Sa il cielo che non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, poiché sono pioggia sulla polvere accecante della terra che ricopre i nostri cuori induriti. Stetti meglio dopo aver pianto - fui più dispiaciuto, più consapevole della mia ingratitudine, più gentile.Charles Dickens1
capitolo Vii
Lacrime e capricci
Comprendere la frustrazione e l’aggressività
La forza dei bimbi ai primi passi e piccoli uragani
Come si aiuta un bambino frustrato?
La frustrazione è un’emozione forte che spinge il bambino a cambiare quello che non va. Tuttavia, deve essere ben equipaggiato per vivere in un mondo dove non sempre ottiene ciò che vuole. Talvolta è lui ad aver bisogno di cambiare e i genitori lo aiuteranno ad abbandonare i suoi programmi e a capire che può sopravvivere anche senza fare come voleva. Per realizzare questo, gli adulti dovranno accettare che non c’è nulla di sbagliato nei desideri e nella volontà di un bambino piccolo - come mangiare biscotti a colazione o restare alzato fino a tardi. Quello che è imperativo è che l’adulto sia all’altezza delle proprie responsabilità e metta il bambino di fronte alle infruttuosità della vita, che sono molte, come quando si tratta di aiutare un piccolo di tre anni ad andare a dormire anche se afferma: “Non voglio andare a letto, sono notturno come il mio criceto!”
Aiutare un bambino ad accettare che qualcosa non porta frutti non è un processo logico, bensì emotivo. Il bambino non è buon giudice di ciò che è infruttuoso e ha bisogno di aiuto per capire quali obiettivi possono essere raggiunti e quali devono essere abbandonati. Potrebbe andare avanti in eterno nel tentativo di ottenere ciò che vuole e gli adulti devono avere un ruolo attivo nell’aiutarlo a trovare pace rispetto alle imprese inutili. Gli sforzi per convincere un bambino piccolo con la razionalità e la ragionevolezza sono di solito destinati al fallimento. È necessario che, per essere registrata, l’inutilità attraversi il loro cuore, non la loro mente. Devono sentire che si trovano di fronte a un limite o a una restrizione della vita. Dobbiamo far sì che sia chiaro al loro cuore il fatto che qualcosa non accadrà. Dobbiamo aiutarli ad ascoltare il nostro “no” e a sentirsi spinti ad accettarlo emotivamente. Proprio come in un labirinto, il bambino ha bisogno di sentire dov’è la strada senza uscita, così da riuscire a trovarne un’altra. Come disse un bambino di quattro anni al papà che non intendeva cambiare idea: “Papà, non mi piace questo no, lo vado a dire alla mamma!”
Un bambino può accettare che qualcosa sia inutile solo se è mosso alla tristezza, al disappunto e al senso di perdita quando non è in grado di effettuare un cambiamento. Se il cuore del bambino è tenero e in grado di provare sentimenti di vulnerabilità, alla fine la rabbia si trasformerà in tristezza. I sentimenti di frustrazione dovrebbero sciogliersi in sentimenti di inutilità. Sono le lacrime di tristezza (da non confondersi con quelle di rabbia) che segnalano la fine del tentativo infruttuoso e comunicano che il cervello ha ricevuto il messaggio che qualcosa non cambierà. Il lamento infinito, l’energia ronzante piena di frustrazione del bambino piccolo si trasforma, come per magia, nella tristezza o nella delusione. I sentimenti di frustrazione dovrebbero arrestarsi a un punto morto e l’energia emotiva trasformarsi in resa - il bambino trova la sua pace. Nel momento in cui accetta ciò che non può mutare, ecco che le lacrime potrebbero iniziare a scorrere. È attraverso un sentiero di lacrime, di tristezza o delusione per ciò che non può mutare che il bambino piccolo arriva ad accettare le infruttuosità della vita e diventa più resiliente e pieno di risorse.
