Mia figlia
mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo;
ed io alla sua carezza m’ addormento.
Divento
legno in mare caduto che sull’onda
galleggia. E dove alla vicina sponda
anelo, il flutto mi porta lontano.
Oh, come sento che lottare è vano!
Oh, come in petto per dolcezza il cuore
vien meno!
Al seno
approdo di colei che Berto ancora
mi chiama, al primo, all’amoroso seno,
ai verdi paradisi dell’infanzia
Insonne
mi levo all’alba.
Che farà la mia vecchia nutrice?
Posso forse ancora là ritrovarla, nel suo negozietto?
Come vive, se vive?
E a lei m’affretto,
pure una volta, con il cuore ansante.
Eccola: è viva; in piedi dopo tante
vicende e tante stagioni. Un sorriso
illumina, a vedermi, il volto ancora
bello per me, misterioso. È l’ora
a lei d’aprire. Ad aiutarla accorso scalzo fanciullo, del nativo colle tutto
improntato, la persona china
leggera, ed alza la saracinesca.
Nella rosata in cielo e in terra fresca
mattina io ben la ritrovavo. E sono
a lei d’allora. Quel fanciullo io sono
che a lei spontaneo soccorreva; immagine
di me, d’ uno di me perduto...