo fa controvoglia, magari per spirito di sacrificio, non nutre l’anima del figlio, non assolve il suo compito e la sua funzione di madre. Perché “la vita umana necessita di un altro nutrimento oltre a quello che può soddisfare il piano dei bisogni più immediati”10. E questo vale anche per pratiche di accudimento più intime e intensive, rispetto al bagnetto o al nutrimento, come possono essere il massaggio o il co-sleeping: non serve applicarle perché si è letto su un libro che è giusto farlo, bisogna che la mamma provi piacere nel compierle, solo così il bambino le potrà godere interamente e la sua gioia sarà piena.


Ecco il punto cruciale: il desiderio.

Secondo Lacan il desiderio dell’uomo è “sempre e necessariamente desiderio dell’Altro, desiderio di essere riconosciuto da un altro desiderio. Desiderio di desiderio, desiderio del desiderio dell’Altro.”11 La domanda del bambino, proprio come quella dell’innamorato, è “Ti manco, ti sono mancato? Mi desideri come io ti desidero?“. Il bambino ha bisogno di sentire che è insostituibile per la madre, che occupa un posto unico e speciale nel suo cuore e che il suo “grido nella notte” (per usare un’espressione di Recalcati) viene da lei sempre e comunque ascoltato.


E qui entriamo nell’ambito di un tema di fondamentale importanza su cui credo sia necessario fare un po’ di chiarezza: la relazione mamma-bambino.

Maternità in ebraico si dice imahut, parola che significa “Isola dell’Essenza”: ecco cos’è la mamma per un bambino! È attraverso la madre che il bimbo può trovare la connessione con il suo Sé, con il suo Centro, è grazie a lei che può sviluppare la fiducia in se stesso e nel mondo. E la relazione mamma-bambino incomincia dallo sguardo.


Perché, come dice Delassus, il neonato quando nasce “non entra in una stanza, entra nei nostri occhi, sono i nostri occhi che lo accolgono”.12

Lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati (nato prematuro!) ha scritto pagine bellissime su questo argomento nel suo libro Le mani della madre.

Quando il bambino arriva, per prima cosa incontra il volto della madre e questo volto gli fa da specchio: è nel suo sguardo che il bambino si vede e si percepisce. Se il volto materno gli offre un sorriso il neonato vive se stesso come “amabile”. Anche crescendo continuerà a vedersi attraverso lo sguardo della madre: “Io sono come mia madre mi ha guardato” potrebbe dire… Perché, come ci spiega Recalcati, “Solo attraverso il volto dell’Altro posso incontrare il mio volto, solo grazie alla presenza dell’altro posso costituire la mia vita”.13


Il primo desiderio del neonato è di essere riconosciuto dalla madre attraverso il suo sguardo. I bambini privati dello sguardo della madre sono bambini che “si guardano e non si vedono”.

Ma non solo: attraverso il volto della mamma il bambino scopre, non soltanto se stesso, ma anche il volto del mondo. Perché la mamma è il mondo intero per il bambino!


“…C’è stato un tempo in cui per ciascuno di noi il volto del mondo ha coinciso con il volto di una madre; c’è stato un tempo in cui il mondo aveva l’aspetto del volto di una madre”14. Se il volto della madre è cupo e depresso, se il suo sguardo è vuoto o indifferente, il rapporto del bambino col mondo viene intaccato e il mondo per lui si chiude.


