parte prima - Il cerchio della salute e della malattia

La malattia
maestra incompresa

La malattia è il luogo in cui si apprende

B. Pascal

Il tempo passato nelle difficoltà non è mai perduto

R. M. Rilke

Quasi tutti hanno paura della sofferenza.La sofferenza però è una specie di fango che permette la crescita del fiore di loto della felicità. Non ci può essere un fiore di loto senza fango.

Thich Nhat Hanh

Ricordo che, quand’ero bambina, ad ogni febbre o malattia infantile, me ne stavo al caldo sotto le coperte ad ascoltare le fiabe col mangianastri. Mia mamma mi teneva a casa da scuola finché non mi fossi ripresa pienamente dal mio malessere. Era insomma anche un tempo di riposo e di pausa dai ritmi quotidiani.


Oggi questo non avviene quasi più. Gli adulti si rimpinzano di medicine per non perdere neanche un giorno di lavoro e imbottiscono di farmaci anche i loro bambini a cui raramente concedono i meritati giorni di convalescenza domestica.


Quante volte ho avuto richieste di certificati per far riammettere a scuola piccolini di pochi anni che solo il giorno prima avevano avuto 39° di febbre!

Oggi come oggi sembra non esserci più tempo per ammalarsi e per riprendersi dalla malattia prendendosi cura di sé.


La mancanza di una rete familiare di supporto e le esigenze sempre più pressanti del lavoro costringono a volte a soluzioni non desiderate anche chi vorrebbe fare diversamente.


Tanto meno si ha il tempo – e a volte la voglia – per interrogarsi sul significato del proprio malessere.


Così la malattia, nelle società industrializzate, resta ancora una grande incompresa: la si vive come uno spauracchio o come un tabù, non sapendo cogliere i doni nascosti che essa porta con sé.


Ma nulla nella vita è solo buono o solo cattivo: ogni medaglia ha il suo rovescio, ogni situazione ha più aspetti contraddittori. Non esiste la luce senza il buio o il giorno senza la notte: è la legge della polarità, uno dei pilastri portanti dell’universo stesso. Tutta la creazione è basata sul due, su coppie di opposti: “Ogni cosa al mondo sono almeno due” diceva un saggio nativo americano.

Per cui “senza malattia non c’è guarigione”1 come scrive lo psicoterapeuta Dethlefsen, “in quanto solo chi è malato può guarire. La malattia rende l’uomo capace di guarire ma per ottenere questo egli deve attraversare la malattia, non evitarla”.2 Lo stesso concetto è espresso nelle parole dell’arcivescovo Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace: “Nella vita ci saranno sempre delle frustrazioni. La domanda non è come evitarle. È come usarle in senso positivo.”3

Di fronte ad ogni evento che ci turba, ci fa arrabbiare, ci rattrista, ci procura dolore e sofferenza dovremmo quindi fermarci un attimo e chiederci “Che cosa ha da dirmi? Che cosa posso imparare da questa situazione?”

Così facendo scopriremmo che ogni esperienza, anche la più negativa, porta con sé un dono: come dice un proverbio cinese “Ogni nuvola è foderata d’argento”… “Ogni problema è soltanto una provocazione, che deve indurci ad agire per risolverlo e redimerlo”4.


“Paion traversie eppur sono opportunità” scriveva il filosofo Vico: anche ciò che sembra un evento totalmente negativo può essere portatore di una buona novella se riusciamo a coglierne il senso. Che c’è sempre anche se noi spesso non riusciamo a percepirlo.


Lo Spirito infatti ha delle ragioni che la ragione non conosce (potremmo dire parafrasando Pascal). Ma “Per vedere l’angelo nella malattia occorre avere occhio per l’invisibile”5

Mi piace pensare alla Vita come ad un arazzo di cui noi vediamo solo il rovescio: quell’intrico di fili disordinati ci sembra orribile e caotico, ma se solo riuscissimo a dare una sbirciatina all’altro lato rimarremmo stupiti di quanto il disegno sia perfetto e meraviglioso…


Pensiamo a due grandi leader spirituali del nostro tempo come il Dalai Lama e Desmond Tutu: il primo sottratto alla famiglia ancora bambino e poi passato attraverso la dolorosa esperienza dell’esilio dalla propria terra e dal proprio paese; il secondo figlio di un padre alcolizzato e cresciuto in un clima di violenza. Ebbene, oggi sono tra le persone più serene e compassionevoli del pianeta… E Nelson Mandela, rinchiuso in prigione per ben 27 anni, è poi diventato un esempio di magnanimità non solo per il Sudafrica ma per il mondo intero.


