capitolo ix

“Tu non mi comandi!”

Capire la resistenza e l'opposizione

“Ovunque vediate un cartello che dice ‘Vietato l’ingresso’, entrate immediatamente.”

Leslie Stephen, citato da sua figlia, Virginia Woolf1

Susan e Charlie mi parlavano concitati una sera, dopo un incontro sulla genitorialità. Susan diceva: “Stiamo avendo tanti problemi per togliere il pannolino a nostro figlio di tre anni e mezzo. Avevamo iniziato benissimo ma ora le cose vanno male. All’inizio Blake usava il bagno ma ora si rifiuta, vuole solo il pannolino.” Ho chiesto loro di raccontarmi di più sulla sua resistenza; Charlie ha spiegato: “Gli abbiamo detto che ora è grande e abbiamo eliminato i pannolini, ma lui se la fa addosso”. Con tono agitato, Susan ha aggiutno: “Deve essere pronto per l’inizio dell’asilo, non lo prendono se porta ancora il pannolino!”


Ho chiesto che mi raccontassero come erano andate le cose e Susan ha detto: “Ogni volta che faceva pipì in bagno lo lodavamo e gli dicevamo che era stato bravo. Non so cosa sia successo, di punto in bianco ha smesso di essere interessato, così abbiamo iniziato a dargli piccole ricompense.” Charlie è intervenuto: “Ora quando gli diciamo di andare in bagno fa finta di non sentire, abbiamo anche cercato di corromperlo promettendogli di comprargli una bicicletta se ci va, ma si rifiuta!”


Ho fatto molte altre domande per capire la radice della resistenza di Blake, e poi ho spiegato: “Il problema è che Blake vi ascolta ma non obbedisce. I bambini piccoli sono allergici alla coercizione e il vostro desiderio di togliergli il pannolino è maggiore del suo. Dovete ridurre l’elemento coercitivo e fare spazio per permettere al suo desiderio di risvegliarsi.” Allora Susan ha chiesto: “Ma come si fa?”; le ho risposto: “Forse per un po’ dovrete affidarvi di nuovo al pannolino, senza farne una tragedia. Fatelo e basta, senza ricompense, lodi, punizioni o segni di frustrazione. Quando lo cambiate, approfittatene per creare un momento di unione in cui far trasparire gioia, piacere e calore da parte vostra.” Susan e Charlie apparivano perplessi, “Ma, sul serio dobbiamo tornare indietro?”, ha chiesto Susan, e Charlie ha aggiunto: “Ha mai cambiato il pannolino di un bambino di tre anni e mezzo? È disgustoso!” Ho riconosciuto che ciò che proponevo sembrava controintuitivo ma ho comunque chiesto loro se erano disposti a fare una prova per qualche tempo. Susan ha risposto: “Sì, penso che dovremmo, non ci resta altro, non ha neppure ceduto con la promessa della bicicletta!” Poi si è rivolta a Charlie: “Devi solo far finta che i pannolini siano pieni di budino al cioccolato!” e lui non sembrava affatto divertito.


Susan e Charlie hanno continuato a venire agli incontri settimanali e ogni volta chiedevo loro come andassero le cose; Charlie alzava le spalle e diceva: “Budino al cioccolato, Deborah, moltissimo budino al cioccolato!”; Susan ribatteva: “Non ci sono segni di cambiamento, ma Blake è felice di riavere i suoi pannolini. Sto cercando di creare un’intimità con lui, ogni volta che lo cambio gli canto una canzone come quando era più piccolo!” Ho ribadito la necessità di tenere duro e dargli ancora tempo. Tre settimane dopo Susan mi ha detto: “Credo che qualcosa stia cambiando. Ieri è venuto in camera nostra alle sei di mattina urlando: “Devo fare la pupù!”, ho preso il necessario per cambiarlo ma mi ha guardata con aria di sfida e mi ha detto:’No, la faccio nel vaso, da solo!’, ed è corso in bagno!” Ho replicato: “I suoi ‘faccio da solo’ stanno tornando, siete sulla buona strada ora!”

I bambini sono allergici alla coercizione

Quando dite a un bambino piccolo di sbrigarsi, i suoi piedi rischiano di iniziare a trascinarsi o fermarsi del tutto. Le vostre istruzioni esplicite non servono ad altro che indurlo a fare l’opposto. La mamma di un bambino di tre anni mi ha detto: “Kiefer ha svitato una vite dalla finestra del bagno, nel panico gli ho detto di non perderla e lui mi ha guardata dritta negli occhi e l’ha gettata fuori!”. È facile che i piccoli si lascino ossessionare dai tabù, perciò se dite loro di non usare le parole legate alle funzioni corporali, saranno inclini a ripeterle di continuo. Senza preavviso possono diventare disobbedienti, ostinati, testardi, refrattari, litigiosi, polemici, bellicosi, incorreggibili, ribelli e disubbidienti. La mamma di una bambina di tre anni ha detto alla figlia: “Se fossi un dinosauro, saresti un ribellosauro!” e lei come al solito ha risposto:”No!”


I bambini piccoli hanno un istinto che si chiama controvolontà, e si attiva ogni volta che si sentono controllati o costretti da altri2. Verso i due anni, possono diventare sensibili alla volontà e ai desideri di chi li circonda opponendo una certa resistenza. I genitori talvolta si chiedono cosa sia successo ai loro bambini disponibili, compiacenti e bendisposti quando iniziano a spuntare atteggiamenti ribelli e oppositivi. Il genitore di un bambino di due anni mi ha detto: “La sua prima risposta a tutto è no. Anche se gli chiedo se vuole bere o un biscotto, la sua prima risposta è sempre no! Magari un istante dopo si trasforma in sì, ma il no viene prima. Se deve mettersi sul seggiolino dell’auto, dice no e poi inizia a strillare “no!”, continua a gridare anche con lusinghe, promesse di ricompense e tentativi di persuasione”. La resistenza del bambino potrebbe essere interpretata come manipolativa o fatta di proposito, o come un tentativo intenzionale di far saltare i nervi al genitore, quando invece si tratta solo di forte aderenza al suo istinto di controvolontà. La capacità di dire no può rappresentare un problema per gli adulti ma è un traguardo evolutivo che, invece, dovrebbe essere festeggiato.