“Se il lattante non scorge lo sguardo materno rivolto verso di lui, ma lo coglie come irrigidito, morto, freddo, assente, anche il mondo resta chiuso, impenetrabile e distante. La chiusura del volto della madre mantiene chiuso il volto del mondo”.15

Come ci ricorda Gabor Matè, medico di origine ungherese che si occupa di dipendenze, quando una mamma è profondamente infelice – non a causa del suo bambino ma per altri motivi esterni come per esempio situazioni drammatiche (guerra o tragedie familiari) – il piccolo non si sente voluto da lei: pensa che se la madre non è felice con lui vuol dire che non lo vuole e di conseguenza sviluppa la credenza erronea “il mondo non mi vuole”. Da grande potrà diventare per esempio un importante dottore, maniaco del lavoro, per sentirsi cercato, desiderato e utile…


Ma il bambino quando nasce – dice ancora Recalcati – ha bisogno, oltre che dello sguardo, anche delle mani della madre, che lo tengono, lo contengono, lo accarezzano, lo toccano. È attraverso il contatto con il corpo materno infatti che il bambino si percepisce.


I piccoli prematuri, chiusi nelle loro celle d’isolamento, sono privati di questa esperienza sensoriale fondamentale e cercheranno per il resto della loro vita il tocco mancato, facendo fatica ad abitare il proprio corpo da cui si dissoceranno facilmente in ogni situazione per loro traumatica.

Le mani della madre sono le mani del primo “soccorritore”, che impediscono la caduta, che non lasciano “la vita sola e senza speranza. … Sono nude mani, mani che si tendono verso altre mani, mani che sostengono la vita sull’abisso del senza fondo”, “mani che salvano dal precipizio dell’insensatezza”16, dell’abbandono assoluto, che rispondono al grido del bambino, che non lo lasciano rimbombare nel vuoto senza risposta.


Poi la madre offre al bambino il seno: lo nutre, gli permette di sopravvivere soddisfando la sua fame, dandogli ciò che ha. Ma – dice ancora Recalcati – la mamma non è solo seno per il figlio: è anche segno, segno di presenza amorevole. Quando il piccolo resta attaccato al capezzolo nonostante sia già appagato e rivoli di latte scorrono agli angoli della sua bocca sul suo volto in estasi, è proprio perché vuole sentire la presenza della madre, il suo essere lì con lui o lei, vuole in primis essere desiderato e riconosciuto. Vuole il seno che è anche segno: un segno d’amore. Ecco perché non va bene allattare con in mano il cellulare…


“Quando offre il suo seno, una madre non offre solo il seno in quanto oggetto ma dona il seno come segno del suo amore”17 che è anche il segno della mancanza. Perché, sostiene lo psicanalista, il vero amore è dono di ciò che non si ha, come per esempio il tempo, ma anche la propria insufficienza e la propria vulnerabilità.


Quindi una mamma sufficientemente buona – lui dice – deve saper dare anche la sua assenza: “Per ogni bambino è fondamentale poter fare esperienza tanto della presenza della madre quanto della sua assenza.”18 Come abbiamo detto all’inizio di questo volume, il bambino per crescere bene ha bisogno di una mamma felice, che non esaurisca la sua femminilità nella maternità, che non perda il suo ruolo di donna, che desideri altro oltre al figlio. Altrimenti il rischio è quello di una mamma-coccodrillo – come la chiama Recalcati – che divora il bambino e lo soffoca perché non è capace di lasciarlo andare quando è arrivato il momento di farlo, in quanto trova solo in lui la soddisfazione e la compensazione di ciò che le manca nella vita.

È la tipica mamma-Chicory… (che cioè avrebbe bisogno di questo fiore di Bach per curare il suo incolmabile vuoto interiore) che genera figli che da adulti scappano dalle donne e dalle relazioni non appena le avvertono minacciose per la loro libertà personale, anche quando magari non lo sarebbero affatto.


L’altra faccia della madre-coccodrillo è la madre narcisistica che non allatta per non rovinarsi il seno o che delega interamente l’accudimento del bambino alla baby-sitter per non trascurare la carriera o che vive il bambino come un ingombro e un peso, o entra in competizione con la figlia femmina di cui è inconsciamente invidiosa. In questo caso la maternità viene vissuta come una minaccia alla propria femminilità.

In entrambi i casi l’incontro con l’Altro è mancato.