La sofferenza -– il cui archetipo astrologico è il pianeta Saturno – è una grande maestra di vita: solo dopo essere passati con consapevolezza attraverso le sue grinfie si riesce a compiere il grande salto verso la saggezza e la maturità. La sofferenza insegna l’umiltà, la pazienza, la perseveranza e la responsabilità, che non è altro che la capacità di rispondere ad una data situazione. Molto spesso poi, quando è intensa e duratura, la sofferenza porta all’acquisizione di una dimensione superiore: la fede.

“Perché proprio a me?” è la domanda più frequente che sale alle labbra di chi si trova nella morsa del dolore. La risposta, dicono i saggi, è “Perché non sei ancora ciò che potresti essere. Perché non conosci ancora il tuo potenziale e la tua missione divina”6.


“Gli eventi dolorosi sono rimasti l’unico modo in cui gli dei possono risvegliarci”7 sostiene Hillman, esprimendo in modo diverso lo stesso concetto. La malattia non è quindi, come alcuni credono ancora, una punizione da parte di qualche divinità nei nostri confronti o un dispetto che la Vita intende farci, ma un correttivo per aiutarci a ritrovare la giusta direzione che abbiamo smarrito per strada: di per se stessa non è “cattiva”, semplicemente ci avvisa che stiamo sbagliando direzione… “Compito di ogni malattia è far conoscere all’uomo un determinato principio che l’uomo non accettava spontaneamente”8 scrive Dethlefsen: per esempio il non attaccamento, l’accettazione, l’umiltà, la compassione, il perdono… Secondo Edward Bach, il medico inglese, batteriologo e omeopata, scopritore delle essenze floreali, la malattia è un fenomeno spirituale che poco ha a che vedere con virus e batteri, alimentazione e fattori climatici. E io concordo pienamente con lui. “Non avendone comprese le vere cause, – scriveva Bach – abbiamo attribuito la disarmonia a fattori esterni, come i germi, il freddo o il caldo, e abbiamo attribuito dei nomi agli effetti prodotti, come artrite, cancro, asma: ciò perché abbiamo pensato che la malattia abbia inizio nel corpo di un individuo”9 mentre non è affatto così… “la sua origine non è materiale. Ciò che noi conosciamo come malattia è l’effetto conclusivo di forze avverse che hanno agito a lungo e in profondità”10. In quanto, come ci ricorda lo psicologo A.Loyd, “Ciò che sta all’esterno non è mai in grado di creare ciò che sta all’interno; ciò che sta all’interno è sempre ciò che crea quello che sta all’esterno.”11 “La medicina è in te, e non la usi, la malattia viene da te stesso e non te ne accorgi” diceva Hazrat Alì, cugino e compagno amato del profeta Maometto. La causa dei malesseri che ci affliggono è “metafisica” (per utilizzare un termine caro a Lise Bourbeau), si trova cioè al di là della mera dimensione fisica.

Le cause più comuni delle malattie sono gli atteggiamenti e le emozioni negative, la rabbia che ci portiamo dentro, la paura, i sensi di colpa, le credenze che ci si sono appiccicate addosso… “Tutte le malattie fisiche non sono altro che un riflesso del dolore causato dalle ferite non guarite dell’anima”12. Come a dire che ogni malattia in realtà è psicosomatica. O per usare le parole di Bach, “La malattia è la conseguenza, che si manifesta nel fisico, della resistenza della personalità ai dettami dell’anima.”13 Perché spesso e volentieri il nostro ego si impunta, proprio come un mulo cocciuto, e non vuole percorrere la strada che gli è stata assegnata… In fondo “La malattia è lo stato d’animo materializzato”14. Questo è il motivo, secondo Bach, per cui la scienza medica moderna non riesce a sradicare la radice delle malattie ma soltanto a procurare un sollievo temporaneo dalle stesse: si occupa dei loro effetti ma non delle loro vere cause. Invece “Chi vuole guarire, dovrebbe dimenticare tutti i disturbi organici; ciò che conta è soltanto lo stato d’animo, il problema spirituale. È essenziale accertare in che punto si può registrare una deviazione dal piano divino: una simile dissonanza fra l’individuo e il suo Io spirituale può causare centinaia di malattie organiche, giacché il nostro corpo si limita in sostanza a riflettere lo stato del nostro animo.