L’istinto a resistere e a opporsi è una delle dinamiche più misconosciute e fraintese nella relazione adulto-bambino. La controvolontà non è una risposta appresa, bensì una reazione emotiva che gioca un ruolo critico nel proteggere la personalità e il processo di maturazione dell’individuo in divenire. I bambini piccoli sono allergici ai programmi degli altri perché stanno ancora cercando di capire quali siano i propri, da qui la loro frase preferita: “faccio da solo!” Più un bambino sviluppa una sua propria volontà, meno si sentirà spinto a resistere e contrastare la volontà degli altri. La controvolontà nei bambini piccoli scaturisce dalla loro volontà ancora non ben sviluppata e in via di maturazione. Ci vuole tutta una vita per capire quali siano i propri valori, obiettivi e motivazioni. Per un bambino piccolo, stabilire quali siano le proprie preferenze, la propria volontà, i propri desideri, priorità e decisioni è possibile solo quando è tranquillo e gioca. Non sono istinti che si superano quando si matura un’individualità più coerente, semplicemente non si ha più il bisogno di agire avvalendosene.

Il fatto è che non c’è nulla che innervosisca di più un adulto di un bambino che oppone resistenza, soprattutto se il genitore ha una sua volontà forte o programmi ben precisi. Le incombenze quotidiane rischiano di far scattare l’istinto alla controvolontà del bambino: vestirsi, andare a dormire, usare il bagno, lavarsi i denti, pettinarsi, mangiare cibi sani.


Una nonna, che non vedeva l’ora di far assaggiare al nipotino di quattro anni lo sformato di zucca fatto in casa, si è sentita rispondere: “Mi dispiace, non mangio lo sformato di zucca, nonna. Sono vegetariano!”


Quando i bambini si sottraggono ai desideri degli adulti, ci si può ritrovare in uno scontro di volontà a cui seguono feroci lotte di potere. Un papà mi disse: “Ho sentito mia moglie che discuteva in bagno con mia figlia di tre anni, voleva che uscisse dalla vasca ma Lauren non ne voleva sapere. Sono andate avanti così ognuna sulle sue posizioni finché non sono intervenuto io!” Ingaggiare una lotta di controvolontà con un bambino piccolo rischia di lasciare il genitore pieno di rammarico, come ha scoperto questa mamma:

Quando mia figlia aveva circa cinque anni, un giorno eravamo sul punto di uscire per andare con la famiglia allargata in un ristorante molto lussuoso, per festeggiare una ricorrenza speciale. Le dissi che doveva vestirsi. A quell’età, nulla le piaceva più del vestirsi, perciò pensai che avrebbe colto al volo l’occasione. No! Allora non sapevo nulla della controvolontà. Era indignata all’idea di “doversi” vestire, che un ristorante potesse dettare quello che la gente dovesse indossare e il non avere alcuna voce in capitolo. Credetti che fosse solo in una vena bellicosa e d’improvviso misi in discussione tutto il modo di essere madre, temendo di essere stata troppo lassista nei suoi confronti visto che non ubbidiva a una cosa tanto semplice. Ero davvero frustrata! Pensai che avrei dovuto essere più ferma, molto più ferma. Ecco, potete immaginare la lotta di controvolontà che ne è scaturita mentre insistevo con sempre maggior fermezza che doveva fare quello che le avevo chiesto. Se solo avessi saputo della controvolontà, quella sera avrei risparmiato a entrambe una buona dose di angustie e sofferenze.

Alcuni genitori reagiscono con forza alla ribellione dei figli, credendo che altrimenti questo porterà solo altra disobbedienza. Quando gli adulti premono per avere la compiacenza a tutti i costi, o tentano di estinguere i comportamenti resistenti, le ragioni istintive ed emozionali dell’opposizione infantile vengono perdute, svilite o distrutte. Credere che la resistenza e l’opposizione debbano essere disimparate a) non riconosce o non dà valore ai benefici evolutivi del possedere una propria capacità decisionale e b) non riesce ad apprezzare il fatto che dobbiamo crescere un bambino a partire dalle resistenze, non punirlo o insegnargli che deve comportarsi diversamente.

Un adulto ha forza a sufficienza per far capitolare un bambino di fronte alle sue richieste, ma questo spesso porta a confusione e risentimento, erodendo l’attaccamento. Lo psicanalista Otto Rank, che ha scritto diffusamente a proposito della controvolontà, ha detto che le reazioni eccessive dei genitori ad essa sono una delle cause maggiori dell’insicurezza nel bambino3. Per proteggere la relazione con i piccoli, è necessario capire quanto la controvolontà serva alla crescita, come evitare di provocarla e come gestirla quando invece lo facciamo.

Forme di coercizione e controllo

Credere che un bambino piccolo non farà nulla a meno che non sia costretto, significa avere ben poca fede nel desiderio intrinseco del piccolo di far bene seguendo il giudizio dei suoi adulti di riferimento, significa non tenere conto della forza dell’attaccamento e di come i bambini piccoli seguano per natura le persone a cui sono legati. Il risultato è che gli adulti ricorrono erroneamente a forme fisiche, comportamentali, emotive e cognitive di controllo e coercizione per indurre all’obbedienza anziché affidarsi alle strategie di attaccamento.


Magari un adulto potrà agire fisicamente sul bambino, tirandolo su o spingendolo, cosa assai facile da fare quando un bambino è piccolo, ma sempre più difficile man mano che cresce. Il bambino potrebbe reagire alla coercizione fisica dando botte, urlando, afflosciandosi. Un padre che aveva afferrato con una presa da football il figlio di cinque anni per portarlo via dal ristorante, lo ha sentito urlare: “Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi aiuti, mi rapiscono!” Se i bambini vengono costretti in una direzione, è facile predire una controforza nella direzione opposta.

I rinforzi negativi sono una forma di coercizione comportamentale che mira a ridurre la probabilità che un certo atteggiamento si ripeta. Peraltro, se a un bambino viene detto che sarà punito o che certi comportamenti sono proibiti, il rischio è proprio quello di aumentare la probabilità che gli atteggiamenti indesiderati si producano. Per esempio, nel classico studio del giocattolo proibito, i ricercatori impongono ai bambini di non giocare con un determinato giocattolo, esercitando minacce lievi o serie4. Più severa è la minaccia, più è grande il desiderio del bambino di giocare con quel giocattolo, nonostante gli avvertimenti. Il bambino è inconsapevole del suo istinto, agisce semplicemente senza capire quando gli viene detto di non fare qualcosa. Una mamma mi ha raccontato: “Quando ero all’asilo, prima di salire sul palco per il concerto di Natale mia mamma si raccomandò che non mi alzassi la gonna e facessi vedere le mutandine. Prima che potessi rendermene conto ero lì in piedi sul palco con la gonna sollevata fin sopra la testa che facevo vedere a tutti le mie mutandine!”