Dice Hillman: “È rara quella madre che vede il seme e lo aiuta a crescere senza ingerenze”19. Perché è difficile vivere la maternità con consapevolezza, cogliendola come occasione unica e speciale per ritrovarsi, confrontarsi con il fantasma della propria madre e curare le ferite della propria infanzia.


Compito della mamma è trasmettere al bambino, attraverso il suo sguardo, il suo latte e tutto il linguaggio del suo corpo, il desiderio di vivere: questo, ci ricorda ancora Recalcati, è il dono più grande della maternità. Ma purtroppo si può dare a un altro solo ciò che si possiede…


Come ci ricorda Gabor Matè, la biologia del bambino è formata o influenzata dagli stati emotivi e psicologici dei genitori. Lui che lavora in Canada anche con i nativi lo sa bene: in queste fasce della popolazione si registrano oggi i più alti tassi di diabete e di artrite reumatoide, patologie che solo 150 anni fa erano sconosciute a queste persone che crescevano i loro bambini secondo un modello di maternage ad alto contatto. La salute è un fenomeno complesso, biopsicosociale, in cui l’influenza dell’ambiente ha un ruolo fondamentale: oggi le conseguenze di uno stile di vita segnato dall’isolamento, dalla povertà e dalla perdita dei valori tradizionali sta causando delle vere e proprie stragi presso i popoli nativi di tutti i continenti. Ecco perché, anziché medicalizzare i bambini imbottendoli di psicofarmaci, bisognerebbe cambiare l’ambiente in cui crescono e vivono…


Un’ultima considerazione, prima di concludere questo paragrafo, riguardo al nome. Se ne parla poco e invece ha un’enorme importanza.


Secondo Lacan “l’amore è sempre “amore per il nome”. … Quando si ama, si ama sempre una vita particolare, il soggetto nella sua singolarità, l’amore è solo e sempre amore per il nome proprio, per il nome di chi amo, per la sua esistenza unica, irripetibile e insostituibile.”20 Ecco perché ogni figlio è come se fosse un figlio unico ed ecco perché è importante dare un nome al bambino, anche al piccolo prematuro incerto sulla soglia, in bilico tra la vita e la morte: il nome è identità, è energia che può aiutare a stare qui, a trovare un posto. Per le culture tradizionali di tutto il mondo nel nome è iscritto il destino stesso di un individuo. In ebraico “anima” si dice “neshama”, che contiene la parola “shem” “nome”, come a dire che l’essenza è contenuta nel nome.

Ecco perché non bisognerebbe mai dare a un bambino il nome di un altro che lo ha preceduto e se ne è andato… Abbiamo già accennato, nel capitolo sui traumi, alla storia di Van Gogh che ha segnato tutta la sua esistenza fino alla tragica morte: il piccolo Vincent II ha dovuto portare il peso del senso di colpa di esistere e del non essere desiderato in quanto tale ma solo come prolungamento della vita di qualcun altro, peraltro impossibile da rimpiazzare e di cui non sarebbe mai riuscito ad essere all’altezza.


Il nome pertanto – cerchiamo di ricordarcelo sempre – è molto più di una parola fatta da un insieme di lettere…

4. Una buona crescita

Una buona vita prenatale, una buona nascita, un buon maternage rappresentano dunque le basi fondamentali per costruire la salute del bambino ma da sole non sono sufficienti ed ecco che dobbiamo inserire ancora un altro pilastro: una buona crescita.


Una buona crescita significa per me due cose essenziali: una buona educazione e una buona cura quando le cose non vanno per il verso giusto.

- E-ducare

I bambini vengono educati da quello che gli adulti sono e non dai loro discorsi.

C. G. Jung

Partiamo dal primo punto: l’educazione. Educare è una parola molto bella che significa tirare fuori dal bambino la sua essenza, far sbocciare le sue potenzialità. Ecco, questo è il compito di un bravo genitore o educatore. Per riuscirci egli deve saper vedere il bambino al di là dell’apparenza, coglierne l’unicità, perché come diceva Saint-Exupery “l’essenziale è invisibile agli occhi” e non si vede bene che col cuore.