Non appena riusciremo a ristabilire l’equilibrio spirituale, saremo risanati.”15

Dello stesso parere è anche Dethlefsen che esprime con altre parole il medesimo concetto: “Il dolore è semplicemente l’attrito che si crea tra la traiettoria regolare, prescritta, e la direzione di movimento del singolo. Il dolore diventa superfluo solo se ci si sforza di individuare con chiarezza sempre maggiore la propria traiettoria e di inserirsi volontariamente in essa. La libertà totale è sperimentata solo da chi si adegua all’ordinamento del cosmo in modo da fondersi con esso.”16

Uno dei segreti più grandi che ho scoperto nel tempestoso viaggio alla ricerca di me è stato sicuramente questo: il trauma nasce da un’opposizione. Se vogliamo raggiungere la salute e il benessere dobbiamo allinearci sulla nostra strada. Ce n’è una tracciata per ognuno di noi. Da tempo immemorabile. Una strada invisibile agli occhi ma la cui rotta è segnata nelle cellule del nostro corpo, in ogni sua fibra, ed è descritta mirabilmente nelle stelle al momento della nostra nascita. Sta a noi ritrovarne le tracce, riconoscere le orme e posarci sui nostri passi. Uno dopo l’altro. Allinearci: ecco il compito arduo che ci aspetta. È come camminare su un filo, il filo della nostra vita, quello che ci permette di tessere la nostra tela: unica, irripetibile. E quando siamo lì, ecco che il miracolo avviene: le porte si aprono, il buio scompare, la luce rischiara il cammino e compare l’arcobaleno… Ogni passo ci svela quello successivo e noi avanziamo con fiducia, sicurezza, gioia. Passa la fame, il sonno, la stanchezza, si scioglie la paura… Siamo sul sentiero giusto, sul nostro cammino, quello tracciato per noi da sempre. Ed ecco, finalmente, la pace. C’è una canzone dentro ai nostri cuori, le cui note sono scritte sul nostro personale spartito. Sta a noi riconoscerne la melodia. C’è un canto che dobbiamo cantare, una danza che siamo chiamati a danzare. Un poema che aspetta solo di essere scritto. È il nostro canto, la nostra danza, il nostro poema che preme alla porta e ci chiede con forza di uscire. È il nostro dono al mondo. Il segno del nostro passaggio che la Vita attende da tempo immemorabile.
“Guarire veramente vuol dire entrare in sintonia perfetta con il piano e il progetto dell’anima”17 dice Lothar Guntert (che aiuta le persone a farlo attraverso una tecnica spirituale di “riallineamento posturale”). Per far questo però occorre innanzitutto accettare la vita, così com’è, in tutti i suoi aspetti più o meno belli: dire “Non lo voglio!” – a un sintomo, a un evento, a un’emozione – non serve a nulla e anzi peggiora la situazione… L’accettazione della realtà infatti è il primo passo per poterla trasformare. Ma non è un dato così scontato: quanti arrivano su questa terra con una sorta di tacito grido “Io qui non ci volevo venire e non ci voglio stare!”… Sono gli spiriti “nettuniani” (per dirla con linguaggio astrologico) ovverossia le anime più sensibili, in primis gli artisti e i poeti, che sentono forte la nostalgia di quella dimensione di Luce, Pace e Armonia che hanno dovuto lasciare per sperimentare la realtà terrena. Quando l’accettazione manca però ecco che compare la sofferenza e si finisce per allontanarsi dal proprio binario. Anche perché, come mi ricorda sempre il mio maestro di Qi Gong, se si rimane ancorati al Cielo non si può realizzare nulla sulla Terra… Quando invece si percorre la strada rossa – come la chiamano i nativi americani – e cioè la strada dell’equilibrio, l’energia scorre e tutto diventa possibile. “Gli scopi si realizzeranno quasi da soli se le mete prefisse sono in sintonia con il Piano divino della nostra anima”18 ci ricorda ancora Lothar. Ecco il perché della famosa preghiera “Sia fatta la tua volontà”: quando la nostra volontà coincide con quella del Tutto, quando “desideriamo i desideri di Dio”, per usare una bellissima espressione di Paolo Spoladore,19 ecco che i sogni si avverano. Quando si arriva all’accettazione – di un lutto, di un dolore, di una malattia ma anche di se stessi con tutti i propri limiti e difetti – spesso ecco che con essa arriva anche la guarigione.

Come scrisse il mistico sufi Ibn Ata Allah: “Se supplichi Dio intensamente e la risposta non arriva, non disperare. Lui ti risponderà, ma come desidera lui, non come vuoi tu, e quando vuole lui, non quando lo scegli tu”. Perché Dio – o la Vita o l’Universo o la Fonte, comunque si voglia chiamare la misteriosa Energia che regge il mondo – sa di cosa abbiamo bisogno meglio di noi ed è questo che ci dà: ciò che ci serve per crescere, per evolvere, che non sempre però è ciò che noi vorremmo avere.. Personalmente nei momenti di tristezza e scoraggiamento, quando non vedevo i frutti del mio lavoro o quando non si realizzava qualche mio desiderio importante, mi sono sempre aggrappata a questo pensiero, espresso nelle seguenti parole di Osho:

Non tutto viene appagato perché non tutto sarebbe buono per te. Soltanto ciò che è necessario al tuo essere, alla tua crescita, alla tua evoluzione, viene appagato, che tu lo chieda o che tu non lo chieda20.