Beatrice ha tre anni ed è innamorata delle caramelle, le chiede di continuo, soprattutto a colazione. Dopo molti no, molte lacrime di tristezza e molto conforto da parte della mamma, Beatrice accetta il verdetto e non le chiede più. La mamma si sorprende quando, un mese più tardi, Beatrice chiede di nuovo le caramelle a colazione. Un po’ frustrata, la mamma replica con sarcasmo: “Come no! Ne puoi avere quante ne vuoi a colazione! Anche torte e biscotti! E non dimenticare il gelato nel freezer, prendi la tua tazza e riempila!” Gli occhi di Beatrice si spalancano e resta a bocca aperta finché, dopo aver ripreso fiato, dice: “Mamma, dovresti essere morta per farlo succedere!” La mamma si rassicura, perché Beatrice si è adattata ma il suo spirito non ne è uscito distrutto; ha capito che le caramelle sono vietate a colazione, il che non vuol dire che non continui a desiderarle.
Le lacrime di tristezza sono importanti
Alex usciva da un anno di grande ansia, fobie spaventose, grande sofferenza, più di quanto credevo possibile per un bambino di quattro anni. Un giorno, mentre sedeva al computer, trovò una musica, un madrigale malinconico e fu talmente toccato da quella meravigliosa tristezza che iniziò a piangere. Un pianto silenzioso, profondo e triste, non la protesta urlante e torturante a cui ero stata abituata per tutto quell’anno. Era tantissimo che non lo sentivo piangere così.
I più comuni tentativi inutili dell’infanzia
- L’impossibilità di restare aggrappati alle esperienze piacevoli. Quando i bambini piccoli si divertono, non vogliono che finisca; del resto, chi potrebbe biasimarli? Dover andar via da casa di nonna, mettere fine a un incontro di gioco o a una festa di compleanno rischia di provocare risposte frustrate. Ogni volta che c’è una transizione, devono dire ciao a qualcosa, e questo comporta spesso tristezza e frustrazione.
- L’impossibilità di cercare a tutti i costi far funzionare qualcosa di rotto. I bambini piccoli credono che gli adulti sappiano aggiustare qualsiasi cosa, dai giocattoli rotti al cattivo tempo. Vi diranno che vogliono il sole in una giornata piena di nuvole, o che un negozio apra quando è chiuso. Le loro aspettative hanno poco a che fare con la realtà e tutto con i loro desideri.
- L’impossibilità di voler possedere un genitore o chicchessia. Non appena viene tagliato il cordone ombelicale, un bambino non sarà mai più tanto prossimo a qualcuno, ma questo non gli impedisce di provarci e di reclamare il possesso delle altre persone. Condividere chi amano con chiunque è difficile e può sfociare in battaglie territoriali.
- L’impossibilità di rispedire un fratellino da dove è venuto. Adattarsi a un nuovo fratellino spesso implica un percorso di frustrazione e molte lacrime versate su tutti i cambiamenti, incluso l’avere minor attenzione, più confusione e spazi da condividere. Gabriella, quattro anni, dice alla mamma incinta: “Se sarà una bambina la chiamerò ‘Pattumiera’ e la butterò nel cassonetto. Se sarà maschio allora lo chiamerò ‘Bimbo’ e gli comprerò un regalo speciale”.
- L’impossibilità di essere più intelligenti di quello che si è. Una delle esperienze che si fanno quando si va a scuola è la diversità rispetto agli altri bambini. Magari si vuole leggere o lanciare la palla come un altro bambino o si diventa frustrati mettendo a confronto i talenti. I bambini non nascono con la comprensione che ciascuno è diverso e che molte cose si imparano dopo tentativi ed errori. Quello che loro vedono è la distanza fra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere.
- L’impossibilità di voler essere perfetti o evitare il fallimento. I bambini piccoli possono sentirsi frustrati quando commettono errori o quando l’immagine che hanno nella testa non prende vita nel modo sperato. Le torri cadono a terra e i disegni sono migliori nell’immaginazione, il che porta a esplosioni di frustrazione. Trovarsi faccia a faccia con l’imperfezione umana è frustrante e suscita il pianto.