Le forme di coercizione comportamentale includono anche i rinforzi positivi, attraverso cui un bambino è ricompensato o lodato per incoraggiare determinati atteggiamenti. Molti non si rendono conto di quanto una ricompensa possa apparire coercitiva a un bambino piccolo, forse perché viene considerata come una cosa positiva. Tuttavia anche le ricompense rivelano il desiderio altrui, capace di sopraffare e svilire le reali intenzioni del bambino. Uno studio classico sulla motivazione nei bambini piccoli ha scoperto che chi veniva premiato per aver usato dei pennarelli era poi meno interessato a giocarci rispetto a chi non era stato ricompensato5. Alfie Kohn, autore di Punished by Rewards (Puniti con le ricompense), afferma che le ricompense estrinseche hanno vita breve e diminuiscono la motivazione interiore del bambino6. Le ricompense offerte in cambio di accondiscendenza rischiano di interferire con il naturale desiderio del bambino di apprendere o di interessarsi agli altri in modo genuino.

Le forme emotive di coercizione includono l’umiliazione o i tentativi di colpevolizzare il bambino per i suoi impulsi o le sue azioni immature. Gli adulti utilizzano le emozioni del bambino per controllarne il comportamento con affermazioni del tipo: “Se fossi un bravo fratellino, smetteresti di picchiare tua sorella!”, “Se volessi bene alla mamma, l’aiuteresti a raccogliere i giocattoli!” e “Hai visto Eva? È proprio un’amica brava, hai visto come ha aiutato?”. Le affermazioni coercitive dal punto di vista emotivo implicano che ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel bambino.


La coercizione emotiva non solo lede la relazione del bambino con l’adulto, ma crea un’atmosfera di umiliazione.


Fra le forme cognitive di coercizione è incluso il dire al bambino cosa credere e pensare; l’essere in accordo con l’adulto diventa una forma di obbedienza. Il bambino dovrebbe essere guidato con naturalezza a comprendere il suo mondo e a farsene un’idea personale. Una bambina di quattro anni, per esempio, ha detto al fratello: “Sapevi che sulla lingua abbiamo delle faville gustative?” aggiungendo anche: “E in giardino ci sono dei vermetti, i bucri, che si mangiano tutte le verdure, per questo sono tutte bucate!”. Un altro bambino di quattro anni ha detto al padre: “Ho tutta pelle d’oca sulla fronte!” e quando il padre non ha tenuto conto della sua esperienza correggendolo: “La pelle d’oca viene solo sulle braccia e le gambe quando sei eccitato o hai paura!” lui gli ha risposto: “Va bene, allora sono zampe di gallina!”

Le due facce della controvolontà

L’istinto alla controvolontà è cruciale per lo sviluppo del bambino, per due motivi: 1) protegge l’attaccamento resistendo alle influenze e guide esterne, 2) prepara la strada all’indipendenza e alla capacità di funzionare come individuo separato. È importante notare che esistono altre ragioni per cui un bambino piccolo può opporre resistenza, come la paura, l’ansia, la rabbia, la frustrazione, l’ostilità e la sfiducia. La mancata obbedienza può essere anche dovuta a comportamenti disfunzionali, curiosità, dimenticanza o mancata comprensione, anziché dipendere dall’istinto alla controvolontà. Prima di affrontare la resistenza e l’opposizione del bambino è utile considerare cosa l’abbia provocata.

1) La controvolontà protegge l’attaccamento

La controvolontà preserva il ruolo occupato di diritto dal genitore nella vita del bambino come colui che lo guida e lo accudisce. I bambini piccoli non dovrebbero essere inclini a farsi comandare da chiunque; è per questo che oppongono resistenza agli estranei. La mamma di due bambini piccoli si era rivolta a me in occasione di una brutta figura:

Stavo facendo la spesa e una nonna si è avvicinata parlando con gentilezza ai miei figli, diceva loro quanto erano carini, domandava come si chiamassero e quanti anni avessero. Era animata dalle migliori intenzioni ma il mio più grande, di 4 anni, le ha fatto la linguaccia e gli occhiacci, poi si è venuto a nascondere dietro le mie gambe e non voleva più guardarla. Ero talmente in imbarazzo! Ho detto alla nonna che era timido ma mi chiedo perché si sia comportato così.


L’istinto della controvolontà

  1. è una reazione istintiva quando si percepisce coercizione e controllo
  2. è utile all’attaccamento perché protegge contro le influenze e i tentativi di controllo esterni
  3. è utile allo sviluppo perché prepara la strada al funzionamento come individuo autonomo

Il primo passo per trovare la propria volontà è contrastare e resistere a quella degli altri.



Figura IX.1 Tratta dal corso di Neufeld Making sense of Counterwill

La controvolontà è un istinto naturale legato alla sfera dell’attaccamento che impedisce al bambino di essere influenzato e diretto da persone che non appartengono alla cerchia di attaccamenti che hanno già ricevuto l’approvazione dei genitori.


Il che solleva la questione del perché i bambini resistano alle direttive dei genitori dal momento che esiste già una relazione fra loro. La resistenza al genitore scaturisce dalla mancata integrazione cerebrale del bambino piccolo, che può sentirsi legato solo a una persona o a una cosa per volta. Se un genitore dà una direttiva o un comando senza coinvolgere prima gli istinti di attaccamento del bambino, questi si sentirà costretto e controllato, pertanto reagirà attivando la controvolontà. Se, per esempio, un bambino è impegnato a giocare da solo o con un coetaneo o un fratello, il suo istinto di attaccamento non sarà incentrato sul genitore. Il papà di due bambini di due anni e mezzo e di quattro mi ha raccontato questa storia:

Mia moglie mi chiede di chiamare i bambini per cena; stanno guardando la TV e non si accorgono nemmeno di me, così spengo la televisione e beh, questo sì che attira la loro attenzione! Iniziano a gridare: “No! Non la spegnere!” e “Riaccendila!”; dico loro che è ora di cena e urlano: “No! Non vogliamo andare a cena!”. Allora mia moglie mi grida: “Hai richiamato la loro attenzione prima di dirgli cosa fare? È necessario quando devi dargli delle direttive!” A questo punto, erano in tre a sbraitarmi contro, è stato disumano. Più tardi ho detto a mia moglie che nemmeno lei aveva attirato la mia attenzione prima di dirmi cosa dovevo fare!

Richiamare a sé il bambino è uno dei modi migliori per coinvolgere i suoi istinti di attaccamento e implica il mettersi di fronte a lui con atteggiamento amichevole, incontrare il suo sguardo, magari suscitare un sorriso (come abbiamo visto nel capitolo 4). È importante attirare a sé i piccoli prima di dare comandi, direttive, esprimere aspettative, richieste o fare pressioni, la loro modalità di risposta automatica è infatti quella di resistenza. L’attaccamento è ciò che rende il bambino piccolo disponibile alle nostre cure e più propenso ad accondiscendere ai nostri desideri, desideroso di farci piacere, di aspettare, di essere all’altezza, volenteroso. In poche parole, la controvolontà e l’attaccamento hanno una relazione inversamente proporzionale: quando l’attaccamento è forte, la controvolontà è debole o non esiste affatto. Quando l’attaccamento è debole, la reazione di controvolontà sarà forte.