Insomma basterebbe ricordarsi, come ho trovato una volta scritto in un sito internet, che “Se un treno non si ferma alla tua stazione semplicemente non è il tuo treno”… E in effetti molte volte nel corso della mia esistenza ho potuto constatare la veridicità di questa affermazione e ho compreso che il segreto del benessere è danzare con la Vita, seguirne il flusso. “Lascia che il fiume ti porti all’oceano”21 dice Osho. Nei momenti di dolore, di estrema infelicità o di confusione che ci accadono quotidianamente lui ci invita a provare l’approccio di Lao Tsu: “Accetta la situazione in cui ti trovi, dev’essere la situazione giusta per te, ecco perché ti ci trovi”. L’esistenza ha cura di te, non ti ha messo in quella situazione senza un motivo. …Qualsiasi cosa ti necessita sulla Via, ti viene sempre data”22. “L’esistenza ti prende per mano e tu la segui in modo rilassato. Questo è il solo modo giusto di vivere, l’unico modo di vivere.”23 Non è facile ma, se ci si riesce, funziona. Provare per credere…

I 4 livelli di malattia

L’obiettività scientifica è il manto con cui l’Occidente vela a se stesso il proprio cuore

C. G. Jung

Gli occhi possono vedere solo ciò a cui la mente è disposta a credere

H. Bergson

In accordo con il modello dei Quattro Mondi della Cabalah, ma anche con la Ruota di medicina nativo-americana, possiamo dire che esistono quattro livelli di malattia: fisico, psichico, mentale e spirituale. Solitamente, come ci ricorda Bach, la malattia parte dallo Spirito per poi scendere a cascata fino al corpo, se non viene intercettata e curata prima.


La medicina allopatica considera invece solo la prima dimensione, quella fisica, e utilizza farmaci chimici per stroncare i sintomi al loro primo apparire come fossero nemici da combattere senza pietà.


In Occidente il corpo viene visto da una prospettiva puramente anatomica: cioè come un insieme di organi, di pezzi meccanici assemblati insieme, che vengono sezionati, cioè separati dal taglio del bisturi. In Oriente invece la visione è molto più complessa ma nello stesso tempo anche molto semplice: il macrocosmo-universo è all’interno del microcosmo-corpo che per i taoisti è come un meraviglioso paesaggio con montagne e foreste…Non per nulla si parla di un “corpo energetico” in cui tutto fluisce ed è correlato.


Le due successive dimensioni della malattia, cioè quelle emotivo – mentali, sono appannaggio della psicoterapia, mentre l’ultimo livello, quello spirituale, nella nostra cultura occidentale è prerogativa esclusiva dei sacerdoti o di qualche terapeuta illuminato…


Nelle culture tradizionali di tutto il mondo invece guaritori, sciamani o uomini e donne-medicina che siano, affrontano la malattia come un unicum, fatto di tanti elementi intrecciati tra loro.


Oggi la scienza conferma la saggezza dei popoli nativi affermando che l’essere umano è pluridimensionale, è cioè un’unità corpo-mente e non può essere scisso in compartimenti stagni. Le scoperte della fisica quantistica ci dimostrano senza più ombra di dubbio che “Tutto è Uno”. Ma lo diceva già Galileo Galilei nel 1600 quando affermava “Le cose sono unite da legami invisibili: non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella”.


E prima di lui il popolo Lakota, il cui saluto “Mitakuye oyasin” significa proprio questo: “Siamo tutti parenti”, tutti correlati gli uni agli altri.

“Come in alto così in basso, come dentro così fuori” recita il testo sapienziale attribuito a Ermete Trismegisto e inciso nella Tavola di Smeraldo: il macrocosmo è riflesso nel microcosmo e tutto è collegato. Anche nell’organismo umano: oggi si parla di PNEI (psicoimmunoendocrinologia) perché ci si è resi conto che il sistema immunitario, il sistema nervoso e quello endocrino sono strettamente intrecciati tra loro. “L’uomo per la PNEI – afferma G.Pagliaro – non è più paragonabile a un insieme di organi, sistemi ed apparati autonomi, ma a un sistema interagente, in cui nulla all’interno dell’organismo è più separabile ed è in costante interazione con l’ambiente esterno”24.