I più grandi doni che un genitore può fare ai propri figli sono rispetto, fiducia, libertà e amore. Queste per me sono le vere vitamine, le ammine della vita, che servono per crescere. Queste sono le vere immunoglobuline, gli anticorpi necessari ad affrontare le sfide che la vita inevitabilmente presenterà loro.

Ne ho parlato in Sono qui con te e in Libertà e amore e quindi non voglio dilungarmi su questo.


Ricorderò solo che la parola “rispetto” deriva dal latino “respicere”, che significa guardare, guardare due volte, guardare in profondità: è solo con questo tipo di sguardo che si può cogliere l’anima di una persona, la sua vera essenza. Se un bambino non viene visto, non viene percepito nel suo vero essere, nel suo valore, nelle sue potenzialità, se viene trattato come se fosse invisibile o come un peso per il quale sacrificarsi o come un possesso da esibire, la sua anima ferita soffre e questa ferita scava un solco nell’anima: quando questo bambino sarà cresciuto si adeguerà alle aspettative degli adulti, cercando di diventare ciò che non è pur di ottenere l’amore e l’accettazione che non ha avuto dai genitori, oppure si chiuderà in se stesso, ritirandosi nel buio della sua “Bastiglia interiore” e non permetterà a nessuno di avvicinarsi per paura di dover soffrire di nuovo.

Come scrive Ferrucci, il rispetto ha a che fare sia col vedere che con l’ascoltare e l’ascolto richiede anche “la capacità di sentire non soltanto ciò che viene detto ma anche come viene detto”21, cioè il tono con cui le parole vengono pronunciate. Questo è particolarmente vero per i bambini, soprattutto se piccolissimi: quando ancora non sono in grado di comprendere del tutto il significato delle nostre parole essi ne avvertono però il tono e ciò che cela. Una stessa frase infatti può essere pronunciata con amore e fermezza o con rabbia e dolore e la differenza di effetto che produce è abissale… Secondo me il vero ascolto però richiede anche qualcosa di più: la capacità di sentire ciò che non viene detto. Come scrive il poeta Gibran “La realtà dell’altra persona non è in ciò che ti rivela, ma in ciò che non può rivelarti. Perciò, se vuoi capirla, non ascoltare ciò che dice ma ciò che non dice.”22 Parole bellissime e piene di profonda verità ma che solo pochissimi sanno realizzare…


Eppure è proprio ciò che ci chiede il bambino, mirabilmente espresso nelle parole di Shakespeare: “Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore, è intelletto sottil d’amore intendere con gli occhi”. Il vero amore è amore per l’invisibile che c’è nell’altro.


Riguardo alla fiducia invece, voglio ricordare che, come dicono i Magi a Maria nel bellissimo film di Guido Chiesa Io sono con te, “il vero miracolo è una madre che crede fino in fondo nel suo bambino”…


Scrive Recalcati “bisogna avere fede nel sogno, nel desiderio, perché se un genitore ha fede nel desiderio di un figlio, il desiderio del figlio si rafforza, cresce, si potenzia.”23 Bisogna credere nella vocazione dei figli anche quando le loro scelte vanno in direzioni diverse da quelle che noi genitori vorremmo per loro. Bisogna lasciar andare ogni progetto su di loro affinché possano essere liberi e volare con le loro ali.


Perché senza libertà non c’è amore. “Lasciate che i bambini corrano fuori quando piove, che si tolgano le scarpe quando trovano un po’ d’acqua, che si riposino in pace quando un albero li invita a dormire alla sua ombra”24 diceva Maria Montessori. Lasciamo che i bambini siano liberi di muoversi, di toccare, di sperimentare anziché rinchiuderli in una serie di contenitori da quando sono appena nati o poi tenerli seduti per ore dietro a un banco quando sono un po’ cresciuti… Ai figli dobbiamo dare radici e ali.

