capitolo Vi

Sentimenti e ferite

Conservare la tenerezza del cuore

Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.

Blaise pascal

Claire era in piedi nel piccolo studio fotografico, a Oaxaca City, in Messico. Osservava le pareti adorne di ritratti di bambini piccoli che sorridevano, ridevano, piangevano, erano imbronciati o nascondevano la faccia per timidezza. Le emozioni di ciascuno erano sistemate in cerchio tutto attorno a una fotografia centrale, con piglio artistico. Claire si chiedeva come mai qualcuno volesse immortalare scenate e atteggiamenti di resistenza quando la maggior parte dei genitori sarebbero felici di evitarle del tutto. Trovò il proprietario e gli chiese perché avesse catturato simili stati d’animo nei piccoli, al che egli le rispose in tono spiccio: “I ritratti rappresentano tutte le emozioni e gli aspetti della vita. Alcuni seri e pensierosi, altri felici, qualcuno triste. Es la vida - è la vita!” Claire restò colpita dalla spiegazione, era come se lui avesse infranto un qualche tabù o tradizione sacra trasformando il malumore in una forma d’arte. Si chiedeva quali genitori fossero dietro quelle foto e come considerassero le emozioni dei figli - anche le più caotiche.

I ritratti lasciarono un’impressione duratura su Claire; cosa potevano comunicare in merito alla nostra relazione con le emozioni dei bambini e la ricerca della felicità? Perché questi genitori non si preoccupavano di calmare i figli e perché, anzi, ne festeggiavano il fastidio interiore? Claire pensò che quei bambini erano fortunati ad avere delle guide desiderose di aiutarli a imparare un linguaggio del cuore. I ritratti impersonavano ciò di cui ciascun bambino ha bisogno: un custode dei loro sentimenti vulnerabili e del loro cuore tenero.

La vita emotiva dei bambini piccoli

Da creature emotive quali sono, i bambini piccoli sono prevedibilmente imprevedibili. Hanno mondi emotivi vasti, ma poche parole per descriverli. Sono pieni di energia ma non riescono a controllarla. Reagiscono alle emozioni degli altri ma non comprendono le proprie. Sono animati da buone intenzioni, ma queste svaniscono di fronte all’intensità delle emozioni. L’espressione di queste emozioni non è mitigata e sconfigge la ragione. I genitori di qualsiasi bambino preda di crisi e capricci non esiteranno a confermare l’immaturità emotiva dei propri figli. Quando Thomas, che ha tre anni, colpisce il padre in preda alla frustrazione, viene invitato a usare le parole anziché le mani. Thomas obbedisce e dice: “Ti farò la pipì addosso papà!”.

La cosa buona è che i bambini piccoli sono le persone più facili da capire quando si tratta di stati emotivi. I loro corpi irradiano felicità o frustrazione, le loro risate trasudano gioia, i piedi saltano dall’eccitazione o sbattono dalla rabbia. Gli stati d’animo di un bambino piccolo di solito sono ben visibili a tutti. La vera sfida è rappresentata dal fatto che l’espressione emotiva può essere grande, intensa, assordante, caotica e molto sconveniente in quanto a tempismo. Le scenate hanno luogo al supermercato e la disobbedienza si manifesta quando i parenti vengono a far visita. Le emozioni dei bambini si palesano senza inibizioni, a dispetto dei programmi previsti per la giornata e del livello di pazienza dei genitori. La domanda è: che ne facciamo di queste emozioni quando montano e poi esplodono? Impossibile rispondere a questa domanda senza considerare ciò che è necessario per favorire la salute e la maturità emotive. Dobbiamo portare l’espressione emotiva disinibita, incontrollata e caotica del bambino piccolo attraverso l’adolescenza e verso la maturità dell’età adulta. Ci aspetta una vera maratona emotiva!
Lo studio delle emozioni umane è stato ostacolato dalla sua natura intangibile ed effimera. L’approccio comportamentista proposto dallo psicologo americano B.F. Skinner ha trattato i sentimenti come variabili seccanti da estinguere mediante rinforzi e condizionamenti operanti1. Le idee di Skinner hanno avuto un’influenza duratura; sono alla base della vasta scelta di approcci alla disciplina accomunati dal tentativo di estinguere le emozioni del bambino quando erompono e dilagano.

Per complicare ancor più la questione, la razionalità e la maturità sono state assimilate a una mancanza di espressione emotiva, sebbene quasi nessun neuroscienziato ormai sosterrebbe più un’idea simile. I neuroscienziati concordano nel sostenere che il cervello umano alla nascita abbia già delle emozioni programmate e innate2. Questa visione delle emozioni è in netto contrasto con la teoria della tabula rasa, secondo la quale il comportamento umano è appreso e non esistono spinte emotive innate. Le emozioni hanno un compito da svolgere; sono intese a funzionare come vere e proprie bombe che ci indirizzano verso la sopravvivenza e la crescita.

Antonio Damasio, neuroscienziato di chiara fama, ha chiarito che la parte razionale del cervello si sviluppa sul e in congiunzione con il centro emozionale dello stesso, il sistema limbico3. Nuove scoperte stanno ora aprendo la strada a un ripensamento del ruolo delle emozioni, che include la mappatura dei neurotrasmettitori ad esse associati, dei percorsi neurali e del ruolo giocato nell’integrazione cerebrale. Per fortuna, le neuroscienze stanno rivelando il ruolo cruciale giocato dalle emozioni per una crescita e uno sviluppo sani. In The Healing Power of Emotion, Diana Fosha, Daniel Siegel e Marion Solomon scrivono: “Programmati per connetterci gli uni agli altri, lo facciamo attraverso le emozioni. I nostri cervelli, i nostri corpi e le nostre menti sono inseparabili dalle emozioni che li animano. Le emozioni sono il nesso fra il pensiero e l’azione, fra il sé e l’altro da sé, fra individuo e ambiente, fra biologia e cultura.”4 In breve, le emozioni sono il motore dello sviluppo umano.

Cosa sono le emozioni?

Un’emozione è definita come qualcosa che ci agita e ci muove all’azione. Le emozioni sono qualcosa che ci capita anziché qualcosa su cui esercitiamo un controllo consapevole. Il cervello ha le sue ragioni per attivare le emozioni, per quanto irrazionali ci appaiano a prima vista. Non si può discutere con le emozioni come se fossero logica - c’è un metodo che sottende alla loro follia, un proposito dietro il loro attivarsi. I mostri si presentano all’ora di andare a dormire, come la maggior parte dei bambini di tre anni potrebbe confermare, e sono poche le spiegazioni che sarebbero in grado di fermare la loro comparsa. Una mamma ha dato alla sua piccola di tre anni un acchiappasogni che le portasse via gli incubi, ma la figlia le ha detto: “Mamma, è rotto - i mostri continuano ancora a uscire dai miei occhi quando dormo!”. Un’altra bambina ha scelto un approccio diverso e ha informato il padre: “I mostri non ti mangiano le dita se vai a letto con le calze!”, e: “Non dormo con le mani sopra la testa perché sennò i gorilla vengono e mi fanno il solletico sotto le ascelle!”. I bambini sono in grado di trovare soluzioni “logiche” a ciò che li disturba dal punto di vista emotivo.