Ma non solo: secondo la PNEI Quantistica “la mente e il corpo sono la stessa entità che si esprime in due modi diversi”25. Ecco perché la mente ha un potere così grande sul corpo…


In questo senso, come dice Osho, “il corpo è l’anima resa visibile”. Perché l’anima ha bisogno di un veicolo fisico attraverso cui esprimersi nella realtà materiale: “Il corpo serve unicamente a riflettere il funzionamento dell’anima”26 scriveva Bach. Quindi non si può curare l’uno senza tener conto dell’altra.


Ecco perché, come afferma Arrigo Chieregatti, “la medicina contemporanea, malgrado i suoi non trascurabili effetti iatrogeni, guarisce indubbiamente diverse malattie. Meno spesso guarisce i malati, quasi mai l’uomo”27. Perché, come abbiamo detto, l’uomo è molto più della somma di un certo numero di organi e non è certamente una macchina che basta riparare come un’automobile dal carrozziere…


Eppure la maggior parte dei medici “si sforza di curare il sintomo anziché la persona che presenta il sintomo”28.

Quello di cui solitamente si occupa la medicina occidentale è soltanto, ahimè, la punta di un iceberg gigantesco, la cui parte principale è sommersa nella profondità dell’oceano:


“L’essenza di ogni cosa sulla terra, visibile e invisibile, è spirituale” diceva il poeta libanese Gibran. Noi però perlopiù non ne siamo consapevoli…

Ci diamo da fare per un eczema, un’allergia o un’artrite ma non siamo abituati ad andare a esplorare cosa si nasconde sotto la superficie del sintomo. Di questo parleremo comunque più approfonditamente nel prossimo capitolo. Qui ci basti ricordare che se osserviamo lo stesso problema – che si tratti di una malattia, un trauma o una circostanza difficile – in un’ottica diversa, cioè ad un livello superiore della griglia di interpretazione, quale quello spirituale, il senso dell’evento cambia inevitabilmente: “Ovunque noi vediamo un’avversità, l’anima vede un’opportunità di guarigione, espansione e illuminazione “29 scrive la psicoterapeuta R.Norwood, che dopo anni di lavoro sulla dipendenza affettiva, sua e delle sue pazienti, ha trovato la guarigione attraverso lo studio – come dice lei – del “PERCHÈ che sta dietro al perché”, cioè del senso della sofferenza e del dolore, che può essere ritrovato solo accedendo al livello spirituale. È così che ha scoperto – come molti altri medici – una dimensione terapeutica nuova che richiede l’utilizzo di un diverso tipo di mappa.


Scrive il poeta Rilke: “Guarire significa cogliere l’informazione contenuta nella malattia”. Ma “questo presuppone che uno si ponga il problema del significato della malattia”…30


Diceva Ippocrate: “Se sei malato cerca prima di tutto ciò che hai fatto per diventarlo”. È un lungo e faticoso lavoro, un lavoro che potremmo chiamare di “purificazione” perché, “la malattia è il mezzo con cui un organismo si libera di ciò che non gli appartiene”31 per poter finalmente diventare chi è. Una sorta di processo alchemico, di filtraggio volto a eliminare le scorie, a separare il puro dall’impuro e distillare la vera essenza di ogni individuo.

Ma non sempre questo assunto è valido perché ci sono dei casi speciali: per esempio quando a soffrire e morire sono i bambini (o persone di elevato livello spirituale che si presume non abbiano particolari lezioni da imparare). Personalmente la risposta al dubbio atroce sul senso di questa sofferenza l’ho trovata nelle parole di un medico, Leon Renard, il quale afferma che il compito delle anime che se ne vanno in tenera età è quello di insegnare ai loro genitori o parenti la lezione del non attaccamento, la più ardua in assoluto della nostra esistenza… I bambini non nati per esempio, che passano come meteore dentro i corpi di molte donne, hanno questo difficile e grandioso compito: un sacrificio, il loro, che andrebbe opportunamente riconosciuto e onorato. Come stelle cadenti tornano alla Luce di cui hanno voluto lasciare una scia… Nel Talmud è scritto: “Perché i bambini sono colpiti da malattie? Quando vi sono dei Giusti nel mondo, sono loro a soffrire per i peccati della loro generazione. Ma quando non ci sono dei Giusti, allora sono i bambini a soffrire per i peccati di quella generazione”32. La storia biblica di Giobbe può inoltre aiutare “i giusti” che si ritrovano nella morsa del dolore a comprendere che a volte il senso della loro sofferenza sta in una sorta di “apprendistato spirituale” che li porta a sviluppare una fede incrollabile nonostante le circostanze avverse: “Dopo tutto questo, hai ancora fede?” sembra che la malattia sia venuta a dire loro… Ci sono poi persone che non trovano una terapia adatta unicamente perché sono essi stessi a doverla scoprire e offrire al mondo… Sono i pionieri che con la loro sofferenza aprono una strada agli altri, proprio come ha fatto Bach.