Cosa avrebbe potuto fare quel papà per attirare a sé i figli? Per prima cosa, uno schermo è una distrazione formidabile perché cattura l’attenzione del bambino e lo stimola. Per richiamarli, il padre avrebbe avuto bisogno di una relazione che già funzionasse bene, poi si sarebbe dovuto mettere accanto a loro, magari informarsi su cosa stessero guardando, cercare di catturare il loro sguardo o coinvolgerli in qualche modo condividendo un interesse nel programma per qualche minuto. Se, pur catturando la loro attenzione, i bambini avessero fatto storie per andare a cena, allora forse sarebbe stato il caso di lasciare spazio a qualche lacrima per dar loro modo di esprimere la delusione. Se il padre non fosse riuscito in nessun modo a richiamare a sé i bambini, allora sarebbe stato importante considerare se non ci fosse un problema relazionale fra lui e i figli.

Le difficoltà legate alla controvolontà sorgono quando ci sono problemi di attaccamento.

Quando l’istinto del bambino alla controvolontà sembra più di natura cronica e non è fluido, questo potrebbe indicare un problema nella relazione. Ci sono una serie di problemi di attaccamento che rendono il bambino recalcitrante a prendere le mosse dagli adulti di riferimento, incluso l’orientamento ai coetanei e i problemi alfa (si vedano il capitoli 4 e 5). Fra le altre difficoltà di attaccamento che alimentano i problemi legati alla controvolontà nei bambini piccoli è compreso il non avere una relazione con gli adulti che ne sono responsabili. Se il bambino non ha un legame con le maestre del nido, della materna o del kindergarten, la modalità di base con cui reagirà sarà quella guidata dalla controvolontà. I titoli o i “ruoli” degli adulti non hanno influenza sulla vita del bambino, né sul reale attaccamento che egli ha verso di loro. Una zia, che si occupava della nipotina di cinque anni, ha raccontato: “Le ho chiesto di aiutarmi a mettere a posto i giocattoli e ha risposto di no, dicendomi che non la potevo comandare. Poi le ho chiesto di venire a mangiare e ha rifiutato di nuovo. Le ho ricordato che sono sua zia, ma ha fatto ben poca differenza per lei!”. I problemi legati alla controvolontà esisteranno ovunque ci siano difficoltà nell’attaccamento.


Un altro dei problemi dell’attaccamento è il non avere una relazione abbastanza profonda da indebolire l’istinto della controvolontà. Capita che i bambini siano legati in modo troppo superficiale, attraverso i sensi, la somiglianza o l’appartenenza, il che non offre all’adulto una presa sufficiente. Inoltre, se le emozioni di un bambino sono bloccate e ci sono pochi segnali di vulnerabilità nei suoi sentimenti, il suo sviluppo potrebbe subire un ritardo, rendendolo più incline alle reazioni dettate dalla controvolontà, a causa della persistente immaturità.


Se un bambino è bloccato nelle reazioni dettate dalla controvolontà è più probabile che percepisca un maggior senso di coercizione e controllo da parte degli adulti che fanno parte della sua vita. Di conseguenza, si sentirà sempre più pressato e per questo opporrà una resistenza sempre maggiore. Quando un bambino è bloccato in atteggiamenti di resistenza, gli adulti rischiano di bloccarsi a loro volta nel tentativo di esercitare una pressione, il che erode ancora di più la relazione. Di solito, è il bambino che appare come colui che ha un problema di natura oppositiva e potrebbe essere etichettato di conseguenza come ribelle, non collaborativo e, appunto, oppositivo. Ciò che non si comprende è il perché un bambino piccolo non sviluppi un attaccamento per gli adulti della sua vita.


Quando le difficoltà legate all’attaccamento bloccano il bambino in risposte dettate dalla controvolontà, quel bambino non è più motivato ad essere leale, a mostrarsi all’altezza, ad ascoltare e farsi guidare, o a fare in modo che le cose vadano per il verso giusto secondo il desiderio degli adulti. Sarà invece orientato negativamente verso il genitore e si sforzerà di comandare, ribellarsi, opporsi, infastidire o irritare. Il solo modo per modificare queste risposte è che l’adulto si rimetta alla guida coltivando una forte relazione e rifiutando di assumere atteggiamenti ostili.


Il circolo della controvolontà bloccata
Una tragedia in tre atti

  • Atto I: quando il bambino si blocca, l’adulto inizia a fare pressione
  • Atto II: quando il bambino si sente pressato, spinge ancor più sul freno
  • Atto III: quando il bambino è bloccato in un atteggiamento di resistenza, gli adulti a loro volta si bloccano sulla persistenza.



Figura IX.2 Adattata dal corso di Neufeld Making sense of Counterwill
Comunicare il desiderio di una relazione anche quando il comportamento è problematico e battere in ritirata in caso di incidenti, sono due strategie che possono aiutare a prevenire ulteriori ferite inflitte alla relazione. (Si veda il capitolo 10)
2) La controvolontà è propedeutica all’emergere di una personalità autonoma

La controvolontà è una difesa naturale contro la volontà degli altri, in modo che il bambino possa scoprire le proprie preferenze, i propri desideri, voleri, obiettivi, aspirazioni. I bambini hanno bisogno di un invito all’attaccamento, ma anche di un invito a diventare se stessi. Un genitore mi ha confidato: “io e mia madre avevamo una relazione straordinaria finché non ho compiuto tre anni e ho iniziato a pensare di testa mia. Non poteva tollerare che avessi programmi diversi dai suoi e da allora in poi è stata sempre una battaglia!”


Le caratteristiche che un bambino piccolo esibisce e che rendono difficile il prendersi cura di lui, sono le stesse che desidereremmo vedere quando diventa adulto: dire di no, non essere d’accordo, avere idee, piani e propositi propri. Non funziona se incoraggiamo i nostri figli ad avere idee proprie solo quando queste non contraddicono le nostre. Al contempo, gli adulti devono poter guidare ed essere responsabili della cura dei figli.


I bambini devono nascere psicologicamente, e la controvolontà crea quel grembo dove la propria individualità può crescere e i confini prendere forma. La nascita dell’individualità è un processo di crescente integrazione, di pensieri e sentimenti che si fondono a formare un “sé”. Sebbene la crescita di un’individualità sia cruciale per lo sviluppo, non è inevitabile e avviene in modo spontaneo dopo circa tre anni di attaccamento appagante.