- L’impossibilità di esercitare un controllo sulle circostanze. Ci sono molti eventi nella vita che non possiamo controllare, come il trascorrere del tempo e la perdita delle cose che amiamo. Sono esperienze che per i piccoli rappresentano spesso un’autentica frustrazione e un motivo di preoccupazione. Una mamma ha scritto: “Ricordo mia figlia la prima volta che prendemmo i pulcini. Ce n’era uno piccolo che non aveva un’aria molto sana sin dall’inizio. Mia figlia lo aveva chiamato Humphrey. Nei tre giorni successivi ci unimmo tutti nello sforzo di farlo sopravvivere e lei si disperava in anticipo perché era chiaro che il pulcino non stesse bene. Quando morì, notai che una parte di me avrebbe voluto far finta che non fosse successo per poter dire “se ne è andato” oppure “è morto durante la notte” e rimuovere così l’evidenza del cadavere per evitare di sconvolgerla. Invece lo lasciammo lì perché lei potesse vederlo morto al mattino. Pianse a non finire. Seppellimmo Humphrey con una piccola cerimonia e lei continuò ancora a piangere. Parlammo di Humphrey per mesi, e ancora le veniva sempre da piangere. La volta successiva che perdemmo un pulcino, circa un anno dopo, Jasmine pianse un poco e poi disse: “La seconda volta è più facile!”
- L’impossibilità di riportare indietro il tempo o disfare ciò che è stato fatto. I bambini piccoli spesso cambiano idea e cercano di prendere decisioni diverse retroattive. Mangiano un gelato al cioccolato solo per girarsi verso di voi e dire che in realtà volevano la vaniglia. L’idea di permanenza e del non poter disfare ciò che ormai è stato fatto è difficile da afferrare per un bambino piccolo e crea frustrazione.
- L’impossibilità di fare magie o sconfiggere le leggi di natura. La prima infanzia è un periodo in cui si imparano le leggi di natura. Un papà mi ha raccontato che suo figlio andava in crisi ogni volta che lanciava la palla in un particolare punto a mezz’aria dove voleva che restasse, vedendo poi che ricadeva sempre al suolo. Osservare il divario fra la propria immaginazione e la realtà può essere frustrante.
- L’impossibilità di vincere tutte le volte. Quando i bambini piccoli giocano a un gioco, spesso vogliono vincere - a tutti i costi, anche con l’inganno. Cambierebbero le regole per venire incontro ai propri bisogni o ne farebbero di nuove in corso d’opera. Ho sentito bambini dire: “Se vinci in realtà vuol dire che hai perso, e se perdi allora invece hai vinto!” Una mamma era inorridita al mio suggerimento di non far vincere sempre i più piccoli: “Stai dicendo che non dovrei far vincere sempre a scacchi mio figlio di cinque anni? Ma è piccolo!” Le risposi chiedendole dove ritenesse che fosse meglio per il figlio imparare a non vincere sempre. Dopo averci pensato su, convenne che forse poteva avere un ruolo nel preparare suo figlio a saper perdere a scuola durante i giochi con gli altri bambini.
- L’impossibilità di essere più grandi di quanto si è. Quando i bambini si paragonano agli altri, magari vorrebbero essere più alti, più grandi o più robusti. Un bambino di cinque anni ha chiesto al padre: “Posso raccontare agli altri che ho sei anni anche se non li ho?”, e quando il padre gli ha chiesto il perché, ha risposto: “Perché in classe sono tutti più grandi di me e anch’io voglio avere sei anni!”. La replica del padre è stata saggia: “Sei quello che sei e non puoi cambiarlo!”
- L’impossibilità di essere i migliori e primi in tutto. I bambini piccoli hanno istinti alfa che tentano di esprimere, desiderando perciò arrivare primi, essere i migliori e stare sempre avanti agli altri. I “Poveri perdenti” sono bambini che non sono stati aiutati ad accettare l’inutilità del volersi trovare sempre in cima. Le manovre dei bambini per la posizione si svelano quando si scontrano gli uni con gli altri per mettersi in fila a scuola. È importante che si eviti al bambino di essere sempre primo e lo si aiuti a capire che può sopravvivere anche così.