Cambiare le lenti agli occhiali

Non vediamo le cose per come sono, ma le vediamo per come siamo

Anaïs Nin

Ma torniamo alle situazioni più comuni: ci sono esperienze nella vita in cui ci troviamo improvvisamente incastrati, da cui non riusciamo per il momento a tirarci fuori, in una parola che non possiamo evitare di vivere.


Non sempre si riesce subito a trovare l’uscita dal labirinto… A volte si è chiamati a restare lì, nel dolore e nella sofferenza per un po’. Perché le prove fanno crescere e maturare.


Però anche in questi casi c’è sempre qualcosa che possiamo fare: possiamo cambiare le lenti ai nostri occhiali! E allora ci renderemo conto che è tutta una questione di prospettiva, di sguardo, di interpretazione.


Come ci ricorda una storiella attribuita al Buddha che racconta di due cani, i quali, in momenti diversi, entrarono nella stessa stanza: uno ne uscì scodinzolando, l’altro ne uscì ringhiando. Una donna li vide e, incuriosita, entrò nella stanza per scoprire cosa rendesse uno felice e l’altro così infuriato. Con grande sorpresa scoprì che la stanza era piena di specchi…


Il cane felice aveva trovato cento cani felici che lo guardavano, mentre il cane arrabbiato aveva visto solo cani arrabbiati che gli abbaiavano contro…

A dimostrazione che quello che vediamo nel mondo intorno a noi non è altro che un riflesso di ciò che siamo: una stessa situazione viene vissuta in modi completamente diversi da persone diverse (da fratelli e sorelle nella stessa famiglia per esempio). Questo succede perché ognuno è dotato di occhiali diversi: chi con le lenti grigie, chi con le lenti gialle, chi con le lenti rosa… Nel senso che ognuno guarda l’evento o la situazione attraverso il filtro delle sue passate esperienze (e di quelle familiari, delle generazioni che l’hanno preceduto) ovvero della sua programmazione. Un esempio a questo proposito, che per me fu la prova di quanto vi sto dicendo, è un aneddoto familiare: una volta, quando mia figlia frequentava le elementari, mi capitò di trovarmi in classe durante una lezione. Rimasi totalmente sconcertata e profondamente turbata sentendo con quale irruenza la maestra urlava ai bambini in quell’aula… Quando ne ebbi modo parlai a Sarah di quell’esperienza che mi aveva letteralmente sconvolto e preoccupato e le chiesi cosa pensasse a riguardo: ricordo come fosse ieri che lei mi rispose candida e tranquilla riferendosi alla maestra in questione “Sì urla, ma è così brava a disegnare e ci fa sempre fare i cruciverba…”! In poche parole mia figlia non era stata affatto turbata dai modi aggressivi della sua insegnante, semplicemente perché lei non osservava quella situazione dalla mia stessa angolazione: cioè quella di una bambina per la quale l’urlo era stato un’esperienza traumatica molto antica… Per Sarah, grazie a Dio, non era stato così e lei apprezzava della sua maestra un aspetto che considerava importante mentre per me sarebbe stato del tutto trascurabile…


Prendiamo come altro esempio la solitudine: per alcuni è una dimensione desiderabile e cercata, per altri una vera e propria tragedia. C’è chi aspira da sempre a una vita di coppia o a farsi una famiglia e chi invece difende a spada tratta la sua esistenza da single, c’è chi cerca i legami e chi li rifugge…


Tutto dipende dalla storia che ognuno si porta alle spalle: è ben diverso se in passato si ha vissuto un trauma d’abbandono o se al contrario ci si è sentiti soffocati. Le lenti cambiano e con esse anche la visione della realtà.

In ogni caso è possibile modificare la visione che ci siamo fatti della realtà.


Ricordo di averlo compreso chiaramente leggendo un giorno un passo di Assagioli, il padre della Psicosintesi: mi colpì profondamente la sua testimonianza in cui racconta dell’esperienza di prigionia che dovette subire in un certo periodo della sua vita e di come l’affrontò. La riporto per intero perché mi pare ben più esplicativa di tante mie parole.