È una crescita che si palesa quando sentiamo il bambino dire “Io”, “faccio Io”, o “Io solo!”. Il pediatra Donald Winnicott ha scritto che quando un bambino è in grado di identificare se stesso nei termini linguistici dell’“Io sono”, vuol dire che una fase critica dello sviluppo umano si è dispiegata7. La controvolontà è intesa a proteggere il sé emergente, difendendolo dalle idee, i programmi, le intenzioni, i giudizi, le aspettative, le richieste, i valori e i desideri degli altri.


Reazioni forti dettate dalla controvolontà sono previste in una fase di transizione, durante lo sviluppo dell’individualità emergente. A partire dai 2 anni, le risposte del bambino guidate dall’istinto della controvolontà possono essere sfrontate ed estreme, tuttavia, man mano che cresce e inizia a sviluppare sentimenti contrastanti, aumenterà l’autocontrollo sulle proprie reazioni.

Un giorno, mentre ero al parco con le mie figlie, un’amica mi chiese di guardare il suo piccolo di tre anni mentre lei si occupava di un altro bambino. Simon stava cercando disperatamente di arrampicarsi su un’anatra che oscillava avanti e indietro su un’enorme molla metallica. Mentre si affannava, mi sono avvicinata per aiutarlo, ma mi ha guardata severo e ha detto: “No, Io faccio!”, ho fatto un passo indietro e gli ho dato spazio per muoversi, ancora pronta a raggiungerlo se avesse avuto bisogno. Si è affannato un altro po’ ma mi ha guardata di nuovo e ha visto che non mi ero allontanata abbastanza per i suoi gusti. Mi ha caricata con i pugni e mi ha spinta lontano dalla sua anatra a molla. La mamma lo ha visto e gli ha detto di smetterla di spingermi, allora sono intervenuta e le ho spiegato che Simon voleva salire sull’anatra da solo e io ero semplicemente fra i piedi. Quello che Simon non era in grado di dire era: “Sono nel bel mezzo della mia differenziazione e individuazione come essere umano separato dagli altri e la tua volontà mi impedisce di svilupparmi oltre”. Senza potersi affidare al linguaggio e al discernimento, i bambini di tre anni useranno qualsiasi mezzo a disposizione per far arrivare il messaggio dettato dalla loro controvolontà.


Riflettendo sui problemi di Susan e Charlie nel togliere il pannolino al figlio, è evidente che i loro programmi erano diventati più forti di quelli di Blake. Lo avevano lodato e ricompensato quando aveva agito in accordo con i loro desideri, ma questo aveva lasciato poco spazio ai desideri e agli interessi di Blake nel mantenere il controllo della situazione. I suoi “voglio” erano diventati i suoi “devo” e anziché usare la propria iniziativa per tentare qualcosa di nuovo, sentiva il peso delle aspettative dei suoi genitori.


Dove avrebbe potuto essere aiutato a trovare i suoi scopi e i suoi motivi per lasciarsi il pannolino alle spalle, sentiva invece direttive e pressioni. Il suo interesse ad usare il bagno era stato distrutto dagli incentivi, diminuendo il desiderio di fare da solo. Più Blake opponeva resistenza, più i genitori diventavano insistenti, con crescendo da ambo le parti di reazioni dettate dalla controvolontà. Quando Susan e Charlie hanno battuto in una ritirata strategica, smettendo di pressarlo e concentrandosi sull’attaccamento, l’individualità emergente di Blake ha ripreso il comando e lui ha ricominciato a usare il bagno. La strategia con i bambini piccoli è di evitare che si accorgano che i nostri programmi sono più forti dei loro, soprattutto quando è necessaria la loro cooperazione - come per dormire, mangiare, vestirsi, usare il bagno e lavarsi.


Quando un bambino sta facendo emergere la propria individualità, sarà curioso, vorrà provare cose nuove, pensare con la sua testa, considerare opzioni e scelte nella vita, essere diverso e aspirare all’indipendenza. Non è necessario spingere o pressare un bambino verso l’autonomia, basta lasciare che la controvolontà in modo naturale prepari la strada. Quando il bambino vede che ha diverse opzioni e può compiere delle scelte, con naturalezza inizierà a sentirsene responsabile, sentendosi al contempo in colpa per come le sue azioni influiscono sugli altri. Non è necessario offrire al bambino lezioni forzate; la crescita e lo sviluppo sani prepareranno la strada per il dispiegamento di un atteggiamento responsabile. Mentre la volontà del bambino si sviluppa e si fortifica negli anni dell’adolescenza, egli dovrebbe sentire la libertà e l’autonomia che questo comporta, così come la responsabilità morale e il senso di colpa intrinseci al fatto di essere un individuo separato.

Distinguere le due facce della controvolontà

I genitori spesso si chiedono come distinguere fra le due forme di controvolontà. L’elemento chiave da considerare è ciò che precede la risposta dettata dalla controvolontà. Se gli istinti di attaccamento del bambino non sono stati coinvolti attivamente prima di dare direttive, allora la controvoloontà è il risultato di una scarsa influenza relazionale da parte del genitore. Una mamma, per esempio, si è trovata in difficoltà perché non ha esercitato un richiamo sul figlio prima di convincerlo a uscire di casa:

Mio figlio giocava con gli aeroplanini quando gli ho detto che dovevamo mettere via i giocattoli e uscire per andare a prendere la sorella al kindergarten. Mi ha ignorata finché non ho alzato la voce e gli ho detto di mettersi le scarpe. Ha urlato: “No!”, così mi sono avvicinata e lui diceva “No no no no no!” mentre mi spingeva via. Così ho preso le scarpe e ho cercato di infilargliele, ma continuava a scalciare, rendendo la cosa impossibile. Alla fine ho deciso di metterlo nel passeggino senza le scarpe perché era troppo difficile.

Se la mamma avesse visto la reazione del figlio come effetto della controvolontà, avrebbe potuto battere in ritirata strategica anziché ingaggiare una battaglia. Avrebbe potuto esercitare un richiamo su di lui prima di mettergli le scarpe.

Se la risposta dettata dalla controvolontà arriva dopo momenti di contatto appagante con il bambino, allora è probabile che serva allo scopo di prepararlo a diventare una persona indipendente. La mamma di una bambina di tre anni e mezzo, per esempio, un mattino è rimasta sorpresa dalla resistenza della figlia:

Ero stata con Jessica, avevamo letto dei libri e parlato dei programmi per la giornata, ma al momento di vestirsi aveva fatto molta resistenza. Anziché essere ben disposta come fino a un momento prima, mi aveva guardata e aveva detto: “No, non mi piace quella maglietta!” Poi aveva passato in rivista tutte le magliette dell’armadio, scegliendone una e poi un’altra, e cambiando idea di continuo. Era stato terribile. Quando le ho detto: “Coraggio, ti aiuto a vestirti!” si è voltata verso di me e ha ribattutto: “No, signora, lo faccio da sola!”. Delle volte la sua natura alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde mi lascia perplessa.