Le emozioni creano un’azione potenziale che spinge il bambino verso la soddisfazione di un bisogno o la risoluzione di un problema. In sostanza, le emozioni non sono problemi; forniscono l’impeto e l’energia per risolvere i problemi.


L’emozione è il motore usato dal cervello per spingere il bambino...

…Alla prudenza quando affronta un pericolo 

…a cercare vicinanza quando ha sete di contatto e bisogno di intimità e affetto 

…a smettere quando il suo agire è infruttuoso 

…ad avventurarsi quando la base di partenza è sicura 

…a evitare il contatto con le persone a cui non è legato 

…a preoccuparsi delle persone a cui è legato 

…a opporre resistenza al di fuori dei confini dell’attaccamento 

…a emergere come individuo quando la fame di attaccamento è appagata



Figura VI.1 Tratta dal corso di Neufeld Heart Matters: The Science of Emotion
Se vogliamo capire quali siano le emozioni che lo agitano, dobbiamo osservare il modo in cui il bambino si muove. Se corre a rifugiarsi dal genitore è probabile che sia stato mosso dalla paura. Il suo muoversi verso l’esplorazione e la scoperta è alimentato dal desiderio di avventura e di crescita. Le emozioni sono il motore che guida le azioni dell’uomo; è ciò che il paradigma comportamentista ha perso di vista nello sforzo di quantificare e misurare il comportamento umano. Per quanto le emozioni risultino invisibili a occhio nudo, non è possibile negarne l’esistenza o la capacità di spingerci all’azione, di muoverci. Chiedetelo a qualsiasi genitore che ami i propri figli con trasporto - le parole non riescono a descrivere il modo in cui si sentono spinti alla cura e al sacrificio per loro.

Le emozioni hanno un ruolo critico nello sviluppo generale del bambino; sono i motori che spingono la crescita verso la nascita dell’individuo. Ai bambini è superfluo insegnare come agire in modo maturo, non più di quanto sia superfluo spiegar loro quali siano i giusti sentimenti da provare per arrivare alla maturità. Hanno piuttosto bisogno di essere spinti alla prudenza, alla considerazione, alla tristezza di fronte all’inutilità di certi sforzi nella vita, alla fiducia, alla sicurezza e al coraggio, e alla speranza.

Sono i loro sentimenti di vulnerabilità, soprattutto quelli relativi alla considerazione degli altri e al senso di responsabilità, che li rendono umani e pienamente tali. Un cuore tenero sente le emozioni perché è vulnerabile e si lascia muovere da esse.

Cinque passi verso la salute emotiva e la maturità

I genitori sono la prima guida del bambino nella comprensione degli impulsi, delle emozioni e di ciò che agita il suo sistema emotivo. L’obiettivo è quello di sviluppare la capacità di condurre le emozioni all’interno di un sistema di intenzioni, riflessioni e processi decisionali per poterle poi condividere in modo responsabile. Se lo sviluppo procede bene, pian piano questa situazione si realizza fra i 5 e i 7 anni, o fra i 7 e i 9 nei bambini più sensibili. Il lavoro dei genitori è quello di fornire le condizioni per far maturare la crescita emotiva dei figli, anziché ordinare loro di comportarsi in modo maturo.

I cinque passi di Neufeld verso la salute emotiva e la maturità implicano uno sviluppo sequenziale del bambino in quanto creatura emozionale. Un bambino sviluppa nel corso del tempo una relazione con le proprie emozioni, grazie agli adulti che lo aiutano a riconoscere i suoi sentimenti. I cinque passi sequenziali non possono essere evitati, e si dispiegano attraverso una serie di fasi via via più sofisticate: l’esprimersi, il dare un nome, il sentire, il tenere insieme e la riflessione.
I genitori giocano tre ruoli critici nel guidare il bambino attraverso questi cinque passaggi, modellando tutto il loro potenziale di creature emozionali:
  1. I genitori sono guide che facilitano l’espressione emotiva e assistono il bambino nell’apprendimento dei nomi da dare ai sentimenti.
  2. I genitori sono scudi che proteggono la tenerezza del cuore e aiutano i sentimenti a diventare consapevoli.
  3. I genitori sono agenti moderatori che stabiliscono come ripristinare l’equilibrio e la fluidità nel sistema emotivo del bambino, aiutandolo a tenere insieme sentimenti diversi e a riflettere su di essi. 
1) I genitori in qualità di guide emotive
Le emozioni cercano espressione proprio come le acque arginate desiderano esondare. Lo scopo delle emozioni è di spingere in avanti il bambino, ma questo richiede un canale di scorrimento e un luogo in cui defluire. Per un bambino piccolo, sperimentare la propria energia emotiva è come trovarsi su un gommone che scende sulle rapide di un fiume. È inutile cercare di contrastare la forza dell’acqua, e non possono far altro che assecondarla o essere spazzati via dalla sua forza. L’unica risorsa è cercare una guida a cui aggrapparsi e che li accompagni mentre precipitano fra onde, gorghi e rapide. La vulnerabilità della dipendenza alzerà spesso la testa, spingendo il bambino a considerare se ci si possa fidare della guida e della sua capacità di aver cura di lui. Questa “corsa emotiva sulle rapide” capita ogni giorno e persino ogni ora ai bambini piccoli e ai loro genitori guide. Il gommone rappresenta la loro relazione corretta, con l’adulto che indica e segue la rotta.
Le emozioni sono fatte per sollevarsi e fluire attraverso il bambino; la loro esistenza non è un problema, sebbene possano essere causa di molti problemi. I genitori devono farsi guida del sistema emotivo del bambino per accertarsi che resti fluido, aperto e vibrante. I genitori sono nella condizione naturale per facilitare l’espressione delle emozioni del bambino e devono invitare le emozioni a manifestarsi, così come fornire le parole che descrivono gli stati emotivi. Per diventare una guida, un genitore dovrà usare il proprio sistema emotivo e capire quello del figlio. La capacità di leggere le emozioni negli altri scaturisce dalla risonanza limbica, “l’armonia indescrivibile che vediamo ovunque e diamo per scontata - quella fra madre e figlio, fra un ragazzo e il suo cane, fra innamorati che si tengono la mano attraverso il tavolo di un ristorante.”5 Un bambino piccolo dovrebbe cercare rifugio emotivo nelle cure del genitore; il genitore è la sua bussola, il suo punto di riferimento quando si sente perso o confuso. Se il genitore è in grado di leggere le emozioni del figlio, di invitarlo ad esprimerle, e di comunicargli che si prenderà cura di lui, la giusta relazione si rafforza. La capacità di leggere i sentimenti del bambino è lo strumento per diventare guide e la maniera in cui il bambino impara, indirettamente, quali sono le emozioni che albergano dentro di lui.
L’espressione emotiva fornisce il materiale grezzo grazie al quale un genitore può insegnare un linguaggio del cuore. Ciò che nell’essere umano è unico rispetto ad altre specie di mammiferi è proprio la capacità di attribuire un nome ai propri stati emotivi. Il nome che assegniamo alla valutazione soggettiva dei nostri stati emotivi è ciò che chiamiamo sentimenti. I sentimenti sono le parole che usiamo consciamente per comunicare cos’è che ci agita. Quando il bambino possiede i nomi da attribuire alle proprie emozioni, le sue parole aprono la porta a una maggiore vulnerabilità, consapevolezza, comprensione. Ai genitori spetta il compito di favorire la congruenza fra il cuore e la bocca del bambino, che sarà alla radice della sua integrità e autenticità. Quando non diamo il giusto riconoscimento a ciò che alberga nell’intimo del bambino, lo spingiamo verso una traiettoria in cui dovrà alterare se stesso per tenersi stretto a noi. Sminuiamo e corrompiamo la sua individualità per far salve le nostre emozioni e tutti i sentimenti che non riusciamo a gestire.