- L’impossibilità di essere i benvenuti anche quando non lo si è. Talvolta capita che i bambini non siano invitati a feste o incontri, altre volte i fratelli non vogliono giocare con loro e agli adulti spetta ogni tanto il compito di aiutarli a trovare la tristezza e il pianto per essere stati rifiutati. Spesso gli adulti si affrettano a oliare le relazioni problematiche fra coetanei, insistendo che i bambini dovrebbero essere tutti amici, nello sforzo di evitare che qualcuno si senta ferito. È del tutto comprensibile, specie per quei bambini che vivono molti rifiuti da parte dei coetanei, ma è anche importante che il bambino piccolo sia in grado di capire quando non è il benvenuto e reagisca di conseguenza.
- L’impossibilità di sapere quello che accadrà. Succede che i bambini piccoli vogliano sapere cosa accadrà, spesso per via di timori o sentimenti di incertezza, come il primo giorno di asilo. Aiutarli a trovare le lacrime per i cambiamenti a venire e rassicurarli che ci si prenderà cura di loro, li aiuterà ad alleviare paure e frustrazioni legate all’imprevedibilità dell’ignoto.
- L’impossibilità di evitare i turbamenti. I bambini spesso vogliono evitare turbamenti come la noia o la tristezza, cercano magari di distrarsi o di essere stimolati. Parte del compito del genitore è quello di aiutarli ad affrontare gli stati d’animo turbati tipici della vita, come quando si perde un pallone o un gelato cade per terra, senza tentare di evitare del tutto simili situazioni.
Le quattro impossibilità che è più difficile affrontare
- Quando si devono affrontare limiti e restrizioni. Non appena il bambino piccolo inizia a camminare, i suoi desideri e interessi prendono vita mentre esplora l’ambiente circostante. È tipico del bambino non amare che gli vengano imposti limiti o costrizioni e preferire di fare ciò che vuole: giocare anziché fare un riposino, uscire senza giacca, svuotare credenze e cassetti. Ogni volta che un adulto impone qualche limite o restrizione è inevitabile andare incontro a un po’ di frustrazione. L’importante è non usare sempre la distrazione o altre misure per evitare le crisi e aiutare il bambino a trovare le sue lacrime.
- Quando si cerca di controllare le azioni e le decisioni degli altri. Quando il bambino non riesce a controllare quello che fanno gli altri, è possibile che si senta frustrato per l’incapacità di alterarne gli esiti. Una bambina di quattro anni ha detto al suo amico di smetterla di mettere in disordine il tavolo mentre giocavano con gli orsacchiotti. Lui non l’ha ascoltata, nonostante i ripetuti tentativi di farlo smettere. In un gesto disperato, lei gli ha urlato e ha iniziato a colpirlo con le posate di plastica. Allora lui si è messo a gridare, incapace di fermare l’accoltellamento, e ha strillato: “Non sono stato io! È stato il mio orsacchiotto!” A quel punto, lei ha iniziato a colpire l’orsacchiotto con la forchetta. È dura quando i bambini capiscono che non possono esercitare un controllo su ciò che fanno gli altri.
- Quella che deriva dalla propria natura. I bambini piccoli spesso vogliono padroneggiare cose che il loro corpo deve ancora imparare a fare, come allacciarsi le scarpe, far scattare la chiusura delle cinque cinture di sicurezza del loro seggiolino, arrampicarsi su una parete da arrampicata, colorare dentro gli spazi o scrivere il proprio nome. Talvolta hanno disabilità che rendono difficile il movimento e l’apprendimento. Limiti fisici o emotivi possono generare frustrazione e richiedere l’intervento delle lacrime per adattarsi a ciò che è possibile. I bambini sensibili spesso hanno bisogno di versare molte lacrime su tutte le cose che non vanno per il verso giusto.