In questo caso, Jessica era appagata, e la sua individualità emergente, per quanto immatura, ha iniziato a farsi avanti. Ciò che accomuna i due esempi è che non c’è nulla come la resistenza di un bambino piccolo per confondere, frastornare e sconfiggere tutta la logica adulta.

Strategie per gestire la resistenza e l’opposizione dettate dalla controvolontà

Il segreto per gestire la controvolontà è di non prenderla sul personale - un’impresa apparentemente impossibile nel caso in cui venga istigata anche la controvolontà dell’adulto. I bambini piccoli, nella loro prassi quotidiana, si ritrovano di norma bloccati in qualche punto morto. Il segreto è accompagnarli a ritrovare una via d’uscita senza distruggere la relazione affettiva e l’intesa. La sfida è quella di non reagire ricorrendo alla forza o a qualche leva che eserciti un controllo sul bambino; questo non farebbe che accrescere la sua resistenza e/o danneggiare la relazione.


A seconda di cosa abbia provocato la reazione dettata dalla controvolontà, esistono tre strategie utili per stemperare e gestire la resistenza e l’oppositività dei bambini piccoli: 1) aumentare l’attaccamento e gettare un ponte verso il bambino, 2) diminuire coercizione e controllo e 3) fare spazio alla volontà del bambino.

1) Gettare un ponte verso il bambino e aumentare l’attaccamento

Una delle cose più difficili da trasmettere nel mezzo delle reazioni scatenate dalla controvolontà è che la relazione resta intatta nonostante la resistenza. Gli adulti devono trovare un modo per mantenere una posizione alfa quando affrontano la resistenza del bambino, pur senza imporgli la propria volontà. Esistono diverse strategie utili per superare i comportamenti problematici e mantenere salda la relazione:

  • Non utilizzare la separazione come conseguenza. L’attaccamento è il bisogno più grande del bambino, perciò far uso di castighi, allontanamenti o sottrarre oggetti e privilegi è destinato ad essere vissuto come provocatorio. Sono tutte azioni che probabilmente aumenteranno la resistenza del bambino e aggiungeranno anche ansia e frustrazione alla miscela.

  • Attendersi e prevedere gli effetti della controvolontà. Poiché i bambini piccoli sono immaturi e non possiedono un’individualità già formata, le reazioni dovute alla controvolontà dovrebbero essere attese quando si ha a che fare con loro. L’importante è non interpretarle in modo personale, intenzionale o manipolativo, bensì come una spinta istintiva ed emotiva. Per quanto ci appaia incomprensibile il motivo della resistenza, se ce lo aspettiamo è meno probabile reagire in modo eccessivo o che la cosa ci renda ostili.

  • Non fare del comportamento l’obiettivo ultimo. Quando i bambini resistono, gli adulti spesso pretendono che cambino atteggiamento prima di procedere con qualsiasi altra cosa. Questo serve ad aumentare la resistenza dei bambini e ad esacerbarne le reazioni. Se un bambino, per esempio, rifiuta di mettersi le scarpe e il genitore risponde pretendendo che lo faccia prima di poter fare qualsiasi altra cosa, entrambe le parti rischiano di bloccarsi nella controvolontà.

  • Considerate la resistenza come naturale e normale. Quando un bambino piccolo si fa oppositivo, stargli accanto e riconoscere che potrebbe sentirsi controllato o costretto può attenuarne la reazione. Un genitore potrebbe per esempio dire: “Sì, so che delle volte non ti piace quando ti dico quello che devi fare!” Questo non significa che l’adulto abbia abbandonato i suoi programmi, ma solo riconoscere il fatto che il bambino potrebbe averne di propri e diversi.

  • Tenere sotto controllo le reazioni dettate dalla controvolontà. Più un adulto si vede responsabile e nel ruolo di comando, più la controvolontà del bambino appare provocatoria. Un papà mi ha raccontato: “Mi sento proprio come se dovessi schiacciare gli atteggiamenti dei miei figli quando oppongono resistenza e si ribellano, per far sì che non si comportino così da adulti!”. Per un genitore essere sfidato da un figlio è frustrante e può farlo persino infuriare. La controvolontà nei bambini è provocatoria e il segreto è nel non rispondere loro dalla stessa prospettiva. Quando un genitore riesce a restare fedele al sentimento di cura nei riguardi del figlio e alla preoccupazione per la relazione, questo dovrebbe aiutarlo a temperare la sua stessa reazione e a dare esempio di pazienza e tolleranza. È importante trovare un modo per indicare una via d’uscita dalla situazione di impasse che lasci intatta la dignità di ciascuno.

  • Correre ai ripari quando la controvolontà ci fa reagire male. Quando si reagisce in modo eccessivo alla controvolontà del bambino, correre ai ripari con la relazione è la cosa più urgente da fare. Questo potrebbe voler dire scusarsi per primi e assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Se un bambino si sente ancora ferito dopo aver ricevuto delle scuse, allora è anche importante fargli sapere che va bene sentirsi così. Quando il genitore reagisce in modo troppo emotivo, piangendo o supplicando che lo si perdoni, va incontro a problemi alfa da parte del bambino se questi si assume la responsabilità dei sentimenti del genitore. L’obiettivo è quello di affrontare la ferita inferta alla relazione, prendersene la responsabilità e assumersene la cura. Essere genitori non significa essere perfetti ma prendersi la responsabilità delle proprie imperfezioni e ripartire da lì.


Per superare le reazioni dei bambini innescate dalla controvolontà ci vuole pazienza, fiducia e la convinzione che più il bambino matura e diventa un individuo a sé, meno avrà bisogno di funzionare con l’ausilio di questa reazione istintiva. Nel frattempo, la misura migliore da adottare è quella di mantenere un atteggiamento alfa e non permettere che il comportamento del bambino provochi una rottura nella relazione.


Quando si tratta di risposte dominate dalla controvolontà, gli adulti dovrebbero vedersi come coloro che hanno il compito e la responsabilità di guidare il bambino piccolo fuori dall’impasse. Cambiare argomento o posporre la discussione può centrare l’obiettivo, così come dare alla reazione un po’ di tempo e spazio per dissiparsi. È importante non identificare il bambino con le sue reazioni e resistenze facendo uso di affermazioni del tipo “Perché sei così testardo?” o “Nessuno vuole stare con te se ti comporti così!” Comprendere quanto si senta controllato o costretto eviterà di umiliarlo per qualcosa che è una manifestazione naturale. Ci sono volte in cui un genitore deve usare il proprio piglio alfa per trattenere il bambino nel suo stato d’animo sconvolto e aiutarlo così a capire quanto talvolta sia inutile resistere.