Quando un bambino riceve l’invito a esprimere le proprie emozioni, riceve anche il messaggio che può fidarsi del suo cuore che gli invia informazioni preziose. Quando un genitore avvalora i sentimenti del figlio, trasmette sicurezza e fiducia nel fatto che ci si può affidare a quei silenziosi moti del cuore quando si tratta di prendere una decisione. Quando aiutiamo nostro figlio ad avere una relazione con i propri sentimenti, sarà poi in grado di condividerli con gli altri in modo responsabile. I nostri figli hanno bisogno di una loro individualità da condividere, di un cuore che provi dei sentimenti, di una bocca che dica, e della convinzione che la ricchezza nella vita derivi dal viverla in maniera vulnerabile. Quando un genitore riconosce e accoglie le emozioni del figlio, crea aspettative di relazioni future in termini di intimità emotiva e psicologica.
Il problema della libera manifestazione delle emozioni
Il problema, quando si invita un bambino a esprimere le proprie emozioni, è che la loro espressione può essere confusa, difficile, brutale, caotica, incivile. Come fa un genitore a mantenere un’espressione neutrale e a far fluire le emozioni del figlio quando ciò che viene fuori è scioccante, inaccettabile, alienante e doloroso? Jasper, per esempio, cinque anni, urla al padre: “Portami alla stazione di polizia così mi faccio sparare!”; Marina, sei anni, dichiara alla mamma: “La tua pelle e le tue ossa sono uno spreco sul tuo corpo!”, la mamma di Ethan ha raccontato che suo figlio di tre anni ha urlato al papà: “Ti odio! Voglio cavarti gli occhi, prendere una motosega e farti tutto a pezzetti!”. Ho usato l’ultimo degli esempi una sera con un gruppo di genitori e sono rimasta sconcertata mentre reagivano sgranando gli occhi, boccheggiando dall’orrore ed esclamando: “Ma è orribile!”. Sono rimasta spiazzata perché credevo che il piccolo Ethan fosse stato assai espressivo con la sua tremenda frustrazione, chiaro nelle intenzioni e articolato. Dove io vedevo del potenziale umano, i genitori vedevano solo delinquenza.

Non mi preoccupava l’immaturità di Ethan, piuttosto avrei voluto capire il motivo per cui era così agitato e frustrato. Chiesi alla madre di raccontarmi la storia che aveva preceduto le parole aggressive e fu chiaro che era sconvolto perché il padre doveva tornare al lavoro dopo un periodo di vacanza. Ethan voleva giocare con il papà e la sua frustrazione era diventata feroce quando gli era stato detto che non era possibile. Aveva scelto la motosega come arma perché la sua attività preferita con il papà era guardarlo mentre tagliava la legna. Quello di cui Ethan aveva bisogno era qualcuno che desse un po’ di spazio all’espressione dei suoi sentimenti e nomi per le cose che aveva nel cuore. Il processo e lo sfogo emotivo potevano essere facilitati solo da qualcuno che avesse una buona relazione con lui, che capisse i suoi sentimenti e riconoscesse tutta la difficoltà di dover accettare certe cose, e che potesse addolcire la frustrazione con l’affetto. La risposta alle emozioni di Ethan era l’accudimento. Aveva bisogno di sentirsi dire cose come: “Niente va per il verso giusto ora, vero? Vorresti solo che papà giocasse e lui non può!”, o: “Sei così frustrato che papà debba andare a lavorare proprio adesso, vero?” Una volta che le lacrime di Ethan avessero fatto la loro comparsa, il suo cuore si sarebbe addolcito e lui avrebbe accettato una delle verità più dolorose della vita: talvolta non c’è nulla che possiamo fare per tenere vicine le persone che amiamo. Per quale motivo dovremmo invece punire un bambino che lotta con questi sentimenti? Quello che Ethan voleva era contatto e vicinanza con il papà, quello che ha ottenuto è un legame con la mamma mentre lei lo guida alla radice della sua frustrazione e infine alle lacrime.

Ai genitori può capitare di faticare a capire le emozioni dei bambini piccoli, ma invitarli a esprimere i propri sentimenti non richiede comprensione. Alla radice dell’esitazione genitoriale e del timore di dar spazio all’espressione è l’idea che se “gli dai un dito”, i bambini “si prendono il braccio”. I genitori temono che la manifestazione emotiva non avrà mai fine; prenderà il sopravvento e non se ne verrà a capo. L’energia emotiva non cessa finché non trova sfogo. Le emozioni compresse possono dar luogo a esplosioni ben maggiori e a ulteriori scoppi emotivi. Quando il sistema emotivo è in agitazione, continuerà a premere e a cercare una via di sfogo - qualsiasi cosa pur di ridurre la pressione interna. Le emozioni prenderanno ben più del braccio intero se si cerca di reprimerle.

I genitori possono anche credere falsamente che le emozioni siano il frutto di un apprendimento e debbano essere disapprese con rinforzi e conseguenze. La nuova scienza delle emozioni ha dimostrato che non funziona così. Non si insegna a un bambino a comportarsi in modo frustrato, impaurito, premuroso, triste - nasce con la capacità di provare queste emozioni ed è mosso dall’istinto. Il ruolo di un genitore è di guidarlo attraverso le emozioni per raggiungere infine stabilità, equilibrio, autocontrollo.

La questione da considerare è cosa avrebbe significato per Ethan se il genitore gli avesse detto: “Non vogliamo starti vicini quando dici queste cose!”, oppure: “Vai nella tua stanza e ritorna fra tre minuti!”, o ancora: “Sei davvero cattivo con papà, solo i bambini irrispettosi dicono cose del genere!” Parole simili avrebbero creato un dilemma emotivo per Ethan. Se esprimere la frustrazione che è dentro di lui significasse fargli perdere le persone a cui tiene di più, il suo cervello orchestrerebbe un intricato gioco sacrificale.

Il timore della separazione dagli attaccamenti spingerebbe il suo cervello a deprimere o reprimere le emozioni che minacciano le sue relazioni. Come per magia, Ethan dopo il time-out apparirebbe “calmo” e “buono buono”.