- Quella che deriva dall’appagamento mancato. L’appagamento scaturisce dal raggiungere qualcosa di voluto o desiderato, ma non è sempre realistico o possibile. Succede che i bambini non ottengano ciò che vogliono, come il gattino o il cucciolo che avevano chiesto a Babbo Natale. Hanno desideri, programmi, richieste e bisogni che vengono disattesi, e questo provoca frustrazione. Come ha esclamato un bambino: “Il compleanno di mio fratello è il giorno peggiore della mia vita!”. Uno dei bisogni frustrati più difficili da accettare è la separazione da qualcuno che amano e a cui vogliono restare vicini, come nel caso di un genitore che non può restare con loro. Questo suscita allarme, insieme alla ricerca della persona amata, e ne discuteremo ancora nel capitolo 8.
Aiutare il bambino ad adattarsi alle frustrazioni della vita
1) Il bambino cerca di modificare quello che non va
2) Un bambino si adatta a ciò che non può cambiare
La danza dell’adattamento in tre passi
- PRIMO PASSO: Mostrare l’inutilità
- SECONDO PASSO: Permanere nell’esperienza
- TERZO PASSO: Tirar fuori la tristezza
“Tutto ha avuto inizio quando Chloe ha spinto il fratello giù dalla sedia insistendo che era la sua. Ben ha iniziato a piangere, così l’ho preso in braccio e ho detto a Chloe che non poteva avere la sedia. È esplosa in una crisi e si è buttata per terra urlando: “Voglio la sedia!”, l’ho lasciata urlare, ma mio marito era lì vicino e mi ha chiesto: “Ma che fai? non puoi lasciarle fare questo!”. Gli ho risposto: “È frustrata e deve sfogarsi!”, poi ho detto a Chloe che ero lì per abbracciarla e che capivo la sua frustrazione. Mio marito mi ha sussurrato: “L’abbraccerai per questo?”
È stata dura, ma ho tenuto duro durante le urla, i lamenti, i piedi che pestavano, le mani che picchiavano sul pavimento, finché non ho sentito quel suono che mi ha fatto capire che eravamo prossimi alla fine - “Mamma, mamma, voglio andare a casa!”. È come sentire le marce che scalano nella sua testa, le lacrime di tristezza iniziano a scendere e io posso finalmente abbracciarla. Dentro di me penso soltanto: “Una dolce resa alla fine, grazie a Dio!” e poi mi accorgo di quanto sono stanca.
Capisco quanto sia difficile per mio marito capire il da farsi quando lei è così sconvolta; sta ancora imparando a trovare la sua strada per accompagnarla durante le crisi. Quando è sconvolta così, prego solo che arrivi il pianto e non mollo la sua frustrazione per non peggiorare le cose.”
3) Il bambino muove all’attacco
Quando mio figlio aveva tre anni, ha iniziato ogni tanto a graffiare in faccia gli altri bambini. Non succedeva spesso, ma era un comportamento che ci preoccupava e ci rendeva assai confusi perché non capivamo da dove avesse origine. Tentai con il solito approccio spicco del “Non si fa!”, ma senza esito. Ero imbarazzata, frustrata e non riuscivo a farmene una ragione. Ripensandoci ora, mi rendo conto che c’erano molte cose che lo facevano sentire frustrato e che quello era il suo modo di sfogarsi quando si sentiva sopraffatto.
Alice mi aveva chiesto alcuni adesivi in un negozio e io avevo detto di no. Aveva avuto una crisi. Una signora anziana ci aveva viste e si era avvicinata con l’intenzione di offrire il suo aiuto. Parlando ad Alice le aveva detto che se non stava buona babbo Natale non le avrebbe portato nessun regalo. Alice era esplosa in un feroce ruggito. Come era saltato in testa a questa donna di usare una minaccia per gestire la frustrazione di mia figlia?! Non capiva che stava solo alimentando il fuoco, anziché spegnerlo? Ora Alice credeva che oltre agli adesivi non avrebbe avuto neppure i regali di Natale! Ero così frustrata che quasi quasi avrei dato io in escandescenze con la signora. Invece ho detto ad Alice che Babbo Natale viene sempre a casa nostra e che andava bene se si sentiva frustrata.