Ma anche contenimento e limiti. Questo punto a volte è un po’ dimenticato dai genitori “libertari” di oggi che tendono spesso a farsi sommergere dall’irruenza delle emozioni e degli atteggiamenti dei loro bambini, che non riescono a contenere per inconsci e malcelati sensi di colpa. Chi è cresciuto in un ambiente rigido e autoritario tende o a ripetere le modalità educative che ha introiettato o a ribellarsi ad esse realizzando con i propri figli l’estremo opposto e tollerando per esempio uno stato di totale anarchia che contrabbanda per libertà, senza comprendere che si tratta di una mal compresa idea di libertà. I bambini hanno bisogno di confini perché questi danno loro sicurezza e soprattutto, con i loro cosiddetti “capricci” e le loro rabbie furibonde, cercano di mostrare, come abbiamo già avuto modo di dire, a genitori teneri, amorevoli e pazienti (i classici genitori “ad alto contatto”) ciò che dovrebbero invece andare a guardarsi: la loro personale rabbia repressa che tanta paura hanno di affrontare…


All’amore ho dedicato un intero capitolo del presente volume per cui non mi soffermo ulteriormente.

Qui dirò semplicemente che i bambini hanno bisogno di amore incarnato nel tempo e nello spazio, cioè di presenza: come dice Thich Nhat Hanh “Fare qualcosa è importante, ma esserci è molto più importante25. Perché è questo che desidera più di ogni altra cosa un bambino: non che abbiamo studiato manuali di puericultura, non che lo portiamo dappertutto per farlo divertire o che lo riempiamo di regali, ma che siamo lì per lui, che spegniamo tablets e cellulari e ci mettiamo al suo ascolto dedicandogli un po’ del nostro così prezioso e sempre più rarefatto tempo. “L’attenzione – scrive Ferrucci – è calore e affetto, che permette alle potenzialità migliori di svilupparsi e fiorire. La disattenzione è gelo: ed è difficile crescere nel gelo… …Niente attenzione, niente gentilezza. E anche niente calore, niente cuore, niente relazione.”26

Per una crescita ottimale il bambino ha bisogno anche di un ambiente adatto, in cui potersi muovere e compiere le sue prime esperienze, ha bisogno di poter scegliere da solo gli strumenti più idonei allo sviluppo delle sue potenzialità, ha bisogno non di stimoli ma di risposte ai bisogni del suo corpo, della sua mente e della sua anima. Di qui la necessità di preparare per lui uno spazio adeguato, semplice, bello, ordinato e a sua misura.


Non c’è molto da acquistare e le soluzioni più adatte per un bambino sono sempre quelle più economiche: un lettino basso, qualche ripiano con pochi libri e oggetti, preferibilmente di legno.


L’approccio Montessori ci aiuta a costruire un ambiente a misura di bambino attraverso la comprensione dei suoi bisogni in ogni epoca della sua vita e a scoprire che è possibile trasformare ogni attività quotidiana, dal momento del sonno o della pappa, a quello del gioco o della passeggiata, in occasioni di crescita e nutrimento psichico e spirituale.


È solo infatti quando l’ambiente è favorevole e gli ostacoli sono ridotti al minimo che il bambino funziona pienamente e rivela i suoi caratteri nascosti, diceva Maria Montessori. Ecco perché lei parlava di un “ambiente rivelatore” che cresce insieme al bambino per adattarsi alle sue nuove esigenze e per offrirgli l’autonomia di cui ha bisogno per farsi uomo.


Tra gli ambienti in cui vive il bambino, oltre a quello domestico, c’è la scuola, in cui passa la maggior parte della sua giornata.