L’allarme creato dall’essere mandato via estinguerebbe la sua frustrazione e lo rimetterebbe al suo posto nella relazione con i genitori. La frustrazione di fondo non sarebbe però risolta; lui sarebbe ancora agitato, incapace di esprimere questa agitazione, e avendone anche ben poca consapevolezza e comprensione. Il cane, il gatto o un altro bambino potrebbero doversi scontrare con la sua frustrazione, ma non i genitori, in quanto il suo cervello adotterebbe una strategia per proteggere queste relazioni. I time-out, i castighi e tutta la disciplina fondata sulla separazione “funzionano” perché dirottano il sistema emotivo del cervello mettendo a repentaglio l’attaccamento. Se questo tipo di risposte fossero messe in atto spesso, non solo Ethan avrebbe un problema di frustrazione, ma anche uno legato all’ansia. La separazione è la più forte delle esperienze e plasma il cervello emotivo.
Quando la manifestazione emotiva viene soppressa
Cosa significa per un bambino quando il cervello deve sopprimere la manifestazione emotiva per salvare la relazione con il genitore? Qual è il prezzo che la salute emotiva e la maturità devono pagare quando l’espressione dei sentimenti va a monte in un sistema fatto per muoversi? Il costo viene pagato dalla relazione che il bambino deve creare con i propri sentimenti e con il modo in cui si evolve in quanto creatura emotiva. Il modo in cui un genitore risponde alle emozioni di un figlio comunica quali fra esse siano accettabili; in tal modo viene scolpito e prende vita il paesaggio del cuore di quel bambino. Se il bambino desidera una relazione con il genitore, il suo cervello, in modo inconscio, plasmerà le manifestazioni emotive per andare incontro al tipo di invito ricevuto. Le emozioni malviste sono spinte verso l’oscurità, al di fuori dei parametri di ciò che è ritenuto accettabile, lasciando che sia visibile solo lo stampino del suo cuore. Se, per esempio, un bambino nota che al padre non fa piacere quando è triste e questi vuole spingerlo a pensare in modo positivo, il cervello del bambino potrebbe reprimere i sentimenti di tristezza per far funzionare la relazione con il papà. Se nessun altro è in grado di accogliere la manifestazione delle sue tristezze e di aiutarlo a dar loro un nome, la gestione di questi sentimenti rischia di essere difficile, sia durante l’infanzia, sia da adulto. La manifestazione impedita può portare anche a problemi alfa e a una pletora di problemi emotivi. È una ricetta perfetta per la depressione.
L’estremo sacrificio, derivante dal mandare all’aria l’espressione dei sentimenti, è quello dell’integrità del mondo interiore del bambino e della vitalità che deriva dal poter esprimere i sentimenti vulnerabili. Quando un genitore trasmette calore e desiderio di vicinanza solo quando il bambino si conforma all’immagine che compiace l’adulto, la relazione di accudimento non consente al bambio di trovare pace. Si innesca una costante preoccupazione legata alla prestazione. Lo spirito del bambino viene stroncato, avvilito, limitato, schiacciato sotto il peso dei bisogni sociali e genitoriali che lo spingono verso comportamenti appropriati. Per esempio Zoe, sei anni, un giorno torna a casa da scuola raccontando che la maestra le ha detto che è molto dolce perché è stata di grande aiuto in classe. Zoe esordisce: “Adoro la maestra Lusik, per lei voglio essere sempre dolce tutto il tempo!” Per fortuna, la mamma capisce il bisogno di ricevere un generoso invito alla manifestazione di tutti i sentimenti e replica: “Se hai intenzione di essere così dolce a scuola, allora dovrai essere super scontrosa a casa perché nessuno riesce a essere così carino per troppo tempo!” La mamma voleva che Zoe vedesse che la loro relazione poteva reggere il peso di qualunque emozione la bambina avesse bisogno di esprimere.

L’antidoto a una mancata espressione emotiva è trasmettere al bambino il messaggio che tutte le sue emozioni sono benvenute e non porteranno a nessuna separazione. Per esempio, un maschietto osservava la mamma alle prese con una crisi della sorella maggiore. Le ha chiesto: “Non sei felice di avere solo un figlio che fa queste scene?”; la madre coraggiosamente ha replicato: “Potrei avere 100 bambini urlanti e saprei occuparmi di tutti. Se hai bisogno di fare una scena anche tu, ti puoi accomodare!” Mi ha raccontato poi che il figlio non aveva approfittato dell’offerta, ma lei era felice per l’occasione che aveva colto di fargli sapere che avrebbe potuto aver cura anche della sua frustrazione.

Ai bambini serve un generoso invito a esprimere i contenuti del loro cuore. Le parti disordinate, caotiche, offensive e traumatiche, sono anch’esse parte integrante dei nostri bambini. Abbiamo la responsabilità di invitarle tutte ad esistere, non solo quelle che ci piacciono! Come riusciranno i nostri figli ad avere una relazione con le parti più “inaccettabili” di se stessi se non riusciamo noi a condurli fin lì? Come diventeremo guardiani del loro cuore se non riusciamo a guardare le loro emozioni e le nostre? Come potremo indurli a condividere i propri sentimenti in maniera responsabile e civile se non permettiamo loro di esprimerli? Il messaggio più forte che possiamo trasmettere è che la nostra relazione può sopportare il peso di ciò che essi sono e di qualsiasi cosa provenga da loro. Nei momenti in cui loro sono pieni di parole che feriscono, di caos e disordine emotivo, dobbiamo invitarli a un contatto con noi che possa riavvicinarci qualsiasi cosa sia successa.

I bambini piccoli hanno bisogno che si dia loro lo spazio per essere immaturi ed esprimere le turbolenze emotive, schiette e non imbrigliate, che si agitano nei loro cuori. Le emozioni non sono né buone né cattive, quello che conta è riconoscerle e usare le parole che descrivono i sentimenti per esprimerle in modo responsabile. L’obiettivo è quello di portare l’universo emotivo del bambino in un sistema di autocontrollo, di intenzioni, di capacità decisionale e di riflessione; di questo, però, non se ne avrà neppure l’ombra prima del passaggio dei 5-7 anni (o 7-9 per i bambini più sensibili). Persino allora, faranno sempre fatica, come del resto anche gli adulti, a moderare le proprie reazioni di fronte alle emozioni forti. I bambini piccoli non possono giungere alla maturità emotiva senza una guida - è uno dei modi in cui una giusta relazione è previsto che abbia cura della vulnerabilità del cuore e lo protegga dall’indurimento.
2) Il genitore come scudo a protezione della vulnerabilità.
Il cuore è un bel simbolo per rappresentare la vulnerabilità che accompagna il poter provare delle emozioni. Il pulsare regolare del battito cardiaco è come il ritmo emotivo che prendiamo mentre nostro figlio cresce. Non sono solo i nostri corpi a rischiare di farsi male, ma anche i nostri sentimenti. Se non avessimo sentimenti, non ci sentiremmo mai terrorizzati, perduti, tristi, né confusi; non sapremmo come duole quando si è punti dal tradimento o dalla sconfitta. E non proveremmo mai l’amore, non sentiremmo la responsabilità, l’appagamento, la speranza o il desiderio di prenderci a cuore qualcosa o di giocare liberi.

Le emozioni guidano la crescita e i sentimenti vanno in cerca della coscienza, regalando alla vita tutta la sua esuberanza. Ci rendono però anche vulnerabili e a rischio di ferite emotive. I bambini piccoli spesso si sentono feriti dagli altri; Simon, per esempio, ha detto alla mamma: “Mia sorella mi ha spinto e ha ferito i miei sentimenti!” e “Non vuole giocare con me, è proprio cattiva!” Le emozioni umane ci mettono di fronte a un dilemma: non possiamo sperimentare stati euforici come l’amore e la gioia senza correre il rischio di provare il dolore della perdita. L’amore è la porta attraverso cui i sentimenti di perdita hanno accesso. La disperazione sopraggiunge come conseguenza della perdita di qualcosa a cui teniamo profondamente.