Se la resistenza scaturisce da una relazione debole con l’adulto, allora coltivare un attaccamento più forte sarà il primo obiettivo. Prima di prendersi cura di un bambino, un adulto dovrebbe accertarsi che è un grado di esercitare un richiamo su di lui, il che indica che la forza dell’attaccamento è sufficiente per il compito prefissato. La relazione può essere rafforzata affidandosi a espressioni di delizia, divertimento e affetto, così come stabilendo un legame di somiglianza, appartenenza e lealtà, di importanza per l’altro o con qualsiasi altro mezzo utile a suscitare un attaccamento nel bambino.

2) Ridurre la coercizione e il controllo

Ridurre nei modi che seguono la quantità di controllo e coercizione che un bambino sperimenta può aiutare a prevenire le reazioni istintive della controvolontà o a gestirle quando si manifestano:

  • Evitare di usare toni di comando o modi prescrittivi. Quando gli adulti danno direttive ai piccoli, spesso cambiano tono anticipando l’eventuale resistenza. Le direttive tendono a dare l’impressione di essere più energiche e autoritarie, aumentando la probabilità di una risposta dovuta alla controvolontà.

  • Rendete meno espliciti i vostri programmi. Gli adulti riescono ad essere molto espliciti quando danno delle direttive, per esempio dicono: “Mettiti le scarpe e il cappotto, è ora di andare a scuola e non voglio fare tardi al lavoro.” La natura costrittiva e diretta di una simile richiesta può provocare con facilità la controvolontà del bambino piccolo, mentre un approccio più implicito avrebbe un tono meno provocatorio. Per esempio, anziché dire di sbrigarsi e prepararsi, ci si potrebbe concentrare sui programmi della giornata mentre si infilano le scarpe e il giubbotto al bambino: “La maestra mi ha detto che oggi all’asilo avrete un ospite speciale che viene a raccontarvi e a farvi vedere qualcosa. Sai chi potrebbe essere?” Rendendo i programmi dell’adulto meno evidenti, si riduce il rischio di reazioni dettate dalla controvolontà. Portare qualcosa attraverso il gioco è poi un modo sicuro per ridurre la coercizione e rendere meno espliciti i piani del genitore.

  • Evitare di concentrarsi sui devi, dovresti e bisogna che. Alcune delle affermazioni più imperative che arrivano all’orecchio del bambino includono l’uso del verbo dovere. Aizzano la controvolontà suggerendo che non saranno tollerate alternative. Inoltre, erodono il desiderio di affermazione del bambino e la sua motivazione intrinseca, distruggendone gli entusiasmi e il desiderio ardente di imparare e sperimentare cose nuove.

  • Usare quanta meno forza e leve possibili. Le forme di coercizione fisica, comportamentale, emotiva e cognitiva non fanno che esacerbare le reazioni guidate dalla controvolontà e creare una relazione conflittuale. Talvolta gli adulti sono riluttanti a rinunciare agli strumenti di rinforzo positivo o negativo, vi si aggrappano nella speranza che renderanno i bambini più malleabili. Si perde però la consapevolezza che l’attaccamento sia il contesto nel quale i bambini sono più inclini a seguire l’adulto, assecondarne la volontà e condividerne i valori.

  • Battere in ritirata finché la presa dell’attaccamento non migliori. Una delle strategie più efficaci quando ormai la controvolontà è stata provocata è quella di battere momentaneamente in ritirata finché non vengano attivati gli istinti di attaccamento. Di fronte a un atteggiamento resistente, l’adulto potrebbe dire: “Ti lascio a riflettere su questa cosa e torno fra un minuto!”, oppure: “Ho cambiato idea, ti darò altri cinque minuti per giocare e poi ce ne andremo!” L’importante è comunicare che la resistenza non vi ha resi ostili, né ha scardinato il vostro ruolo alfa. Una mamma, per esempio, ha raccontato che la figlia le si era rivolta durante una gita dell’asilo presso una fattoria, asserendo: “Più mi dici di non toccare l’asinello, e più mi viene voglia di toccarlo!” Per fortuna, il gruppo si era spostato verso un altro recinto di animali e anziché far riferimento al comportamento della figlia in modo diretto, la madre l’aveva richiamata a sé e le aveva offerto una merenda. Dopo il richiamo agli istinti di attaccamento, aveva sollecitato le sue migliori intenzioni (si veda il cap. 10 sulla disciplina) a proposito del saper ascoltare le direttive che le venivano date.

  • Utilizzare struttura e routine per orchestrare il comportamento. Visto che i bambini piccoli sono allergici alla coercizione e al controllo, la struttura e le routine sono modi meravigliosi per mettere ordine nel comportamento senza dover “comandare” a destra e a sinistra. Mi ha sempre stupita il modo in cui la maestra d’asilo delle mie figlie impiegassi questi mezzi per segnalare quando era il momento di stare in cerchio, di giocare o fare merenda. Iniziava a cantare una canzoncina sul riordino che avvertiva i bambini della transizione dal gioco all’uscita in giardino, ma non prima di aver rimesso a posto i giochi.

  • Distogliere l’attenzione dagli elementi coercitivi della situazione. Più una situazione è coercitiva, più è desiderabile che l’attenzione venga distolta da quegli elementi che provocherebbero la controvolontà. Cinture di sicurezza, passeggini, carrelli della spesa, tutti rappresentano una costrizione e provocano a più riprese la controvolontà. Anziché permettere che l’attenzione si rivolga agli elementi costrittivi, un genitore potrebbe parlare al bambino, cantare canzoni o nutrirlo. Un’altra occasione in cui i bambini si sentono costretti è a tavola, quando ci si aspetta da loro che restino seduti e mangino. Più si è concentrati sul fatto che debbano mangiare, più si provoca la controvolontà. Rendere i pasti meno costrittivi e dirigere l’attenzione del bambino verso storie, racconti, cose divertenti o semplicemente creare un coinvolgimento familiare su cose diverse dal cibo, aiuta a rendere il contesto meno coercitivo. Più si ripete: “mangia le verdure!”, meno il bambino le mangerà.

3) Fare spazio alla volontà del bambino

Quando la controvolontà del bambino scaturisce dal suo muoversi verso un’individualità indipendente, dare spazio all’esercizio della volontà è una buona strategia. Si può fare in tanti modi, l’importante è non dare al bambino la responsabilità delle cure o di decisioni che riguardano i bisogni relazionali.

  • Fornire qualche possibilità di scelta. Se il bambino piccolo oppone resistenza ai programmi stabiliti dal genitore, fornire qualche possibilità di scelta o spazio di manovra in cui esprimere i propri desideri lo aiuterà a sentirsi meno costretto. Quando è ora di andare a dormire, per esempio, potrebbe scegliere quale pigiama indossare, quale libro leggere, quale spazzolino usare o quale canzone farsi cantare.