Per Natale avevamo comprato alle nostre figlie di quattro e due anni una cucina giocattolo costosa. Siamo in difficoltà con i soldi ma eravamo convinti che sarebbero state felicissime. Un momento erano lì che la guardavano, la toccavano e l’esploravano contente, il momento dopo la grande aveva quest’espressione frustrata sul volto e le dava una spinta facendola cadere. Mi sentivo talmente avvilita!!! Ho interpretato il gesto come ingratitudine. Lei aveva cercato di aprire un cassetto o uno sportello senza riuscirci e per questo le aveva dato una spinta, non era ingrata ma solo molto frustrata. Mi dispiace dover dire che non sono stata brava nel gestire la sua frustrazione e il comportamento aggressivo, né ho potuto invitarla a manifestare tutti i suoi sentimenti. Credo sia la difficoltà di molti genitori, affrontare tutti i propri sentimenti contrastanti per poter accogliere tutto quello che agita i figli nell’intimo, anche se si tratta di una folle frustrazione.
- Spersonalizzare l’attacco. Se il bambino tira calci, urla o morde, dirgli che è cattivo, brutto, indisponente e così via non fa che aumentare la frustrazione e l’aggressività. Spersonalizzare l’attacco ne fa una questione di comportamento ma senza trasmettere un giudizio, per esempio: “Le gambe non sono fatte per dare calci!”, “I denti non servono a mordere le persone!”
- Concentrarsi sulla frustrazione per preservare la dignità ed essere presenti. Accompagnare i sentimenti del bambino può essere d’aiuto per neutralizzare la frustrazione e ricondurlo sulla rotonda dell’adattamento. Un genitore, per esempio, potrebbe dire: “i tuoi denti hanno dei morsi da dare perché ti senti frustrato, sono qui per aiutarti!”. È importante preservare la dignità del bambino quando dà in escandescenze, così che alla frustrazione non si aggiungano anche ansia e timori.
- Comunicare che la relazione può sopportare il peso delle sue emozioni. Quando un bambino attacca, la minaccia più grande per lui può essere rappresentata dalla perdita di contatto e sintonia con i genitori. Quando un genitore comunica quali sono le cose che non vanno, deve al contempo comunicare che la relazione è ancora intatta. Per esempio dicendo al bambino: “So che stai passando un brutto momento, ma io sono qui con te!”, oppure: “Non temere, so che sei sconvolto ma lo supereremo!”. Il genitore deve prendersi la responsabilità di preservare la relazione e non tenere in ostaggio la sintonia e la vicinanza al bambino finché questi non abbia chiesto scusa. Quando la separazione è usata come risposta a un attacco del bambino, la frustrazione verrà esacerbata e aumenteranno le probabilità di un nuovo attacco.
Frustrazione e lacrime nei bambini sensibili
- Proteggerlo dalle esperienze che lo sopraffanno. Quando i contesti ambientali, le relazioni e le esperienze sono troppo per un bambino sensibile, chi si occupa di lui deve poter essere in grado di interpretare la situazione e proteggerlo di conseguenza. Per esempio, magari un genitore iscrive il figlio a lezione di musica solo per vederlo fuggire dalla porta non appena il suono ha inizio. Per il bambino gli stimoli visivi o uditivi rischiano di essere eccessivi, per questo non potrà trascorrere molto tempo in questo tipo di ambienti, o forse non potrà starci affatto. Spingerlo oltre il proprio limite fisico di solito porta il bambino sensibile a chiudersi o a esplodere. In ogni caso è importante che l’adulto capisca ciò di cui il bambino è capace, anche a piccole dosi, senza proteggerlo del tutto.