Qual è la risposta al paradosso rappresentato dalle umane emozioni? Come possiamo custodire la vulnerabilità dei sentimenti e al contempo conservare un cuore tenero nonostante tutto il dolore? La risposta è negli scudi, e ce ne sono di due tipi possibili che aiutano a filtrare il mondo e forniscono una protezione per il cuore, così che resti tenero e capacissimo di esprimersi: 1) i meccanismi di difesa emotiva che fanno capo al cervello e 2) la giusta relazione con adulti amorevoli.
Meccanismi di difesa emotiva
Quello che la psicologia del profondo ha intuito per secoli e le neuroscienze ora confermano è l’esistenza di difese emotive a protezione della vulnerabilità del cuore6. Il cervello è equipaggiato per erigere difese che inibiscono e proteggono contro la vulnerabilità quando i sentimenti sono troppo forti da sopportare e il sistema ne è sopraffatto.

Le difese sono meccanismi protettivi che ci consentono di andare avanti in situazioni in cui i sentimenti potrebbero impedirci di fare quanto necessario. Le difese sono una mossa strategica della parte emozionale del cervello, che ci permette di sopravvivere in un ambiente anche quando questo infligge troppe ferite. Se, per esempio, un genitore grida o spaventa di continuo un bambino per ottenerne l’obbedienza, il costante stato di allarme erigerebbe barriere difensive emotive, tanto che il bambino stesso potrebbe apparire indifferente in mezzo al subbuglio emotivo. A queste condizioni, un genitore dovrebbe urlare ancora più forte per spaventare il figlio e superare il muro difensivo. Le difese emotive sorgono in modo spontaneo e non sono sotto il controllo diretto della coscienza.

Affinché lo sviluppo progredisca, le difese emotive devono restare fluide, con flussi e riflussi. Problemi evolutivi possono sorgere quando le difese si bloccano e diminuiscono la quantità di sentimenti vulnerabili che possono essere provati. Quando i meccanismi di difesa si inceppano, il bambino non sperimenta più la vulnerabilità necessaria alla crescita, soprattutto quando si tratta di sentimenti che implicano una preoccupazione per gli altri o un anelito ad essere accuditi. Anziché avere un cuore tenero che è mosso alle lacrime o mostra la paura quando è il caso, egli appare indurito, mostrando ben pochi segni di vulnerabilità.

I sentimenti di vulnerabilità da cui è più probabile che ci si difenda sono l’inutilità, la vulnerabilità, la dipendenza, l’appagamento, l’imbarazzo, la vergogna, lo spavento, la premura e la responsabilità. Sia la premura che la responsabilità sono necessarie quando si esprime empatia, e se il bambino se ne difende, saranno assenti quando interagisce con gli altri. Quando erige difese emotive, è meno probabile che un bambino veda o senta cose che potrebbero ferirlo. Il che include il non essere in grado di riconoscere i propri errori, non ricordare eventi che potrebbero far riaffiorare sentimenti di vulnerabilità, non essere capace di riconoscere i problemi quando si presentano e neppure gli atteggiamenti di rifiuto, oltre a significativi problemi di attenzione. In poche parole, qualsiasi cosa lo faccia star male non può essere vista o sentita.

Gli adulti di solito non notano quando i sentimenti di vulnerabilità spariscono nel bambino; gli adulti notano invece i problemi di comportamento che scaturiscono dall’assenza dei sentimenti di spavento, inutilità o premura - come nel caso del bambino che non dipenda dai genitori o ripeta sempre: “E chi se ne importa!” “Non fa niente!”. Se le difese sono temporanee o occasionali, a seconda delle circostanze, porranno forse solo pochi problemi allo sviluppo del bambino, ma quando sono continue o necessarie perché l’ambiente è traumatico, allora possono compromettere lo sviluppo complessivo della persona. Quando i sentimenti sono intorpiditi a livello cronico, il cuore si “indurisce” e la vulnerabilità sparisce - il che colpisce la capacità potenziale di maturare come individuo sociale, separato e in grado di adattarsi.


Sentimenti vulnerabili dai quali è più probabile difendersi

  • Sentimenti di inutilità (tristezza, delusione, dolore, pena)
  • Sentimenti di dipendenza (vuoto, bisogno affettivo, mancanza, solitudine, insicurezza)
  • Sentimenti di timidezza e ritrosia
  • Sentimenti di imbarrazzo, compreso l’arrossire
  • Sentimenti di vergogna (c’è qualcosa di sbagliato in me)
  • Sentimenti dovuti a traumi (angoscia, dolore, sentirsi feriti)
  • Sentimenti di spavento (apprensione, sentirsi in pericolo, ansia, paura)
  • Sentimenti di premura (compassione, empatia, devozione, preoccupazione, sollecitudine, attenzione ai bisogni dell’altro, fare tesoro di qualcosa, coinvolgimento)
  • Sentimenti di responsabilità (sentire con forza, rimorso, voler far funzionare le cose, prendere l’iniziativa, migliorare le cose) 



Figura VI.4 Tratta dal corso di Neufeld Heart Matters: The Science of Emotion
Quando Annie, quattro anni, si è dovuta separare dalla mamma per via di un lungo progetto di lavoro, è stata mandata dalla nonna per tre settimane. Annie all’improvviso ha smesso di riconoscere le cose che avrebbero di solito potuto spaventarla. Giocava con altri bambini vicini di casa che la prendevano in giro senza pietà, ma lei restava inconsapevole o indifferente allo scherno. Iniziò anche ad avere incidenti e a farsi la pipì sotto, nonostante da tempo avesse tolto il pannolino. Era anche irremovibile nel dire che non era stata lei a bagnarsi. La separazione dalla madre e il dover stare con la nonna a cui non era profondamente legata hanno messo a dura prova la sua vulnerabilità generando una sofferenza emotiva. Il suo cervello ha compensato inibendo i sentimenti e le sensazioni legate alla vulnerabilità e alla sofferenza.

Questo ha permesso a Annie di sopportare la separazione, ma ha creato una serie di altri problemi. Per fortuna, al ritorno, la madre ha dedicato del tempo a richiamare a sé Annie e a ripristinare la vecchia routine quotidiana, e così le difese emotive alla fine sono crollate e la tenerezza del suo cuore è tornata. Quando il sistema emotivo di Annie ha iniziato a sciogliersi, ha smesso di farsi la pipì sotto e ha iniziato a piangere per essere stata lasciata dalla nonna.