“Mi resi conto che ero libero di assumere un atteggiamento o un altro nei confronti della situazione, di darle un valore o un altro, di utilizzarla o meno in un senso o nell’altro. Potevo ribellarmi, oppure sottomettermi passivamente, vegetando; oppure potevo indulgere nel piacere dell’autocommiserazione e assumere il ruolo di martire oppure potevo prendere la situazione in maniera sportiva e con senso dell’humor, considerandola come una nuova e interessante esperienza. Potevo farne un periodo di cura, di riposo, o di pensiero intenso su questioni personali, riflettendo sulla mia vita passata o su problemi scientifici e filosofici; oppure potevo approfittare della situazione per sottopormi a un training delle facoltà psicologiche e fare esperimenti psicologici su me stesso; o, infine, come un ritiro spirituale. Compresi che dipendeva solo da me capire che ero libero di scegliere una o più di queste attività o atteggiamenti; che questa scelta avrebbe avuto effetti precisi e inevitabili, che potevo prevedere e dei quali ero pienamente responsabile.


Nella mia mente non c’era dubbio alcuno circa questa libertà essenziale….”. Lo stesso principio, con parole diverse, me lo comunicò una volta il mio maestro di Tai-Chi quando mi lamentavo con lui di dover andare in un posto dove non avevo voglia di andare: “Puoi andarci in tanti modi – mi disse in modo pacato e poetico –: come acqua, come vento o come un guerriero…”. Riprendiamo il caso della solitudine: possiamo vederla come un’occasione per fare un balzo avanti nella consapevolezza, per superare una dipendenza, per riacquistare una libertà perduta, come una pausa per vivere altre esperienze in attesa di un futuro lieto evento, o come un tirocinio necessario e inevitabile, foriero di molte altre nuove possibilità… Ecco che allora tutto cambia: come per magia ogni cosa si trasforma e la rabbia a poco a poco si scioglie e lascia il posto all’accettazione, diventando forza e determinazione. È molto diverso dirsi “sono libero” anziché “sono solo”… Ecco dunque cosa possiamo fare sempre: modificare la chiave di lettura e la nostra modalità di reazione ad un evento. Perché – come ci ricorda Osho – non è l’evento in sé ma l’interpretazione che ne diamo che ci fa star male! In quanto è quasi sempre un’interpretazione errata, filtrata dalle nostre credenze, dalle nostre fantasie, dalle nostre memorie dolorose. Non è facile, lo so bene, applicare nella vita di tutti i giorni questo saggio principio, ci vuole molto esercizio, bisogna allenarsi ogni giorno con pazienza e perseveranza, ma è l’unica strada possibile se non si vuole rischiare di rimanere sommersi dal “destino”. Perché, come diceva Jung, “Quando un fatto interiore non viene reso cosciente, si produce fuori, come destino.” Noi siamo mossi, proprio come dei burattini, dalle nostre problematiche inconsce ma non ce ne accorgiamo. Solo quando ne diventiamo consapevoli ci rendiamo conto di poter tenere in mano il timone della nostra barca a vela, anziché innescare il pilota automatico, e impariamo a navigare seguendo le onde e il vento, guidati dalla luce di un faro che non si spegne mai.

La malattia come dono

Il senso dell’amore di Dio non è non permettere che accadano cose brutte ma essere lì con noi quando accadono

dal film Love comes softly

Anche se sembra strano a dirsi, la malattia può essere vissuta come un dono. È il caso citato dalla Norwood di un giovane affetto da Aids che ha affermato: ”Suona strano dire che mi sento grato per questa malattia, ma in un certo senso è così. Mi ha insegnato a vivere. E non solo a me, anche alla mia famiglia. A volte penso che questa malattia serva proprio a questo: a cambiare le persone, rendendole più capaci di amare, di dare e di essere tolleranti.”33 La sofferenza, se correttamente vissuta, porta alla “compassione” (cioè alla capacità di comprendere, avendolo sperimentato su di sé, il dolore dell’altro) e nello stesso tempo ci induce a rivedere la nostra vita e a volte a trasformarla totalmente e renderla veramente ciò che vorremmo che fosse. Se riuscissimo sempre a ricordarci che, come afferma Lise Bourbeau, “la malattia è un dono per riequilibrare il nostro essere”34 allora forse non ci farebbe più così paura e saremmo in grado di affrontarla in modo diverso, sfruttando i benefici che nasconde dietro la sua maschera dura e austera, o a volte addirittura spaventosa e raccapricciante, e trasformando le pietre che incontriamo sul cammino in preziose pepite d’oro…

E, a posteriori, riusciremmo perfino a benedirla… In ogni caso quando ci capita un evento catastrofico che riguarda la salute nostra o di chi ci sta accanto dovremmo, come ci ricorda A.Moenaert, accettare la diagnosi ma rifiutare la prognosi: la disperazione e la perdita della speranza è infatti un veleno micidiale che abbassa immediatamente le difese immunitarie aprendo la strada al morbo che non trova così più ostacoli sul suo cammino. Personalmente ne sono stata testimone con mio padre che, nonostante i miei molteplici tentativi terapeutici, non si è più rimesso in seguito a una diagnosi che l’ha spaventato al punto da togliergli ogni fiducia nel suo processo di guarigione, come ho raccontato più approfonditamente nel capitolo sulla scelta del terapeuta. Noi siamo ciò che pensiamo: “la convinzione nella possibilità personale di influenzare la propria sorte ha un effetto positivo sul sistema immunitario. Al contrario, una sensazione di impotenza sortisce un effetto di depressione immunitaria”35 come dimostrato da diversi studi e ricerche scientifiche.