- Portarlo sul terreno della vulnerabilità. Si sa che i bambini sensibili evitano a tutti i costi esperienze che suscitano turbamenti o timori. Potrebbero rifuggire dalle storie tristi nei libri e spaventarsi guardando la TV dei piccoli; ai genitori spetta il compito di guidarli con dolcezza in queste direzioni quando è necessario, invitandoli ad esprimere cosa provano anziché forzarli. Il bambino sensibile cercherà di deviare l’attenzione dai suoi sentimenti, perciò saper leggere i segnali su ciò che per lui è più difficile, aiuterà l’adulto a capire cosa lo turba molto. Quando il turbamento lo travolge, il bambino ha bisogno di tempo per calmarsi e ridurre l’intensità dell’esperienza. Dopodiché, sarà più in grado di parlare di ciò che lo ha sconvolto, anche se è probabile che ciò avvenga solo con l’aiuto di un adulto. Riconoscere i suoi sentimenti, dar loro un nome e normalizzarli lo aiuterà a creare una relazione migliore con il suo mondo interiore, da cui spesso si sente sopraffatto e scombussolato.
- Fare il punto sulle situazioni problematiche lontano dal momento dell’incidente. Quando si parla di problemi di comportamento, è meglio affrontarli fuori dal contesto in cui è avvenuto l’incidente, avvalendosi del calore della relazione che si ha con il bambino e parlandone con delicatezza. Meglio affrontare gli incidenti quando l’intensità dei sentimenti è scemata. Nel trambusto del momento è meglio che il genitore si limiti a informare: “Questo comportamento non va bene, poi ne riparliamo!”; se il bambino risponde: “Non voglio parlare!”, il genitore dovrebbe dirgli che la cosa sarà facile, veloce e con la minor sofferenza possibile ma che talvolta le cose vanno dette e affrontate. Dopo aver comunicato cos’è che non va, il genitore deve assicurarsi di far capire che la relazione è ancora intatta.
Capire i piccoli
Deborah MacNamara
Come aiutare a crescere creature imprevedibili e meravigliose da 0 a 6 anni.Un manuale di facile lettura, ricco di consigli pratici e testimonianza dirette, per aiutare i genitori a comprendere la natura dei bambini piccoli.
I bambini piccoli sono fra le persone più amate, ma anche fra le più incomprese.Le loro straordinarie personalità possono rivelarsi una sfida per gli adulti, in quanto sfuggono alla logica e alla comprensione: passano dall’essere sfrontati, recalcitranti e ribelli all’illuminare la stanza con la loro gioia di vivere e le risate contagiose.Le reazioni estreme, la rabbia apocalittica, i pianti inconsolabili e le impuntature senza cedimenti sono la cifra dell’immaturità, e per quanto dovrebbe sembrare evidente che essa sia un tratto costitutivo dei piccoli e li renda persone molto diverse dagli adulti, si rivela invece fra quanto di più misconosciuto e negletto.
Deborah MacNamara, allieva e collega di Gordon Neufeld, uno dei più importanti esperti dell’età evolutiva, esplora l’intenso bisogno di attaccamento del bambino, l’importanza vitale del gioco, la natura della giusta disciplina e del tipo di relazione che è in grado di proteggere la crescita delicata dell’infanzia.
In Capire i piccoli si trova ciò che serve ai bambini per crescere e prosperare, ma non prima di aver capito che i loro comportamenti, talvolta sconcertanti, non sono affatto la manifestazione di un disturbo o di un deficit e neppure di una “cattiva educazione”.Non guarderete più ai vostri figli e a voi stessi nello stesso modo, e pur scoprendo quanto sia critico il ruolo di genitore e adulto, vedrete anche come, dalla giusta prospettiva, sia più facile e naturale di quanto si creda.
Conosci l’autore
Deborah MacNamara è counsellor clinico ed educatrice con un’esperienza ultraventennale.Membro del Neufeld Institute, affianca alla pratica di consulente una regolare attività formativa rivolta a genitori, educatori, professionisti della salute mentale e chiunque si prenda cura dei bambini.Vive a Vancouver con il marito e due figlie.