Il cervello può evocare difese emotive anche per sottrarsi ed evitare di legarsi a qualcuno per paura di venire feriti e soffrire. Un papà, per esempio, mi chiamò disperato dopo che Aiden, quattro anni, era corso via da lui al parco dopo una lotta con il fratello e uno scambio verbale con la madre. Era scappato attraverso una strada trafficata senza guardare ed era sparito. Quando finalmente lo avevano ritrovato, si era rifugiato nella sua stanza; rifiutava di uscire e di far avvicinare chiunque. Quando gli dissero che avrebbero aspettato e che erano lì ma che non gli avrebbero fatto pressioni, piano piano le sue difese emotive si erao abbassate e lui era riapparso. I genitori erano spaventati dal comportamento di Aiden e avevano cercato aiuto per capire cos’era successo. Quando avevano iniziato a capire la sensibilità di Aiden e quanto fosse facile per lui sentirsi ferito da parole dure, presero a trattarlo con modi meno provocatori dal punto di vista emotivo. La vulnerabilità emotiva è spesso la sfida maggiore con i bambini sensibili. Sentono la sfumatura di frustrazione nella voce del genitore o vedono il corruccio che prende forma sul loro volto, e il cervello li fa subito uscire dalla relazione anticipando le ferite e la sofferenza che ne verranno. Magari corrono, si nascondono, non ascoltano né obbediscono, fanno l’opposto di ciò che ci si aspetta, e diventano ingestibili.

Per un funzionamento emotivo ottimale, un bambino dovrebbe essere in grado di esprimere un’ampia gamma di sentimenti vulnerabili, come la stanchezza quando ha bisogno di tranquillità, l’imbarazzo quando si sente esposto, la cautela quando è spaventato, il dispiacere quando accadono cose brutte, la speranza quando non vede l’ora che succeda qualcosa, la premura verso gli altri, o il dolore quando si sente ferito. I segnali dai quali capiamo che il cervello ha eretto delle difese emotive, includono i seguenti:
  1. Non parla più di ciò che lo fa soffrire e ferisce i suoi sentimenti.
  2. Non si sente più in pericolo o spaventato quando dovrebbe.
  3. Non riconosce più quando viene respinto o non riesce a stare alla larga da situazioni che possono fargli male.
  4. Non si adatta più alle perdite e alle mancanze della vita, il che spesso si accompagna a un aumento dell’aggressività e della frustrazione.
  5. Non sente più il vuoto o il desiderio, solo un livello cronico di noia.

Quando il cervello del bambino si è messo sulla difensiva per non essere ferito troppo, dipenderà dall’adulto lavorare attraverso la relazione per addolcirne di nuovo il cuore.
La giusta relazione del bambino con gli adulti che si prendono cura di lui
Una giusta relazione con gli adulti che si occupano di lui rappresenta il sommo scudo protettivo per il cuore vulnerabile del bambino. I genitori sono messi in condizione di esercitare questa funzione protettiva se il bambino li usa come bussole per orientarsi fra le emozioni. Il bambino si rivolgerà ai genitori per capire cos’è che lo fa soffrire, prevenendo la chiusura del cervello alla vulnerabilità. Una giusta relazione con il genitore dà al bambino qualcuno a cui rivolgersi per togliere ciò che brucia al senso di vergogna (quando ciò che si prova è sbagliato rispetto a ciò che si è) per ridurre la separazione (quando ci si sente rifiutati, respinti, malvoluti), e per abbassare lo stato di allarme (quando si teme per la propria incolumità fisica ed emotiva). L’amore è lo scudo estremo alla vulnerabilità del cuore - è un piano meraviglioso.

I genitori e gli adulti devono essere i conquistatori del cuore del bambino e tenerlo stretto grazie all’accudimento. Se il genitore diventa una fonte di sofferenza e il bambino vive troppa separazione, vergogna, paura, allora è meno probabile che si faccia aiutare quando è travolto dalle emozioni. Anche un solo adulto basta a proteggere il cuore di un bambino, per quanto sarebbe meglio che ce ne fosse più d’uno a creare un ampio rifugio di sicurezza emotiva.

In qualità di scudo, un genitore può aiutare il bambino a esprimere i propri sentimenti in modo vulnerabile standogli accanto. L’atto di essergli accanto è un invito a raccontare come si sente e implica una riflessione su ciò che si ascolta e il riconoscimento di come ci si debba sentire quando si provano certi sentimenti. Quando si sceglie di essere vicini ai sentimenti e alle esperienze del bambino, si vuole trasmettere la propria comprensione di ciò che lo agita e si offre il proprio aiuto. Una delle cose più importanti che un genitore può fare è aiutare il bambino a portare alla coscienza il proprio mondo emotivo interiore. Quando si sta accanto al bambino, lo si guida attraverso le sue esperienze emotive.

Essere solidali con le emozioni del bambino significa astenersi dal fare l’opposto, come sminuire i suoi sentimenti con affermazioni del tipo: “Che sarà mai, ora vai fuori a giocare!”, o: “Non temere di commettere errori, fa tutto parte del processo di apprendimento!”. Quando sminuiamo o neghiamo i sentimenti degli altri, abbiamo fallito nel creare lo spazio necessario a riconoscere, dare un nome e comprendere paure, desideri, frustrazioni. Altre reazioni inutili includono i tentativi di razionalizzare i sentimenti attraverso la logica, come: “Non farti abbattere da quello che dice la gente, le loro parole non possono ferirti!”, o: “Che vuol dire che non ti compro mai niente? Perché sei così ingrato? L’altro giorno ti ho comprato…”. I sentimenti che si provano non possono essere spiegati; piuttosto dobbiamo osservare la nostra gelosia, tristezza e senso di perdita alla luce del giorno.

Altre risposte alle emozioni del bambino, e che non aiutano, includono il prescrivere come si debba gestire qualcosa oppure approfittare dell’occasione per impartire una lezione: “Se tenessi le tue cose più in ordine, sapresti dove trovarle quanto ti servono!” Stare affianco al bambino e ai suoi sentimenti dovrebbe comunicare un desiderio genuino di conoscere ciò che ha nel cuore e di assumersi la responsabilità di aiutarlo quando è attraversato da reazioni emotive.

Una mamma, per esempio, mi ha raccontato che il suo bambino dell’ultimo anno di asilo si irritava quando doveva andare a scuola e aveva iniziato a usare molto spesso la parola “stupido”. Al che lei si era arrabbiata e gli aveva detto di smetterla di dire brutte parole. Lui non aveva smesso e lei lo aveva minacciato di togliergli l’iPad per una settimana, dopodiché lui l’aveva colpita. Si era rivolta a me per sapere cosa avrebbe dovuto fare e io l’ho accompagnata alla scoperta di quei sentimenti che non aveva visto, portando alla luce ciò che si sarebbe ottenuto restando affianco al bambino.

Avrebbe potuto dire: “vedo che non ti va di andare a scuola oggi!”, o: “è dura ritornare a scuola il lunedì dopo un fine settimana divertente in cui hai potuto giocare e non dovevi lavorare!”, o ancora: “vedo che ti senti frustrato stamattina, che ti succede’”. Accompagnare la frustrazione del figlio avrebbe aiutato a lenirla, aumentandone la consapevolezza e aiutandolo ad imparare parole più appropriate per esprimerla. I bambini piccoli faticano a comprendere la complessità del loro mondo emotivo, stare al loro fianco aiuta i genitori a portare alla coscienza i sentimenti vulnerabili e indica al bambino come condividerli in modo responsabile.