Anche questa andrebbe quindi scelta con cura perché troppo spesso è una “scuola che fa male” come recita il titolo del libro di Maurizio Parodi. Una scuola subita e non goduta, una scuola che spegne l’entusiasmo e la creatività anziché accenderli, una scuola che impone e non propone, che giudica e umilia ancora oggi come un tempo. E che quindi diventa essa stessa causa di patologia… Ma di questo abbiamo già parlato nel capitolo “Educazione come terapia”.


I bambini poi hanno bisogno di crescere il più possibile a contatto con la natura e non in ambienti artificiali: fin da neonati portiamoli nei boschi e nei parchi, a guardare gli alberi e le foglie che ondeggiano al vento, ad ascoltare il canto degli uccellini, a respirare aria pura e non nei supermercati affollati, dove sono bombardati da stimoli per loro estremamente nocivi, come luci al neon e rumori assordanti… E se proprio non possiamo farne a meno, teniamoli nella fascia o nel marsupio e non in un ovetto dentro al carrello della spesa, dove sono totalmente indifesi ed esposti a frequenze energetiche che interferiscono con il loro fragile equilibrio.


E quando sono un po’ più grandicelli non lasciamoli ore davanti alla televisione o all’ipad, che sono sì economiche baby-sitters per genitori stanchi e oberati di impegni ma non giovano di certo alla salute fisica e psichica dei bambini, che imparano oltretutto a trovare appagamento negli oggetti anziché nelle relazioni con gli esseri viventi…


I bambini di oggi sono iperstimolati: il sovraccarico mentale provoca stress cronico ed affatica corpo e anima, abbassando le difese immunitarie e lasciando spazio all’insorgere di malattie e malesseri. La vita nelle città, con i suoi ritmi sempre più frenetici, non è certo a misura di bambini: diventa sempre più urgente pertanto trovare nuove soluzioni per tornare alla natura, vera fonte di salute e guarigione. Il contatto con madre Terra e con la sua bellezza, il silenzio dei grandi spazi, che siano quelli del mare o di una foresta, ci permette di concedere una tregua ai lobi frontali del nostro cervello e a modificarne la chimica. Così da riassaporare il gusto di una vita pienamente umana.

Curare o prendersi cura?

E infine ecco l’ultimo punto, quello che in realtà sarebbe prerogativa esclusiva del mio mestiere di pediatra: la cura del bambino quando qualcosa non va per il verso giusto, quando insorgono problemi di salute.


A questo argomento ho dedicato un’intera parte del presente libro, quella finale, che cerca di individuare una “medicina a misura di bambino”: dolce, non invasiva, semplice ed efficace. In una parola “secondo natura”.


Ma al di là degli strumenti che si possono utilizzare per curare un bambino che sta male, ciò che mi preme ricordare è l’approccio che occorre avere per prendersi cura del piccolo ammalato: quello che io chiamo l’approccio del “Sono qui con te”, ovvero dell’amorevole gentilezza.


Che comincia per me al momento della visita. Io ricevo presso il mio domicilio e uno dei motivi per cui lo faccio è il fatto che vorrei che i bambini da me si sentissero per l’appunto “a casa”, in un ambiente familiare, caldo e accogliente come solo una casa sa essere. E infatti spesso i miei piccoli pazienti arrivano recalcitranti e poi non vogliono più andare via… Hanno tanti giochi e libri a disposizione che possono scegliere liberamente, ma penso che sia proprio l’atmosfera che c’è nell’ambiente a farli sentire a loro agio, come mi ha fatto notare una volta un papà particolarmente sensibile.


Quando arrivano dico loro che ho bisogno di parlare con la mamma (e/o il papà) mentre giocano perché voglio conoscere la loro storia, così intanto hanno anche il tempo di ambientarsi.