Ormai anche medici ospedalieri, come il pneumologo Enzo Soresi, ex primario all’ospedale Niguarda di Milano, hanno messo in evidenza lo straordinario potere del nostro cervello e della nostra mente di agire come grilletti provocando la comparsa e/o la scomparsa dei sintomi e delle malattie. Ne sono conferma i casi di guarigioni miracolose o più frequentemente di effetto placebo. Noi abbiamo un potere immenso ma non sappiamo o crediamo di possederlo: “Vince solo chi è convinto di poterlo fare” scriveva già Virgilio più di due millenni fa… Ci è stato fatto credere di non avere alternative e invece potremmo averle in ogni istante se solo credessimo di averle, perché in ogni istante noi possiamo cambiare i nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre azioni: noi abbiamo creato le credenze che ci bloccano e noi possiamo disfarcene quando non ci servono più. Pensiamo sempre che siano gli altri a cambiarci la vita: aspettiamo il principe azzurro che ci salva, Dio che ci libera, il medico che ci guarisce… Ma in realtà solo noi siamo in grado di cambiare la nostra vita, solo noi possiamo farlo.


A.Moenaert, psicoterapeuta belga ed esperto in PNL, ha studiato nell’arco di vent’anni 210 pazienti che avevano ricevuto diagnosi di grave entità ma che sono sopravvissuti alle prognosi infauste e hanno conseguito guarigioni stupefacenti e ha identificato quali sono i fattori che li accomunano e che potremmo, utilizzando le sue parole, riassumere fondamentalmente nei seguenti punti:

  • accettare la diagnosi e rifiutare la prognosi

  • riuscire a vedere nella catastrofe un’opportunità

  • assumersi le proprie responsabilità e prendere in mano la propria vita con determinazione

  • scoprire il messaggio-funzione del sintomo

  • eliminare dal passato traumi e credenze limitanti

  • costruire un presente soddisfacente e un futuro senza tensioni

  • sviluppare una pratica spirituale che faccia sentire connessi al Tutto

Del resto lo diceva già Bach: “Nessuno si spaventi a sentir nominare una malattia: dopo tutto cosa c’è in un nome? Nessuna malattia in sé è incurabile. Si può affermare ciò, perché coloro che soffrivano di quelle malattie i cui nomi sono più temuti e che provocano grande paura, adesso sono guariti. Se alcuni pazienti ci sono riusciti, anche altri possono farlo.”36 “Qualsiasi malattia, per quanto grave e lunga essa sia, potrà essere curata ripristinando nel paziente uno stato di felicità e il desiderio di proseguire il proprio lavoro.”37 Per cui “che nessuno perda la speranza di poter stare meglio”38


A questo proposito, per i momenti in cui non si vede l’uscita dal tunnel, trovo impagabili queste parole: “Io vorrei farti dormire, ma come i personaggi delle favole, che dormono per svegliarsi solo il giorno in cui saranno felici. Ma succederà così anche a te. Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani.”


Un vero e proprio balsamo per l’Anima…

Quando si è ammalati è importante ricordarsi che:

  1. 1Tutto ha un senso: c’è un disegno che ci sfugge ma se solo riuscissimo a vederlo nella sua interezza ci accorgeremmo che è perfetto…

  2. 2Noi vediamo solo la parte che emerge dell’iceberg ma la principale è invisibile agli occhi

  3. Noi veniamo in questo mondo per ricordarci chi siamo e realizzarlo e per far ciò dobbiamo curare le ferite dell’anima che ci portiamo dietro in un invisibile fagotto ancora prima di nascere…

  4. Le ferite sono così dolorose che per proteggerci il nostro ego crea delle maschere e delle corazze con cui andiamo in giro: sono le nostre difese

  5. Nella vita incontriamo situazioni e persone che attivano le nostre ferite: gli altri ci fanno da specchio mostrandoci parti di noi che non volevamo vedere ma in questo modo ci danno un’opportunità per trasformarle

  6. Quando raggiungiamo un livello insopportabile per la nostra anima di dolore e infelicità ecco che ci mettiamo a cercare una cura per le nostre ferite

  7. La vera terapia è spirituale perché si trova in una dimensione che va al di là di quella fisica

Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.