Una delle maggiori fonti di sofferenza emotiva per i bambini piccoli sono gli altri bambini. Lo scudo possente rappresentato dagli adulti serve a proteggere il cuore vulnerabile dei più piccoli dall’indurimento che l’interazione fra coetanei rischia di provocare. Jack aveva sei anni quando i genitori sono venuti da me in cerca d’aiuto. Poiché era figlio unico, avevano organizzato incontri regolari con altri bambini seguendo il falso assunto secondo il quale le interazioni fra coetanei sono necessarie all’apprendimento delle abilità sociali. All’inizio dell’ultimo anno di asilo, Jack già adorava stare con i compagni e in prima elementare si era ormai orientato ai coetanei. Chiedeva di continuo di stare con loro, era frustrato e annoiato lontano dagli altri bambini e non ascoltava i genitori né gli insegnanti, si rivolgeva agli adulti con modi irrispettosi. Una volta compresa la radice del problema nell’orientamento ai coetanei, i genitori si sono mossi in fretta per riguadagnare e rafforzare la relazione con lui. Gli appuntamenti di gioco con i coetanei sono stati drasticamente eliminati, Jack ha iniziato ad avere uscite serali con i genitori e il tempo da trascorrere al doposcuola o davanti agli schermi è stato ridotto; i genitori hanno coltivato una relazione più forte fra Jack e la sua maestra e hanno chiesto aiuto a zii, nonni e cugini più piccoli per favorire una naturale gerarchia dell’attaccamento. Nell’arco di qualche mese sono stati fatti significativi passi avanti e i genitori erano emozionati quando Jack ha ripreso ad ascoltarli e a rivolgersi a loro in cerca d’aiuto.

Un giorno, mentre Jack tornava a casa da scuola in auto con il papà, ha avuto luogo la seguente conversazione a proposito di un compagno di classe con atteggiamento da bullo:

Jack: “Papà, io ho gli abs?”

Papà: “Abs? Di che parli?”

Jack: “Caden mi ha detto che dovevo alzarmi la maglietta per vedere se avevo gli abs. L’ho fatto e ha detto che non li ho, e tutti hanno riso!”

Papà: “Oh, Jack, dev’essere stata dura, come ti sei sentito?”

Jack: “Ero proprio confuso perché non sapevo che voleva dire! Caden è sempre cattivo con me, non mi piace!”

Papà: “Immagino l’imbarazzo e la sofferenza. Non molti hanno gli abs, Jack, i muscoli addominali scolpiti; chi li ha significa che fa molto esercizio e ha la pancia muscolosa. Guarda me, ho forse gli abs? No, vedi? Ho un po’ di ciccia qui. Va bene così, e tu sei proprio come me e la maggior parte delle persone!”

Una settimana dopo, Jack è salito in auto dopo la scuola e ha detto al papà: “Caden oggi è venuto e mi ha detto che non avevo gli abs. Io gli ho risposto che in pratica quasi nessuno ce li ha e che vado bene così come sono. Lui mi ha guardato e non sapeva cosa dire, e poi se n’è andato!”

Dopo avermi raccontato questa storia, il papà di Jack è passato velocemente a discutere di altri argomenti, ma l’ho interrotto e gli ho detto: “Si rende conto di cosa ha fatto per suo figlio?”, mi ha guardato perplesso, così gli ho spiegato: “Suo figlio non va più a scuola senza la sola cosa che deve sempre avere nello zaino!”. Sembrava ancora incerto, allora ho specificato: “Senza di lei, non va mai a scuola senza il suo papà. Il modo in cui lo ama per come è e il fatto di essere proprio come lei; si tratta di tener ben stretto ciò che è riuscito a riconquistare!”. Detto questo, siamo rimasti muti entrambi perché quello che ci si palesava sotto gli occhi con tanta chiarezza e perfezione era davvero bello da osservare: lui era diventato lo scudo che proteggeva il cuore di suo figlio.
Negli ultimi 35 anni, gli studi sulla resilienza hanno sempre dimostrato il legame fra la salute emotiva del bambino, il successo sociale e forti relazioni affettive con gli adulti7. Persino quando un bambino si trova a dover fronteggiare bullismo, povertà, dipendenze o malattie mentali in famiglia, la presenza di sostituti adulti, come i nonni o altri a scuola e nelle parrocchie, rappresenta l’unico importantissimo fattore per il benessere emotivo8.

La resilienza è uno dei fattori più importanti che è necessario coltivare nei nostri bambini9. Purtroppo, il messaggio che le relazioni sono la risposta alla vulnerabilità umana non è stato tradotto in pratica. Esiste ancora un movimento per insegnare ai bambini piccoli tecniche, strategie e fornire loro strumenti per essere resilienti, come se fosse qualcosa da imparare alla stregua di una materia scolastica. I bambini non sono fatti per assumersi la responsabilità di tenere al sicuro il proprio cuore e conservarne la vulnerabilità. La resilienza scaturisce in modo naturale dalla giusta relazione, nella quale sono gli adulti a rappresentare lo scudo emotivo di fronte alla sofferenza.

Quello che conta è a chi si rivolge il bambino quando è sconvolto, a chi confida i propri segreti, con chi versa le proprie lacrime, e a chi si affida per essere guidato. È fondamentale che un bambino veda, percepisca e ascolti il messaggio che il genitore crede in lui e che al genitore ci si può appoggiare. Sta al genitore confermare che le ferite fanno parte della vita e che la risposta è tenersi stretti a qualcuno che si tiene stretto a te. Quando i bambini sentono di contare per i propri genitori, quello che gli altri pensano di loro importa meno. Non dobbiamo salvare i nostri figli dal mondo doloroso in cui vivono - sarebbe impossibile. Il nostro compito è di assicurarci che non vengano mandati nel mondo a mani vuote. Alla radice della resilienza, della vulnerabilità emotiva e del cuore tenero sta una semplice verità: chiunque sia colui a cui il bambino dà il suo cuore, ha il potere di proteggerlo con il proprio. Dobbiamo essere noi a condurre nella danza dell’attaccamento, per diventare gli scudi di cui il cuore dei nostri figli ha bisogno.
3) I genitori come agenti temperanti
I bambini piccoli mancano di autocontrollo sulle emozioni per via della loro immaturità. Un sistema emotivo maturo gli permetterà di capire e comunicare in modo più responsabile con gli altri, ma per arrivarci è necessario che il cervello si sviluppi. La sfida con i piccoli è che sperimentano solo un’emozione per volta. Non saranno in grado di mescolare e integrare i sentimenti fin quando il loro cervello non maturerà e le emozioni saranno identificate singolarmente. Il risultato è che hanno poca capacità di moderarsi di fronte alle emozioni forti. La risposta a questa impulsività emotiva è di affezionarsi a un adulto dotato di autocontrollo e in grado di agire come agente temperante, moderatore dell’energia emotiva del bambino.

La parola temperare significa neutralizzare o controbilanciare la forza, moderare, modificare, mitigare, alleviare, ridurre, alleggerire o addolcire. È un termine perfetto per descrivere le azioni dei genitori di fronte alle emozioni forti dei bambini piccoli. Quello del moderatore è un ruolo attivo e non getta la responsabilità delle emozioni sulle spalle del bambino. Temperare le emozioni richiede di saper leggere lo stato emotivo del bambino e determinare il modo migliore per condurlo verso la stabilità e l’equilibrio. La sfida per l’adulto è di non perdersi nella risposta emotiva del bambino e di non perdere la propria pazienza nel processo.