Poi, quando arriva il momento vero e proprio della visita, spiego loro che cosa mi appresto a fare, mostro il fonendoscopio e dico che è un microfono che serve per sentire come batte il loro cuore e come respirano i loro polmoni. Se li vedo spaventati (e succede spesso perché sovente arrivano traumatizzati dalle visite del pediatra di base o dopo le vaccinazioni o un ricovero) e fanno fatica a salire sul lettino (sebbene ci sia ad accoglierli una soffice pelle d’agnello e alcuni morbidi animaletti di stoffa) li visito in braccio alla mamma o anche per terra mentre giocano. Oppure faccio prima vedere loro i miei gesti su un orsetto di peluche. In genere questo è sufficiente per poter procedere.


Se durante la visita mostrano di non gradire il mio tocco, non insisto e lo riduco al minimo indispensabile. Mentre li asculto li guardo negli occhi e sorrido. Cerco di trasmettere attraverso lo sguardo e le parole tutto l’amore che provo per loro. Vengo quasi sempre ricambiata, soprattutto dai neonati, che sono altamente recettivi e con i quali il feeling è particolarmente intenso ed immediato… A volte mi basta un massaggio al pancino o qualche parola sussurrata per farli tranquillizzare e rilassare almeno per un po’: si sentono capiti e mi sorridono immediatamente.


E così ogni visita diventa un incontro arricchente per me e per loro.

Ecco, la salute del bambino, intesa in senso olistico, cioè globale, come stato di benessere psico-fisico e spirituale poggia, io credo, su questi quattro pilastri, di cui abbiamo appena parlato, che i genitori sono chiamati a costruire, con l’aiuto di persone qualificate che possono, di volta in volta, dare una mano: ostetriche, ginecologi, pediatri, educatori. Ma il compito e la responsabilità rimane sostanzialmente loro, della madre e del padre.


Non è facile, lo so, essere genitori, specialmente oggi. Perché nessuno ce lo insegna, lo si impara attraverso la propria esperienza di vita, giorno dopo giorno.


Lo si impara attraverso i propri figli, attraverso la rivisitazione della propria storia di bambini. Eppure quale mestiere più importante di questo? Così poco compreso, valutato, apprezzato e nello stesso tempo così essenziale.


Ricordiamoci perciò una cosa quando tentenniamo e tremiamo sull’orlo: non potremo mai essere genitori perfetti, ma possiamo diventare dei buoni compagni di viaggio per i nostri figli e percorrere insieme a loro, mano nella mano, la lunga strada della vita alla ricerca della salute, quella vera, totale, quella che sola ci può restituire la nostra autentica identità e la nostra gioia di vivere.


Di che cosa ha bisogno un bambino
per crescere bene:
  • Di essere desiderato.

  • Di essere amato così com’è, incondizionatamente, per il solo fatto di esistere.

  • Di avere almeno una persona che sia per lui un punto di riferimento costante e affidabile, che quando è con lui sia totalmente lì per lui nel momento presente.

  • Di essere rispettato nei suoi tempi, nei suoi ritmi e nelle sue esigenze (anche se non sono quelle dell’adulto).

  • Di essere ascoltato e visto per la sua speciale unicità.

  • Di essere coccolato, abbracciato, massaggiato ma solo quando ne ha voglia e lo richiede.

  • Di stare il più possibile all’aria aperta, in contatto con la natura ed essere libero di sporcarsi, di saltare nelle pozzanghere, di arrampicarsi su un albero, di correre dietro alle farfalle… così da rigenerarsi ed apprezzare la bellezza della Vita.

  • Di fiducia: di sapere che l’adulto che lo accompagna crede in lui, che ce la farà nonostante le difficoltà e gli ostacoli.

  • Di libertà: di camminare con le proprie gambe nel mondo senza la paura di tradire qualcuno nel farlo…

  • Di contenimento e di limiti da parte di genitori che siano per lui guide amorevoli, autorevoli e attente, che lo accompagnano tenendolo per mano sulle strade della Vita, così da sentirsi al sicuro.

  • Di gentilezza e delicatezza nei modi e nell’approccio per fugare la paura.

  • Di ottimismo e di entusiasmo per sentire che il mondo è un buon posto dove stare.


Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.