  • Concentrarsi sulla volontà del bambino. Aiutare un bambino a scoprire cosa vuole e mettere enfasi sui suoi desideri, scopi, ragioni e significati lo aiuterà a ridurre la controvolontà. Un genitore potrebbe per esempio dire: “Vorresti che tutti smettessero di dirti cosa fare. Vuoi avere le tue idee su questo.” Non significa che il bambino debba fare come dice lui, ma avvalora il fatto che abbia una volontà tutta sua. Il papà di una bambina di quattro anni ha raccontato di come insegnasse alla figlia a piegare i vestiti ma lei opponesse resistenza dicendogli: “Io piego i vestiti a modo mio!” e di come lui fosse felice di assecondarla.

  • Fare spazio all’iniziativa e al coinvolgimento del bambino. Per ridurre la controvolontà, coinvolgete il bambino o lasciategli prendere l’iniziativa nel partecipare a un’attività. Una mamma, per esempio, stava cercando di aiutare la figlia di tre anni a incollare sui palloncini delle facce di animali ritagliate dalla carta da collage. Nell’entusiasmo di volerla aiutare le diceva dove mettere le parti del corpo degli animali e come dovessero apparire. La bambina ha perso interesse e si è rifiutata di continuare il lavoretto. Durante il gioco i bambini dovrebbero poter scegliere cosa fare e quando si tratta di lavoretti manuali o artistici dovrebbero poter decidere come utilizzare il materiale che hanno di fronte.

  • Sollecitare le buone intenzione ogni volta che sia possibile. Se la cooperazione del bambino è importante, sollecitare le sue buone intenzioni in anticipo può essere utile per evitare la controvolontà. Il che vuol dire coinvolgere i suoi istinti di attaccamento e usare la relazione per chiedergli di cooperare con una serie di linee guida sul comportamento. L’accordo del bambino aiuta a evitare la resistenza in situazioni particolari. Una mamma, per esempio, doveva portare i figli in ufficio dal papà, in un ambiente molto professionale. Anziché aspettare e dare direttive e indicazioni sul comportamento appropriato nel corso della visita, rischiando un’opposizione, ha sollecitato le buone intenzioni dei bambini in anticipo. Ha chiesto se poteva contare su di loro perché si comportassero bene: “Senza correre, urlare o fare gli sciocchini oggi mentre siete in ufficio da papà!”. Ha raccontato poi che molti erano rimasti sorpresi dal loro comportamento e avevano commentato quanto fossero educati.

  • Se possibile e appropriato, lasciate che decidano loro. I bambini piccoli hanno bisogno di ambiti in cui possano decidere per sé, esercitare la propria volontà e sviluppare le proprie preferenze (ad eccezione di tutto ciò che abbia a che fare con i bisogni di attaccamento). È necessario che il genitore trovi luoghi, cose o attività su cui i bambini possano esercitare un controllo, come nel gioco, nell’imparare nuove abilità o nel vestirsi. Una mamma ha fatto decidere alla figlia come vestirsi, dando alcune indica zioni del tipo nessun travestimento quando si esce e no al pigiama durante il giorno. Beth ha iniziato a vestirsi da sola e a 4 anni era molto orgogliosa dei suoi sforzi, sfilava per la famiglia facendo mostra dei suoi vestiti e un giorno chiese allo zio cosa ne pensasse dell’abbinamento scelto. Lui rispose con onestà dicendole che non era sicuro che il rosso e il fucsia stessero bene insieme, al che lei replicò: “Oh, sì, stanno benissimo!”

La controvolontà protegge il bambino piccolo impedendogli di seguire persone a cui non è legato e prepara la strada all’emergere dell’individualità. Talvolta la resistenza dei bambini scaturisce dal fatto che gli adulti non attivano gli istinti di attaccamento prima di dare direttive, ma potrebbe anche significare che i bambini stanno solo cercando di imparare a fare da soli. È importante interpretare nel modo giusto e tener conto di cosa ha preceduto la resistenza, determinando poi quale sia il modo migliore di procedere. Per quando i “faccio da solo!” del bambino piccolo sembrino insignificanti, rappresentano invece i mattoni costitutivi della personalità. Durante l’adolescenza, utilizzeranno i “faccio io!” per attraversare il ponte che separa l’infanzia dall’età adulta. Il difficile, per gli adulti che si trovano a dover crescere un bambino piccolo, è fare spazio da subito ai “Faccio da solo!”, nei quali è insita già la promessa futura di un “Io”.

Capire i piccoli
Capire i piccoli
Deborah MacNamara
Come aiutare a crescere creature imprevedibili e meravigliose da 0 a 6 anni.Un manuale di facile lettura, ricco di consigli pratici e testimonianza dirette, per aiutare i genitori a comprendere la natura dei bambini piccoli. I bambini piccoli sono fra le persone più amate, ma anche fra le più incomprese.Le loro straordinarie personalità possono rivelarsi una sfida per gli adulti, in quanto sfuggono alla logica e alla comprensione: passano dall’essere sfrontati, recalcitranti e ribelli all’illuminare la stanza con la loro gioia di vivere e le risate contagiose.Le reazioni estreme, la rabbia apocalittica, i pianti inconsolabili e le impuntature senza cedimenti sono la cifra dell’immaturità, e per quanto dovrebbe sembrare evidente che essa sia un tratto costitutivo dei piccoli e li renda persone molto diverse dagli adulti, si rivela invece fra quanto di più misconosciuto e negletto. Deborah MacNamara, allieva e collega di Gordon Neufeld, uno dei più importanti esperti dell’età evolutiva, esplora l’intenso bisogno di attaccamento del bambino, l’importanza vitale del gioco, la natura della giusta disciplina e del tipo di relazione che è in grado di proteggere la crescita delicata dell’infanzia. In Capire i piccoli si trova ciò che serve ai bambini per crescere e prosperare, ma non prima di aver capito che i loro comportamenti, talvolta sconcertanti, non sono affatto la manifestazione di un disturbo o di un deficit e neppure di una “cattiva educazione”.Non guarderete più ai vostri figli e a voi stessi nello stesso modo, e pur scoprendo quanto sia critico il ruolo di genitore e adulto, vedrete anche come, dalla giusta prospettiva, sia più facile e naturale di quanto si creda. Conosci l’autore Deborah MacNamara è counsellor clinico ed educatrice con un’esperienza ultraventennale.Membro del Neufeld Institute, affianca alla pratica di consulente una regolare attività formativa rivolta a genitori, educatori, professionisti della salute mentale e chiunque si prenda cura dei bambini.Vive a Vancouver con il marito e due figlie.