L’immagine che mi viene in mente quando penso alla rapidità e alla forza delle emozioni nei bambini piccoli è quella di un treno. Se un bambino è davvero agitato da un’emozione può raggiungere l’energia di un treno in folle corsa sui binari. C’è ben poco che possa fare da freno - per non parlare del rischio di deragliamento! Di fronte a tanta energia, i genitori si sentono paralizzati e di solito dicono al bambino di smetterla o di calmarsi, ma senza grande successo. Durante una presentazione, una mamma mi ha chiesto: “Cosa dovrei fare quando mio figlio mi colpisce o mi lancia degli oggetti?”, l’amica che le sedeva accanto ha risposto: “Abbassare la testa e toglierti di torno!”. Anche se tutti abbiamo riso, la realtà è che un gesto simile potrebbe impedire al genitore di essere colpito ma non instillerebbe un senso di fiducia nelle sue capacità di accudimento, né proteggerebbe altre persone vulnerabili dalla tremenda frustrazione del bambino. Sappiamo che l’energia emotiva deve poter scorrere nel bambino piccolo, ma come ci assumiamo la responsabilità di prendercene cura?

I genitori hanno il compito di decidere quando, dove, come e chi dovrà occuparsi delle emozioni del bambino. È di questo che si preoccupa chi ha il compito di mitigare. Leggere cosa avviene nel bambino e considerare la strategia più efficace, date le condizioni del momento, in grado di permettergli di esprimersi, sentire ed essere riportato all’equilibrio emotivo. Il Quando potrebbe essere subito, sul momento, o più tardi, quando l’intensità decresce, oppure entrambi. Il Dove può includere un luogo pubblico o privato. Si potrebbe per esempio scegliere di distrarre il bambino mentre si fa la spesa ma invitarlo ad esprimersi una volta giunti a casa. Il Come condurre un bambino attraverso la vulnerabilità dei sentimenti potrebbe significare parlargli in modo diretto, leggergli un libro illustrato o aiutarlo ad esprimersi attraverso il gioco. Molti adulti potrebbero aiutare un bambino con i suoi sentimenti, ma un genitore deve decidere Chi ha una relazione abbastanza profonda da portare in superficie i sentimenti vulnerabili.

L’energia emotiva deve fluire, questo non è negoziabile, ma la responsabilità di creare una condizione di tranquillità, controbilanciando e neutralizzando le emozioni dei piccoli, spetta al genitore. La madre di Kai, ad esempio, aveva ordinato per il figlio alcuni modellini di aereo, l’hobby preferito che il bambino coltivava insieme al papà. Appena Kai aveva saputo degli aeroplanini si era talmente eccitato che domandava di continuo quando sarebbero arrivati. Dopo 48 ore, la mamma si era spazientita e gli aveva detto: “Te l’ho ripetuto cento volte, deve passare un’altra settimana, smettila di fare sempre la stessa domanda, non capisci che devi aspettare?!” Ma Kai non aveva la capacità di essere paziente, poiché questo richiede di mescolare due sentimenti diversi, la frustrazione e l’interesse. Il desiderio degli aeroplanini era straziante per lui, non riusciva a sentire altro che quello, ciò che mancava erano le lacrime per il dispiacere di dover aspettare qualcosa che voleva subito. Fu il padre a rispondere alle domande incessanti di Kai e ad accostarsi al suo turbamento dicendo: “So quanto ti piacciono gli aeroplani e non vedi l’ora di riceverli, è proprio difficile aspettare, sei davvero frustrato perché ancora non sono arrivati!” L’approccio del padre ha sciolto subito la frustrazione di Kai in lacrime. Al manifestarsi delle lacrime, l’infruttuosità delle domande sugli aeroplani e su quando sarebbero arrivati finalmente è stata registrata e le domande sono cessate.

Quello che la storia di Kai esemplifica è che i bambini piccoli mancano della capacità di mettere ordine nel proprio sistema emotivo quando sono molto agitati. Dire a un bambino di smetterla potrebbe ridurre o alterare l’espressione dei sentimenti anziché aiutarlo a capire quali sentimenti vivono in lui e come gestirli. Ecco perché i genitori devono diventare agenti temperanti e disdegnare gli approcci del tipo “smettila!”, scegliendo di avere un effetto neutralizzante sull’energia emotiva del bambino.

Quello che ai piccoli piacerebbe davvero molto che capissimo è che la loro immaturità emotiva può portare a comportamenti impulsivi, aggressivi, sconsiderati ed egocentrici. A loro serve un aiuto e una guida per maturare ed essere in grado di relazionarsi agli altri in modo responsabile. Questo significa che un adulto deve stabilire una relazione con i sentimenti del bambino; i genitori dovranno aiutarlo ad apprendere un linguaggio del cuore, dargli tempo finché il controllo degli impulsi legati ai contenuti emotivi non sia presente, mitigare le reazioni forti. I bambini non possono evolvere e crescere in quanto creature dotate di emozioni senza una relazione con gli adulti che faccia da scudo e preservi la tenerezza del loro cuore.

Capire i piccoli
Capire i piccoli
Deborah MacNamara
Come aiutare a crescere creature imprevedibili e meravigliose da 0 a 6 anni.Un manuale di facile lettura, ricco di consigli pratici e testimonianza dirette, per aiutare i genitori a comprendere la natura dei bambini piccoli. I bambini piccoli sono fra le persone più amate, ma anche fra le più incomprese.Le loro straordinarie personalità possono rivelarsi una sfida per gli adulti, in quanto sfuggono alla logica e alla comprensione: passano dall’essere sfrontati, recalcitranti e ribelli all’illuminare la stanza con la loro gioia di vivere e le risate contagiose.Le reazioni estreme, la rabbia apocalittica, i pianti inconsolabili e le impuntature senza cedimenti sono la cifra dell’immaturità, e per quanto dovrebbe sembrare evidente che essa sia un tratto costitutivo dei piccoli e li renda persone molto diverse dagli adulti, si rivela invece fra quanto di più misconosciuto e negletto. Deborah MacNamara, allieva e collega di Gordon Neufeld, uno dei più importanti esperti dell’età evolutiva, esplora l’intenso bisogno di attaccamento del bambino, l’importanza vitale del gioco, la natura della giusta disciplina e del tipo di relazione che è in grado di proteggere la crescita delicata dell’infanzia. In Capire i piccoli si trova ciò che serve ai bambini per crescere e prosperare, ma non prima di aver capito che i loro comportamenti, talvolta sconcertanti, non sono affatto la manifestazione di un disturbo o di un deficit e neppure di una “cattiva educazione”.Non guarderete più ai vostri figli e a voi stessi nello stesso modo, e pur scoprendo quanto sia critico il ruolo di genitore e adulto, vedrete anche come, dalla giusta prospettiva, sia più facile e naturale di quanto si creda. Conosci l’autore Deborah MacNamara è counsellor clinico ed educatrice con un’esperienza ultraventennale.Membro del Neufeld Institute, affianca alla pratica di consulente una regolare attività formativa rivolta a genitori, educatori, professionisti della salute mentale e chiunque si prenda cura dei bambini.Vive a Vancouver con il marito e due figlie.